MESSAGGIO DEL VESCOVO PER LA QUARESIMA 2002
“Nel deserto… parlerò al suo cuore” (Os. 2,16)
Fratelli e sorelle carissimi,
inizia il tempo santo della Quaresima, quel periodo di quaranta giorni che, attraverso un più intenso itinerario di fede, orientato dalla Parola di Dio, ci conduce alla Santa Pasqua.
La
Pasqua, la celebrazione del mistero della passione, morte e risurrezione del
Signore Gesù, è il fondamento della nostra fede, della vita nuova cui siamo
chiamati, e che ci viene proposta ed offerta dalla misericordia di Dio. La
Pasqua è, infatti, il passaggio della potenza di Dio nella nostra
storia, è la presenza del Signore della vita che ha creato l’universo e
l’umanità e che la ri-crea infondendo in essa il suo Santo Spirito di
amore.
La Pasqua è il compimento
dell’incontro di Dio con l’umanità, la pienezza della rivelazione della sua
presenza, della sua vicinanza al suo popolo.
La Pasqua è la nostra “terra
promessa”, dove si vive l’alleanza “nuova ed eterna”
con Dio Padre, Amore che crea,
con il Figlio suo unigenito,
Amore che ci redime e salva,
con lo Spirito Santo, Amore che
santifica e dona pienezza di vita.
La Pasqua è la celebrazione del nostro passaggio nella “nuova ed eterna alleanza”.
La Pasqua, infatti, ci mette in
una posizione nuova nei confronti di Dio e del mondo e della storia degli
uomini. Per la Pasqua diventiamo capaci di vivere partecipando all’opera
creatrice di Dio Padre, obbedienti alla sua volontà come il Figlio e con il
Figlio Cristo Gesù, nella comunione al suo amore che, per la forza vitale dello
Spirito Santo, ci rende liberi e desiderosi di trasformare ogni nostra azione ed
ogni nostro pensiero o sentimento in un’offerta di vita per il mondo, in un
afflato generoso che rinnova l’universo intero.
E’ questa la nostra “terra promessa”: la nuova situazione di un’umanità non più chiusa in se stessa, non più ripiegata nelle proprie dipendenze e schiavitù, non più condizionata dalla paura di finire nel nulla della morte, ma un’umanità libera da ogni timore, guidata nelle sue scelte e nei suoi pensieri dalla sola legge dell’amore, proiettata verso ciò che è il bene, ri-creata nella giustizia e nella santità della verità. (Ef. 4,24).
Il pensare alla “terra promessa” ci richiama, però, immediatamente il ricordo del cammino percorso dal popolo d’Israele nel deserto: un cammino lungo ed anche faticoso, a tratti entusiasta, a tratti sfiduciato, durato quarant’anni, per poter giungere alla terra che Dio aveva promessa “con giuramento ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe, dicendo: alla tua discendenza la darò… la terra dove scorre latte e miele…” (Es. 33,1-3).
La Quaresima ripropone a noi
cristiani quell’esperienza del deserto, di un luogo grande e tremendo, che per
noi oggi è il mondo, la sua vita e la sua storia, in cui sentiamo di dover
camminare, ed in cui, di fatto, camminiamo ogni g1iorno.
La storia ci ha insegnato che
il cammino dell’umanità può essere un vagare in solitudine, nella disperante
assenza di una meta vera, oppure che può essere il fiducioso andare verso la
“terra promessa”.
La Quaresima è questo tempo di intensa esperienza di vita di fede, tempo di grazia, tempo di rinnovato incontro con la presenza di Dio e della sua Parola, tempo di fiducioso cammino nella speranza di una più intensa e viva comunione con Lui che ci guida e ci accompagna, che si rivela e ci parla.
La Quaresima è, quindi, tempo di “cammino nel deserto” verso la “terra promessa”.
Abbiamo così presenti gli
elementi che siamo chiamati a vivere con più sapiente consapevolezza in questo
periodo di preparazione all’annuale celebrazione liturgica della Pasqua, e che
sono propri della nostra vita quotidiana, propri dell’essere storico della
realtà umana.
- Nel deserto della storia del mondo -
Il Profeta Osea, parlando particolarmente del popolo eletto, descrive la situazione dell’umanità paragonandola al drammatico vagare di una donna, di una sposa infedele che, chiusa nell’egoismo del proprio istinto di sopravvivenza, non riconosce la ricchezza della comunione di vita che le offre lo sposo, che continua ad amarla, ma perde se stessa svendendo e barattando la più vera possibilità di amare con la banalità di cose che mai riescono a placare gli insaziabili bisogni delle sue povertà.
“… si è prostituita, …si è coperta di vergogna. Essa ha
detto: «Seguirò i miei amanti, che mi danno
il mio pane e la mia acqua, la mia lana, il mio lino, le mie bevande»… Perciò ecco, … non ritroverà i suoi sentieri. Inseguirà i suoi amanti, ma non li raggiungerà, li cercherà senza trovarli”. (Os. 2, 7-9).
E’ comprensibile e desta
compassione lo sforzo, la fatica dell’umanità che, condizionata ed oppressa,
dipendente dal suo stesso bisogno, va errando con tanta confusione, di avventura
in avventura, cercando ciò che possa darle il cibo che la sfami e asservendosi
ai diversi padroni che la usano. Ma
è anche drammatico vedere questa nostra umanità che, brancolando nella sua
ricerca spasmodica e ansimante, passa da una moda all’altra, esalta la potenza
dei leaders, la logica delle ideologie, crea dei miti, passa da un giudizio o da
un sentimento al suo opposto, aggrappandosi a cose che la illudono e la seducono
per poi asservirla a logiche che l’abbrutiscono togliendole ogni dignità e lo
splendore delle sue possibilità e dei suoi talenti.
Sarebbe, come spesso appare
nella storia, un dramma mortale. Ma il Signore Dio ha compassione, “raduna i
dispersi di Israele” (Sal 147,2) e annunzia, ancora con il Profeta Osea:
“Oracolo del Signore… Ecco l’attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò
al suo cuore” (Os. 2,15-16).
La vita dell’umanità spesso
somiglia al dover camminare in un deserto, come se ogni situazione o circostanza
costringa l’uomo a vagare cercando un rifugio ed una sicurezza in luoghi sempre
inospitali, mai veramente adatti alla sua ansia di vita. Ma, paradossalmente,
poi è proprio nel deserto, in quel deserto che Dio conduce il suo popolo per
parlare “al suo cuore”.
Così è la storia dell’Esodo, della Pasqua, dell’uscita di Israele dall’Egitto.
Mosè deve fuggire dall’Egitto, che lo ha condannato a morte, e nel deserto Dio gli rivela la sua presenza viva e il suo Nome.
Dall’Egitto, poi, Mosè fa uscire il popolo di Israele e lo conduce nel
deserto, e nel deserto Dio gli parla attraverso la Legge dell’Alleanza e gli
apre la via della vita.
È un paradosso come tanti, come tutto ciò in cui entra Dio che “ridusse i fiumi a deserto, a luoghi aridi le fonti d’acqua… Ma poi cambiò il deserto in lago e la terra arida in sorgenti d’acqua” (Sal. 107, 33-35).
A volte ci sembra di non essere nel luogo giusto per noi, nel luogo adatto per vivere secondo le nostre esigenze, per esprimere le potenzialità della nostra personalità, ma la comunione con la presenza del Signore ci permette di vedere l’aprirsi di nuovi e più grandi orizzonti di vita.
Non è il luogo, la situazione, o le circostanze che possono essere per noi favorevoli o sfavorevoli, non è la presenza o l’assenza di particolari condizioni o compagnie, non sono i monti o le pianure,
non è il deserto o la città a determinare la nostra vita o a darci la salvezza. La presenza di Dio, la vitalità della sua Parola, la luce della sua guida, il calore della sua vicinanza crea e trasforma, ri-crea tutto ciò che è vivo.
- Il deserto nella solitudine senza speranza dell’umanità -
Potremmo chiederci, allora, quale luogo sia il vero deserto: l’Egitto ricco e potente, o l’arido e inospitale territorio che Israele dovrà attraversare?
È un deserto quello in cui non ci sono elementi capaci di dare sostegno alla vita dell’uomo ed in cui lo sguardo si perde inutilmente nella solitudine sconfinata di una natura muta di segni e di messaggi. Ed è un deserto anche quello in cui le pur abbondanti risorse di vita sono oggetto di contese quotidiane e di guerre disperate, in cui la presenza dell’altro trasmette egoismo e indifferenza o terrore e paura, nell’insicurezza e nella solitudine di una vita che non comunica valori né significati.
Il deserto, allora, non è un tipo particolare di territorio geofisico, ma piuttosto una situazione dell’esistenza umana. Il deserto è la solitudine dell’uomo che non incontra parole di vita, che non intravede significati e valori, che non sente il calore di una solidarietà che diventi amicizia personale.
Il deserto è negli occhi smarriti, nella solitudine di chi si scopre tradito o abbandonato o sfruttato, di chi è perseguitato o ingiuriato, di chi si perde nell’indifferenza e nell’incomprensione, di chi si rifugia nella droga o nell’alcool, di chi sfoga rabbiosa prepotenza.
Quanto deserto e quanta drammatica solitudine nelle nostre strade, nelle case, nei luoghi di lavoro, anche nei nostri paesi!
- Dall’iniquità dell’egoismo la disperata solitudine dell’uomo -
“L’iniquità renderà deserta tutta la terra” (Sap. 5, 23).
Iniquo è il non equo, il non giusto.
Ciò che non è giusto è sempre uno squilibrio, è il non mettere nel giusto ordine e nella loro posizione più vera i valori del nostro esistere. Dalla fisica abbiamo imparato che ciò che è messo nella posizione esatta in rapporto ad altre cose crea un equilibrio (potremmo dire un “valore”) che diventa una solidità, una sicurezza. Al contrario, ciò che non è in posizione corretta diventa un peso che squilibra e fa crollare l’intera costruzione.
Il paragone si può applicare alla nostra realtà spirituale ed umana. Accade spesso che ciò che è un “valore” sia poi considerato come un “peso”.
Quando quelli che tanti di noi chiamano “valori” sono trascurati, o accantonati e messi “dopo” altre cose giudicate più importanti, o, peggio, come si suol dire, sono “perduti” perché sembrano essere diventati un “peso” che impedisce il camminare in maniera efficace e produttiva, si crea uno squilibrio, una forma di iniquità che rende poi “deserta tutta la terra”.
È facile qui pensare allo sfruttamento squilibrato delle risorse naturali del nostro mondo e a tutti i problemi che ne conseguono. È più difficile, ma purtroppo ugualmente reale, pensare allo stesso squilibrio mortale nei rapporti tra gli uomini e i popoli, sia a livello mondiale che a livello locale e personale.
Se, ad esempio, la rapidità e l’efficienza delle comunicazioni e la facilità degli spostamenti di uomini, di prodotti, di cose e di ricchezze ci mettono nella condizione di sviluppare in maniera vantaggiosa un’economia cosiddetta globale, perché coinvolge e raggiunge la vita di tutto il mondo, non possiamo per questo pensare di trascurare il valore di una prospettiva e di uno sviluppo più ampio, e quindi mondiale di ciò che è valore umano e cristiano. La solidarietà, che è attenzione alla vita dell’uomo, di ogni uomo, dovrà essere sempre il primo valore e la preoccupazione fondamentale rispetto ad ogni altra considerazione o scelta produttiva.
Infatti se l’egoismo umano, in nome di un’esigenza di efficienza, trasforma un “valore” in un “peso” di cui vuole liberarsi, la conseguenza sarà il nascere di squilibri, di iniquità e di ingiustizia, e l’aprire alla morte la via per regnare sulla terra.
Allora, la terra, su cui la vita vuole fiorire, diventa uno spazio da occupare; l’uomo che lavora è ridotto ad essere uno schiavo da sfruttare; la donna, che potrebbe amare, è trasformata in un corpo prostituito al piacere di un qualsiasi sconosciuto che lo compra; il concepito, che vorrebbe nascere, è considerato un rifiuto da abortire; il bambino, che gioca con fiduciosa spontaneità, è usato come un giocattolo o ridotto a docile servo delle prepotenze dei grandi; il giovane, che sogna in libertà, è guardato come un cliente da drogare.
Allora, la politica diventa lotta per la supremazia personale, o di un gruppo su altri, ed il confronto un continuo e vuoto polemizzare; la fedeltà ad un ideale si trasforma in rabbia che semina terrore e morte per distruggere chiunque è pensato come nemico.
Perfino il dialogo tra amici, e tra genitori e figli, o tra i coniugi, si disperde in tensioni e indifferenze che annullano ogni sentimento di umana affettività e di verità dei rapporti, lasciando in ciascuno il sapore amaro della solitudine e dell’abbandono.
- Il deserto nella nostra casa -
Non possiamo non guardare con tanta preoccupazione alle divisioni e alle tensioni che avvelenano i rapporti di vita sociale nelle realtà dei nostri paesi e spesso impediscono uno sviluppo sereno della ricerca del bene comune.
Con tristezza dobbiamo constatare il progressivo impoverimento, anzitutto culturale e poi economico, causato dall’emorragia costante di forze giovani che lasciano il nostro territorio per andare a trovare altrove migliori occasioni di realizzazione.
Cresce nella tristezza la solitudine degli anziani, cui non riusciamo ad offrire che un minimo di assistenza domestica grazie alla presenza di persone estranee alla famiglia, spesso provenienti da altri paesi che, solo per un loro bisogno, accettano di fare ciò che a noi sembra diventato impossibile.
Improvvisa, poi, sembra essere caduta sulle nostre famiglie una tremenda sofferenza per l’incapacità di dialogare e di amarsi accogliendosi reciprocamente nella fiducia e nel saper chiedere e donare quel perdono che ricostituisca una rinnovata comunione tra i coniugi. Stiamo assistendo a troppe rotture di matrimonio e di famiglie perché la cosa non ci interroghi sulle cause e anche sulle responsabilità anzitutto personali e poi sociali.
L’elenco degli esempi potrebbe continuare individuando tante situazioni di vita che incontriamo ogni giorno e che ci fanno sentire il mondo in cui viviamo come un “deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senza acqua” (Dt. 8, 15).
- Nel deserto Dio si fa vicino al suo popolo -
Ma dove tutto sembra insidioso e nemico, dove l’egoismo sembra creare tante ostilità che procurano solo fatiche perdute nel nulla della disperazione, emerge anche la verità della vita, la verità che parla al cuore e può farci riconoscere che non siamo soli nel deserto, e che il deserto può non essere più tale.
“L’attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore”.
Le parole del profeta Osea risuonano nella nostra mente aprendoci il cuore alla speranza. Riconoscere la presenza di Dio, ascoltare la sua Parola, dà un nuovo significato, ci permette di scoprire l’autentico valore del nostro esistere e del nostro camminare attraverso il deserto di questo mondo.
Potendo scegliere, sicuramente eviteremmo il deserto: non è attraente un luogo inospitale e così evidentemente ostile, un luogo di solitudine. Come abbiamo detto, anche Mosè non aveva scelto di andare a vivere nel deserto: egli scappava da una minaccia di morte, da un luogo divenuto per lui inospitale. Ma nel deserto, dove forse pensava di poter stare ormai dimenticato da tutti, Dio si rivelò a lui, lo chiamò a condividere la sua volontà e gli affidò la missione di tornare in Egitto per liberare il suo popolo e “farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele” (Es. 3, 8). E nel deserto Dio annunziò a Mosè: “Io sarò con te” (Es. 3, 12). Israele, però, mostrò tutta la sua difficoltà, la sua “dura cervice” (Es. 32, 9). Non riuscì a riconoscere la presenza del suo Dio, invisibile agli occhi della carne e cercò di farsi una divinità “di metallo fuso” (Es. 32, 4) davanti alla quale poté prostrarsi, offrire sacrifici e illudersi di aver trovato un condottiero che fosse anche una guida visibile, un padrone cui obbedire ed in cui specchiarsi con le proprie ansie di ricchezza e di prepotenza.
Il Dio invisibile, che era stato presente e vivo, fu ancora vicino al suo popolo. Per lui aveva aperto il Mar Rosso, gli aveva reso dolci acque malsane e imbevibili, e per la sua sete aveva fatto sgorgare acqua dalla roccia, gli aveva preparato la “manna” come cibo per sostenere i suoi passi. Come a Mosè, nel deserto Dio si rivelò al suo popolo, gli offrì la sua presenza e l’alleanza, la sua compagnia nelle parole dei Comandamenti, della Legge che “è perfetta, rinfranca l’anima,…fa gioire il cuore, …dà luce agli occhi, …più preziosa dell’oro, …più dolce del miele e di un favo stillante” (Sal 19, 8-11; cfr. Sal 119, 72-103 ss).
Mosè e il suo popolo (ma l’esperienza si ripete in altri personaggi della storia dell’Antico e del Nuovo Testamento) percepiscono che il loro andare nel deserto non è il frutto di un caso, o la conseguenza di situazioni e di circostanze fortuite da subire fatalisticamente, ma colgono il segno di una chiamata, di una vocazione, di un’elezione da parte di Dio. Essi aprono gli orecchi, la mente e l’anima ad una parola che sentono espressamente rivolta a sé. Scoprono di non essere soli. In quella parola riconoscono la presenza dell’unico vero Dio, il Vivente, che ha attenzione per loro e li invita ad alzare lo sguardo verso un nuovo modo di essere e di vivere. “La radice della fede biblica sta nell’ascolto... Perché ascoltare significa lasciarsi trasformare a poco a poco, fino a essere condotti su strade spesso diverse da quelle che avremmo potuto immaginare chiudendoci in noi stessi”. (C.E.I., Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, n. 13).
Ascoltare ed accogliere una parola che indica un cammino è incontrare un Dio vivo, non un idolo inerte ed immobile “ornato di argento e di oro, fissato con chiodi e con martelli, perché non si muova” (Ger. 10,4). L’idolatria è la tentazione della superstizione, dell’immobilità su posizioni e conquiste ritenute sicure per una propria sopravvivenza, è spesso il cercare di avere un potere sulle cose che devono servirci perché assolutamente necessarie al nostro “stare bene”.
Ascoltare ed accogliere la
parola del Dio vivo, invece, è sentire di poter corrispondere con le proprie
parole e di poter camminare con Lui, è acquisire consapevolezza del valore del
proprio esistere, della propria vita e della propria libertà.
“Credere significa aprirsi al futuro; fede infatti porta speranza nella
vita e questa speranza ci dischiude per una vita attenta. Credere vivifica,
rende sensibili al dolore e recettivi per la gioia… Credere significa sempre in
primo luogo acquistare nuova fiducia nella vita perché Dio è vicino…
Ora altri fra noi dicono: cosa principale è la
<salute> o cosa principale è l’esser <fortunato> o l’importante
è <far carriera>.
La povertà è soltanto il fatto che né denaro, né salute, né
fortuna, né progresso offrono ad un uomo terreno sicuro sotto i piedi… Chi
confida in qualcosa di così transitorio rinuncia alla propria libertà e diventa
schiavo. Egli chiede troppo anche ai destinatari della sua fiducia e rovina la
loro bellezza terrena.
Una vera fede si affida al creatore di tutte le cose, si
pone nelle sue mani e si sa al sicuro per la vita e la morte. Una fede vera
perciò tratta in un modo libero, sereno con le cose e le creature terrene, con
il denaro, anche con la salute, la fortuna e il progresso. Non divinizza più
queste cose e neppure le rende diaboliche.
… Si arriva a questa vera fede mediante la conoscenza del <Dio vicino>, mediante la comprensione della storia del Dio incarnatosi”.
Come abbiamo letto in questo scritto di un teologo contemporaneo (cfr. J. Moltmann, Dio viene e l’uomo acquista la libertà, Ed. Queriniana, Brescia, pg. 26), l’incontro con il <Dio vicino> libera la vita dell’umanità da ogni falsa sicurezza, la apre ad un rapporto vero con la realtà del creato e ad una comunione di fiducioso dialogo con il Creatore.
Nel deserto, sia esso l’Egitto o la steppa arida, in qualunque forma esso
si incontri, dove gli idoli delle apparenti ricchezze e sicurezze umane
svaniscono e mostrano la loro inconsistenza, Dio viene <vicino>, si rivela
presenza viva, chiama l’uomo a partecipare della sua vita e della sua santità.
-
La Quaresima, tempo di cammino verso la Pasqua -
Nella sua sapienza pastorale, la Chiesa ci propone ogni anno un periodo
di intensa preparazione alla Pasqua. La Quaresima è “il tempo propizio che la
Chiesa offre ai credenti… occasione provvidenziale di conversione, ci aiuta a
contemplare questo stupendo mistero d’amore. Essa costituisce un ritorno alle
radici della fede”, così ci insegna il Santo Padre Giovanni Paolo II nel
messaggio inviatoci per l’inizio di questa Santa Quaresima dell’anno 2002. E
continua richiamando,
quale fondamento della nostra fede, la libertà e la gratuità della
benevolenza e della misericordia di
Dio: “Iddio ci ha amati con infinita misericordia senza lasciarsi fermare
dalla condizione di grave rottura in cui il peccato aveva posto la persona umana. Si è benevolmente chinato sulla
nostra infermità, prendendo occasione per una nuova e più meravigliosa effusione
del suo amore. La Chiesa non cessa di esaltare questo mistero di infinita bontà,
esaltando la libera scelta divina e il suo desiderio non di condannare, ma di
riammettere l’uomo alla comunione con Sé… Gratuitamente abbiamo ricevuto. La
nostra esistenza non è forse tutta segnata dalla benevolenza di Dio?”.
Vivere la Quaresima con la Chiesa è come l’addentrarci in un deserto
affidandoci alla guida dello Spirito Santo. E, condotti dallo Spirito, come Gesù
nel momento delle tentazioni, non sentiamo più il timore del vuoto, del nulla,
del silenzio della solitudine che ha il sapore della morte. In questo deserto si
affievoliscono e perdono la loro carica tanti rumori, si smorzano e scompaiono
quelle attrazioni che ci abbagliano
con le loro apparenze, si ascolta solo il risuonare della voce di Dio, della sua
Parola vivente che ci chiama alla risurrezione con Cristo Gesù, alla vita nuova,
che si modella sulla verità del suo amore Allora tutto si giudica e si progetta
aderendo alla sua giustizia.
-
La parola di Dio, proclamata nelle celebrazioni di queste domeniche di
Quaresima, ci guida in un cammino che si sviluppa confrontando l’uomo vecchio,
brancolante nel deserto della sua miserabile solitudine, e l’Uomo nuovo, Cristo
Gesù, che vince il male e la morte con la viva e chiara espressione della sua
comunione con Dio.
- La preghiera ci apre alla possibilità di incontrare il
Dio <vicino>. La preghiera è lo strumento che la Chiesa ci indica per
farci trasformare dalla parola di Dio, per orientare i passi della nostra vita
verso la “terra promessa”, verso la Pasqua.
Ce ne parla il Papa nella “Novo millennio ineunte” (n. 33):
“La grande tradizione mistica della Chiesa… mostra come la preghiera possa
progredire, quale vero e proprio dialogo d’amore, fino a rendere la persona
umana totalmente posseduta dall’Amato divino, vibrante al tocco dello Spirito,
filialmente abbandonata nel cuore del Padre. Si fa allora l’esperienza viva
della promessa di Cristo: <Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo
amerò e mi manifesterò a lui> (Gv. 14,21). Si tratta di un cammino
interamente sostenuto dalla grazia, che chiede tuttavia forte impegno spirituale
e conosce anche dolorose purificazioni (la <notte oscura>)” (NMI
33).
Auguro a tutti, voi, fratelli e sorelle di vivere intensamente, con la
Chiesa questo cammino quaresimale.
Non abbiamo timore di farci condurre dallo Spirito nel deserto:
- purificandoci da tutto ciò che è falsità e apparenza, l’incontro con
Dio Padre apra le nostre menti alla conoscenza della verità mediante un più
frequente ascolto della sua Parola;
- purificandoci da tutto ciò che è egoismo e paura di perdere del nostro,
l’incontro con il Figlio, Gesù Cristo, Signore della vita, apra i nostri cuori
alla condivisione della gratuità del suo amore e della sua misericordia nella
carità verso ogni fratello;
- purificandoci da tutto ciò che è cieco orgoglio e presunzione di
capacità, l’incontro con lo Spirito Santo ci riempia della sua luce e ci doni di
santificare tutta la vita trasformando ogni nostra parola o pensiero o azione in
un inno di lode e di ringraziamento.
- Sia forte la nostra comunione fraterna aiutandoci e sostenendoci nel
cammino con la preghiera fraterna.
In questo clima, come già nella scorsa Quaresima, con vera disponibilità
e gioia per il cammino che siamo chiamati a fare insieme, spero di poter vivere
nella semplicità, con ciascuna comunità, un momento di ascolto e di riflessione
con la Parola di Dio, o di adorazione eucaristica, o di meditazione della
Passione e della Pasqua del Signore.
Il Signore guidi i nostri passi incontro al suo amore, orienti il nostro cammino verso la più vera carità e ci renda capaci di santificare il mondo secondo la sua santa volontà.
+ Angelo Vescovo
13 febbraio 2002, inizio della Santa Quaresima