IL REGNO DI DIO








L'UOMO POSSIEDE REALMENTE UN'ANIMA IMMORTALE?



 

 

 

 

 

 

 

Cheshbown: pensiero razionale o ragione logica?

La Bibbia afferma che dopo la morte non c’è più nulla?

La fede nell’immortalità dell'anima è presente nel pensiero ebraico?

La Bibbia insegna che l’anima è immortale?

I cristiani dell'antichità credevano nell'immortalità dell'anima?

L’immortalità dell’anima è compatibile con le leggi della fisica?

 

 

 

 

SOGGIORNO DEI MORTI E STATO DI INCOSCIENZA

(Ecclesiaste 9,10)

 

Questo è il versetto spesso citato da tutti coloro che pensano che il concetto di immortalità dell’anima sia totalmente assente dalla Bibbia e dalla cultura ebraica: "I vivi sanno che moriranno, ma i morti non sanno nulla; non c’è più salario per loro, perché il loro ricordo svanisce. Il loro amore, il loro odio e la loro invidia, tutto è ormai finito, non avranno più alcuna parte in tutto ciò che accade sotto il sole. Và, mangia con gioia il tuo pane, bevi il tuo vino con cuore lieto, perché Dio ha gia gradito le tue opere. In ogni tempo le tue vesti siano bianche e il profumo non manchi sul tuo capo. Godi la vita con la sposa che ami per tutti i giorni della tua vita fugace, che Dio ti concede sotto il sole, perché questa è la tua sorte nella vita e nelle pene che soffri sotto il sole. Tutto ciò che trovi da fare, fallo finché ne sei in grado, perché non ci sarà né attività, né ragione, né scienza, né sapienza giù nel soggiorno dei morti, dove stai per andare (Ecclesiaste 9, 5-10)."

 

 

SOGGIORNO DEI MORTI E PENSIERO

 (Ecclesiaste 7,25-27)

 

Questi due versetti mostrano, invece, come il termine ebraico tradotto comunemente con “pensiero” in Ecclesiaste 9,10 abbia ben poco a vedere con quella che è comunemente considerata l’attività cosciente e consapevole dell’anima umana: "Mi sono applicato di nuovo a conoscere e indagare e cercare la sapienza e il perché delle cose e a conoscere che la malvagità è follia e la stoltezza pazzia. Trovo che amara più della morte è la donna, la quale è tutta lacci: una rete il suo cuore, catene le sue braccia. Chi è gradito a Dio la sfugge ma il peccatore ne resta preso. Vedi, io ho scoperto questo, dice Qoèlet, confrontando una ad una le cose, per trovarne la ragione". Evidentemente nel soggiorno dei morti non c'è spazio per lavori, progetti, disegni, programmi, ricerche di motivi, cause, astuzie, furbizie, abilità, scienze e sapienze terrene. La parola spesso tradotta con “ragione” e “pensiero” (cheshbown) e da molti usata per provare che i morti sono inconsci è invero presente solo in altri due punti della Bibbia (Ecclesiaste 7,25 ed Ecclesiaste 7,27) con il significato di “causa”, “ragione logica”, “motivo” e non di “pensiero” o “ragionamento”

 

 

LO SHEOL NELLA BIBBIA

 

"Sheol" è una parola di origine sconosciuta che designa le profondità della terra (Deuteronomio 32,22) dove i morti discendono (Genesi 37,35; Numeri 16,30; 1 Samuele 2,6; 1 Re 2,6; Proverbi 1,12; Proverbi 7,27) e dove buoni e cattivi terminano la loro esistenza (Salmo 89,49), hanno una tetra sopravvivenza (Ecclesiaste 9,10) e Dio non viene lodato (Salmo 6,6; Salmo 88,6-13; Salmo 115,19; Isaia 38,18). Le anime dei morti, comunque, conservavano là qualche consapevolezza e qualche pensiero e, alla luce di tutta la Bibbia (1 Samuele 28; Giobbe 26,4; Isaia 14,9-17; Ezechiele 32,21; Luca 16,19-31; 2 Corinzi 5,1-10; Filippesi 1,23; Apocalisse 6,11), non vanno incontro al totale annullamento ed al completo oblio.  Nello “Sheol” scese Cristo per annunciare la salvezza ai morti, cioè agli spiriti che furono ribelli fin dai tempi di Noé e del diluvio universale (1 Pietro 3,19-20; 1 Pietro 4,6).

 

L’autore di Qoèlet non nega  la  sopravvivenza dell’uomo subito dopo la morte. Non dice: “stai per andare nel nulla”, ma “stai per andare nello Sheol” ossia nella “regione delle ombre". Egli si limita a descrivere la vita dell’aldilà secondo le idee del suo tempo (III a.C.): una vita o modo di essere in forte contrasto con quella sulla terra. Senza attività, senza passioni, senza conoscenza. Non è comunque uno stato di inesistenza. In effetti, lo Sheol era immaginato come la fine delle attività terrene, anche della lode di Jahvé (Salmo 6, 6), la fine della potenza e prepotenza umana, ma non dell’esistenza in modo assoluto.

 

Un altro testo di Qoèlet dice: “La sorte degli uomini e quella delle bestie è la stessa; come muoiono queste muoiono quelli; c’è un soffio vitale per tutti. Non esiste superiorità dell’uomo rispetto alle bestie, perché tutto è vanità. Tutti sono diretti verso la medesima dimora: tutto è venuto dalla polvere e tutto ritorna alla polvere. Chi sa se il soffio vitale dell’uomo salga in alto e se quello delle bestie scenda in basso?” (Ecclesiaste 3, 19-21).

 

Ciò che Qoèlet intende anche qui mettere in rilievo è la universalità della morte: ogni essere vivente sulla terra - uomo, bestia e anche pianta - è soggetto alla legge della morte. Da questo punto di vista, la sorte di tutti i viventi è, comune. Tutti sono diretti verso la terra o polvere, che è per tutti la medesima dimora. Ma da ciò non segue che dopo la morte vi sia per tutti il medesimo destino. L’autore alla fine ricorda, infatti, che "lo spirito torna a Dio che l’ha dato" (Ecclesiaste 12, 7) e conclude ammonendo: “Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è tutto per l’uomo. Infatti, Dio citerà in giudizio ogni azione, tutto ciò che è occulto, bene o male” (Ecclesiaste 12, 13-14).

 

 

LA FEDE NELL’IMMORTALITÀ DELL'ANIMA E' PRESENTE NEL PENSIERO EBRAICO?  

 

Già nel pensiero ebraico moltissimi credevano nell’immortalità dell’anima. Negli Atti degli apostoli sta infatti scritto: "I sadducei infatti affermano che non c'è risurrezione, né angeli, né spiriti; i farisei invece professano tutte queste cose" (Atti 23,8) e, secondo l’autorevole testimonianza dello storico ebraico Giuseppe Flavio (37 d.C. –103 d.C.), “I Farisei …credono alla immortalità delle anime, e che sotto terra vi siano ricompense e punizioni per coloro che seguirono la virtù o il vizio: eterno castigo è la sorte delle anime cattive, mentre le anime buone ricevono un facile transito a una nuova vita. I Sadducei ritengono che le anime periscano come i corpi. …..Gli Esseni. considerano l’anima immortale e credono di dovere lottare soprattutto per avvicinarsi alla giustizia. [Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, XVIII, 11-18].

 

Un’accurata analisi del significato dei termini ebraici “anima” (nefesh) e “spirito” (ruah) è stata poi effettuata dal filosofo ebraico Mosé Maimonide (1135 d.C.-1204 d. C.)

 

 Mosé Maimonide insegna che: “Spirito” [ruah] è un termine equivoco, che designa l’aria, ossia uno dei quattro elementi: “E lo spirito di Dio aleggiava sulle acque” (Genesi 1,2). È un termine che designa pure il vento che soffia: “Lo spirito dell’est aveva portato le cavallette” (Esodo 10,13); “spirito del mare” (Esodo 10,19); e di questo vi sono molti esempi. È anche un termine che designa lo spirito animale: “Uno spirito che va e non si ferma” (Salmo 78,39); “ogni carne nella quale è uno spirito di vita” (Genesi 7,15) È anche un termine che designa cosa resta dell’uomo dopo la morte, e che non subisce la corruzione: “lo spirito tornerà a Dio che lo ha dato” (Ecclesiaste 12,7). È anche un termine che designa l’emanazione intellettuale divina che viene sparsa sui profeti e grazie alla quale essi profetizzano, come ti spiegheremo quando parleremo della profezia come conviene parlarne in questa opera: “Io prenderò lo spirito che è su di te e lo porrò su loro” (Numeri 11,17); “quando si posò su di loro lo spirito” (Numeri 11,25); “Lo spirito del Signore parla per mezzo mio” (2 Samuele 23,2), e di questo vi sono molti esempi. È anche un termine che designa l’intenzione e la volontà: “Lo stolto fa uscire tutto il suo spirito” (Proverbi 29,11), ossia la sua intenzione, la sua volontà; parimenti: “Lo spirito dell’Egitto sarà svuotato in mezzo ad esso, e renderò vano il suo consiglio” (Isaia 19,3) significa che le sue intenzioni saranno disperse ed il suo governo sparirà. Del pari “Chi comprende lo spirito del Signore e il Suo consiglio, ce lo insegni” (Isaia 40,13) vuol dire: Colui che sa la disposizione della Sua volontà, o comprende il Suo governo dell’esistenza così com’è, ce lo insegni, come spiegherò nei capitoli che dedicherò alla provvidenza. Ogni volta che “spirito” è riferito a Dio è usato nel quinto significato, e solo alcune volte nell’ultimo significato, ossia quello di volontà, come abbiamo spiegato. Lo si interpreti dunque in ogni passo secondo ciò che indica il contesto. [Mosé Maimonide, La Guida dei perplessi, Parte Prima, XL]

 

Sempre Mosé Maimonide ricorda che: “Anima” [nefesh] è un termine equivoco. Designa l’anima animale che è comune ad ogni essere dotato di sensazione: “Dove c’è l’anima di vita” (Genesi 1,30). Designa anche il sangue: “Non mangiare l’anima con la carne” (Deuteronomio 12,23). Designa anche l’anima razionale, ossia la forma dell’uomo: “Per la vita di Dio che ci ha fatto questa anima” (Geremia 38,16). Designa anche ciò che resta dell’uomo dopo la morte: “L’anima del mio signore è chiusa nello scrigno della vita” (1 Samuele 25,29). Designa la volontà: “Per costringere i suoi principi secondo la sua anima” (Salmo 105,22), ossia, secondo la sua volontà; parimenti: “E non lo darai all’anima dei suoi nemici” (Salmo 41,3), ossia: “non lo lascerai in balìa della loro volontà”. Nello stesso senso, secondo me, è l’espressione: “Se è conforme alla vostra anima che io seppellisca il mio morto” (Genesi 23,8), ossia se questo è conforme alla vostra intenzione e alla vostra volontà; e del pari: “Se anche si presentassero Mosè e Samuele davanti a Me la Mia anima non sarebbe disposta verso questo popolo” (Geremia 15,1), ossia: Io non ho volontà nei loro confronti, ovvero non voglio che essi sopravvivano. Ogni menzione di “anima” relativa a Dio è nel senso di volontà, come abbiamo detto prima a proposito del detto del Signore: “Agirà secondo ciò che è nel Mio cuore e nella Mia anima” (1 Samuele 2,35), ossia, secondo la Mia volontà e la Mia intenzione. Secondo questo significato va interpretato il versetto: “E la Sua anima si trattenne nella sofferenza di Israele” (Giudici 10,16), ossia la Sua volontà rinunciò a rendere miserabile Israele. [Mosé Maimonide, La Guida dei perplessi, Parte Prima, XLI]

 

 

LA BIBBIA INSEGNA CHE L'ANIMA È IMMORTALE?  

 

Sebbene il Vecchio Testamento enfatizzi più volte, in modo provocatorio, l'indebolimento delle potenzialità umane dopo la morte (Ecclesiaste 9,10 e Salmo 6,5) e, per un certo gusto del paradosso, metta talora addirittura in dubbio le possibilità di resurrezione (Giobbe 14,14), la fede nell'immortalità dell'uomo trova solidi fondamenti in tutta la Sacra Scrittura. Alcuni passi possono sicuramente essere letti in senso figurato ma il loro grande numero rende estremamente improbabile che siano stati inseriti nella Bibbia, già sapendo che avrebbero potuto essere travisati, soprattutto alla luce di credenze ampiamente diffuse nel mondo greco e pagano.

 

Si vedano, ad esempio:

 

 

 

I CRISTIANI DELL'ANTICHITÀ CREDETTERO NELL'IMMORTALITA' DELL'ANIMA?

 

La fede nell'immortalità dell'anima fu condivisa per almeno due secoli dal pensiero ebraico e dal cristianesimo, come confermano le testimonianze di Flavio Giuseppe e dei primi padri della chiesa. A ciò va aggiunto il fatto che, rispetto alle testimonianze contenute nella legge e nei profeti, è ragionevole pensare che lo stato di addormentamento o di quasi totale annullamento delle anime dei morti, sia mutato radicalmente dopo la venuta di Cristo. Con la discesa agli inferi e la successiva resurrezione, Gesù potrebbe aver dato direttamente accesso al giudizio a tutti coloro che attendevano nello Sheol, consentendo di affermare con sicurezza che "è stabilito che gli uomini muoiano una volta sola, dopo di che viene il giudizio" (Ebrei 9,27). Affermazioni divergenti iniziarono a diffondersi solo a partire dal III secolo dell'era volgare quando le ipotesi dello psicopannichismo (cioè del sonno dell'anima) o del tanatopsichismo (cioè della morte dell'anima col corpo) trovarono paladini e difensori anche all'interno della cristianità, con casi emblematici come quello del papa Giovanni XXII (1241-1334).

 

Giustino Martire credette che le anime sopravvivessero alla morte non per loro intrinseca virtù, ma per volere di Dio. Secondo Giustino tutto il cosmo continua ad esistere solo perché Dio lo tiene nell’essere e lo fa sussistere. Se Dio volesse, potrebbe distogliere lo sguardo dal mondo ed esso cadrebbe nel nulla, così allo stesso modo le anime continuano a sussistere perché questa è la ferma volontà di Dio. I platonici, con cui Giustino dialogò, sostenevano invece che l’anima è immortale non perché Dio la renda tale, ma perché avrebbe in sé una natura immortale intrinseca. Giustino, lungi dal condividere la filosofia platonica, puntualizzò, proprio contro i platonici, che l’anima è immortale perché è Dio a renderla tale, mentre in sé potrebbe anche essere mortale e cadere nel nulla. Alcuni studiosi hanno equivocato il pensiero di Giustino ma dall’attenta lettura dei suoi scritti emerge chiaramente come il suo pensiero fosse in armonia con la fede cristiana nella vita ultraterrena. Importanti sono quindi le testimonianze del II secolo di Ireneo, di Eusebio, di Atenagora, di Teofilo e della lettera a Diogeneto.

 

Nel VI capitolo della lettera a Diogeneto (metà del II secolo) si legge: A dirla in breve, come è l'anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani. L'anima è diffusa in tutte le parti del corpo e i cristiani nelle città della terra. L'anima abita nel corpo, ma non è del corpo; i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo. L'anima invisibile è racchiusa in un corpo visibile; i cristiani si vedono nel mondo, ma la loro religione è invisibile. La carne odia l'anima e la combatte pur non avendo ricevuto ingiuria, perché impedisce di prendersi dei piaceri; il mondo che pur non ha avuto ingiustizia dai cristiani li odia perché si oppongono ai piaceri. L'anima ama la carne che la odia e le membra; anche i cristiani amano coloro che li odiano. L'anima è racchiusa nel corpo, ma essa sostiene il corpo; anche i cristiani sono nel mondo come in una prigione, ma essi sostengono il mondo. L'anima immortale abita in una dimora mortale; anche i cristiani vivono come stranieri tra le cose che si corrompono, aspettando l'incorruttibilità nei cieli. Maltrattata nei cibi e nelle bevande l'anima si raffina; anche i cristiani maltrattati, ogni giorno più si moltiplicano. Dio li ha messi in un posto tale che ad essi non è lecito abbandonare. [A Diogeneto, VI, 1-10]

 

Nel VI capitolo della Storia Ecclesiastica di Eusebio (metà del IV secolo) si legge: All’epoca di cui stiamo parlando, in Arabia, altre persone divulgarono un insegnamento estraneo alla verità: costoro sostenevano che, nel tempo presente, al momento della morte, l’anima dell’uomo muore con il corpo e provvisoriamente si corrompe, ma che un giorno, al momento della resurrezione, tornerà di nuovo a vivere con esso. Anche allora si riunì un importante sinodo (verso il 250 d.C.) e Origene …..si comportò in modo tale da fare cambiare opinione a coloro che prima erano stati ingannati . [Eusebio, Storia Ecclesiastica, VI, 37]

 

Nel Dialogo con Trifone di Giustino (metà del II secolo) si legge Ora, è provato che le anime sopravvivono dopo la morte dal fatto che l’anima di Samuele fu invocata dalla strega, come aveva chiesto Saul [Giustino, Dialogo con Trifone, 105, 4] e anche E pur tuttavia non intendo affermare che le anime muoiano, il che sarebbe un bel colpo di fortuna per i malvagi. E allora? Credo che le anime degli uomini pii soggiornino in un luogo migliore e quelle ingiuste e malvagie in uno peggiore, in attesa del momento del giudizio. Allora quelle che risulteranno degne di Dio non moriranno più, le altre invece saranno punite per il tempo che Dio vorrà vivano e siano punite [Giustino, Dialogo con Trifone, V, 3] .

 

Nella Prima Apologia di Giustino (metà del II secolo) si legge: Ma poiché a tutti coloro che sono vissuti rimane la sensibilità ed è apprestata una punizione eterna, non trascurate di persuadervi e di credere che queste sono cose vere. La negromanzia, infatti, e le osservazioni di fanciulli incontaminati e le evocazioni di anime umane e gli spiriti che, presso i maghi, sono detti evocatori di sogni e loro assistenti e tutti i fenomeni che avvengono per opera dei conoscitori di scienze occulte, vi persuadano che anche dopo la morte le anime mantengono le facoltà sensitive. [Giustino, I Apologia, 18,2-3]

 

Ancora nella Prima Apologia di Giustino (metà del II secolo) si legge Tutte le teorie formulate da filosofi e poeti sull'immortalità dell'anima, o sulle punizioni dopo morte, o sulla contemplazione delle cose celesti, o su simili dottrine, essi le hanno potute comprendere e le hanno esposte prendendo le mosse dai Profeti. [Giustino, I Apologia, 44,9]

 

Nel II capitolo del libro Contro le Eresie, Ireneo (metà del II secolo) scrive: Il Signore ha insegnato chiaramente non solo che le anime continuano a vivere e non passano di corpo in corpo, ma conservano la medesima impronta del corpo al quale sono collegate e ricordano le opere che hanno compiuto qui e che poi hanno cessato di compiere, nel racconto in cui si scrive del ricco e di quel Lazzaro, che godeva di riposo nel seno di Abramo. [Ireneo, Contro le Eresie, II, 34,1]

 

Nel V capitolo del libro Contro le Eresie, Ireneo (metà del II secolo) scrive: Poiché, se il Signore se ne è andato in mezzo all'ombra della morte, dove erano le anime dei morti, poi è risorto corporalmente e dopo la resurrezione è stato elevato in cielo, è chiaro che anche le anime dei suoi discepoli, per i quali il Signore ha fatto queste cose, andranno nella regione invisibile, assegnata loro da Dio e lì dimoreranno fino alla resurrezione....[Ireneo, Contro le Eresie, V, 31, 2] . [Ireneo, Contro le Eresie, II, 34,1]

 

Nel XIII capitolo del libro La Resurrezione dei Morti, Atenagora (II secolo d.C) scrive: Abbiamo fiducia in un garante infallibile, nel disegno di colui che ci ha creato e secondo il quale egli creò l’uomo di anima immortale e di corpo, procurò a lui l’intelligenza e una legge dentro di lui per la salvezza e la custodia di quello che era stato da lui donato, conveniente ad una vita saggia e ad un’esistenza guidata dalla ragione [Atenagora, La Resurrezione dei Morti, XIII, 1]

 

Nel II libro Ad Autolico, Teofilo (metà del II secolo), ricorda: Per questo anche l’anima è definita immortale dalla maggior parte degli uomini [Teofilo, Ad Autolico, II, 19]

 

Antica ed interessante è la testimonianza di Tertulliano il quale nell'Adversus Marcionem [IV, 34] sostiene che le anime dei giusti si trovano nel "seno di Abramo", una regione intermedia, non celeste ma nemmeno infernale, fino a quando, con la resurrezione, non otterranno la ricompensa. Nel De anima, [cap. 58] lo stesso Tertulliano specifica che le anime si trovano nell'Ade, già consolate o punite, in attesa del premio definitivo o dell'eterna punizione, mentre nell'Apologeticum, [cap. 47] afferma che le anime dei giusti si trovano in paradiso, un luogo dove attendono la resurrezione. Nello Scorpiace, [cap. 12] sempre Tertulliano accoglie letteralmente il brano di Apocalisse 6,9, secondo il quale le anime dei martiri cristiani riposano sotto l'altare.

 

 

L’IMMORTALITÀ DELL’ANIMA È COMPATIBILE CON LE LEGGI DELLA FISICA?

 

 Secondo una concezione materialista e meccanicista la sopravvivenza dell'anima dopo la morte sarebbe impossibile, essendo anima, pensiero e coscienza fortemente legate all'attività cerebrale. Spento il cervello la dimensione spirituale dell'uomo sarebbe spenta definitivamente. La possibilità che la categoria biblica dello spirito possa corrispondere “latu sensu” al concetto fisico di energia non è comunque per nulla trascurabile, così che al dualismo teologico tra corpo e spirito può essere, in qualche modo, accostata la complementarietà esistente tra massa ed energia. Che poi esistano energie consapevoli (come il pensiero prodotto dagli esseri viventi) ed energie non consapevoli (come l'energia elettrica prodotta industrialmente) sembra essere una cosa abbastanza probabile, visto che esiste materia vivente consapevole (uomo ed animali) e materia vivente inconsapevole (piante e minerali).

 

L'equivalenza tra massa ed energia, lungi dall’essere solo un’ipotesi filosofica, è un fatto ormai accettato dalla scienza, così che energia e materia sembrano essere solo due aspetti di una realtà multiforme. Secondo la popolare formula: E = Mc2, un solo grammo di materia corrisponderebbe a ben 90.000 miliardi di joule, cioè a ben 25 milioni di Kwh, essendo 1Kwh = 3.600.000 joule. La conversione di un Kg di materia potrebbe pertanto dare luogo a ben 25 miliardi di Kwh, coprendo il fabbisogno energetico mensile di tutta l'Italia.

 

L'equivalenza tra massa ed energia è una legge di natura che vale sempre, anche nel campo dei fenomeni ai quali si applica la fisica newtoniana classica. L'ipotesi che la massa di un corpo contenga un'enorme quantità di energia precede, infatti, gli studi relativistici di Albert Einstein e risale ad alcune deduzioni di Newton, alle ricerche del fisico inglese Tolver Preston ed ai lavori del fisico italiano Olinto De Pretto. Si tratta, infatti, della fortissima "energia di legame", che tiene mirabilmente unito l'atomo.

Newton sostenne chiaramente che "il mutamento dei corpi in luce e della luce nei corpi è strettamente conforme al corso della natura, che sembra prediligere le trasformazioni" (Ottica, Libro III, 1704, questione 30). Secondo Preston l'etere sarebbe poi costituito da particelle di massa in movimento e l'energia della materia sarebbe proporzionale al prodotto della massa per il quadrato della velocità della luce, con effetti cinetici incredibilmente potenti (Phisics of the Ether, 1875). De Pretto credette che l'energia dell'universo fosse rappresentata dall'etere in movimento, così che un corpo qualunque avrebbe contenuto una quantità di energia direttamente proporzionale al prodotto della massa per il quadrato della velocità della luce (Ipotesi dell'etere nella vita dell'universo, 1904). I lavori di Preston e di De Pretto non ebbero successo perché legati all'erronea convinzione dell'esistenza dell'etere, sostanza immaginaria, rarefatta ed imponderabile, presente e diffusa in ogni parte dell'universo; tuttavia ebbero un enorme valore nell'ipotizzare l'esistenza di un'energia latente nella materia e nell'aprire la strada ai successivi studi sul decadimento radioattivo dell'uranio, del radio e del torio. Einstein ipotizzò poi la famosa relazione tra massa ed energia in un lavoro non direttamente legata alla teoria della relatività (L'inerzia di un corpo dipende dal suo contenuto di energia?, Annalen der Physik, vol. 18, 1905, pp. 639-641), esaminando soprattutto il caso della diminuzione di energia di un corpo sotto forma di radiazione, in un sistema di riferimento in cui il corpo è in movimento, con conseguente perdita di massa. Nella parte finale dell'articolo, suggerì d'indagare il comportamento del radio, famoso elemento radioattivo, per verificare l'equivalenza massa-energia nel caso d'emissione radioattiva. Einstein ricevette quindi il premio Nobel per la fisica nel 1925 non tanto per aver enunciato la teoria della relatività (teoria che continuava ad incontrare perplessità e opposizioni) ma soprattutto per la scoperta della famosa legge dell'effetto fotoelettrico, attraverso l'ipotesi dell'esistenza dei cosiddetti "quanti di luce" o "fotoni".

 

Le reazioni nucleari presenti sulle stelle, le bombe atomiche, la fissione e la fusione degli atomi sono chiari esempi di come una piccola quantità di materia possa produrre una quantità enorme di energia. Esempi di trasformazione dell'energia in massa sono poi presenti in alcune reazioni chimiche e fisiche, che possono avvenire solo assorbendo energia dall'esterno. In non pochi casi la massa dei prodotti di reazione risulta infatti maggiore della massa dei reagenti, proprio perché una grandissima quantità di energia si è trasformata in massa (processi di produzione di coppia e acceleratori di particelle).

 

Non è pertanto possibile escludere a priori la possibilità che dalla morte e dalla decomposizione della materia possa originare qualche forma di energia consapevole, così che è difficile rigettare a priori l’ipotesi di una naturale separazione della materia dall'energia, dopo la profonda unione dell'anima con il corpo. L'enorme quantità di materia che viene distrutta durante la decomposizione di un cadavere potrebbe in qualche modo essere assimilata all'enorme spreco di materia e di propellente subita al decollo tutti i missili diretti verso lo spazio: solo una parte minima di massa si converte in energia mentre una enorme quantità di materia si trasforma in fumi e prodotti della combustione.