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RIZOARTROSI

 

 

 

            La rizoartrosi è la localizzazione alla articolazione trapezio-metacarpale (TM) della artrosi primaria delle mani. Essa è l’espressione di uno squilibrio biomeccanico di tale articolazione che presenta una conformazione a sella estremamente complessa e predisposta alla instabilità.

 Dal momento che l’ATM è l’articolazione di maggiore importanza per i movimenti del pollice, si può comprendere come la localizzazione della malattia artrosica in questa sede possa interferire con lo svolgimento di molte delle attività quotidiane.

             L’articolazione, infatti, consente i movimenti di opposizione del pollice alle altre dita e svolge quindi un ruolo fondamentale in qualsiasi atteggiamento di presa delle dita, sia che si tratti di una presa delicata, come quando si manovra un oggetto piccolo o sottile, sia che si tratti di una presa di forza.  

L’artrosi è una malattia dovuta all’usura della cartilagine che riveste le superfici di contatto tra due ossa vicine. In caso di artrosi quindi le superfici articolari divengono irregolari; ogni movimento avviene con notevole attrito ed è causa di dolore.

Dopo un periodo di relativa immobilità, come ad esempio al risveglio, è presente una sensazione di “impaccio” del movimento, che si risolve dopo qualche tempo. Nel corso della giornata, con il proseguire del movimento, compare il vero e proprio dolore, che talvolta è così intenso da impedire completamente l’uso del pollice.

Nelle fasi iniziali della malattia, quando le alterazioni radiografiche e la sintomatologia sono poco pronunciate e il paziente non vede ridotta in maniera sostanziale la capacità della mano, il trattamento può essere limitato a cicli di terapia medica (antinfiammatori), fisica (ultrasuoni, ionoforesi, laser terapia) e ortesica (tutori rigidi di immobilizzazione del pollice, da indossare durante la notte).In alcuni pazienti la röentgenterapia può ottenere un valido e persistente sollievo dai disturbi. Quando i rimedi sopra elencati non sortiscono effetto apprezzabile e duraturo, diventa indicato il trattamento chirurgico. Le tecniche chirurgiche utilizzabili sono di vari tipi.

La soluzione consistente nell’artrodesi dell’articolazione trapezio-metacarpale (fusione indotta chirurgicamente delle due ossa, con conseguente abolizione del movimento e del dolore) è piuttosto invalidante e viene riservata ai casi nei quali le alterazioni delle ossa sono così pronunciate ed estese da rendere impossibile il ricorso a tecniche più conservative. L’artrodesi è l’intervento di scelta nei soggetti che hanno bisogno di svolgere lavori manuali pesanti. Dopo l’intervento è necessaria un’immobilizzazione in apparecchio gessato di circa cinque settimane.

Nei pazienti nei quali le alterazioni radiografiche non sono particolarmente gravi è possibile ricorrere ad interventi di artroplastica. Le artroplastiche prevedono l’utilizzo di segmenti di tendine prelevati da tendini vicini all’articolazione (senza peraltro minacciare la loro funzione), per rendere più stabile l’articolazione trapezio-metacarpale. In questo caso il periodo di immobilizzazione postoperatoria è più breve ed è di importanza fondamentale un prolungato periodo di terapia riabilitativa effettuata da personale particolarmente esperto nella riabilitazione della mano.

La sostituzione dei capi articolari con una protesi di metallo-polietilene rappresenta una possibilità assai interessante, che viene proposta ai pazienti che necessitano di mantenere il più possibile il movimento articolare e che non eseguono lavori manuali di forza. Ovviamente la mano in cui è stata impiantata una protesi deve essere utilizzata con un certo riguardo. L’intervento consente il ripristino pressoché completo del movimento. La protesi è costituita di due componenti, che vengono impiantati all’interno del trapezio e del primo metacarpale, in modo per alcuni versi analogo a quanto avviene negli interventi di sostituzione protesica dell’anca. Dopo l’intervento viene applicata una doccia gessata, che deve essere mantenuta per circa tre settimane. Anche in questo caso è fondamentale far seguire all’immobilizzazione un’accurata fisiochinesiterapia.

Tutti gli interventi vengono effettuati in anestesia periferica, attraverso l’iniezione di anestetico nel cavo ascellare; la procedura non è dolorosa, è ottimamente tollerata e non presenta i rischi dell’anestesia generale. La degenza ha durata assai limitata.

 

 

 

 

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Aggiornato il: 10 febbraio 2008