CIPRIANO

CIPRIANO

L’UNITÀ DELLA CHIESA CATTOLICA

 

 

 

Le eresie e gli scismi

1. - Il Signore ci avverte e ci sottolinea: «Voi siete il sale della terra » (Matteo 5,13). E vuole che siamo semplici fino all’innocenza, e tuttavia prudenti nella semplicità (Matteo 10,16). Perciò, fratelli carissimi, è necessario che noi, con cuore vigile e attento, sappiamo prevedere e capire e fuggire le insidie dell’astuto nemico, affinché, essendoci rivestiti di Cristo (Galati 3,27; Romani 13,14), sapienza di Dio Padre (1 Corinzi 1,24), non manchiamo poi di prudenza nel mettere al sicuro la nostra salvezza. Infatti, non c’è solo da temere la persecuzione, né gli attacchi aperti che si sferrano contro i servi di Dio per abbatterli e sopraffarli. È molto più facile difendersi nel caso in cui sono evidenti i motivi del terrore: quando l’avversario insorge scopertamente, l’animo si premunisce. C’è più da temere e da guardarsi, quando invece il nemico si avvicina di soppiatto e, mimetizzato da apparenze di pace, si insinua serpeggiante per varchi segreti, e da qui il suo nome di serpente. Tale è la sua astuzia di sempre; tale è l’inganno subdolo e oscuro con cui tenta di raggirare l’uomo. Così, sin dal l’inizio del mondo, sedusse e circuì con carezzevoli menzogne l’anima inesperta e incauta nella sua credulità (Genesi 3,1). E così pure si spinse a tentare il Signore, accostandosi a lui con cautela, come per ripetere l’insidia di sorpresa: ma ora fu riconosciuto e respinto, e condannato all’umiliazione proprio perché scoperto e smascherato (Matteo 4,1).

 

2. - Da qui, per noi, l’esempio e l’avvertimento di fuggire le vie dell’uomo vecchio, e di camminare invece sulle orme del Cristo vincitore (Efesini 4,20). In questo modo non ricadremo incauti nei lacci della morte; al contrario, messi in guardia dinanzi al pericolo, potremo ricevere e possedere l’immortalità. Ma ecco, forse potremo conquistare l’immortalità senza osservare quei comandamenti di Cristo, mediante i quali la morte è espugnata e vinta? Lo dichiara lui stesso, col dire: «Se vuoi pervenire alla vita, osserva i comandamenti» (Matteo 19,17); e ancora: «Se fate quanto vi comando, non vi chiamerà più servi ma amici» (Giovanni 15,14). Costoro, poi, egli li chiama forti e stabili, fondati sulla roccia, irremovibili e radicati nella più provata fermezza contro tutte le tempeste e i turbini del mondo. «Colui che ascolta — dice — le mie parole e le mette in pratica, lo paragonerò ad un uomo saggio che ha edificato la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e s’abbatterono su quella casa: essa non crollò. E ciò perché era stata fondata sulla roccia» (Matteo 7,24). Dunque, dobbiamo conformarci alle sue parole, dobbiamo imparare e mettere in pratica tutto quello che egli insegnò e operò. Del resto, come può dire di credere in Cristo colui che non fa ciò che Cristo ha comandato di fare? o come giungerà al premio della fede, colui che non vuole star fedele ai comandamenti? Costui necessariamente ondeggerà disorientato, e, in balia dello spirito dell’errore, sarà come la polvere che il vento solleva e si porta via qua e là. Non potrà certo avanzare nel cammino verso la sua salvezza, colui che non si mette sulla vera via della salvezza.

 

3. - Ora, bisogna guardarsi non solo dai pericoli aperti e manifesti, ma pure dalle insidie tese con l’astuzia sottile dell’imbroglio. Ed ecco, cosa può esserci di più astuto e sottile? Il nemico, smascherato e abbattuto dalla venuta di Cristo, dopo che la luce venne alle genti e irraggiò il suo splendore per la salvezza degli uomini sicché i sordi ricuperavano l’udito della grazia spirituale e i ciechi aprivano gli occhi al Signore e gli infermi si rinvigorivano della sanità eterna e gli zoppi accorrevano alla Chiesa e i muti articolavano con chiara voce le loro preghiere: quel nemico, vedendo i suoi idoli abbandonati, e disertati i suoi templi e le sue sedi a causa del gran numero dei credenti, ha escogitato un nuovo inganno quello cioè di far cadere gli imprudenti presentandosi con l’etichetta del nome cristiano. Ha inventato, cosi, le eresie e gli scismi per sovvertire la fede, per corrompere la verità, per spezzare l’unità. In questo modo, coloro che egli non può più tenere nel vicolo cieco dell’antico errore, li raggira e li inganna per una nuova via. Strappa gli uomini proprio dalla Chiesa e, mentre essi credono di essersi già accostati alla luce sfuggendo alla notte del mondo, li avvolge ancora in altre tenebre senza che essi se ne accorgano. Cosi costoro finiscono per chiamarsi cristiani senza però  osservare la legge del Vangelo di Cristo; e mentre camminano nelle tenebre, pensano di stare nella luce. Tutto ciò è opera appunto dell’avversario, il quale attira con lusinghe nell’errore, e — come dice l’Apostolo (2 Corinzi 11,14) — si trasforma in angelo di luce, e spaccia i suoi ministri per ministri di giustizia: costoro chiamano giorno la notte, salvezza la morte, e insinuano la disperazione con l’appannaggio della speranza, e l’incredulità sotto il pretesto della fede, e dicono Cristo l’Anticristo, cosicché frustrano sottilmente la verità con menzogne verosimili. Ma ciò accade, fratelli carissimi, quando non ci si rifà all’origine della verità, quando non se ne ricerca il principio, quando non si osserva la dottrina del magistero celeste

 

L’unità della Chiesa

4. - Se qualcuno vuol considerare ed esaminare queste cose, non ha bisogno di una discussione con argomenti a non finire. La prova della fede è facile, per la sinteticità della verità. Dice il Signore a Pietro: «Io ti dico che tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte del l’inferno non la vinceranno. A te darò le chiavi del regno dei cieli: quanto avrai legato sulla terra sarà legato anche in cielo, e ciò che avrai sciolto sulla terra sarà sciolto anche in cielo» (Matteo 16,18-19) [1]. Sopra uno solo edifica la Chiesa, e a lui comanda di pascere le sue pecore. E benché a tutti gli apostoli, dopo la sua risurrezione, abbia conferito la stessa potestà dicendo: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi. Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati, gli saranno rimessi; a chi li riterrete, gli sa ranno ritenuti» (Giovanni 20,21-23), tuttavia perché si manifestasse l’unità dispose con la sua autorità che l’origine della stessa unità derivasse da uno solo. Anche gli altri apostoli erano certo ciò che era Pietro, insigniti con eguale partecipazione di onore e di potestà; ma l’inizio viene dall’unità, affinché la Chiesa di Cristo si mostri una. È questa Chiesa una che lo Spirito Santo, nella persona del Signore, designa pure nel Cantico dei Cantici, dove si dice: «Unica è la mia colomba, la mia perfetta unica alla madre sua, la preferita per la sua genitrice» (Cantico dei Cantici 6,8). Chi non conserva questa unità della Chiesa, crede forse di conservare la fede? Chi si oppone e resiste alla Chiesa, penserà di essere nella Chiesa? È pure il beato apostolo Paolo che insegna la stessa cosa, e mostra il mistero dell’unità, dicendo: «Un sol corpo, e un solo Spirito, una sola speranza della vostra vocazione, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio» (Efesini 4,46).

 

5. – È proprio questa unità che dobbiamo conservare fermamente e difendere, soprattutto noi vescovi, che stiamo a capo della Chiesa: e ciò affinché possiamo provare che anche l’episcopato è uno e indiviso. Nessuno attenti con qualche menzogna alla fraternità, nessuno corrompa con perfida prevaricazione la verità della fede. Uno è l’episcopato, e ciascuno per la sua parte lo possiede tutto intero. Una è la Chiesa, mentre si estende al largo abbracciando una gran moltitudine per la sua crescente fecondità. È come per il sole, che ha molti raggi ma una sola è la sorgente luminosa; come per l’albero, che ha molti rami ma uno solo è il tronco che si erge su radice tenace; e per la sorgente, che è una sola, ma da essa sgorgano molti ruscelli, e cosi, mentre dall’esuberanza del gettito d’acqua sembra derivare la molteplicità, tuttavia nell’origine si conserva l’unità. Provati a strappare il raggio del sole dalla sorgente: l’unità della luce non segue una tale divisione. Provati a staccare un ramo dall’albero: il ramo staccato non potrà germogliare. Provati infine a isolare un ruscello dalla sor gente, questo ruscello, cosi tagliato fuori, inaridirà. Così, anche la Chiesa del Signore diffonde la luce dei suoi raggi per tutto il mondo; tuttavia una sola è la luce che sparge ovunque, e non si divide l’unità del corpo. Estende i suoi rami frondosi per tutta intera la terra, riversa in ogni direzione le sue acque in piena; e tuttavia non v’è che un solo principio e una sola origine; e una sola è la madre feconda, ricca di frutti. Noi nasciamo dal suo grembo, ci nutriamo del suo latte, siamo animati dal suo spirito.

 

Nella Chiesa la salvezza

6. - La sposa di Cristo non sarà mai adultera: essa è incorruttibile e pura. Ha conosciuto una sola casa, ha custodito con casto pudore la santità di un sol talamo. Lei ci conserva per Dio, lei destina al regno i figli che ha generato. Chiunque, separandosi dalla Chiesa, ne sceglie una adultera, viene a tagliarsi fuori dalle promesse della Chiesa: chi abbandona la Chiesa di Cristo, non perviene certo alle ricompense di Cristo. Costui sarà un estraneo, un profano, un nemico. Non può avere Dio per padre chi non ha la Chiesa per madre. Se avesse potuto salvarsi chi restò fuori dell’arca di Noé, allora potremmo dire che si salverà chi è fuori della Chiesa (Genesi 7,1). Ecco quanto il Signore ci dice ammonendoci: «Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde» (Matteo 12,30). Colui che spezza la concordia, la pace di Cristo, è contro Cristo; e colui che raccoglie fuori della Chiesa, disperde la Chiesa di Cristo. Il Signore dice: «Io e il Padre siamo uno» (Giovanni 10,30). E ancora sta scritto del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo: «E i tre sono uno» (1 Giovanni 5,7). Ebbene, può forse esserci qualcuno che creda si possa dividere l’unità nella Chiesa, questa unità che viene dalla stabilità divina e che è legata ai misteri celesti, e penserà che si possa dissolvere per la divergenza di opposte volontà? Chi non si tiene in questa unità, non si tiene nella legge di Dio, non si tiene nella fede del Padre e del Figlio, non si tiene nella vita e nella salvezza.

 

La tunica di Cristo simbolo dell’unità

7. - Questo mistero dell’unità, questo vincolo di concordia stretto alla perfezione, ci viene indicato nel Vangelo, là dove si parla della tunica del Signore Gesù Cristo: essa non viene affatto divisa né strappata; ma si gettano le sorti sulla veste di Cristo, sicché chi dovrà rivestirsi di Cristo (Galati 3,27; Romani 13,14) riceva la veste intatta e possieda indivisa e integra quella tunica. Cosi leggiamo nella divina Scrittura: «Quanto poi alla tunica, poiché era senza cuciture dall’alto al basso e tessuta d’un pezzo, si dissero a vicenda: Non stracciamola, ma tiriamola a sorte a chi tocchi» (Giovanni 19,23). Lui portava l’unità che viene dall’alto, che viene cioè dal cielo e dal Padre: tale unità non poteva essere affatto divisa da chi la ricevesse in possesso, conservandosi tutta intera e assolutamente indissolubile. Non può possedere la veste di Cristo, colui che divide e separa la Chiesa di Cristo. Invece, quando alla morte di Salomone il suo regno e il suo popolo si dividono, il profeta Achia, fattosi incontro al re Geroboamo nel campo, strappa in dodici pezzi il suo mantello, e dice: «Prenditene dieci pezzi, poiché questo dice il Signore: Ecco che io strappo il regno di mano a Salomone, e darò a te dieci scettri, e due saranno lasciati a lui per riguardo al mio servo David e per la città di Gerusalemme che io ho eletta per stabilire lì il mio nome » (1 Re 11,31-36). Il profeta Achia strappò il suo mantello perché Israele si divideva in dodici tribù. Ma, al contrario, poiché non può dividersi il popolo di Cristo, la tunica di lui, tessuta tutta d’un pezzo e senza cuciture, non sarà divisa da coloro che la possiedono: essa, cosi indivisa, tutta insieme tessuta, mostra la stretta concordia del nostro popolo, di noi che ci siamo rivestiti di Cristo (Galati 3,27; Romani 13,14). Egli, dunque, col segno e il simbolo della tunica, ha rappresentato l’unità della Chiesa.

 

I simboli dell’Antico Testamento

8. - Chi perciò sarà così scellerato e perfido, e così fuor di testa per furore di discordia, da credere che si possa dividere o che egli stesso osi divide l’unità di Dio, la veste del Signore, la Chiesa di Cristo? Egli ci ammonisce e ci insegna nel suo Vangelo: «E ci sarà dice un sol gregge e un solo pastore» (Giovanni 10,16). E può forse pensare qualcuno che possano esserci in uno stesso luogo molti pastori e più greggi? Parimenti l’apostolo Paolo ci raccomanda la stessa unità con questa pressante esortazione: «Vi scongiuro, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, che tutti teniate uno stesso linguaggio e non vi siano scismi fra voi: siate invece perfettamente uniti in uno stesso sentimento e in uno stesso pensiero» (1 Corinzi 1,10). E ancora dice: «Sopportandovi a vicenda con amore, studiatevi di conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace» (Efesini 4,2). Ebbene, credi tu che si possa stare in piedi e continuare a vivere, allontanandosi dalla Chiesa, costruendosi altre sedi e dimore diverse? se pensi che a Rahab, nella quale era prefigurata la Chiesa, fu detto: «Radunerai tuo padre, tua madre, i tuoi fratelli, tutta la tua parentela presso di te in casa tua; e accadrà che chi uscirà fuori della porta di casa tua, sarà colpevole della sua rovina» (Giosuè 2,18). Parimenti, il rito della Pasqua, nella legge dell’Esodo, prescriveva che l’agnello, il cui sacrificio era figura di quello di Cristo, fosse mangiato in una stessa casa. Ecco le parole stesse di Dio: «Sarà mangiato in una sola casa, e non getterete la sua carne fuori della casa» (Esodo 12,46). Non può dunque essere gettata fuori la carne di Cristo, la cosa santa del Signore; né ci sarà altra casa per i credenti all’infuori del l’unica Chiesa. È questa casa, questa dimora in cui tutti si è un’anima sola, che lo Spirito Santo indica e annunzia nei Salmi con queste parole: «Ai derelitti Dio fa abitare una casa, fa uscire con gioia i prigionieri; solo i ribelli abbandona in terra arida» (Salmo 67,7). Nella casa di Dio, nella Chiesa di Cristo, vi abitano coloro che sono un’anima sola, e che perseverano in concordia e semplicità.

 

L’esempio della colomba

9. - Per questo, lo Spirito Santo venne in forma di colomba (Matteo 3,16); essa è un animale semplice e gaio, senza amarezza né fiele, incapace di mordere con crudeltà, senza unghie che lacerino con violenza; essa ama le abitazioni degli uomini, conosce e si affeziona a una sola casa. Quando una coppia procrea, i due allevano insieme la prole; quando si muovono, vanno uniti in volo; passano la vita in comune armonia; col bacio della loro bocca dimostrano il reciproco amore di pace; in tutto adempiono la legge della concordia. Ecco la semplicità che si deve conoscere nella Chiesa, ecco la carità che si deve avere. Imitiamo la colomba nel l’amore fraterno, e la nostra mansuetudine e la nostra dolcezza possano riprodurre quelle della pecora e dell’agnello (Luca 10,3; Giovanni 21,15). Che ci sta a fare, in un cuore cristiano, la ferocia del lupo, la rabbia del cane, il veleno mortifero del serpente, la cruenta violenza della belva? C’è da rallegrarci che una tal genia si separi dalla Chiesa, affinché non vengano a soffrire il contagio di una simile compagnia, velenosa e crudele, le colombe e le pecore di Cristo. Non possono convivere e stare insieme l’amarezza con la dolcezza, la tenebra e la luce, la pioggia e il bel tempo, la guerra e la pace, la sterilità e la fecondità, la siccità e le sorgenti d’acqua, la tempesta e il sereno. Non c’è da pensare che possano uscire dalla Chiesa i buoni; il vento non porta via il grano, né la bufera abbatte un albero ben piantato su profonda radice. È invece la paglia leggera che viene sollevata dalla tempesta, sono gli alberi deboli che vengono atterrati dall’irrompere del turbine. Ed è questo tipo di gente che l’apostolo Giovanni detesta e stigmatizza, dicendo: «Si sono allontanati da noi, ma non erano dei nostri: se infatti fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi » (1 Giovanni 2,19).

 

Le eresie vagliano la fede dei credenti

10. - Da qui sono nate di frequente e nascono tuttora le eresie: dal fatto che una mente perversa non ha pace, e che la perfidia ribelle non osserva l’unità. Per la verità, è il Signore che permette e lascia che esse si verifichino, — salva restando la libertà di scelta di ciascuno. Ne viene come un criterio di verità per l’esame dei nostri cuori e delle nostre menti: per cui risplende di chiara luce la fede integra di chi è stato provato. Ecco come per mezzo dell’Apostolo ci ammonisce lo Spirito Santo: «È necessario che ci siano divisioni, affinché coloro che sono stati provati siano tra voi conosciuti» (1 Corinzi 11,19). Cosi vengono provati coloro che sono veramente fedeli; così sono smascherati i perfidi; così già qui, prima del giorno del giudizio, si opera la divisione fra le anime dei giusti e degli ingiusti, e si separa la paglia dal frumento (Matteo 3,12-30). Perciò sorgono quelli che si mettono a capo di temerari avventurieri, da sé, senza divina disposizione, coloro che si costituiscono capi senza alcuna ordinazione legale, che assumono il nome di vescovi senza che nessuno mai abbia dato loro l’episcopato. Di costoro lo Spirito Santo dice nei Salmi che siedono sulla cattedra della pestilenza (Salmo 1,1), essi, piaga contagiosa della fede, ingannatori con la bocca d’aspide e artefici d’ogni corruzione della verità, che sputano fuori veleni di morte con la loro lingua pestifera: la loro parola si propaga come il cancro (2 Timoteo 2,17), il loro insegnamento introduce un veleno mortale nei cuori e nelle anime.

 

11. - Contro costoro grida il Signore; lontano da costoro egli ritrae e richiama il suo popolo errante, dicendo: «Non state ad ascoltare i discorsi dei falsi profeti: le visioni della loro fantasia li fanno vaneggiare; parlano, ma non per suggerimento del Signore. Dicono a quelli che rigettano la parola di Dio: avrete pace voi e quanti camminano secondo i propri desideri. E a chiunque segue la perversità del suo cuore: non ti sopravverrà alcun male, Io non ho loro parlato, ed essi profetano. Se si fossero mantenuti nella mia verità e avessero ascoltato le mie parole e avesse ro istruito il mio popolo, io li avrei stornati dai loro pensieri malvagi » (Geremia 23,16-22). E ancora il Signore indica e addita costoro, quando dice: «Hanno abbandonato me, fonte d’acqua viva, e si sono scavate delle cisterne spaccate che non possono contenere l’acqua » (Geremia 2,13). Mentre non può esserci che un solo battesimo, essi credono di battezzare. Hanno disertato la fonte della vita, e promettono la grazia dell’acqua di vita e di salvezza. Là gli uomini non saranno lavati, saranno insudiciati; i peccati non saranno cancellati, ma accumulati. Tale natività non genera figli a Dio ma al diavolo: costoro, nati dalla menzogna, non avranno le promesse della verità, e procreati dal l’infedeltà perderanno la grazia della fede. Non potranno certo pervenire al premio della pace, coloro che con furore sedizioso hanno mandato in frantumi la pace del Signore

 

Dove due o tre sono radunati...

12. - E non s’ingannino alcuni, — con una interpretazione che ne svuoti di significato, — circa le parole del Signore: «Dove due o tre saranno radunati nel mio nome, io sarò con loro» (Matteo 18,20). I falsi interpreti che adulterano il Vangelo citano le ultime parole e tralasciano ciò che precede, si ricordano di una parte e sopprimono l’altra con inganno: così come essi stessi sono separati dalla Chiesa, in modo analogo separano un’affermazione singola dal resto. Infatti, ecco quel che il Signore dice ai suoi discepoli per esortarli all’unità e alla pace: «Io vi dico che se due di voi si accorderanno sulla terra, qualunque cosa, che chiederete, sarà a voi concessa dal Padre mio che è nei cieli. Poiché dove due o tre saranno radunati nel mio nome, io sarò con loro» (Matteo 18,19-20). Con ciò mostra che si concede moltissimo non tanto al gran numero di coloro che pregano, quanto piuttosto alla loro unanimità. «Se due di voi si accorderanno sulla terra», dice: ecco, prima pone l’unanimità, premette innanzi tutto la concordia della pace. Ci insegna cosi che dobbiamo essere sempre e strettamente uniti fra noi. Ebbene, come può essere in accordo con un altro chi non è in accordo col corpo della stessa Chiesa e con l’intera comunità dei fratelli? In che modo possono radunarsi due o tre in nome di Cristo, quando si sa che essi si sono separati da Cristo e dal suo Vangelo? Infatti, non noi da essi, ma essi da noi si sono allontanati; poiché le eresie e gli scismi sono venuti fuori dopo, sono stati essi ad abbandonare la fonte e l’origine della verità, fondando per sé diverse conventicole. Ma il Signore parla della sua Chiesa, parla a quelli che sono nella Chiesa: se costoro sono concordi, se come ha prescritto e raccomandato due o tre pregano, radunati, si, ma unanimi, essi otterranno dalla maestà di Dio quanto chiederanno. «Dove saranno due o tre, — dice, — io sarà con loro», e cioè con coloro che sono semplici e pacifici, con coloro che temono Dio e osservano i precetti di Dio. Con costoro dice di essere, anche se due o tre. Cosi fu coi tre fanciulli nella fornace ardente (Daniele 3) i quali, proprio perché restavano con semplicità in Dio e in unità fra loro, furono ristorati come da un soffio di rugiada mentre erano circondati dalle fiamme. Così si fece presente ai due apostoli chiusi in prigione (Atti 5,17), appunto perché essi erano semplici, erano unanimi; e aprendo egli stesso le porte del carcere, li riportò fuori sulla pubblica piazza affinché annunziassero alla moltitudine la parola che avevano fedelmente predicata. Dunque, quando fra i suoi precetti dice: «Dove saranno due o tre, io sarò con loro », non divide gli uomini dalla Chiesa, lui che ha istituito e formato la Chiesa. Al contrario, rimproverando ai perfidi la discordia e raccomandando con le sue parole la pace ai fedeli, mostra che egli è con due o tre i quali siano un’anima sola nel pregare piuttosto che con un gran numero di gente in disaccordo, e che si ottiene di più con la preghiera concorde di pochi che con l’orazione discorde di molti.

 

13. - Perciò, anche, nel dare la norma della preghiera, ha fatto questa aggiunta: «Quando vi mettete a pregare, se avete qualche cosa contro qualcuno, perdonate, affinché anche il Padre vostro che è nei cieli rimetta a voi i vostri peccati » (Marco 11,25). Inoltre, allontana dall’altare colui che viene al sacrificio con la discordia nell’animo, e gli comanda di andar prima a ristabilire la concordia col fratello, e di tornar dopo, con la pace, ad offrire il sacrificio a Dio (Matteo 5,23-24). Per questo Dio non guardò alle offerte di Caino infatti non poteva aver Dio in pace con sé, colui che non aveva la pace col fratello per la gelosia che gli ardeva dentro (Genesi 4,5). Ebbene, quale pace si aspettano per sé quelli che sono nemici dei fratelli? quali sacrifici credono di celebrare coloro che sono rivali dei vescovi? Pensano forse che Cristo sia con loro, quando sono radunati, essi che si radunano fuori della Chiesa?

 

Nell’unità e nell’amore è il cristianesimo

14. - Costoro, anche se fossero uccisi per la confessione del nome, non laverebbero la loro macchia neppure col sangue: la colpa grave e inespiabile della discordia non può essere cancellata neppure dal martirio. Non può essere martire chi non è nella Chiesa; non potrà pervenire al regno chi abbandona colei che è destinata a regnare. Cristo ci ha dato la pace, ci ha prescritto di essere d’un sol cuore e di un’anima sola, ci ha raccomandato di conservare integri e inviolati i legami dell’amore e della carità; perciò non potrà essere un martire colui che non osserva la carità fraterna. Ecco ciò che insegna e afferma l’apostolo Paolo: «E se avessi la fede fino a trasportare i monti, se non ho la carità, non sono nulla. E se distribuissi tutti i miei averi a sostentamento (dei poveri), e dessi il mio corpo a farmi bruciare, se non ho la carità, tutto ciò a niente mi serve. La carità è magnanima, la carità è benigna, la carità non è invidiosa, non si gonfia, non si irrita, non opera sconsideratamente, non pensa male, tutto ama, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non verrà mai meno» (1 Corinzi 13). «La carità non verrà mai meno ». Ci sarà essa infatti, sempre, nel regno: essa resterà in eterno, per l’unità dei fratelli perfettamente stretti insieme. Al regno dei cieli non perverrà la discordia. Il premio di Cristo — di Cristo che dice: «Questo è il mio comandamento, che vi amiate l’un l’altro come io ho amato voi » (Giovanni 15,12) — non toccherà a chi ha violato l’amore di Cristo con perfida disunità. Chi non ha la carità, non ha Dio. Ascolta la voce del beato apostolo Giovanni: «Dio è amore, e colui che rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui» (1 Giovanni 4,16). Non possono rimanere con Dio, quelli che non han voluto essere unanimi nella Chiesa di Dio. Brucino pure nelle fiamme, ed esposti al fuoco o dati alle belve diano pure la vita: non otterranno la corona della fede ma la pena del l’infedeltà; e ciò non sarà per loro l’esito glorioso della fortezza dei credenti, ma la fine dei disperati. Un uomo del genere può ben essere ucciso, non potrà essere coronato; può professarsi cristiano, ma cosi come pure il diavolo, mentendo, spesso si spaccia per il Cristo, secondo quanto il Signore stesso ci dice e ci avverte: «Molti verranno nel mio nome e diranno: io sono il Cristo; e trarranno non po chi in inganno» (Marco 13,6). Come quello non è Cristo, benché ne contrabbandi il nome per ingannarci, cosi non può essere considerato un seguace di Cristo colui che non rimane nel suo Vangelo e nella verità della fede.

 

15. - Certo, è cosa sublime e meravigliosa profetare, scacciare i demoni e operare grandi prodigi in terra. E tuttavia, colui che riesce a far questo non otterrà il regno dei cieli se non cammina tenendosi sul retto e buon cammino. Lo afferma il Signore, dicendo: «Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome, e scacciato demoni nel tuo nome, e non operammo grandi prodigi nel tuo nome? E allora io dirò loro: Non vi ho mai conosciuto; andate via da me, voi operatori di iniquità» (Matteo 7,22). È dunque necessaria la giustizia perché si possa meritare dinanzi a Dio, nostro giudice; bisogna osservare i suoi precetti e ammonimenti, perché i nostri meriti abbiano ricompensa. E il Signore, nel Vangelo, quando ha voluto tracciarci in poche parole la via della nostra speranza e della nostra fede, ha detto: «Il Signore Dio tuo è l’unico Signore... Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze. Questo il primo. Il secondo è simile a questo: amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la legge e i profeti» (Matteo 22,37). Con ciò, ci ha insegnato contemporaneamente l’unità e l’amore, e ha racchiuso in questi due precetti la legge e tutti i profeti. Ebbene, quale unità conserva, quale amore può custodire e comprendere colui che nel suo insensato furore di discordia divide la Chiesa, distrugge la fede, turba la pace, spazza via la carità, profana il mistero?

 

I segni dei tempi

16. - Miei fedelissimi fratelli, questo male già prima cominciò a diffondersi; ma adesso la funesta rovina provocata dallo stesso male si è aggravata; e ha preso a pullulare e a propagarsi maggiormente il veleno pestifero delle perversità ereticali e degli scismi. Questo infatti doveva verificarsi al declinare del mondo, come ci ha predetto e preannunziato lo Spirito Santo per mezzo dell’Apostolo: «Devi anche sapere che negli ultimi tempi verranno momenti difficili. Gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanitosi, orgogliosi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, senza religione, senza amore, sleali, maldicenti, intemperanti, intrattabili, nemici del bene, traditori, sfrontati, accecati dall'orgoglio, attaccati ai piaceri più che a Dio, con la parvenza della pietà, mentre ne hanno rinnegata la forza interiore. Guardati bene da costoro! Al loro numero appartengono certi tali che entrano nelle case e accalappiano donnicciole cariche di peccati, mosse da passioni di ogni genere, che stanno sempre lì ad imparare, senza riuscire mai a giungere alla conoscenza della verità. Sull'esempio di Iannes e di Iambres che si opposero a Mosè, anche costoro si oppongono alla verità: uomini dalla mente corrotta e riprovati in materia di fede. Costoro però non progrediranno oltre, perché la loro stoltezza sarà manifestata a tutti, come avvenne per quelli» (2 Timoteo 3,1). Tutto ciò che fu predetto si adempie e avvicinandosi ormai la fine del mondo — si realizza, con la prova insieme dei tempi e degli uomini. Più che mai, per la furia dell’avversario, l’errore trascina in inganno, la presunzione esalta, l’astio divampa, la cupidigia acceca, l’empietà deprava, la superbia gonfia, la discordia esaspera, l’ira travolge.

 

L’opportunità di evitare gli apostati

17. - Ma noi, non lasciamoci scuotere o turbare dall’eccesso rovinoso della perfidia di tanti; piuttosto la nostra fede sarà corroborata dal verificarsi delle predizioni. Se hanno cominciato a esserci di quei tali, con le deviazioni che erano state predette, gli altri fratelli si guardino da loro, poiché anche questo è stato predetto quando Dio ha voluto cosi istruirci: «Ma voi guardatevene! Ecco, io vi ho predetto ogni cosa» (Marco 13,23). Vi prego, evitate la gente di tal fatta, e tenete lontani da voi, dai vostri orecchi, come fossero un contagio mortale, le conversazioni dannose. Sta scritto infatti: «Circonda le tue orecchie di una siepe di spine e non stare ad ascoltare la lingua perversa » (Siracide 28,24); e ancora: «Le cattive compagnie corrompono i buoni costumi» (1 Corinzi 15,33). Il Signore ci insegna e ci avverte di stare alla larga da quei tali: «Sono dei ciechi — dice — che conducono altri ciechi. Ma se un cieco conduce un altro cieco, cadranno tutti e due in una fossa» (Matteo 15,14). Va considerato come un nemico, e va fuggito, chiunque si sia separato dalla Chiesa. Costui è un perverso, un peccatore, uno che si è condannato da se stesso (Tito 3,11). Crederà forse, costui, di essere con Cristo, lui che avversa i sacerdoti di Cristo e si separa dalla comunione del suo clero e del suo popolo? Egli leva le sue armi contro la Chiesa, si oppone alle disposizioni di Dio. Nemico dell’altare, ribelle verso il sacrificio di Cristo, perfido in fatto di fede, sacrilego in fatto di pietà, servo disobbediente, figlio empio, fratello nemico, egli osa stabilire un altro altare disprezzando i vescovi e abbandonando i sacerdoti di Dio, osa formulare un’altra preghiera in termini illegittimi, osa profanare con falsi sacrifici la vera ostia del Signore; e non sa che chi si oppone agli ordini di Dio viene punito dal castigo di Dio per la sua avventata temerità.

 

Punizione degli apostati nell’Antico Testamento

18. – Così Core, Dathan e Abiron, poiché, contro Mosè e il sacerdote Aronne, tentarono di arrogarsi la libertà di offrire il sacrificio, immediatamente furono puniti per ciò che avevano osato: la terra, scompaginandosi, si apri in una voragine profonda e questa spaccatura del suolo li risucchiò dritti e vivi. E l’ira e lo sdegno di Dio non colpirono soltanto gli autori del fatto: anche gli altri duecentocinquanta complici, che s’erano associati alla loro ribellione e al loro audace tentativo, furono divorati con rapido castigo da un fuoco suscitato dal Signore (Numeri 16). Questo ammonimento significa che si rivolge contro Dio stesso ogni sforzo dei perversi per abolire con la volontà dell’uomo le disposizioni di Dio. Ed ecco ciò che accadde anche al re Ozia: avendo preso in mano il turibolo, e assumendosi a forza il diritto di sacrificare, contro la legge di Dio (Numeri 17,5) e la resistenza del sacerdote Azaria, non volendo obbedire e cedere fu castigato dall’ira di Dio e deturpato in fronte da macchie di lebbra (2 Cronache 26,16-19): per l’offesa al Signore, fu marchiato proprio in quella parte del corpo in cui sono segnati quelli che si rendono degni del Signore. Anche i figli di Aronne, quando misero sull’altare un fuoco profano non prescritto dal Signore, subito, al cospetto del Signore che si vendicava, furono colpiti dalla morte (Numeri 3,4).

 

Il grave delitto contro l’unità

19. - Imitano e seguono appunto costoro, quelli che di sprezzando la tradizione divina vanno dietro a dottrine estranee e introducono un insegnamento di invenzione umana. Il Signore li riprende e li riprova nel suo Vangelo, dicendo: «Voi rigettate il comandamento di Dio per stabilire la vostra tradizione» (Matteo 15,6). Questo delitto è più grave di quello commesso dai lapsi [2]: questi ultimi, almeno, si sottomettono a far penitenza della loro colpa e implorano la misericordia di Dio, desiderosi di una piena riparazione. Da una parte si cerca la Chiesa, la si prega; dall’altra, la si combatte. Da una parte può esserci stata una necessità; dall’altra, la volontà persiste nel peccato. Da una parte chi ha rinnegato, con ciò ha fatto del male solo a se stesso; dall’altra, chi tenta di introdurre l’eresia e lo scisma porta con sé molti altri nella caduta. Da una parte soffre danno l’anima di uno solo; dall’altra, si espongono al pericolo un mucchio di gente. È così: l’uno è cosciente d’aver peccato e se ne duole, e ne piange; l’altro s’inorgoglisce nel suo peccato e si compiace nei suoi delitti, e separa i figli dalla madre, si dà da fare per allontanare le pecore dal pastore, mette confusione nei misteri di Dio. E mentre colui che non ha confessato la sua fede ha peccato una sola volta, l’altro pecca ogni giorno. Infine, se il primo viene in seguito a subire il martirio, può ottenere le promesse del regno; il secondo, se sarà messo a morte fuori della Chiesa, non perverrà alle ricompense della Chiesa.

 

20. – Né c’è da meravigliarsi, fratelli dilettissimi, se anche tra i confessori della fede alcuni giungano a tanto; e che certi cadano in peccati estremamente turpi e gravi. infatti, la confessione non rende immuni dalle insidie del diavolo, né protegge di perpetua sicurezza contro le tentazioni e i rischi e gli attacchi e gli assalti del mondo, mentre ancora uno è in questo mondo. Altrimenti, non vedremmo mai nei confessori le frodi e gli stupri e gli adulteri, che noi, pur troppo, dobbiamo costatare in alcuni, dolendocene profondamente. Chiunque sia, colui che ha confessato pubblicamente la fede durante la persecuzione, certo non potrà dirsi migliore o maggiore o più caro a Dio di Salomone: eppure costui, se nel tempo in cui segui le vie del Signore conservò la grazia che aveva ricevuta da Dio, quando invece abbandonò la via del Signore perdette anche la grazia del Signore (1 Re 11). Perciò sta scritto: «Conserva quello che hai, perché un altro non riceva la tua corona» (Apocalisse 3,11). Ed evidentemente il Signore non ci minaccerebbe, prospettandoci la possibilità di toglierci la corona di giustizia, se allontanandoci noi dalla giustizia non si allontanasse da noi necessariamente la corona.

 

21. - La confessione della fede [3] è l’inizio della gloria, non il conseguimento della corona; non è la nostra perfetta approvazione, ma solo ci introduce alla più alta dignità. Infatti sta scritto: «Chi avrà perseverato sino alla fine, costui sarà salvo» (Matteo 10,22). Cosi, tutto ciò che si compie prima della fine è un gradino per salire ancora sino al coronamento della nostra salvezza, non è la mèta finale e il punto culminante. Uno è confessore della fede: ma dopo la confessione il pericolo si fa più grave, poiché l’avversario è più irritato contro di lui. Uno è confessore della fede: deve stare maggiormente col Vangelo del Signore, dacché per mezzo del Vangelo egli ha ottenuto gloria dal Signore. «A chi molto è dato, molto sarà richiesto; e a chi è attribuita maggior dignità, più da lui si esige servizio» (Luca 12,48). Nessuno si perda a causa dell’esempio di qualche confessore; nessuno stia a imparare, dal comportamento di qualche confessore, l’ingiustizia, l’insolenza, la perfidia. Uno è confessore: si mostri umile e pacifico, sia modesto e amante della disciplina nel suo modo di fare, affinché colui che si dice confessore di Cristo imiti il Cristo che ha confessato. E infatti, egli dice: «Chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato» (Luca 18,14); ed egli stesso fu esaltato dal Padre perché, pur essendo Verbo e virtù e sapienza di Dio Padre, umiliò se stesso in terra (Filippesi 2,6-11). Ebbene, come potrà amare l’orgoglio, lui che con la sua legge ci comandò l’umiltà, lui che per la sua umiltà ricevette dal Padre il più alto nome? Uno è confessore di Cristo: si, ma poi non sia a causa sua bestemmiata la maestà e la dignità di Cristo. La lingua che ha confessato Cristo non sia maldicente, sediziosa; non sia udita strepitare con insulti e litigi; dopo le sue parole di lode, non inietti veleno d’aspide contro i fratelli e i sacerdoti di Dio. Ma se poi costui si renderà colpevole e detestabile, se sciuperà la sua confessione convertendosi al male, se macchierà la sua vita con ignominiose turpitudini, se infine abbandonando la Chiesa in cui è divenuto confessore e spezzando la concordia e l’unità cambierà la fede di prima con la perfidia di dopo, costui non potrà certo illudersi per via della sua confessione e pensare di essere destinato al premio della gloria, poiché anzi il suo stesso privilegio costituirà per lui un più grave titolo di condanna.

 

22. - Il Signore, non aveva scelto anche Giuda tra i suoi apostoli? E tuttavia Giuda in seguito tradì il Signore. Ma non per ciò, non perché il traditore Giuda si separò dalla loro compagnia, venne meno la costanza e la fede de gli apostoli. Cosi, anche qui tra noi, non viene d’un tratto polverizzata la santità e la dignità dei confessori, per il solo fatto che è andata in frantumi la fede di alcuni. Ecco come si esprime il beato Apostolo in una sua lettera: «E che dunque? Se alcuni di essi decaddero dalla fede, forse che la loro infedeltà ha annullato la fedeltà di Dio? Non sia mai. Dio infatti è verace; ma ogni uomo è mentitore» (Romani 3,3). Il più gran numero e la miglior parte dei confessori resta nella robustezza della propria fede e nella verità della legge e della disciplina del Signore; né si separano dalla pace della Chiesa, consci che nella Chiesa hanno ottenuto la grazia dalla bontà di Dio. Ed essi si attirano maggior lode della loro fede, per questo: per essersi cioè separati dalla perfidia di coloro che un tempo ebbero compagni nella confessione, tenendosi lontani, cosi, dal contagio del delitto. Illuminati dalla luce del Vangelo, splendenti del puro fulgore del Signore, sono tanto degni di lode per aver conservato la pace di Cristo quanto per essere stati vittoriosi nella lotta contro il nemico.

 

23. - Certo io mi auguro, fratelli carissimi, e vi consiglio e vi esorto, che se possibile nessuno dei fratelli perisca, e che la madre possa con gioia stringere al suo seno, come un sol corpo, il suo popolo unito. Ma se la mia esortazione, fatta per il loro bene, non riuscirà a richiamare sulla via della salvezza coloro che si mettono a capo di scismi e fomentano la divisione, rimanendo essi nella loro cieca e ostinata follia, voialtri, però, che foste tratti in inganno in buona fede, o foste spinti al l’errore, o foste abbindolati da qualche scaltra e astuta furberia, voi scioglietevi dai lacci della menzogna, liberate dall’errore i vostri passi disorientati, apprendete la retta via che conduce al cielo. Sentite come vi esorta l’Apostolo: «Vi raccomando nel nome del Signore Gesù Cristo, che evitiate quei fratelli che si comportano secondo il loro capriccio e non secondo la tradizione che hanno ricevuta da noi» (2 Tessalonicesi 3,6). ancora: «Nessuno vi inganni con vani ragionamenti poi ché per questo piomba l’ira di Dio sui figli della disobbedienza. Non vogliate dunque associarvi a loro» (Efesini 5,6). Occorre dunque stare alla larga; o meglio, occorre fuggire dai colpevoli: e ciò perché non accada che qualcuno, unendosi a quelli che si comportano male e vanno errando per vie traverse in mezzo ai peccati, finisca per commettere egli pure gli stessi peccati deviando dal cammino della verità. Uno è Dio e uno è Cristo, una è la sua Chiesa, e una la fede, e uno il popolo strettamente congiunto dal cemento della concordia nell’unità solida di un corpo. Non può spezzarsi l’unità. Non può essere separato un unico corpo, scompaginando la sua struttura; né può essere fatto a pezzi, lacerando e strappando le sue viscere. Quel che si separa da ciò che gli comunica la vita, fuori non può più vivere e respirare, finisce per perdere la sostanza vitale.

 

L’ideale della pace e dell’unanimità

24. - Lo Spirito Santo ci avverte e ci dice: «Chi è l’uomo che vuole la vita e ama vedere giorni migliori? Trattieni la tua lingua dal male, e non sfuggano dalle tue labbra parole di frode. Schiva il male e fa’ il bene, cerca la pace e seguila» (Salmo 33,13). Deve cercare e seguire la pace, colui che è figlio di pace; deve trattenere la sua lingua dal causare il male della di visione, colui che conosce e ama il vincolo della carità. Ecco quanto ci ha lasciato il Signore, fra gli altri suoi comandamenti divini e i suoi insegnamenti salutari. Già prossimo alla passione, dice: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace» (Giovanni 14,27). Ci ha lasciato questa eredità; e tutti i doni e le ricompense da lui promessici, sono legati alla conservazione della pace. Se dunque siamo eredi di Cristo, rimaniamo nella pace di Cristo; se siamo figli di Dio, dobbiamo essere pacifici. «Beati i pacifici, — dice, — perché saranno chiamati figli di Dio» (Matteo 5,9). Sì, i figli di Dio devono essere pacifici, miti di cuore, semplici nel loro parlare, concordi nell’amore, fedelmente tra di loro uniti dai vincoli dell’unanimità.

 

25. – È  questa unanimità che esistette un tempo, sotto gli apostoli: così il popolo nuovo dei credenti mantenne la carità, custodendo i comandamenti del Signore. Lo prova la Scrittura, dove si legge: «Ora la moltitudine di quelli che avevano creduto, agiva d’una sola anima e di un sol pensiero» (Atti 4,32) e ancora: «E tutti perseveravano unanimi nella preghiera, con le donne, e Maria la madre di Gesù, e con i fratelli di lui» (Atti 1,14). E perciò pregavano con efficacia; perciò potevano ot tenere con certezza tutto ciò che chiedevano dalla misericordia di Dio.

 

26. - In mezzo a noi invece questa unanimità è compromessa, e ne è prova il fatto che è decaduta pure la generosità delle opere. Allora vendevano le case e le loro proprietà e, facendosi tesori in cielo (Matteo 6,19; Luca 12,33), offrivano il ricavato agli apostoli perché lo si distribuisse a sollievo degli indigenti (Atti 4,34). Ma ora non diamo neppure la decima del nostro patrimonio; e anzi, pur avendoci comandato il Signore di vendere (Luca 12,33) noi compriamo e ci arricchiamo. Sino a questo punto si è afflosciato in noi il vigore della fede, è andata languendo la forza dei credenti. E perciò il Signore, guardando ai nostri tempi, dice nel suo Vangelo: «Quando il Figlio dell’uomo verrà, credi che troverà fede sulla terra?» (Luca 18,8). Noi vediamo che si sta proprio avverando ciò che egli ha predetto. Non si crede più che bisogna avere il timor di Dio, che c’è una legge di giustizia, non si crede nell’amore, nelle opere. Nessuno pensa con timore alle cose future, nessuno considera il giorno del Signore e l’ira di Dio e i supplizi riservati agli increduli e gli eterni tormenti cui sono destinati i perfidi. La nostra coscienza le temerebbe, tutte queste cose, se credesse; ma poiché non crede, non le teme minima mente. Se invece le credesse, se ne guarderebbe, e guardando sene le eviterebbe.

 

27. - Svegliamoci il più possibile, fratelli carissimi (Romani 13,11). E scuotendoci dal sonno dell’inveterata inerzia, vegliamo nell’osservanza e nella pratica dei precetti del Signore. Siamo tali, quali egli ci ha prescritto di essere col dire: «Siano cinti i vostri fianchi, e accese le vostre lampade; e voi siate simili a uomini che attendono il loro padrone quando torni da nozze, per aprirgli appena viene e picchia alla porta: beati quei servi che il padrone, al suo arrivo, troverà vigilanti» (Luca 12,35). Bisogna esser cinti, perché quando sopravverrà il giorno della partenza, esso non ci trovi impacciati e impigliati. La nostra lampada deve stare accesa e risplendere nelle buone opere, affinché lui dalla notte di questo mondo ci conduca alla luce dello splendore eterno. Attendiamo, sempre pronti e prudenti, l’avvento del Signore che sarà improvviso: così, quando egli busserà, la nostra fede sarà sveglia e riceverà dal Signore il premio della vigilanza. Se osserveremo questi comandi, se riterremo questi ammonimenti e precetti, non saremo come dormienti che il diavolo potrà trarre in inganno: saremo, al contrario, servi vigili; e regneremo col Cristo regnante.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] A questo punto, secondo alcuni testimoni, il testo di Cipriano proseguirebbe così: [E dopo la risurrezione, gli dice: “Pasci le mie pecore” (Giovanni 21,17). Sopra uno solo edifica la Chiesa e a lui comanda di pascere le sue pecore. E benché dia a tutti un’uguale potestà, tuttavia costituisce una sola cattedra e stabilisce con l’autorità della sua parola l’origine dell’unità. Anche gli altri apostoli erano certo ciò che era Pietro, ma il primato fu dato a Pietro sicché si mostrasse una sola Chiesa ed una sola cattedra. E tutti sono pastori, ma ne risulta un solo gregge, perché tutti gli apostoli lo pascolano con unanime accordo. Chi non conserverà questa unità, raccomandata anche da Paolo, crederà forse di conservare la fede? Chi abbandonerà la cattedra di Pietro, sulla quale è fondata la Chiesa, penserà di essere ancora nella Chiesa?]

 

[2] Lapsi erano coloro che avevano rinnegato la propria fede durante le persecuzioni.

 

[3] Confessori della fede erano coloro che avevano affrontato coraggiosamente il martirio ma - per caso, per fortuna o per grazia - erano poi sopravvissuti. Godevano di enorme prestigio morale e spirituale nella comunità cristiana. Alcuni erano stimati come vescovi e li affiancavano nella guida della chiesa, mentre altri -montati in superbia- non esitavano ad introdurre divisioni, eresie e scismi.