LA SOTTOMISSIONE
DI CRISTO AL PADRE












GIOVANNI 14,28 - 1 CORINZI 11,3 - 1 CORINZI 15,28





 

SOTTOMESSO

 

 

 

A CHI FU SOTTOMESSO CRISTO

SOTTOMESSO ALLA MORTE

SOTTOMESSO MA NON  INFERIORE

LE DUE NATURE DI CRISTO 

L'IGNORANZA DEL FIGLIO

 

 

 

 

 

 

A CHI FU SOTTOMESSO CRISTO

 

Gesù Cristo, pur esistendo nella forma di Dio (Filippesi 2,6) e pur possedendo tutte le cose del Padre (Giovanni 16,23 e 17,10), non considerò la sua uguaglianza con Dio come qualche cosa da afferrare e da trattenere in modo rapace. In altre parole, pur essendo figlio e pur possedendo sia la dignità regale che la natura divina, non diede la scalata al trono del Padre né volle conservare la sua uguaglianza col Padre in modo geloso. Per salvarci umiliò se stesso (1 Timoteo 2,5), assunse la natura umana (Giovanni 1,14) e si rese ubbidiente fino alla morte in croce (Filippesi 2,7-8).

 

Fu  pertanto limitato da un corpo e sulla terra fu  sottomesso:

al Padre (Giovanni 14,28; Giovanni 20,17; Efesini 1,17);

ai genitori (Luca 2,51);

alla debolezza umana (Giovanni 14,28; Matteo 26,37; Giovanni 11,33);

alla tentazione ma non al peccato (Matteo 4,1; 2 Corinzi 5,21; Ebrei 4,15);

all'ignoranza (Matteo 24,36 e Marco 13,32);

agli angeli (Ebrei 2,7);

alla morte (Filippesi 2,8).

 

Anche dopo la resurrezione Cristo:

è sottomesso al Padre (Giovanni 20,17; Romani 15,6; 1 Corinzi 11,3; Efesini 1,17);

farà atto di sottomissione al Padre alla fine dei tempi (1 Corinzi 15,28).  

 

Nella nuova Gerusalemme però la sottomissione finirà:

Gesù Cristo non si siederà più alla destra di Dio

ma sullo stesso trono di Dio: il trono di Dio e dell'Agnello (Apocalisse 22,1 e 22,3).

 

Tra sottomissione ed inferiorità esiste comunque una notevole differenza: per natura tutti gli uomini sono uguali, mentre gli animali sono inferiori agli uomini. Tra gli uomini poi esistono casi di subordinazione come quella dei figli ai genitori o quella dei cittadini alle autorità preposte. Una cosa, pertanto, è dire che Cristo è di natura divina, generato dal Padre e a Lui sottomesso, mentre altra cosa è dire che il Figlio è di natura angelica, creato ed inferiore a Dio.

 

 

SOTTOMESSO ALLA MORTE

 

La morte di Gesù Cristo fu reputata stoltezza dai pagani e scandalo dagli ebrei (1 Corinzi 1,23). Per gli ebrei fu la prova più evidente che Cristo non era Dio: un Dio che muore era infatti scandaloso ed inaccettabile anche per coloro che non aspettavano un messia glorioso. Del resto il profeta Abacuc definisce Dio come immortale, cioè "YHWH che non muore" (Abacuc 1,12): se Cristo fosse stato Dio non sarebbe morto. Gesù invece realmente morì e, pur non subendo la corruzione, venne deposto nel sepolcro (Atti 2,31). La morte non fu però solo conseguenza della debolezza umana ma anche frutto di una libera scelta del Padre (Matteo 26,42) e del Figlio (Giovanni 10,18). Nei giorni del sepolcro Cristo non fu annientato ma portò avanti la propria opera redentrice. Secondo la fede cattolica Cristo discese agli inferi. L'apostolo Pietro insegna che Nostro Signore andò in spirito a predicare ai morti, per cercare di salvare gli spiriti ribelli che, nei tempi antichi, non avevano ascoltato l'invito alla conversione (Giovanni 5,25; 1 Pietro 3,19-20; 1 Pietro 4,6; Filippesi 2,10). Senza la morte di Gesù larga parte dell'umanità sarebbe stata tagliata fuori dalla salvezza. I morti fuori dalla grazia di Dio non avrebbero potuto, infatti, sopportare la luce di Dio e solo l’uomo Gesù Cristo riuscì, da morto, ad avvicinarli e a liberarli dalle catene del male .

 

La resurrezione, come la creazione e la redenzione, furono infatti opera sia del Padre che del Figlio. Se Cristo non fosse stato Dio non avrebbe poi potuto avere alcun potere sulla morte (Apocalisse 1,18) né avrebbe potuto affermare:

 

·         a proposito di se stesso "io sono il buon pastore" (Giovanni 10,11) perché aveva chiaramente affermato che "nessuno è buono, tranne Dio" (Luca 18,19);

·         a proposito del proprio corpo "distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere" (Giovanni 2,19-21);

·         a proposito della propria vita " io offro la mia vita per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie ma la offro da me stesso, perché ho il potere di offrirla ed il potere di riprenderla di nuovo" (Giovanni 10,17-18).

 

 

SOTTOMESSO MA NON  INFERIORE

 

Il fatto poi che il potere sia stato dato dal Padre (Matteo 28,18) e che il Figlio abbia detto che  "non può far nulla da se stesso se non ciò che vede fare dal Padre" (Giovanni 5,19) non è segno di inferiorità ma di sottomissione. Infatti:

 

·         il Figlio disse che  non poteva far nulla da se stesso se non ciò che vedeva fare dal Padre (Giovanni 5,19)  solo quando era uomo sulla terra e limitato da un corpo mortale;

·         lo stesso Cristo insegnò che "tutto quello che il Padre possedeva era suo" (Giovanni 16,23 e 17,10), intendendo  sicuramente dire che anche il potere era suo;

·         se poi "le cose che fa il Padre, il Figlio le fa similmente" (Giovanni 5,19), vuol dire che il Figlio è onnipotente come il Padre;

·         se infine è vero che "il Padre non giudica nessuno ma ha dato ogni giudizio al Figlio, affinchè tutti onorino il Figlio come onorano il Padre" (Giovanni 5,22-23),  vuol dire che il Figlio fa anche delle cose che non vede fare dal Padre e che il Padre non fa.

 

Il Figlio non è pertanto né un rappresentante impotente né un semplice riflesso del Padre. Perché allora quando era uomo disse che non poteva fare nulla da solo? Egli stesso ci spiega, qualche versetto dopo, che non poteva far nulla da solo perché "non cerca la sua volontà ma la volontà di colui che lo ha mandato" (Giovanni 5,30). Gesù infatti profetizzò che "quando innalzerete il Figlio dell'uomo, allora conoscerete che io sono e che non faccio nulla da me stesso ma come mi ha insegnato il Padre, queste cose dico" (Giovanni 8,28). Inoltre sta scritto che "il Padre ama il Figlio e gli mostra tutto ciò che fa" (Giovanni 5,20).

 

 

LE DUE NATURE DI CRISTO   

 

In Cristo coesistono comunque due nature: la natura umana e la natura divina. Coloro che attribuiscono a Gesù una unica natura angelica tentano di giungere ad un compromesso tra le due nature di Cristo.      

 

Come Figlio dell'Uomo (Matteo 8,20; Matteo 24,30; Giovanni 3,14; 1 Timoteo 2,5) possiamo dire che il Padre era maggiore di lui (Giovanni 14,28), che non conosceva il giorno della fine (Marco 13,32), che è stato fatto inferiore agli angeli (Ebrei 2,7), che il capo di Cristo è Dio (1 Corinzi 11,3), che farà atto di sottomissione al Padre alla fine dei tempi (1 Corinzi 15,28), che il Padre è il Dio del Signore Gesù Cristo (Giovanni 20,17; Romani 15,6; Efesini 1,17), che vi è un solo Dio, il Padre, ed un solo Signore, Gesù Cristo (1 Corinzi 8,6). Dopo la morte e resurrezione la natura umana venne glorificata e Gesù Cristo uomo meritò i titoli Figlio di Dio (Romani 1,4) e di Signore (Atti 2,36; Romani 14,9; Filippesi 2,9-11). Pertanto quando Gesù disse che il Padre era maggiore di lui (Giovanni 14,28), non intendeva confrontare la divinità del Padre con la sua, né la sua natura umana con l'essenza divina del Padre, ma piuttosto la sua condizione terrena con la gloria celeste nella quale era il Padre e alla quale sarebbe successivamente tornato.

 

Per la sua natura divina Gesù Cristo poteva però vantare il titolo di Figlio di Dio (Matteo 4,3; Luca 1,35; Giovanni 1,18; Giovanni 10,36) già prima della resurrezione e poteva dire al Padre di glorificarlo con la gloria che aveva presso il Padre prima che il mondo fosse (Giovanni 17,5), perché Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre (Ebrei 13,8). Come Figlio di Dio, Gesù Cristo è pertanto anche Dio, come testimonia tutto il Nuovo Testamento (Giovanni 1,1; Giovanni 20,28; Romani 9,5; Tito 2,13; 1 Giovanni 5,20). Quando era sulla terra Cristo proclamò poi che tutto quello che il Padre possedeva era suo (Giovanni 16,23 e 17,10), che lo Spirito Santo avrebbe preso le cose del Figlio per annunziarle agli uomini (Giovanni 16,22). Inoltre  chiamò Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio (Giovanni 5,18) ed affermò che il Figlio deve essere onorato come il Padre (Giovanni 5,23). Dopo la resurrezione ogni potere è stato dato a Cristo in cielo e in terra (Matteo 28,18) e nel nome di Gesù deve piegarsi ogni ginocchio, in cielo e in terra, ed ogni lingua deve proclamare che Cristo è Signore a gloria di Dio Padre (Filippesi 2,11-12).

 

 

     L'IGNORANZA DEL FIGLIO

 

L'ignoranza di Cristo sul giorno e sull'ora della fine dei tempi (MT 24,36 e Marco 13,32) ha creato non poche riflessioni all'interno della cristianità, soprattutto nello scontro con il pensiero ariano, unitario ed antitrinitario. Secondo Agostino il "non sapere" del Figlio andrebbe inteso in senso diplomatico (La Trinità, I, 12, 23): Cristo, pur conoscendo tutte le cose (Giovanni 16,30), non sarebbe stato autorizzato dal Padre a rivelare alcuni particolari escatologici (Giovanni 12,49; Atti 1,7). Secono Atanasio (Quattro Discorsi contro gli Ariani, III, 43) e Gregorio Nazianzeno (Orazione, XXX, 15), Cristo avrebbe ignorato i tempi della fine come uomo ma ne avrebbe avuto piena conoscenza come Dio. Secondo alcuni studi più recenti, l'ignoranza, la debolezza, le sofferenze e la morte di Cristo sarebbero più semplicemente legate alla kenosi, cioè al volontario abbandono di alcune prerogative divine (Filippesi 2,5-8), senza dover per forza ipotizzare il ricorso a bugie ufficiose o a una separazione quasi schizofrenica tra l'umanità e la divinità del Verbo.


     IL NOME DI YHWH ED IL NOME DI GESÙ

 

Il profeta Gioele annunziò che verso la fine dei tempi "chiunque invocherà il nome di YHWH sarà salvato" (Gioele 3,5), mentre Isaia riportò un'affermazione monoteista molto categorica "Io sono YHWH; questo è il mio nome; e non darò la mia gloria ad un altro …" (Isaia 42,8).

 

Se Cristo non è Dio, questi versetti contrastano non poco con le affermazioni:

 

·         di Pietro, che parlando del nome di Gesù davanti agli anziani, ai capi, agli scribi e al sommo sacerdote, disse: "non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati" (Atti 4,12);

 

·         di Paolo che, attribuito a Cristo il titolo di Signore “Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza. Dice infatti la Scrittura: Chiunque crede in lui non sarà deluso. Poiché non c'è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che l'invocano. Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato (Romani 10,9-13), gli applicò le profezie di Isaia “Ecco io pongo una pietra in Sion, una pietra scelta, angolare, preziosa, saldamente fondata: chi crede non vacillerà” (Isaia 28,16) e di Gioele "chiunque invocherà il nome di YHWH sarà salvato" (Gioele 3,5)

 

·         dello stesso Cristo che dopo la guarigione di un infermo alla piscina di Betsaida disse "il Padre non giudica nessuno ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre" (Giovanni 5,22-23).

 

Alla fine dei tempi Gesù Cristo non si siederà più alla destra di Dio (Salmo110; Daniele 7,13-14; Matteo 26,64; Atti 2,33; Ebrei 1,13; Atti 7,55-56; Apocalisse 5,13) ma sullo stesso trono di Dio (Apocalisse 22,1 e 22,3): il trono di Dio e dell'Agnello.