LE COSE
(Cloni mnemonici)
by
P. Welby
I
Angela…il suo primo bacio
–After eight- di menta e cioccolato,
verde di speranza e scritto in oro…
la sua lingua, piano inclinato e desiderio,
slippery slope insidioso e cedevole,
intimamente pericoloso, incerto
nell’essenza di frattale equivoco.
Il seno di mia madre spiato, di nascosto,
dallo specchio dell’armadio…
le sue cosce di magnolia e carbone…
il fruscio elettrico delle calze di seta…
incomprensibile ideogramma
una erezione colpevole,
la morte dai passi pesanti
la gelosia che strappa gli occhi..
in questa offerta sfrontata ritrovo
ogni desiderio negato, ogni…
fantasia cresciuta nel tepore infantile,
tra le lenzuola della domenica mattina…
l’urlo silenzioso lasciato scorrere
sulla porcellana del lavandino
II
Correvamo agli angoli delle occasioni…
non era felicità, non era amore…
tu lo chiamavi il Circo…e ridevi,
ridevi saltando a piedi pari i gradini del Piper
…op!
op!…op!
staffilavi l’aria e mi scagliavi i denti in faccia
in un sorriso selvatico da animale feroce ,
i nostri Cent’anni di solitudine
li avevamo consumati in due giri di pista..
Era epatite fulminante quell’arsura
che volevi smorzare con la granita di limone…
era epatite fulminante il vomito nelle lenzuola…
e l’urlo inutile dell’ambulanza
che spandeva sui sampietrini bagnati l’onda blu
che ti trasportava sulla spiaggia della memoria…
alla morte non volevi cedere ma eri sola a lottare,
sola e legata per non farti strappare la flebo…
nessuno volle la busta di plastica con i tuoi vestiti
firmai il registro e li –dimenticai- vigliaccamente
sul muretto alla fermata dell’autobus.
avevo tenuto la catenina della prima comunione
e quella immaginetta con la Mater dolorosa…
tu non avevi mai voluto venderla…
io l’ho scambiata con uno speed-ball
da triplo salto mortale….op! op!…op!
III
È andata!
Nel portacenere c’era l’anima
della sua ultima Muratti
contorta e spiegazzata
come l’asciugamano del bidet
dopo i pomeriggi di voglie
consumate tra il divanoletto
ed una Coca-Cola ghiacciata,
il filtro segnato dal rosaconfetto
dello Chanel rouge a lévret…
ho raccolto quella reliquia di labbra
e sfiorandola con la mia bocca
ho sognato la tenerezza del primo bacio,
anemone sbocciato alla fermata del T3…
un attimo prima dell’addio,
un’eternità dopo la serata al cinema d’essai.
IV
Io
potrei innamorarmi di te
vomitare
un rosso cardinalizio
con
cui dipingermi il cuore e recitarti Rostand:
”
Io parto per strappare una
stella al cielo e poi,
per
paura del ridicolo, mi chino a raccogliere un fiore”
io
potrei, nascosto dietro me stesso,
essere
attore e suggeritore,
potrei
morire e risorgere cantando ca ira
durante
il party di fine tour
e
c-o-n-t-e-m-p-o-r-a-n-e-a-m-e-n-t-e
lavarti
le mutande e il reggiseno
con
l’ammorbidente o depilarti l’inguine con gli incisivi…
non
comodo, lo so!
Ma
per amore…per te…per i tuoi occhi…e per due fiale di Valium.
Oh
mia piccola Giulietta
balconi
fioriti di allodole e usignoli…aspettami!
Un
colloquio tra noi e…Monsignor La Notte,
ci
scambieremo le anime nella stanzetta di Hansel e Gretel
dove
aspetti l’alba copiando le consegne
e
massaggiandoti i piedi gonfi di odiosi campanelli.
Come?
ah, la coscienza…l’epitelioma nascosto sotto il baffo!
Il
naso storto che non hai mai visto!
Chi?
Pirandello? No che non lo conosco!
Compravo
libri usati sulle bancarelle di Piazza Vittorio…
qualcuno
anche sul lungo Senna…ma non li ho mai letti,
strappavo
le pagine lentamente
ed
ascoltavo lo scriiiiiik…o lo screeeecr…o lo straprrrr,
dei
libri conservo i suoni in una tabacchiera di tartaruga,
la sera la agito come una maraca e…mi addormento.
V
L’alcolista
è stato dimesso.
Era
arrivato in compagnia
di
una legione di esserini
[mostruosi
e
urli di mandragora,
intrecciandoli
insieme
sul
telaio della cirrosi
in
un abile alternarsi
di
trama e ordito
aveva
preso possesso della stanza
tessendo
da un angolo all’altro
una
tela vischiosa e tenace
e
lui rincantucciato
tra
la finestra e il termosifone
aspettava
che qualche pensiero incauto
si
levasse in volo e cadesse nella trappola
si
è nutrito così, per giorni e giorni
succhiando
un po’ di linfa ai suoi ricordi
e
aspettando l’incontro con la bottiglia dimentica
nel
vagone in disarmo nella stazione Tiburtina
…se
ne è andato senza salutare,
se
ne è andato così come era venuto…
la
sua ombra è rimasta nel letto ad attenderlo
e
fissando il soffitto recitava Willy
impostando
la voce come Carmelo :
“La
vita non è che un'ombra che cammina,
un
povero teatrante che cammina impettito
e
si lamenta sulla scena per un'ora
e
di cui poi, non si sa più nulla…”.
VI
È
vero, lo ammetto!
Tu
dicevi “Leccami” ma,
subito
dopo aver gorgogliato
come un sifone intasato
e deterso quelle zecchette
di sudore trasparente
che ti bagnavano il labbro,
sognavi l'aquila della luce,
l'epifania del sole, del fuoco,
dell'altezza e della profondità dell'aria…
sognavi il bar di Campo ed il Duetto Rosso
che schizzava sulla Cristoforo Colombo.
Io
sognavo, da autentico Mystes,
di rinascere dalle proprie ceneri come una Fenice,
più splendente di prima
e dopo il lungo lavoro notturno,
catapultarmi in cielo e risorgere
nell’imminente segno dello Scorpione.
VII
Un uomo, solamente un uomo…
epifania di un Dio sconosciuto..
o dimenticato o ucciso dall’indifferenza.
Era un gioco di prestigio,
la stupida prestidigitazione
di un Dostoevskij maldestro,
un Dio rincoglionito dall’età
e dall’incenso dei turiboli,
un
Dio blue-collar costretto
alla
catena-di-montaggio della CREAZIONE;
compromesso
dalla logica della redenzione,
un
Dio che si è fatto cadere l’asso dalla manica
e
continua a rinviare all'infinito
il
momento in cui il mondo avrà un senso,
la
sofferenza avrà un senso,
il
suo gioco delle tre carte sarà senza trucchi…
UNO
e TRINO…non ho più niente da puntare,
a
parte questa presuntuosa Weltanschauung
che
mi ha violentemente ridotto
a
miserabile ombelico dell’universomondo,
al
di sopra di tutto ci sono sempre io-io-io-io…
piagnucoloso,
prepotente, insistente…
e
la mia coscienza che come una escatologica servetta
controlla
puntigliosamente la partita doppia:
DARE-AVERE…i
conti non tornano
e
il Padrone aspetta il resto,
ma
i miei Talenti li hanno rubati il Gatto e la Volpe
e mi sento un asino in questo paese dei balocchi…
VIII
Gli inferni delittuosi di apotheke
duty-free dei drogati in astinenza
sono paradisi di lap dance,
vulve piumose sulle
ulcere ontologiche dei seni rubati,
delle carezze sottratte
da un padre padrone
arrogante proprietario di ogni voluttà
…gli inferni dei drogati franano
nell’immobilità di freudiane
posizioni fetali sospese
nel liquido algido di amniotici ricordi,
altalenano indifferenti ai bioritmi
sfuggendo alle bocche affamate
di infinite cellule percorse
dalla inestinguibile fame prenatale
…fame, fame, fame…fame…
inalterabile reminiscenza
dell’ultimo viaggio verso l’onnipotenza.
Il tossico subisce i suoi inferni
ma il suo cervello è in stand by…
vigile attesa di alternative soluzioni,
l’alcolista no!…
imballato nel cellofan del delirium tremens
abbandona i percorsi della realtà
per riaffacciarsi in un dipinto
di Hieronimus Bosch,
non subisce l’incubo..lo vive
inseguendo le allucinazioni e
ricomponendole in una infattibile quotidianità.
IX
…le ho guardato le gambe ..
guizzi metallici di erotismo
e il defensor virginis aspro,
sudaticcio, debole e forte
nel suo richiamo di vigile barriera
e il petto che assecondava il gioco
la spinta alterna e sfacciata
invadente riproposizione
dell’enigma della Sfinge:
metà mia madre e metà
il culo di Patrizia lacerato
nell’urlo del nespolo laccato
tra il respiro delle dalie di maggio
e la sua schiena ossuta flessa supinamente
sul bordo della fontana
zampillante colonne di luce
tra le mani di un putto incancrenito
e lei con le unghie a solcare
dolorosamente il muschio divorato
dal gorgogliare convulso
e i soffocati singhiozzi
a suggellare un possesso irripetibile
dimenticato il giorno dopo
nel campetto di calcio
tra la polvere della domenica mattina.
L’imbarazzo ostentato,
la noncuranza del gesto superfluo,
ridondante e barocco,
Mexico city blues sfogliato meccanicamente
e il cuore…dio! Il cuore…
fuorigiri di adrenaliche pulsazioni,
jingle di una dimenticata fuga
da san Lorenzo inseguito
dalle sgommate di una volante,
Lally imploso nell’acquosità anfetaminica
di bestia impaurita…dall’inutile immersione
nelle pozze d’ombra
scavate tra i muri di manifesti strappati
e minacciosi runici di altri incomprensibili barbari..
il cuore, confine estremo,
unità di misura irrinunciabile seppellita
sotto il sasso di Raskòlnikov
insieme ad un rotolo di rubli
e qualche gioiello sottratto
al disinteresse e lasciato a futura memoria
nel cimitero della asocialità…il cuore!
X
Ho
sopportato
la
prossimità snervante
di
anemiche esistenze,
il
baluginio pomeridiano
di
panici dormiveglia,
rimescolato
le dieci ave marie
con
i cinque pater noster,
penitenza
abituale
per
una epidermica fornicazione,
con
una briciola di turkish cream
ho
creato la pietra filosofale
…no,
non funziona come dovrebbe!
Invece
di trasmutare la merda in oro
posso
cambiare l’oro in merda.
Ognuno
ha i propri limiti,
i
miei li lascio scorrere pigramente
lungo
le gambe magre
e
quando arrivano a toccare gli alluci,
con
un colpetto, li faccio risalire…
una
specie di jo – jo,
un
moto perpetuo che perpetuo non è
ma,
in attesa delle visite,
costringe
il Tempo in un innocuo gioco
…con
altri giochi consumavo i pomeriggi oziosi,
incantati
dal sole liquefatto
che
tagliava la stanza
con
sbarre di pulviscolo divino…
un
soffio ed il vorticare
di
impercettibili universi
spegneva
i rumori della strada
e
il sonno, il sonno vero…
il
sonno di innocenti filastrocche
di
lenzuola fiorite mi sigillava gli occhi.
Ora
il sonno pomeridiano
e
quello della notte
giocano
a dadi la tunica del REM
barano…oh,
lo so che barano!
Ma
li lascio fare…ormai non potrò più riavere
il
mio sonno di una volta
e
di questi alchimisti mancati non so cosa farne.