La storia della Valtravaglia è legata alle vicende del suo principale paese, Porto Valtravaglia. Costituito comune nel 1928 mediante l'aggregazione dei cessati comuni di Muceno e di Musadino, conta oggi 2500 abitanti residenti, cui si aggiungono ca. 1100 famiglie di turisti e villeggianti che qui hanno la loro seconda casa. La storia religiosa di Domo fa riferimento alla nascita delle parrocchie e delle pievi.
Pieve della diocesi di Milano. Le origini della pieve di
Val Travaglia, con centro a Domo, sorta in ambito curtense o di canonica
regolare, sono da fare risalire probabilmente all'epoca in cui la rocca
di Travaglia venne in mano dell'arcivescovo di Milano. Nel 1137 avvenne
il dibattuto trasferimento della sede plebana da Domo a Bedero, con contestuale
costruzione della "canonica di San Vittore", ordinati da un praeceptum
dell'arcivescovo Robaldo. La nuova chiesa plebana di Bedero fu significativamente
posta su terreni di diretta dipendenza arcivescovile (Frigerio 1999).
ultima modifica: 04/01/2007
[ Saverio Almini ]
Pieve della diocesi di Milano. La prima chiesa plebana della Valtravaglia,
con il titolo di Santa Maria Assunta, doveva trovarsi a Domo, dove era sorto
un battistero altomedievale. Un privilegio dell'arcivescovo Robaldo, risalente
al 1137, portò allo spostamento della chiesa plebana a Bedero, dove
già esisteva, forse del V-VI secolo, un edificio di culto.
I confini della pieve della Valtravaglia alla fine del XIII secolo sono
ricavabili dal Liber notitiae sanctorum Mediolani. La pieve comprendeva
oltre all'attuale Valtravaglia fino a Caldé, il versante sinistro
della Valveddasca, l'area compresa tra il lago e l'attuale confine di stato,
le valli di Tresa e Margorabbia sino a Biviglione Grantola e Mesenzana.
Il Liber notitiae includeva anche Cunardo, Cugliate e Fabiasco, non elencate
tra le cappellanie della confinante pieve di Agno, cui appartenevano invece
Avigno, Cremenaga, Marchirolo. Maccagno Superiore, la Val Veddasca settentrionale,
Pino, Bassano e Tronzano appartenevano alla pieve di Cannobio, alla quale
il Liber ascriveva anche Maccagno Inferiore, in origine esente da giurisdizione.
Nel 1398, la Notitia cleri non segnala nella pieve della Valtravaglia località
della Valmarchirolo, ma include Maccagno Inferiore, che però risultava
ascritta nel 1455 alla pieve di Cannobio. Maccagno e la Val Veddasca si
separarono da Cannobio all'incirca all'inizio del XV secolo, anche se nel
1455, all'epoca della visita pastorale dell'arcivescovo Gabriele Sforza
era ancora formalmente legata a Cannobio (Frigerio 1999).
Dall'epoca post-tridentina, alle dirette dipendenze del prevosto di Bedero
rimasero alcuni paesi, riuniti in un'unica parrocchia: si trattava di Bedero,
Brezzo, Ticinallo, Muzeno, Porto, Castello, Roggiano, Brissago, Mesenzana
e Bivione. Vi era un altro gruppo di parrocchie comprendenti due o tre comunità:
Dumenza con Due Cossani e Agra, Montegrino con Bosco, Armio con Lozzo e
Biegno, Campagnano con Cadero, Curiglia con Monteviasco. Un terzo gruppo,
poi, era costituito da parrocchie che servivano una sola comunità:
Domo, Grantola, Voldomino, Germignaga, Luino, Maccagno Inferiore, Maccagno
Superiore.
Dall'epoca post-tridentina alla struttura plebana della diocesi si affiancò
quella vicariale: il vicariato della Valtravaglia, coincidente con l'ambito
territoriale della pieve, era inserito nella regione forense II.
Nell'anno 1574 la pieve contava 8072 persone, appartenenti a 1510 famiglie.
All'epoca della visita pastorale del cardinale Cesare Monti, nel 1640, la
pieve della Valtravaglia comprendeva 22 parrocchie: Bedero, Porto, Castello,
Domo, Roggiano, Brissago, Mesenzana, Grantola, Bosco, Montegrino, Voldomino,
Germignaga, Maccagno Inferiore, Maccagno Superiore, Campagnano, Garabiolo
con Cadero Armio e Graglio, Lozzo, Biegno, Curiglia con Monteviasco, Agra,
Dumenza, Luino. La limitazione delle funzioni della collegiata di Bedero
condusse a una riduzione da quattordici a quattro dei sacerdoti che vi erano
residenti. I sacerdoti ebbero pertanto l'incarico dall'arcivescovo di Milano
di reggere una parrocchia (DCA, Bedero Valtravaglia). Dopo che, con breve
di Pio VI del 16 febbraio 1819, la pieve di Cannobio era passata alla diocesi
di Novara, le parrocchie di Bassano, Pino, Tronzano, furono aggregate alla
pieve della Valtravaglia.
Nel 1836 il cardinale Carlo Gaetano Gaysruck decise di costituire un vicariato
autonomo con Luino e la parte settentrionale della pieve; mentre la zona
meridionale rimase alle dipendenze di Bedero. Il vicariato di Luino venne
a comprendere le parrocchie di Agra, Armio, Biegno, Bosco Valtravaglia,
Cadero, Campagnano, Curiglia, Dumenza, Germignaga, Graglio, Grantola, Lozzo,
Maccagno Inferiore, Maccagno Superiore, Montegrino, Monteviasco, Voldomino,
Bassano, Pino, Tronzano.
Nel corso del XIX e XX secolo la pieve di Bedero è sempre stata inclusa
nella regione II, fino ai decreti arcivescovili che hanno rivisto la struttura
territoriale della diocesi (decreto 11 marzo 1971, RDMi 1971; Sinodo Colombo
1972, cost. 326), in seguito ai quali le parrocchie che ne avevano fatto
parte furono attribuite al nuovo vicariato foraneo e poi decanato di Luino,
nella zona pastorale II di Varese.
ultima modifica: 04/01/2007
[ Claudia Morando, Archivio di Stato di Varese ]
Domo era una località della Valtravaglia distinta dalla castellanza
di Valtravaglia. Il territorio era feudo dell'arcivescovo di Milano (Beretta
1917). La località, già sede fino al 1165 della plebania,
poi trasportata a Bedero (Amati, Dizionario, v. 3, p. 455), perse successivamente
importanza. Nel Compartimento territoriale specificante le cassine, del
1751, appare solamente un cassinaggio denominato "Domo", unito
al comune di Musadino con Ligurno (Compartimento Ducato di Milano, 1751).
Attualmente Domo è frazione di Porto Valtravaglia.
ultima modifica: 09/01/2006
[ Claudia Morando, Archivio di Stato di Varese
Parrocchia della diocesi di Milano. Le citazioni della cura di Domo, la
cui chiesa, dedicata a Santa Maria, fu originariamente sede plebana per
la Valtravaglia, risalgono solo al XVI secolo (Frigerio 1999). Tra XVI e
XVIII secolo, la parrocchia di Santa Maria Assunta è costantemente
ricordata negli atti delle visite pastorali compiute dagli arcivescovi di
Milano e dai delegati arcivescovili nella pieve di Val Travaglia.
Nel 1748, durante la visita pastorale dell'arcivescovo Giuseppe Pozzobonelli,
il clero nella parrocchia di Santa Maria Assunta di Domo era costituito
dal parroco e da due cappellani, di cui uno di patronato della famiglia
Bossi; per il popolo, che assommava a 947 anime complessive, di cui 551
comunicati, era istituita la scuola della dottrina cristiana; nella parrocchiale
era costituita la società del Santissimo Sacramento, eretta dall'arcivescovo
Carlo Borromeo nel 1574; esisteva inoltre all'altare della Beata Maria Vergine
la confraternita del Santissimo Rosario, eretta il 9 maggio 1679, unita
alla società del Santissimo Sacramento. Nel territorio della parrocchia,
oltre alla chiesa di Santa Maria Assunta, esistevano gli oratori San Michele
sul Monte; Sant'Antonio abate; San Rocco confessore in Ligurno; San Genesio
in Sarigo; San Giorgio; San Rocco in Nasca (Visita Pozzobonelli, Pieve di
Bedero).
Verso la fine del XVIII secolo, nella tabella delle parrocchie della città
e diocesi di Milano, la rendita netta della parrocchia di Domo assommava
a lire 434.10; la nomina del titolare del beneficio parrocchiale spettava
all'ordinario, il numero dele anime era di 985 (Tabella parrocchie diocesi
di Milano, 1781).
All'epoca della prima visita pastorale dell'arcivescovo Andrea Carlo Ferrari
nella pieve e vicariato di Bedero, il beneficio parrocchiale era vacante.
I parrocchiani erano 900, compresi gli abitanti delle frazioni Torre, Saltirano,
Musadino, Ligurno, Sarigo; nel territorio parrocchiale esistevano gli oratori
di San Genesio, San Giorgio, San Sarlo, San Rocco, San Pietro martire, San
Michele; nella chiesa parrocchiale era eretta la confraternita del Santissimo
Sacramento; la pia unione delle Figlie di Maria, eretta canonicamente nel
1894; la compagnia di San Luigi Gonzaga, eretta canonicamente con decreto
26 gennaio 1896; il consorzio del Santissimo Rosario, eretto canonicamente
nel 1724; era attivo inoltre il Circolo popolare cattolico di San Giuseppe.
La parrocchia era di nomina arcivescovile (Visita Ferrari, I, Pieve di Bedero).
Nel corso del XIX secolo, la parrocchia di Santa Maria Assunta di Domo rimase
sempre inserita nella pieve e vicariato foraneo di Val Travaglia, nella
regione II, fino alla revisione della struttura territoriale della diocesi,
attuata tra il 1971 e il 1972 (decreto 11 marzo 1971) (RDMi 1971) (Sinodo
Colombo 1972, cost. 326), quando fu inclusa nel nuovo vicariato foraneo
e poi decanato di Luino, nella zona pastorale II di Varese.
ultima modifica: 04/01/2007
[ Claudia Morando, Archivio di Stato di Varese ]
Come risulta dal "Liber notitiae sanctorum Mediolani", alla fine del XIII secolo la pieve di Travaglia comprendeva 49 chiese, da Castelveccana, alla piana del Margorabbia, fino alla Valveddasca.
Da oltre due secoli è aperta fra gli studiosi la questione della
sede battesimale primitiva che alcuni ritennero di dover fissare in Domo.
Il primo assertore di questa tesi fu, nei primi anni del '700, proprio un
parroco di Domo, G.G. Vagliano. Poi vi fu G.A.
Binda, parroco di Castello Valtravaglia nella seconda metà dell'800
e raccoglitore di memorie locali (il suo manoscritto è conservato
nell'archivio parrocchiale di Domo), che forse potè consultare l'archivio
capitolare di Bedero. Certamente lì il parroco Binda potè
vedere un documento del 1080 di Adamo, notaio del sacro palazzo, che attestava
l'esistenza di capitolo e chiesa plebana già in quell'anno.
Ma andiamo con ordine.
Il 4 marzo 1137 l'arcivescovo Robaldo, nel palazzo arcivescovile di Milano,
prese in considerazione le reiterate suppliche di Guglielmo, prevosto della
pieve di Travaglia e dei suoi confratelli. L'arcivescovo si era già
recato sul posto (ed è la più antica "visita pastorale"
nella nostra pieve di cui si abbia notizia) per conoscere di persona lo
stato di fatto; aveva inoltre ascoltato il parere del clero cardinale e
degli altri suoi consiglieri.
Egli accertò che:
- l'esistente plebana di Travaglia non era più frequentata dalla
maggior parte del popolo;
- come madre venuta in odio ai figli rischiava di perdere le prerogative
competenti alla matrice;
- l'edificio antico minacciava rovina e mancava, per le ragioni di cui sopra,
l'opportunità di riedificarlo in sito;
- il popolo era tanto favorevole allo spostamento della pieve da essere
disposto ad elargire ampie elemosine per sovvenire alle nuove necessità.
Da ciò la decisione di spostare la sede della pieve sul monte di
Bedero.
Il documento, che gli storici chiamavo "Privilegio di Robaldo" reca, tra le altre, la firma di Galdino, allora cancelliere arcivescovile, che diventerà poi arcivescovo nell'aprile del 1166 e santo ambrosiano. A Galdino della Sala si è attribuita un'origine travagliese e questo spiegherebbe la sua continua presenza in affari riguardanti la pieve. Sala era il nome di una località presso Brezzo. Un altro indizio circa la patria di Galdino si può trovare nella presenza al sua seguito di "Alberti del Travallia ed Bonabelli ac Nuxanti et Bertrami de Domo" (da un documento del 1172).
Ci sono molti indizi che indicano Domo come capo della pieve di Travaglia.
La dedicazione della chiesa plebana di Travaglia a S. Maria è
attestata da numerosi documenti medioevali, per la maggior parte scomparsi,
ma ricordati dal parroco Binda nei suoi appunti conservati presso l'Archivio
Parrocchiale di Domo.
Solo in tempi successivi al 1137 appare la dedicazione prima a S. Maria
e S. Vittore, poi definitivamente solo a S. Vittore.
Ciò a ulteriore prova che l'antica pieve, quella originaria, era
a Domo, dove la chiesa è da sempre dedicata alla Madonna e che passò,
successivamente a Bedero, da cui, appunto, la dedicazione al martire Vittore.
Dagli atti della visita
pastorale dell'agosto 1596, il card. Federigo Borromeo, raccoglie
dalla concorde ed insospettabile deposizione dei canonici di Bedero che
la loro chiesa (S. Vittore di Bedero, appunto) era da tempo antico eretta
in prepositurale e che una volta era la chiesa di S. Maria Assunta di Domo,
e che venne lì traslata da Domo al tempo in cui S. Galdino era cancelliere
della chiesa milanese.
Una delle prove fondamentali del fatto che fu Domo l'originaria sede
della pieve di Travaglia è l'esistenza di un importante Battistero,
le cui origini risalgono agli anni prima del mille.
Dagli atti delle visite pastorali del vescovo di Trevico, G. Politi, inviato
da S. Carlo nel 1567 e poi dei delegati di S. Carlo, i prevosti Cermenati
e Pessina, nel 1569, nonchè di S. Carlo stesso nel 1574, emerge il
fatto che ancora nel 1567, quando era ancor viva la tradizione che Domo
fosse stata la primitiva "canonica", esisteva ed era usato l'antico
fonte battesimale ad immersione e in esso veniva benedetta l'acqua il sabato
santo.
Non solo il Battistero sta a dimostrare l'antichità del centro
religioso di Domo, ma anche l'esistenza di una chiesa gemella alla parrocchiale,
cioè S. Stefano.
Si nota anzitutto che le dedicazioni corrispondono a quelle dei centri religiosi
maggiori, ove una chiesa era dedicata alla Madonna e l'altra ad un martire
(in area francese era sistematicamente S. Stefano), mentre il battistero
era sempre dedicato a S. Giovanni Battista. Proprio come a Domo.
Siamo quindi di fronte ad un fenomeno esteso e complesso alla cui origine
per ora non è possibile risalire.
Ma tutto questo insieme di documenti, di testimonianze e di storia, fanno
deporre per il fatto che Domo, dalle origini, che si possono far risalire
al V° secolo, fino al 1137 fu veramente la sede della Pieve di Travaglia.
CONFRATERNITE
Nella parrocchiale di Domo era costituita all'altare della Beata Maria Vergine la confraternita del Santissimo Rosario, eretta il 9 maggio 1679, unita alla società del Santissimo Sacramento; fu censita nel 1748, durante la visita pastorale dell'arcivescovo Giuseppe Pozzobonelli nella pieve di Valtravaglia (Visita Pozzobonelli, Pieve di Bedero).
Nella parrocchiale di Domo era costituita la società del Santissimo
Sacramento, eretta dall'arcivescovo Carlo Borromeo nel 1574, unita alla
confraternita del Santissimo Rosario; fu censita nel 1748, durante la visita
pastorale dell'arcivescovo Giuseppe Pozzobonelli nella pieve di Valtravaglia
(Visita Pozzobonelli, Pieve di Bedero).
S. MARIA ASSUNTA, S. STEFANO E IL BATTISTERO
Il complesso religioso di Domo presenta tre edifici sacri: la chiesa dedicata alla Madonna Assunta, la chiesa gemella dedicata a S. Stefano ed il Battistero, dedicato a S. Giovanni Battista.
La chiesa principale è ampiamente descritta negli atti
della visita pastorale del 1567. Il presbiterio era coperto da una volta
dipinta, con l'immagine di Dio Padre. Dietro l'altare c'erano due piccole
finestre ed altre piccole finestre si aprivano nella pareti. Una è
ancora visibile sopra la porta laterale, verso la piazza. E' questo un elemento
forte per datare la nostra chiesa a prima del XII secolo.
Il resto della chiesa, a navata unica, aveva copertura in legno, portata
da due arconi trasversali in muratura che, dagli atti della visita di S.
Carlo, erano dipinti con vecchie pitture. Anche il soffitto aveva assi e
cornici dipinte.
Nel 1567 c'erano quattro altari, oltre all'altare maggiore, dedicati a S.
Bartolomeo, a S. Bernardino, a S. Sebastiano e a S. Maria Assunta. C'era
anche un gran numero di affreschi, sparsi un po' in tutta la chiesa, ma
già gravemente deteriorati. Alla chiesa si discendeva per tre gradini
circolari.
Pochi anni dopo, nel 1596, si rilevava l'esistenza di una cappella del S.
Rosario.
Il parroco Vagliano ha lasciato una minuziosa descrizione della chiesa quale
era nel 1686; descrizione che ricalca la precedente. Il presbiterio quadrato
ha la volta con le immagini dei quattro evangelisti. Non vi sono più
gli altari allora descritti ma vi sono quello già noto della Beata
Vergine del Rosario, e di fronte, sulla parete di destra, quello di S. Antonio
da Padova, entro una cappella terminata nel 1684.
Le due cappelli laterali devono quindi essere state costruite, nelle loro
forme attuali, fra la metà e la fine del XVII secolo. La chiesa aveva
due porte, una maggiore ed una laterale; vi erano tre sepolcri "de
particolari", cioè delle persone importanti, mentre due grandi
sepolcri della comunità erano posti all'esterno, sul lato di destra
della chiesa, contigui al muro laterale e sotto un portico.
Nel 1786 la chiesa era assai decaduta e si trovava in condizioni deplorevoli.
Si incaricano due periti, Francesco e Silvestro Giorgetti di Brissago di
esaminare la situazione. Essi, dopo i rilievi di rito, propongono di innalzare
le pareti laterali e di coprirle con volte, con rifacimento dell'interno
e della facciata, il tutto come oggi appare, con cornici, capitelli e stucchi,
esecuzione degli altari, per una spesa complessiva di Lire 6.300.
Nel 1790 si definì un ulteriore appalto e finalmente, il 13 febbraio
1795, si arrivò al collaudo della rinnovata chiesa di Domo, che venne
ad assumere l'attuale conformazione.
I disegni dei progetti, che sembravano scomparsi, sono stati da poco ritrovati
nell'archivio del cessato Comune di Musadino. Nella chiesa esiste un organo recentemente restaurato e proveniente dalla
Collegiata di Castiglione Olona.
L'intero interno della chiesa è stato restaurato e riportato all'originario splendore nel 2012, dando bellezza anhe ai due affreschi dell'artista Arturo Galli.
La chiesa di S. Stefano, ora in parte trasformata in abitazione,
sorge alla destra di S. Maria e ne separata dal piazzale che ricopre l'area
dell'antico cimitero. Si suppone che anche questa chiesa risalga come costruzione
a prima della traslazione della pieve da Domo a Bedero, cioè prima
dell'XI secolo.
Nella visita pastorale del 1569 si definisce la chiesa di forma assai bella
e ornata di divote pitture. Il parroco Vagliano la descrive mal tenuta ed
abbandonata. Pochi anni dopo, il 6 ottobre 1735 vi successe addirittura
un fatto di sangue, a seguito di una rissa scoppiata mentre si distribuiva
"il pane di voto", cioè probabilmente l'elemosina conseguente
a qualche legato.
Nel 1849 la chiesa venne trasformata in casa coadiutorale ed il presbiterio
nel 1894 venne adattato ad oratorio di S. Luigi. In questa occasione furono
danneggiati gli affreschi e la Crocifissione che viene giudicata assai simile
a quella dipinta da Bernardino Luini nella chiesa di S. Maria degli Angeli
a Lugano.
Sulle pareti laterali vi era una doppia teoria di Apostoli, le cui figure
sono andate parzialmente perdute con l'apertura delle due finestre. La volta
del presbiterio si è miracolosamente salvata dalle trasformazioni
ottocentesche e conserva ancora nei quattro spicchi belle immagini dei Dottori
della Chiesa, inquadrati in paesaggi di sapore quasi miniaturistico, come
nel gustoso particolare dei leprottini nascosti fra l'erba.
Gli affreschi delle pareti sono databili al XVI secolo, mentre quelli della
volta sono anteriori, forse della fine del XV secolo.
Il Battistero di S. Giovanni Battista è
situato davanti alla facciata della chiesa di S. Maria, da cui è
separato dalla strada, e soffocato da costruzioni che in tempi diversi gli
furono addossate.
Si presenta in forma cilindrica leggermente ottagonale, sia all'esterno
che all'interno. L'unico elemento decorativo, esistente all'interno, consiste
in una serie di archetti ciechi binati, che originariamente dovevano essere
in numero di sedici, due per ogni lato dell'ottagono. A circa 40 cm. sopra
tali archi terminano, con una cornice aggettante in pietra, ancor visibile
parzialmente nel sottotetto, le murature antiche. La parte soprastante è
dovuta ad un'elevazione avvenuta nel 1836, per permettere la costruzione
della volta all'interno del battistero.
Sono visibili le originarie aperture, una delle quali, sul lato sud-ovest,
sebbene murata, per i suoi evidenti dati costruttivi, può consentire
una datazione del monumento ad un periodo compreso fra il VII e il X secolo,
antecedente ai primi esempi romanici.
La datazione trova riscontro dalle stesse vicende storiche in cui Domo è
inserita; infatti, mentre l'esistenza dell'unico Battistero di Valtravaglia
in Domo dimostra che la pieve originaria era qui situata, per contro il
monumento deve essere stato costruito prima dell'XI secolo.
L'edificio aveva all'interno un soffitto in legno ed una vasca battesimale,
forse ad immersione, rilevata nel 1567, ma già scomparsa sul finire
del XVII secolo. A sinistra dell'entrata, verso la strada, c'era una piccola
abside, scomparsa.
S. PIETRO A MUSADINO
La chiesetta di S.
Pietro a Musadino deve essere posta là dove un tempo esistevano la
chiesa di S. Vincenzo o di S. Maria, citate nel "Liber notitiae sanctorum
Mediolani" alla fine del XIII secolo, poi scomparse.
S. Pietro è certamente nota dal 1398: è infatti citato nella
"Notitia cleri", associato con S. Giorgio di Sarigo come cappellania
dipendente dalla chiesa plebana di Travaglia.
S. Pietro nella forma attuale è tardo, ma il presbiterio sorge su
murature più antiche. Esisteva un'abside rotonda, di cui è
rimasta la muratura di attacco alla navata. Può essere che la dedicazione
al santo martire originario di Angera, sia stata mutata in occasione dei
lavori di radicale modifica della chiesa.
Per contro, la devozione di S. Vincenzo a Musadino è testimoniata
dal legato Bescatio del 1362 che fissava una distribuzione di pane e vino
nella festa del santo.
S. ROCCO A LIGURNO
Questa chiesa non è citata nel "Liber notitiae
sanctorum Mediolani". In realtà potrebbe trattarsi della chiesa
di S. Maria, data come esistente a Musadino, poichè Ligurno appartenne
sempre a quel comune. Infatti, la dedicazione alla Madonna della Neve pare
basata su una precedente dedicazione generica a S. Maria, richiamata in
alcuni documenti del 1646 e del 1783.
C'è un'altra ipotesi, che la chiesa di S. Maria sia stata demolita
dopo la costruzione della nuova chiesa di S. Rocco (avvenuta, secondo la
tradizione riportata negli atti della visita pastorale del 1930, nel XVII
secolo.
Nella nuova chiesa, l'attuale, venne trasportato un lembo di muro con
un affresco della Madonna, firmato da Guglielmo
da Montegrino.
La scritta alla base dell'affresco è la seguente: "Gulielmus
de Motegno pinxit an. 1517 die 29 agusti / fecit et iohes... est adh...".
La seconda riga, pressochè illeggibile, ci rivela soltanto l'esistenza
di un Johannes che fece eseguire l'opera.
S. GIORGIO A SARIGO
Questa chiesa rappresenta un esempio significativo della fioritura che
diffuse dovunque, anche le campagne e fra i monti, il riflesso sensibile
di quel momento d'arte conosciuto come "periodo romanico".
La chiesa, dunque, risale all' XI secolo, anche se la documentazione medioevale
è quasi inesistente. Non è nominata del "Liber notitiae
sanctorum Mediolani" perchè non vi sono comprese le chiese forensi
dedicate a S. Giorgio; ambigua è la
"Notitia cleri" del 1398 ed il "Liber seminarii" del
1564. Vi è elencata una cappellania riguardante la "capella
Ss. Petri e Georgij de Vechano et de Musadino".
Si trovano notizie utili negli atti delle visite pastorali, la prima, quella
del 6 settembre 1567 quando il vescovo Girolamo Politi visitò S.
Giorgio "in terra Sarichi, communis Vechani", ma sottoposto alla
parrocchia di Domo. Apprendiamo così che la chiesa era stata consacrata
dal vescovo Melchiorre, quindi nella seconda metà nel 1500.
Originariamente la chiesa era ad una sola navata; sul lato verso il lago
c'era un porticato, sotto il quale si seppellivano i morti.
S. Carlo vi giunse il 30 giugno 1574. Quattro anni dopo, negli atti della
visita del 4 ottobre 1578, è confermata l'esistenza di due navate:
il portico era stato conglobato nella chiesa e modificato il tetto, così
da far apparire la chiesa come la vediamo oggi. C'erano anche degli affreschi
nell'abside, come si è constatato con assaggi.
L'ultimo intervento, in ordine di tempo, è del 1994, con il rifacimento
della copertura in piode.
Tante fasi di costruzione non hanno comunque alterato l'unità del
monumento che si presenta oggi come preziosa reliquia medioevale in un contesto
paesistico che ha mantenuto intatto gran parte del suo fascino.
I documenti ricordano due tradizioni per il giorno della festa di S. Giorgio:
il legato Maffioli di Sarigo (1567) per la distribuzione ai poveri di quattro
staia di pane di mistura e di una brenta di vino; il lascito De Signori
(1899) al comune con obbligo di sovvenire anche la chiesa e distribuire
il pane a tutte le famiglie di Veccana.
S. GENESIO A SARIGO
Era questa una delle otto chiese esistenti, secondo Goffredo da Bussero,
nella diocesi di Milano alla fine del XIII secolo dedicate al santo martire
dei primi secoli del cristianesimo.
Delle murature originarie restano oggi soltanto le parti centrali delle
pareti laterali e parte delle testate.
All'epoca delle prime visite pastorali, nella seconda metà del Cinquecento,
la chiesa risultava già ampliata. Quando, il 6 settembre del 1587
il vescovo Gerolamo Politi, delegato di S. Carlo, visitò la chiesa,
essa risultava all'interno divisa a metà da un arcone e da un basso
muretto con al centro un'apertura munita di cancello in legno.
Erano questi i resti dell'antica facciata romanica, ora scomparsi.
Questa chiesa è importante per il ciclo di affreschi che contiene,
databili ai primi del XVI secolo. Stanno sul lato sinistro e rappresentano
S. Martino nell'atto di dividere il mantello, S. Sebastiano, Cristo nella
mandorla mistica, l'Ultima Cena.
Sopra l'altare era posta una pregevole pala seicentesca, oggetto di furto
non molti anni fa, ed ora sostituita con un moderno dipinto raffigurante
il martirio di S. Genesio.
S. CARLO A SARIGO
E' una piccola chiesa dedicata a S. Carlo. Costruita, pare, nel 1759 dai sacerdoti Giovanni e Giuseppe De Bonis, era di juspatronato della loro famiglia.
S. MARTINO A SALTIRANA
Costruita certamente nell'XI secolo, fu consacrata dal vescovo Melchiorre,
probabilmente il domenicano Melchiorre Crivelli, inquisitore a Milano e
poi, dal 1544 al 1553, vescovo ausiliare di Ippolito II d'Este. Venne forse
in Valtravaglia nel 1545, quando ne è documentata la visita pastorale
a Brebbia.
Doveva essere una chiesa molto piccola e rustica.
Nel 1574, quando ci fu la visita pastorale di S. Carlo, venne descritta
con pareti grezze ma a pietre lavorate, senza porta.
Nel 1786 era interdetta e venne demolita.
Ne resta solo il campanile al nuovo cimitero di Nasca, campanile che ripete
la tipologia romanica, senza aver tuttavia la grazia di quello di S. Giorgio.
S. MICHELE AL MONTE
Nel 1786 il curato di Domo, G.B. Isabella, parlando dell'oratorio di S. Michele,
attestava: "E' sito sopra un alto monte su cui per sei mesi ne' tempi
d'estate vi dimoravano alpari che per la distanza dalla parrocchia, e per
non absentarsi dal bestiame pericolante, sù per le coste precipitose,
che vi sono, come pe' lupi che v'infestano, vi fanno spesso intervenire
un sacerdote colla messa ne' giorni festivi; per questo motivo sembra comodo
e necessario al bene di tali non pochi individui".
Questa può essere l'origine della nostra come di altre chiesette
montane.
Nel '500, in cui si infittiscono le descrizioni dovute ai visitatori diocesani,
il presbiterio, costituito dalla vasta abside, era chiuso da un muro a sua
volta dotato di bella porta, che si apriva evidentemente solo nel giorno
delle celebrazioni.
Gli affreschi più antichi, che risultano dalle descrizioni dei visitatori
postridentini, erano posti nell'abside: al centro una raffigurazione della
Maestà Divina, a lato, forse, i simboli degli Evangelisti; sotto
la teoria dei dodici apostoli e un velario. Le tracce rese visibili da scrostature
e assaggi sembrano indicare un ciclo di rilevante antichità, uno
dei pochi di età romanica (o addirittura pre-romanica) che siano
rimasti nell'area varesina.
Forse sulla parete sinistra, si scorgeva allora la figura del patrono, l'arcangelo Michele. A detta parete, per
il pericolo di crolli, fu in età imprecisata addossato un muro di
rinforzo, lasciando tuttora visibile un affresco più recente, con
la data del 1517: una Madonna e il Bambino lattante, con i santi Antonio
abate e Bernardo (entrambi spesso invocati come protettori dei pastori).
Alla fine del XVII secolo, il parroco di Domo, Giovanni Giuseppe Vagliano,
procedette a un radicale restauro della chiesetta, dedicando l'abbellimento
alla Madonna nel 1855, per essere rimasta indenne dall'epidemia, quella
di colera che appunto in quel tempo minacciò anche la nostra regione,
come attesta la scritta posta sulla cornice dell'affresco: "PARECIA
INCOLUMIS A LUE 1855 DEIPARAE VOVIT".
I pregi della chiesa sono tutt'altro che trascurabili anche se ancor tutti
da scoprire e convalidare, per la storia dell'architettura romanica e preromanica.
Consiste esso in un'aula absidata, interamente coperta con volte, due crociere
impostate su pilastri addossati alle pareti laterali. Mentre la navata ha
pareti in vista eseguite a ciottoli e pietre rozzamente squadrate, con grossi
letti di malta e qualche traccia di intonaco (vi Š anche qualche accenno
alla spina di pesce), l'abside esibisce filari di pietre e ciottoli ben
allineati, fasce ben evidenti a spina di pesce. L'abside contava su due
finestrelle, ora otturate e, quella meridionale, alterata; quella centrale
presenta forma a fungo e, pare, una doppia strombatura poco marcata. Vi
è anche la traccia d'uno stipite di porta, sotto la finestrella verso
sud, forse ricavata per ottenere un indipendente accesso alla "cappella"
allorquando essa era separata dalla navata.
Allo stato attuale si può sospettare che a una primitiva e vetusta
aula fosse addossata una nuova abside. Un'altra fase è costituita
dalla copertura della navata con volte; i sostegni appaiono chiaramente
inseriti in un secondo tempo rispetto ai muri perimetrali. Mazza ha fissato
la sua attenzione sopra il profilo oltrepassato degli archi, proponendo
confronti con apparecchi murari simili dell'area francese e spagnola e finendo
per assegnare la struttura alla fine del decimo secolo. Egli assegnava poi
l'abside alla seconda metà del X secolo (momento iniziale dell'età
romanica). Per le murature della navata riteneva possibili anche tempi anteriori.
Le argomentazioni sono suggestive; tuttavia, in attesa di maggiori informazioni,
è doverosa la prudenza.
Resta da dire qualcosa circa gli interventi moderni. Sagristia e campaniletto
triangolare sembrano ottocenteschi e si è portati a dar fede all'epigrafe
graffita sull'intonaco del campaniletto "Onorato Monico 1 agosto 1857".
La lunetta sopra la porta d'ingresso è posteriore al 1945. Con il
medesimo intervento si sistemarono il tetto e i muri sotto la chiesa verso
nord ed est; si imbiancò l'interno.
Nel 1965 crollò il tetto della sagrestia, ma lo si ricostruì
qualche anno dopo. I contrafforti in pietra a vista, sulla parete nord,
furono progettati dall'arch. Mazza nel 1973 al fine di stabilizzare la pericolosa
rotazione verso l'esterno di detta parete.
Un importante intervento conservativo è stato eseguito nell'inverno
dell'anno 2000, grazie ad un contributo della Regione Lombardia di ca. 150
milioni di lire. E' stata rifatta interamente la copertura in beola, sono
state consolidate le pareti e le fondamenta, nonché la collina sulla
quale la chiesetta è stata edificata. (foto
gallery ed. 2001 - clicca qui)
LA CAPPELLA DELLA MADONNA DEL RONCACCIO
Sulla strada che collega Porto a Domo si trova una cappella dedicata alla Madonna della salute, costruita prima del 1640, con un affresco certamente più antico.
All'interno un'antica iscrizione recita:
Salutem quam nequit aegrotis fallax medicina, supplicantibus concede alma Virgo Maria
(La salute che ai malati non può dare la medicina, a che ti supplica concedi, alma Vergine Maria)
Ed ancora: Qui elucidant me, vitam aeternam habebunt
In un manoscritto del 1644 conservato nell'Archivio Parrocchiale di Domo (riferito alla visita pastorale del Card. Monti del 1640) si legge che tale Francesco Lazzarini di Muadino e Vittore di Torre, canepari e fabbriceri della cappella della Beata Vergine del Roncaccio, sono ingiunti a consegnare ogni somma di denaro che essi tengono indebitamente, sotto pegno di interdizione.
LA CAPPELLA DI S.ANNA A SALTIRANA
Nella frazione di Saltirana esiste un'antica cappella dove
autori ignoti hanno lasciato un pregevole affresco della Madonna con il
Bambino, una statua di S. Anna ed un quadro di pregevole fattura. (foto gallery ed. 2001 - clicca qui)
Per maggiore documentazione, il Lettore potrà. consultare i seguenti testi dai quali sono state tratte le notizie qui pubblicate.
Domo antica sede plebana di Travaglia e il suo battistero, in "Rivista della Società storica varesina" fascicolo XII, marzo 1975, Pierangelo Frigerio, Sandro Mazza, Piergiacomo Pisoni
Domo e l'antica pieve di Travaglia, ottobre 1968, Pierangelo Frigerio, Sandro Mazza, Piergiacomo Pisoni
Riflessioni archeologiche sulla chiesa di Bedero Valtravaglia e sul battistero di Domo, in "Memorie storiche della Diocesi di Milano", vol. XII, 1965, M.L. Floris - L. Martegani
La Valtravaglia, Milano 1927, Carlo Massimo Rota
La Pieve della Valtravaglia, Novara 1953, A. Astori
Architettura romanica nel territorio di Varese, Milano 1966, Anna Finocchi
Consuetudini e condizioni vigenti nella castellanza di Valtravaglia nel 1283, Carate Brianza 1917, R. Beretta
Il restauro della chiesa di S. Giorgio a Sarigo, AA.VV., 1994
L'Eco del varesotto, articoli vari a firma Tripè, 1974
L'organo vecchio di Castiglione Olona a Domo Valtravaglia, nel periodico della Società. Storica Comense, vol. LI, 1984-85, Maurizio Isabella
Loci Travaliae, Biblioteca comunale di Porto Valtravaglia, fasc. VII, Le visite pastorali a Domo Valtravaglia, Filippo Colombo, 1998