Artista: Gil Scott-Heron
Album: Pieces of a Man
Anno: 1971
Dove & Quando: Boston (USA), aprile 2005

     Cercavo questo disco da mesi. Quasi senza speranze, oramai, mi aggiravo curioso tra gli immensi scaffali di "Borders", fantastico negozio audio/video nel cuore di Boston. Sorpreso dalla ricchezza dell'offerta, mi dirigo deciso verso la sezione R&B (mamma mia quanto odio le targhette che delimitano i reparti nei negozi di dischi... le trovo inutili e ridondanti. perchè trovo inutili e ridondanti le classificazioni in generi musicali, probabilmente).
La ricerca è stata brevissima. Il disco è già tra le mie mani, e in men che non si dica è già nelle mie orecchie... La prima volta in assoluto che ho sentito parlare di Gil Scott-Heron come di un genio della musica è stata tra le pagine di Uncut (in assoluto il miglior magazine musicale del momento); l'occasione, una ristampa integrale del catalogo dell'artista.
Le recensioni erano uno sfavillare di elogi; roba da morire dalla curiosità. Ahimé, curiosità rimasta tale (provare per credere: cercate un disco di Gil Scott-Heron in Italia e poi fatemi sapere...) fino all'occasione del mio viaggio "primaverile" negli USA.
    
    Dopo aver influenzato per anni schiere di jazzisti "fusion" grazie al suo sound scarnamente funky (grandiosi gli accoppiamenti flauto/basso elettrico e gli assolo convulsi e tipicamente jazz delle chitarre), Pieces of a Man può essere considerato a ragione un disco proto-rap sia per l'inconfondibile stile canoro di Scott-Heron, che, soprattutto, per i contenuti fortemente politicizzati delle lyrics.
    Spicca fra le tracce "The Revolution will not be televised", un furioso attacco contro i media (o meglio, il medium all'epoca predominante: la TV), in cui l'artista si rivolge ai suoi "brothers" scandendo cadenzatamente il concetto. Il finale, quasi un mantra: "the revolution will not be televised, will not be televised will not be televised. The revolution will be... LIVE".
    Scorrendo le note di copertina, si scoprono piacevoli sorprese... Il personale, la "band" sembra quella di una disco di Miles Davis, eppure il disco suona orecchiabile, ridotto all'osso quanto ad arrangiamenti (anche se la sezione ritmica, Ron Carter al contrabbasso e basso elettrico, Bernard "Pretty" Purdie alla batteria sono quanto di più "black" si possa ascoltare), ma non per questo poco efficace. Completano l'organico le tastiere di Brian Jackson, le chitarre di Burt Jones ed i fiati (flauto e sax) di Hubert Laws.
    Scott-Heron, oltre ad apparire come arrabbiato poeta di strada che canta ("rappa") il disagio degli afroamericani, risulta estremamente credibile anche nei panni del vocalist talentuoso e dotato (nelle stupende "I think I'll call it morning" e "Pieces of a Man", che dà il titolo all'LP) ma anche jazzista da club fumoso del Village in "Lady Day and John Coltrane".

Un album che, sebbene poco conosciuto, merita di essere ascoltato.

TRACKLIST:
1. The revolution will not be televised
2. Save the children
3. Lady Day and John Coltrane
4. Home is where the hatred is
5. When you are who you are
6. I think I'll call it morning
7. Pieces of a man
8. A sign of the ages
9. Or down you fall
10. The needle's eye
11. The prisoner