da www.lazio.net

La prova fotografica su Russell Crowe, tifoso laziale
L'ennesima beffa per chi si appropria della storia altrui


Un gladiatore biancoceleste
di Daniela Amenta

Ognuno ha l'immaginario che si merita.
C'è chi si tatua sulla pelle il primo attore che arriva, senza neppure preoccuparsi che vada in giro con un'altra maglia.

C'è chi si sceglie una madrina che solo pochi anni prima faceva il tifo per un'altra squadra.

Questione di gusto, di sensilibità, di cultura. Di storia.

Russell Crowe, il Gladiatore, è della Lazio. Lo ha detto a chiare note ai microfoni di Rai e Mediaset ora, in occasione dell'uscita di "A beautiful mind". Ma lo disse anche allora, a Roma, per presentare la storia dell'Ispanico diretto da Ridley Scott. Peccato che la gente soffra di pessima memoria. Peccato. Il generale Massimo Decio, braccio destro di Marc'Aurelio, avrebbe a dichiarare sotto il sole impietoso dell'anfiteatro Flavio: "Quello che facciamo in vita riecheggia nell'eternità". Riecheggia e si amplifica anche sul bicipite del capitano della roma che si porta a spasso un gladiatore con le sembianze di Crowe, ovvero un laziale…

Beffa del destino, vero? In fondo bastava decifrare con più attenzione un film in cui non appaiono neppure i colori - l'oro e il porpora - delle legioni romane, né lupe e vari armamentari di una romanitas circense.

Bastava decifrare, insomma, o semplicemente ricordare. Purtoppo la memoria è un vizio per pochi. Ma a quella conferenza, come conferma il critico cinematografico Alberto Crespi (Unità, Rai, autore di decine di saggi e libri), le cose andarano così. All'ennesima domanda su chi fossero gli attuali gladiatori, Crowe rispose i giocatori di rugby. I cronisti, però, incalzavano. "Siamo in Italia, mister". E Russell "Maximus" rispose: Ok, i calciatori. E allora dico Lazio".

Siamo nel 2000. L'eco della squadra di Cragnotti, l'armata invincibile che colleziona trofei dopo trofei, ha raggiunto ben oltre i confini dell'impero. E c'è un altro particolare non trascurabile. Crowe, nasce in Nuova Zelanda, ma cresce in Australia. Sono pochi gli idoli del football lì, nella terra degli spazi illimitati. Uno di loro si chiama Paul Okon e ha indossato la maglia biancoceleste. Equazione tanto logica da apparire banale. Ma giacché viviamo nel paese degli smemorati, nella culla della retorica sparsa a piene mani, nel castello di chi rilegge la storia sempre a proprio modo, "Il Gladiatore" è diventato simbolo altrui. Di chi cioè, dovrebbe assumersi tutto lo scorno di una boutade planetaria.

La foto che vedete è stata scattata a Cinecittà durante le riprese di "Rapimento e riscatto", il film di Taylor Hackford (sempre del 2000) in cui Crowe si traveste da guerrigliero colombiano per salvare la bella Meg Ryan. Un'immagine che non ammette repliche. Possediamo l'originale. E' a disposizione anche degli scettici. Perché il colpo da digerire è duro, vero? Più o meno come tentare di comprendere, per i neofiti del peplum, che "il cuore pulsante di Roma non è il marmo del Senato ma la sabbia del Colosseo".

E sulla sabbia ci si riincontra. Sabbia mobile, in questo caso. Più o meno come nella tardiva "riconversione" della Ferilli che ora fa asserzioni di giallorossismo a oltranza ma che era "burina e laziale". E anche "Il Gladiatore", metafora der core de sta città, è della Lazio. Ma come? Eravamo pochissimi, eravamo stranieri, e più ci guardiamo attorno, più scopriamo adepti? E che adepti. Quelli che altri si sono segnati irrimediabilmente sulla pelle, come il segno di Caino, per essere riconosciuti, additati, derisi.

Ognuno ha l'immaginario che si merita. Come diceva Massimo Decio? "In questa o nell'altra vita avremo la nostra vendetta". Un pezzo di questa vendetta ci è stata servita, oggi, su un piatto d'argento. Prego, tatuati gladiatori, ora scatenate l'inferno. Sul Raccordo Anulare.

Nessuna storia, nessuna credibilità.

(un ringraziamento particolare va ad Alessandro Misceo, autore della foto, e a Augusto Vicari e Pierluigi Calabretta per aver recuperato la foto di Russell Crowe)