Nel 1947 il sultano del Marocco Mohammed V compie un gesto spettacolare: nel corso di una manifestazione pubblica, presenta sua figlia, la principessa Leila Aicha, senza velo e vestita all'europea. Questo gesto simbolico lascia stupefatto chi vi assiste e desta grandi speranze fra le donne marocchine. Speranze che tuttavia verranno in seguito deluse, in quanto la sorte delle donne in Marocco non ha registrato miglioramenti sino al 1995, quando è stata introdotta una timida riforma della condizione personale per adattarla all'evoluzione della società. Oggi è necessario il consenso della futura sposa per rendere valido il matrimonio, mentre il ripudio è ammesso soltanto davanti a un giudice e la prima moglie ha il diritto di opporsi all'arrivo di altre spose e di divorziare. Questi cambiamenti recenti sono ben lungi dal corrispondere a una vera emancipazione e alle aspirazioni delle femministe marocchine. A Tunisi, nel 1956, il presidente Habib Burghiba non nasconde di fare del proprio Paese uno Stato moderno. Nel 1966 egli afferma che la donna è "un essere umano che ha diritto alla dignitaà e al rispetto e che una società non può essere sana ed equilibrata se la metà del corpo sociale, l'elemento femminile, continua a essere asservita, sfruttata e umiliata". Burghiba condanna energicamente la pratica della prova della verginità, proibisce il velo che definisce "orrendo cencio" , incoraggia le donne a uscire da sole e a studiare. Il nuovo statuto proibisce la poligamia, fissa l'età minima del matrimonio a 17 anni per le ragazze e 20 per gli uomini, legalizza il divorzio. Ma le pressioni dei tradizionalisti non cessano. Al momento della ratifica, nel 1985, della Convenzione di Copenaghen sulla non discriminazione fra uomini e donne, l'Assemblea nazionale ha introdotto una clausola restrittiva, stabilendo che la ratifica stessa non poteva comportare nessuna decisione contraria all'art. 1 della Costituzione, in cui si precisa che "la religione di Stato è l'Islam". Per quanto riguarda il lavoro femminile, oltre al Codice del lavoro che garantisce l'uguaglianza fra uomini e donne, la Tunisia ha aderito alle convenzioni internazionali relative al lavoro notturno, alla parità di salario, alla protezione dagli incidenti sul lavoro, all'uguaglianza nella funzione pubblica, al congedo di maternità e agli assegni familiari. Grazie all'istruzione, le donne tunisine di ogni categoria sociale sono entrate nel mondo del lavoro, ma si tratta soprattutto di donne non sposate, vedove o divorziate. Ma è soprattutto la mentalità diffusa a non aver compiuto veri progressi. Certo, le donne lavorano, ma il matrimonio rimane lo scopo della loro esistenza; il marito mantiene un ruolo predominante nella famiglia; l'emancipazione sessuale viene malvista.: paradossalmente, le donne sono attive ed evolute nella vita pubblica, ma arretrate sul piano privato. Nei rapporti di coppia, gli uomini mantengono i tradizionali pregiudizi. La Tunisia resta un esempio per il miglioramento della condizione delle donne. Nonostante ciò, su molti punti, la situazione delle donne, in modo particolare nel campo del lavoro, è tutt'altro che soddisfacente. Ma la strada percorsa nell'arco di una generazione è in ogni caso impressionante; come avvocati, medici, insegnanti, architetti, giornaliste, funzionari., le donne sono ormai una presenza, e ciò anche grazie alla scelta politica decisiva della modernità |