Riflessioni sul canto liturgico

Pensieri estemporanei di un "non addetto ai lavori"

Nella mia parrocchia si discute sempre molto volentieri del canto liturgico. Sarà perché alla messa festiva delle ore 10 c'è un coro con un repertorio "classico" (Bach, Perosi...) mentre a quella delle ore 11.30 c'è un coro con un repertorio più moderno e giovanile, accompagnato anche dalla chitarra.

Le seguenti riflessioni, senza pretesa di essere definitive o incontestabili, vorrebbero essere solo degli spunti (presentati peraltro da un non addetto ai lavori) e insieme un tentativo di riportare l'accesa discussione su un terreno meno accidentato chiarendone i termini fondamentali (perché cantiamo?).

Ho preso come riferimento volutamente esclusivo ed esemplificativo la costituzione Sacrosantum Concilium del Concilio Vaticano II.

Premessa teorica

Chi ha ragione?

Ma qualcuno deve proprio aver ragione? Io vedo solo degli amici che si impegnano nel coro delle 10 e degli altri amici che si impegnano in quello delle 11.30. Sicuramente sarò uno dei pochi, ma mi piace sia il repertorio del coro delle 10 che quello del coro delle 11.30. Anche se avessi delle preferenze, credo però che continuerei a vedere degli amici che si impegnano sia da una parte che dall'altra.

Cos'è bello?

Gesù ci ha dato molte indicazioni. Non ha mai detto però che al buon cristiano debbano piacere le corali di Bach. Non ha detto neppure che deve piacere la musica del Gen Rosso. Perché sui gusti è inutile discutere. Discutere di musica liturgica in un’ottica simile è come discutere se siano più buoni i "classici" tortellini in brodo o quelli con la panna. In ambedue i casi saranno importanti semmai gli ingredienti e la preparazione. Voglio dire che quando affrontiamo certi discorsi non possiamo affrontarli oggettivamente ma solo soggettivamente: a me piacciono con la panna e soggettivamente questo è incontrovertibile; allo stesso tempo a Mino piacciono in brodo e anche lui ha soggettivamente ragione.

Allora la bellezza potrebbe diventare una sorta di democrazia? Potrebbe essere bello ciò che piace alla maggioranza? Se in una parrocchia tutti amano i canti del Gen Rosso, allora ci vuole un coro che canti i canti del Gen Rosso?

Tradizione e innovazione

Ma uno potrebbe dire: non è questione di piacere o non piacere, il problema è che è sbagliato lodare il Signore con certe canzonette moderne, per di più strimpellate sulla chitarra, quando abbiamo una lunga tradizione di musica liturgica corale e organistica.

Facciamo prima un passo indietro: cosa intendiamo per tradizione? Io intendo ciò che ci viene affidato dai nostri padri e ciò che lasceremo ai nostri figli. Come insegna la parabola dei talenti (quelli raddoppiati contro quello sotterrato), non giova conservare gelosamente ciò che si ha ricevuto. La tradizione ci deve insegnare uno stile, non dei contenuti. La tradizione della chiesa è sempre stata più innovativa di quel che comunemente si crede [confronta l'inizio di SC 114]. Pensiamo alla messa: a noi giovani sembra sia sempre stata così, ma prima del concilio (anni '60) era tutta un'altra cosa. Pensiamo ai canti liturgici in italiano (quelli un po' più vecchiotti): risalgono a poche decine di anni fa (prima erano in latino). Pensiamo all'innovazione del canto gregoriano. Pensiamo al fatto che l'organo era uno strumento tipicamente profano. Pensiamo che molta musica sacra del '600 e '700 si richiamava a motivi profani ed era suonata in messe che erano solo concerti ed occasioni di ritrovo. Pensiamo che nella Bibbia non si parla mai di organo ma di lodare Dio sulle corde (la chitarra???) e sui flauti, con cembali sonori e cembali squillanti (come dire con tutti gli strumenti possibili, purché servano a lodare il Signore [Salmo 150,3-5]); pensiamo infine che l'invito del salmista è cantare a Dio un canto nuovo [Salmi 96, 98 e 149, significativamente sempre nel primo versetto].

Quindi lasciamo perdere anche il concetto di vocazione: "la chitarra è per vocazione uno strumento destinato ad accompagnare musica leggera". La vocazione è una chiamata di Dio che stravolge spesso e volentieri le vie degli uomini. Il più grande miracolo di Dio è trarre il bene anche dal male: trarre una lode a Dio dallo strumento usato anche per suonare rock satanico!

Cos'è buono e giusto?

In ebraico non è buono ciò che è buono e non è buono neppure ciò che è bello (come per i greci). In ebraico è buono ciò che è funzionale: una donna è buona e bella se fa figli; durante la creazione Dio creò la luce e vide che era buona, cioè serviva a ciò per cui era stata creata, cioè faceva davvero luce [Genesi 1,3-4].

Allora qual è la funzione del canto liturgico? Il Concilio Vaticano II è chiaro: il canto liturgico deve favorire la partecipazione attiva dei fedeli alla messa [SC 30; confronta anche SC 118 e la parte centrale di SC 121]. E' chiaro che non ci potrà essere un canto liturgico universalmente funzionale [SC 119]: una parrocchia africana avrà certe esigenze, una parrocchia italiana altre, e la stessa parrocchia fra 20 anni ne avrà altre ancora.

Interpretazione rigorosa di SC 112 La Costituzione Sacrosantum Concilium esprime la funzionalità del canto liturgico ricorrendo al concetto di 'santità':

Perciò la Musica sacra sarà tanto più santa quanto più strettamente sarà unita all'azione liturgica.

Questa unione si realizza

sia esprimendo più dolcemente la preghiera e favorendo l'unanimità, sia arricchendo di maggior solennità i riti sacri.

Con molto equilibrio si sottolinea quindi sia la partecipazione attiva ('favorendo l'unanimità') sia l'eventuale accompagnamento riservato al coro mentre l'assemblea ascolta e prega.

Ma, nel tentativo di dare indicazioni più concrete, si cade inevitabilmente nella soggettività, in quanto

la Chiesa poi approva e ammette nel culto divino tutte le forme della vera arte, purché dotata delle qualità necessarie

dove non è facile definire quali siano 'le qualità necessarie'. Si sente quindi la necessità di riproporre la funzione del canto liturgico, sottolineando come le seguenti prescrizioni siano state scritte

mirando al fine della Musica sacra, che è la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli

ribadendo così ancora una volta che il canto liturgico deve essere prima di tutto 'santo' sia in relazione a Dio che verso i fedeli.

Complessivamente si coglie molto bene la dialettica (l'equilibrismo??) conservazione-innovazione (non tradizione-innovazione che non sono concetti opposti: l'innovazione può e deve essere nel solco della tradizione): da un lato il continuo ruolo preminente dato al gregoriano e alla schola cantorum [SC 116, SC 115], dall'altro l'ammissione implicita dell'inadeguatezza pastorale di un approccio basato esclusivamente su queste due premesse. Timidamente si aggiunge quindi che il canto popolare non può essere limitato ai pii esercizi ma deve essere esteso anche alle azioni liturgiche [SC 118], che la formazione liturgica deve essere data non solo a musicisti e cantori della schola ma anche ai semplici fanciulli [ultimo paragrafo di SC 115], che nel comporre nuovi canti deve essere favorita la partecipazione dell'assemblea.

Cos'è la partecipazione?

Premesso che il canto favorisce la partecipazione dei fedeli anche se questi si limitano ad ascoltare, è indubbio che per partecipazione attiva si intende dare all'assemblea l’opportunità di cantare. Quindi i canti dovranno essere relativamente semplici e dovranno venire incontro in parte ai gusti dell'assemblea (una messa di giovani ad un campo scuola sarà diversa dalla messa vespertina di domenica). Questo non esclude canti corali o di difficile esecuzione e neppure esenterà dall'educare l'assemblea: nel primo caso, si possono studiare soluzioni dialogate fra coro e assemblea, o la presenza di un cantore che guida l'assemblea ad una sola voce mentre il coro esegue le altre. In certi momenti e in certe occasioni un canto cantato solamente dal coro può essere pienamente auspicabile. Stigmatizziamo però quegli atteggiamenti che vedono nell'assemblea una nota stonata rispetto all’esecuzione impeccabile del coro.

Suggerimenti operativi

Testo

Il testo dovrà essere comprensibile di modo che chi canta capisce ciò che canta e così pure chi non canta ma ascolta semplicemente. Il latino e l'italiano "arcaico" di certi altri canti sarà riservato a particolari occasioni o accompagnato da una traduzione o breve spiegazione. Canti biblici sono certo ineccepibili da questo punto di vista [ultimo paragrafo di SC 121], ma questo non può farci dimenticare i tanti bellissimi inni prodotti in millenni di fede cristiana: quindi è giusto cantare o scrivere anche oggi canti dal testo non biblico.

(25/X/2003) Inoltre, se poi entriamo nel problema della traduzione, estremizzando dovremmo metterci a cantare in ebraico! Il problema dell'adattamento non mi sembra quindi tanto la fedeltà al testo originale (che è pur sempre una traduzione), quanto la variazione rispetto ad una formula acquisita. Il metro rimane quindi la valutazione di quanto tale testo è acquisito e divenuto ormai "formulare". Quindi sarei molto cauto nel variare il testo, ad esempio, del Padre nostro o del Santo, ma sarei più condiscendente con chi, non riuscendo proprio a trovare valide alternative, volesse variare il versetto di un salmo poco noto. Di certo non escluderei dal repertorio un canto già affermato, o addirittura amato e quindi praticato e cantato dai fedeli, solo perché redatto in passato con un po' troppa libertà nei confronti del testo liturgico (purché ovviamente non ci siano aperte contraddizioni con la materia di fede!). Di certo però mi impegnerei, nella catechesi sistematicamente e saltuariamente durante la liturgia stessa come breve didascalia spontanea del sacerdote, per spiegare termini poco praticati come ad esempio "vincastro".

Musica

Non c'è una musica più o meno bella, c'è però una musica che si intona alle parole, le segue, ci dà il giusto respiro, sottolinea certi passaggi [SC 112]. Per il resto, la stessa musica può avvicinare o allontanare da Dio, perché dipenderà dalla predisposizione d'animo di ciascuno.

Strumentisti, non strumenti

La preparazione degli strumentisti dovrà essere eccellente. Questo non escluderà però ai giovani la possibilità di suonare, stonare e sbagliare, purché sia chiaro che deve esserci una crescita ed un impegno alle spalle. In certi casi può essere meglio una messa strimpellata che una messa esecutivamente ineccepibile ma asettica. Non è l'errore che mi preoccupa e neppure un'esecuzione orribile (non dimentichiamo la predilezione di Gesù per i piccoli!).

Amplificazione

Lo stesso vale per l'impianto di amplificazione, che diventa essenziale specie quando suonano diversi strumenti. La chitarra, l'arpa e il flauto sono indicati in un ambito ristretto. In una chiesa di vaste dimensioni creano sicuramente notevoli problemi di acustica, problemi che l'organo non ha [anche in questa ottica leggo SC 120]. Questo non vuol dire che non bisogna suonare la chitarra ma che bisogna preoccuparsi di come suona in quell'ambiente. Molto importante è anche il bilanciamento fra voci e strumenti. (Questo discorso può essere esteso: quante omelie ho ascoltato con disattenzione per il basso volume della voce del sacerdote o per le distorsioni degli altoparlanti? La colpa è mia e un po' anche di chi parla o di chi si dovrebbe preoccupare che l'impianto funzioni bene)

Un altro aspetto spesso sottovalutato è la "discrezione" dell’impianto, che non deve ingombrare gli spazi liturgici e non deve attirare l’attenzione.

Eccezioni!?

Infine, anche quando un canto è stato segnalato come poco adatto alla liturgia, con un testo teologicamente poco corretto, se i presenti sentono l'esigenza di cantarlo, perché piace, perché richiama certi ricordi, non vedo perché non possa essere cantato in determinate occasioni (messe partecipate da un certo ristretto gruppo di persone).

Perché ciò che conta è lo spirito, lo stile con cui si fanno le cose (anche i canti). Il cristiano non sceglie il bene e rigetta il male ma cerca il bene dappertutto anche nel male. Per questo il cristiano sa sempre leggere oltre righe, sa sempre guardare oltre, anche dietro avvenimenti tragici e grandi fatiche.

In questa opinione mi sento rafforzato guardando il Repertorio nazionale di canti per la liturgia (Commissione episcopale per la liturgia della CEI, 2000 con 322 canti selezionati e un'utile appendice bibliografica) che mi sembra molto povero, limitato e inadatto ad un uso concreto pastoralmente efficace (non me ne vogliano gli autori che lo hanno compilato in ben 5 anni di lavoro!).

Note sparse

Infine non ci si stancherà mai di rendere consapevoli i coristi di ciò che stanno facendo e di ringraziarli per il servizio che compiono...

Certamente non vorrei più sentire nessuno che dà giudizi severi e inappellabili sul canto liturgico.

Piccola bibliografia

Dalla bibliografia per animatori liturgici.

Dalla costituzione 'Sacrosantum Concilium'

30. Per promuoverre la partecipazione attiva, si curino le acclamazioni dei fedeli, le risposte, la salmodia, le antifone, i canti nonché le azioni e i gesti e l'atteggiamento del corpo. Si osservi anche, a tempo debito, il sacro silenzio.

112. La tradizione musicale della Chiesa costituisce un patrimonio di inestimabile valore, che eccelle tra le altre espressioni dell'arte, specialmente per il fatto che il canto sacro, unito alle parole, è parte integrante e necessaria della Liturgia solenne.
Il canto sacro è stato lodato sia dalla sacra Scrittura (Cfr. Ef 5,19; Col 3,16), sia dai Padri, sia dai Romani Pontefici che recentemente, a cominciare da S. Pio X, hanno sottolineato con insistenza il compito ministeriale della Musica sacra nel servizio divino.
Perciò la Musica sacra sarà tanto più santa quanto più strettamente sarà unita all'azione liturgica, sia esprimendo più dolcemente la preghiera e favorendo l'unanimità, sia arricchendo di maggior solennità i riti sacri. La Chiesa poi approva e ammette nel culto divino tutte le forme della vera arte, purché dotata delle qualità necessarie.
Perciò il sacro Concilio, conservando le norme e le prescrizioni della disciplina e della tradizione ecclesiastica e mirando al fine della Musica sacra, che è la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli, stabilisce quanto segue.

114. Si conservi e si incrementi con grande cura il patrimonio della Musica sacra. Si promuovano con impegno le «scholae cantorum» specialmente presso le chiese cattedrali. I Vescovi e gli altri pastori d'anime curino diligentemente che in ogni azione sacra celebrata in canto tutta l'assemblea dei fedeli possa dare la sua partecipazione attiva, a norma degli articoli 28 e 30.

116. La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della Liturgia romana: perciò, nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale.
Gli altri generi di Musica sacra, e specialmente la polifonia, non si escludono affatto dalla celebrazione dei divini Uffici, purché rispondano allo spirito dell'azione liturgica, a norma dell'art. 30.

118. Si promuova con impegno il canto popolare religioso, in modo che nei pii e sacri esercizi, come pure nelle stesse azioni liturgiche, secondo le norme stabilite dalle rubriche, possano risuonare le voci dei fedeli.

119. In alcune regioni, specialmente nelle Missioni, si trovano popoli con una propria tradizione musicale, la quale ha grande importanza nella loro vita religiosa e sociale. A questa musica si dia il dovuto riconoscimento e il posto conveniente tanto nell'educazione del senso religioso di quei popoli, quanto nell'adattare il culto alla loro indole, a norma degli articoli 39 e 40.
Perciò, nell'istruzione musicale dei missionari, si procuri diligentemente che, per quanto è possibile, essi siano in grado di promuovere la musica tradizionale di quei popoli, tanto nelle scuole quanto nelle azioni sacre.

120. Nella Chiesa latina, si abbia in grande onore l'organo a canne, strumento musicale tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere un notevole splendore alle cerimonie della chiesa, e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti.
Altri strumenti, poi, si possono ammettere nel culto divino, a giudizio e con il consenso della competente autorità ecclesiastica territoriale, a norma degli articoli 22 § 2, 37 e 40, purché siano adatti all'uso sacro o vi si possano adattare, convengano alla dignità del tempio e favoriscano veramente l'edificazione dei fedeli.

121. I musicisti animati da spirito cristiano, comprendano di essere chiamati a coltivare la Musica sacra e ad accrescere il suo patrimonio.
Compongano melodie che abbiano le caratteristiche della vera Musica sacra; che possano essere cantate non solo dalle maggiori «scholae cantorum», ma che convengano anche alle «scholae» minori, e che favoriscano la partecipazione attiva di tutta l'assemblea dei fedeli.
I testi destinati al canto sacro siano conformi alla dottrina cattolica, anzi siano presi di preferenza dalla Sacra Scrittura e dalle fonti liturgiche.


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san Giovanni in Persiceto, 28/IX/2000 (stesura quasi definitiva dopo molte riscritture parziali), 16/V/2001 (nuove lievi correzioni e creazione pagina HTML), 19/V/2001 ('Un'interpretazione rigorosa...'), Napoli, 25/X/2003 (rilettura e piccola aggiunta)