La Parabola del figlio o del Padre?

 

“Se tutti i capitoli evangelici andassero smarriti

e si salvasse dalla catastrofe solo questa parabola,

 il nucleo centrale del vangelo sarebbe salvo”

(Don Primo Mazzolari)

 

Il Vangelo di Luca è comunemente definito “Vangelo della misericordia”.

Il termine misericordia che Luca utilizza e che qualifica i sentimenti di Gesù indica nel suo significato profondo le “viscere materne”; evoca quindi una emozione profonda, viscerale simile a quello che fa vibrare l’utero di una madre.

A partire da quel primo “Adamo dove sei?” la Bibbia racconta le corse del Padre dietro i suoi figli, la ricerca ansiosa che lo fa fremere in profondità.

Con il cap. 15 ci ritrova infatti al centro di esso: comprende le tre parabole della misericordia, simili nella struttura, ma disposte in un crescendo: la dramma è stata perduta, la pecorella si è smarrita, il figlio prodigo ha chiesto la sua parte di eredità e poi se n’è andato. Ad una più grande lontananza corrisponde un più grande amore: per la dramma e per la pecorella ritrovate si fa festa, per il figlio ritornato si uccide il vitello grasso, gli si dona l’anello e l’abito regale.

 

Qual è il contesto nel quale sono inserite queste parabole? Gesù è circondato da “peccatori” e “mangia” con loro, gesto che nella mentalità ebraica esprimeva una profonda comunione. A loro volta i peccatori “si avvicinano” a Lui, lo sentono amico. Gli “scribi ed i farisei” “mormorano”, sono scandalizzati non condividono e non approvano l’agire di Gesù contrario alla Legge. E’ un contesto di controversie nel quale si confrontano e si scontrano due modi di vivere la relazione con Dio e di conseguenza con gli altri.

v      Un Dio giusto e giudice che chiede all’uomo l’osservanza rigida e irreprensibile di precetti e leggi.

v      Un Dio dal Volto della misericordia che riconosce in ogni uomo l’immagine di figlio.

 

La parabola di Luca è di solito conosciuta come la Parabola del figlio prodigo, ma se la leggiamo attentamente ci accorgeremo che la parola “prodigo”, dissipatore, riguarda solo l’aspetto più negativo e marginale del racconto. L’unico titolo che racchiude tutto il racconto è quello di Parabola del Padre misericordioso. Infatti non si parla di un solo figlio ma di due figli ed in questione è la relazione del Padre con tutti e due. Non è solo il figlio che scappa di casa che deve convertirsi e riconciliarsi, ma anche quello che rimane in casa. La parola “padre” ricorre 12 volte. Il vero protagonista allora è proprio lui: il Padre!

 

Nel fratello maggiore si rivedono tutti coloro che hanno osservato i comandamenti, ma non sono gioiosi, sono sempre nervosi, incapaci di grandi slanci: non hanno sperimentato fino in fondo la misericordia di Dio. Sono quei cristiani ligi alla legge, ma mai contenti perché profondamente invidiosi dei piaceri dei peccatori. Sono coloro che sono stati sempre in casa, ma non hanno mai gustato quanto è bello “che i fratelli stiano insieme”.

Non siamo forse tutti la controfigura del fratello maggiore?

Tanti di noi, persone per bene, osservanti, pronti alla Eucaristia domenicale e figli che non danno pensieri, non sentiamo il bisogno del perdono del Padre.

 

E’ la domenica della riconciliazione. Dovremmo chiederci: chi è mio padre? Mi posso realizzare lontano da lui?  Stare lontano da Dio vuol dire essere morto (questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita).

 

Il Padre ci attende! Il Vangelo è incisivo. Pochi verbi. Incalzanti: lo vide, si commosse, gli corse incontro, si gettò al collo e lo baciò. Quando noi ascoltiamo questa parabola sembriamo persone che hanno già tante volte sentito queste parole e non che ci credano poi tanto. Eppure questa è la nostra storia: è la storia di Dio che ci attende, che attende il nostro pentimento e la nostra conversione.

Ci lascia la nostalgia nel cuore perché possiamo tornare dentro, ritrovare noi stessi e ritornare da Lui. Aspetta che facciamo il viaggio di ritorno. È un viaggio che porta al centro del nostro cuore, alla decisione di tornare indietro, di chiedere perdono. È un viaggio che tante volte non riusciamo a fare perché siamo orgogliosi (il nostro orgoglio ferito non si abbassa e non retrocede). Siamo disposti a scaricare le nostre accuse sugli altri, a giustificarci, ma non ammettere: ho peccato, non sono più degno…

 

-          Dio è un Padre buono che attende il nostro ritorno. Perché facciamo così fatica a chiedere il suo perdono?

 

-          Noi viviamo di segni (linguaggio dei segni, segni convenzionali, segnali stradali). Perché non riusciamo a vedere nella confessione il segno della sua misericordia?

 

-          Le decisioni importanti della vita si prendono nel profondo del cuore? Perché non facciamo silenzio dentro di noi per sentire la voce di Dio?