LE OPERAIE TABACCHINE DI TIGGIANO

CONTESTO NAZIONALE

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Dopo la fine della seconda guerra imperialista del 1939-1945, la popolazione italiana stava vivendo una situazione di enorme speranza. Il movimento dei lavoratori era stato protagonista della fine del conflitto bellico fratricida mediante il blocco della produzione avvenuto con sabotaggi delle fabbriche e scioperi generali. Il concetto politico era quello di porre fine alla guerra che vedeva lavoratori e proletari tutti travestiti con diverse divise nazionali ad ammazzarsi tra di loro per gli interessi dei soli potenti, ricchi borghesi, capitalisti. Quindi: 1)- non si doveva più rivoltare il fucile contro un altro lavoratore, proletario, utilizzato e sfruttato dalle potenze nazionali non solo in fabbrica ma anche sul fronte di guerra con altra divisa. 2)- Bisognava, invece, rivoltare il fucile contro i potenti, governanti, capitalisti, imperialisti, ed istaurare un nuovo mondo.
Il movimento dei lavoratori italiano è riuscito a raggiungere solo il primo obiettivo e, cioè, bloccare la guerra e lo scontro tra lavoratori. Non è riuscito, invece, ad attuare la seconda fase del progetto politico, cioè, il cambiamento della società e del sistema economico capitalistico, basato sulla proprietà privata, in mano a pochi potenti, quindi, sulle disuguaglianze, sullo sfruttamento dei capitalisti sui lavoratori, sulla strutturale ingiustizia. Non è riuscito perché la direzione del movimento dei lavoratori era in mano al P.C.I., partito che accettava il sistema capitalistico e non poteva giammai proporsi per la fine delle ingiustizie. Così, il movimento dei lavoratori è stato canalizzato dal P.C.I. per scopi di interesse della classe borghese mediante la guerra nazionalistica della resistenza che aveva l’obiettivo di togliere gli interessi economici in mano al capitalismo tedesco e consegnarlo a quello anglo-statunitense. Per tacitare il movimento dei lavoratori e distrarlo dal progetto di realizzare una società comunista, il P.c.i, prima ha dirottato la lotta contro l’invasore nazista, poi ha imposto lo scontro tra fascismo e democrazia. Obiettivi borghesi che non hanno nulla a che fare con la conquista di una società migliore. Pertanto, quella che nel 1943-45 era una grande speranza di radicale cambiamento, si manifestò presto come una delusione, una sconfitta del movimento dei lavoratori.
Per tale sconfitta, il movimento proletario ha vissuto una fase regressiva dal 1949 al 1958 quando ogni attivista politico e sindacale veniva licenziato dalle fabbriche senza nessuna difesa. In tale periodo si registra uno spaventoso sfruttamento dei lavoratori, trasferimento territoriale obbligato di enormi masse di proletari chiamato emigrazione, devastazione del territorio soggetto ad abominevoli speculazioni.
Da questa politica di schiacciante sfruttamento scaturiscono gli elementi della ripresa del movimento operaio che riparte nel 1959 e si consolida nel periodo 1960-62.
Il ciclo di lotte della “ripresa operaia” si fa datare nel 1959 e dura fino al 1962.
Un primo grosso episodio avviene nella fase finale del rinnovo del contratto dei lavoratori metallurgici nel 1959, in particolare nel milanese, e continua nei primi anni del 1960 con lotte alla Siemens, all’Alfa Romeo ed alla Gilera, la quale viene occupata.
Nei mesi successivi partono le lotte nel polo torinese, la più importante è la lotta della fabbrica di cotone della Val di Susa, che dura 145 giorni, della RIV, della Lancia, poi, nel 1961, della Olivetti, della Pirelli, della Michelin.
Sono tutte lotte che partono dai singoli reparti e si espandono a tutta la fabbrica, poi al settore, al gruppo, ed infine all’intera categoria.
Le tensioni da cui partivano le lotte erano sui salari, in quanto i padroni avevano imposto un blocco salariale dal 1949 al 1958, nonché sugli aspetti delle pessime condizioni di lavoro in fabbrica frutto dell’arbitrio dei padroni legittimati dal diritto concesso per la riorganizzazione produttiva concesso dalle forze politiche dell’intero arco costituzionale a partire dal 1948 (anno in cui il P.C.I. era al governo).
Dalla chiusura del contratto del 1959 presero il via discussioni in molte fabbriche che strada facendo si concretizzavano in vertenze aziendali su: tempi di lavoro; organici di reparto; velocità delle linee; rapporto qualifiche-mansioni; ambiente, quindi, nocività; orario di lavoro. Per quanto riguarda il salario, oltre all’aumento della paga, si discuteva del premio di produzione, dei cottimi, dei livelli retributivi.
Queste vertenze aziendali del 1959-61 presentavano la caratteristica più importante che in quasi tutti i casi, dopo aspre e lunghe lotte, si ottennero accordi favorevoli almeno rispetto al passato, sintomo che i padroni avevano un’economia in espansione e preferivano evitare il blocco della fabbrica a causa delle lotte.
Il movimento di lotta, però, non riusciva a superare i cancelli della FIAT. L’ondata di lotte del 1959-61 si era arrestata alle soglie della Fiat dove vi erano tante tensioni ma nessuna capacità organizzativa, nessuna capacità di esprimere in protesta il malcontento e le sofferenze. Solo nella primavera del 1960 si registra una protesta contro la volontà della Fiat di voler aumentare ed imporre l’orario di lavoro settimanale ordinario a 52 ore.
Oltre alla “ripresa della lotta operaia” nel periodo in oggetto, 1959-62, avviene un altro fatto di enorme importanza. Nel mentre si sviluppano e si espandono le lotte dei lavoratori che si articolano coinvolgendo ed unificando interi settori e categorie, avvengono i “fatti del luglio 1960”.
Nel febbraio del 1960 cade il governo Segni ed a marzo viene incaricato Tambroni che passa alla Camera dei Deputati con i voti del M.S.I. Scoppiano violente proteste. Ad aprile Tambroni passa anche al Senato con i voti della D.C., del P.L.I. e del M.S.I. A maggio Tambroni vara un governo monocolore democristiano con un programma dichiaratamente di chiusura politica ed economica. Tambroni diminuisce il prezzo della benzina per costruirsi una base di consenso. Poi attua una sanatoria sulle inchieste in atto per speculazioni di Borsa e predispone provvedimenti che facilitano investimenti industriali che di fatto consistono in ulteriori speculazioni e sfruttamento. Nell’intero paese cresce la tensione, partono le prime lotte di protesta e puntualmente vengono arrestati sindacalisti ed attivisti politici.
A Genova scioperano i portuali ed alla fine di giugno 1960 la città si ferma. Un corteo di 100.000 persone manifesta per le strade e viene caricato dalla polizia. In quei giorni il M.S.I. doveva tenere il suo convegno proprio nella città ligure. Il Prefetto di Genova, dopo gli scontri dei giorni precedenti, vieta il congresso del partito fascista per motivi di ordine pubblico ma il governo Tambroni lo autorizza ugualmente facendo una prova di forza. Polizia e Carabinieri pongono Genova in stato di assedio. Sono indette numerose manifestazioni di protesta che vengono represse dalla polizia. Scoppiano violenti scontri in vari punti della città: camionette, blindati, cavalli di Frisia, molotov, incendi, armi da fuoco, spari.
Gli scontri di Genova si propagano a tutte le grandi città, dal Nord al Sud (Reggio Emilia, Roma, Palermo, Milano, Torino, Porto Marghera). A tali iniziative vi partecipano quei giovani operai che iniziavano negli stessi giorni a misurarsi con la lotta di fabbrica.
Il 5 luglio la polizia spara a Licata uccidendo un manifestante e ferendone molti altri. Il 6 luglio a Roma la polizia carica i manifestanti con i cavalli: molti feriti.
Il 7 luglio le forze dell’ordine sparano sui manifestanti provocando a Reggio Emilia 5 morti ed a Palermo 3 morti.
L’8 luglio è indetto lo sciopero generale. Le città sono in stato di assedio. Il 19 luglio Tambroni si dimette ed il 26 luglio viene dato l’incarico a Fanfani per un governo “ponte” per traghettare ad un governo di centro-sinistra il quale sarebbe stato in grado di controllare i lavoratori, frenare la protesta e spegnere le lotte.
In effetti così avvenne: dopo decine di giorni di protesta con 11 morti, un centinaio di feriti, migliaia di arresti, città in stato di assedio, il governo, con tutto l’apparato dello Stato e tutti i partiti, ripristinavano l’ordine e mettevano a tacere ogni protesta.

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