Si è riunito a Roma il Comitato Direttivo Nazionale di "Socialismo è Libertà",
che ha eletto alla unanimità
 Rino Formica Presidente della Associazione.

 

Formica ha svolto la relazione introduttiva - che riporteremo quanto prima- a cui è seguita una ampia ed articolata discussione.

Al termine dei lavori è stato eletto il Coordinamento Nazionale, così composto: 

S. Abruzzese, L. Angeletti, M. Artali, F. Benaglia, R. Biscardini,F. Borgoglio, R. Carannante, G. Campagnano, D. Del Bene, L. Delfino, A. Foccillo, P. Larizza, G. Loy, E. Manca, C. Martelli, C. Signorile, R. Spano, D. Vercesi, S. Veronese,  oltre ovviamente al Presidente ed al Tesoriere, F. Barra.

 La relazione introduttiva di Rino Formica:

L’Associazione è una comunità libera, alla quale aderiscono uomini liberi.

Agli aderenti non è posto alcun problema di incompatibilità con l’eventuale appartenenza alle formazioni politiche nate dalla complessa e contraddittoria storia della sinistra democratica, laica e socialista.

Agli aderenti non è posto alcun vincolo di acritica disciplina ideologica.

Agli aderenti chiediamo qualcosa di più alto e di più profondo: chiediamo una coerenza tra comune elaborazione e comportamenti pratici individuali.

Agli associati che aderiscono anche ad altre formazioni politiche e sociali, spetta in prima istanza verificare la qualità della coerenza.

Spetta all’Associazione rilevare i casi di rottura profonda tra vincolo associativo ed altri vincoli di appartenenza.

In questi giorni ha preso forma e connotazione simile alla nostra iniziativa l’Associazione Aprile.

Essa era nata come associazione di tendenza: oggi è dentro e fuori del suo partito originario. Massimalismo e movimentismo politico si sono ricongiunti con la radicalità sindacale per dissolvere la sinistra storica e per avviare una nuova fase costituente a sinistra.

L’on.le Caldarola così fotografa la situazione dopo la saldatura della sinistra Ds con apparato della Cgil: “ Per la sinistra è tornato il momento di pensare al proprio futuro con fantasia e determinazione. La sinistra riformista ha due interlocutori, diciamo così, nella stessa famiglia. C’è Rifondazione e c’è il neo-partito personale che si coagula attorno a Cofferati, l’anti-Di Vittorio del 2000. Si può lavorare assieme, ma non si può stare nello stesso partito. La sinistra riformista deve riprendere la propria libertà di movimento. Se l’Ulivo è la camicia di forza in cui vogliono inglobarla per marginalizzarla e distruggerla, allora è bene dire addio all’Ulivo. Al suo posto può nascere l’Alleanza per l’Italia che si rivolge a un vasto mondo che si può distaccare da Berlusconi e deve fare perno sulle forze dell’ex Ulivo, ma ciascuna pro quota.

Questa nuova strategia richiede una vera e propria rivoluzione nel modo di pensare. Si deve considerare chiusa la fase della Seconda Repubblica e, dal lato istituzionale, ci si deve attestare sul modello tedesco. Si deve puntare diritto alla nascita del moderno partito socialista di massa. Socialismo pacifico e non pacifista, socialismo occidentale che critica Blair ma dialoga con lui, riformista in economia e nella definizione dei capisaldi di una nuova società civile”.

“Socialismo è Libertà” priva dei larghi mezzi, dei rocciosi apparati e della invasiva e pervasiva copertura dei media di “Aprile”, è nata per concorrere ed organizzare il fronte della sinistra di governo: è un progetto idealmente discordante, operativamente opposto, sostanzialmente diverso da quello dell’Associazione dei movimenti e degli apparati.

Si annuncia una inedita stagione delle “Associazioni politiche” come luogo comune di riflessione per iscritti e non iscritti ai partiti tradizionali.

Si sta consumando, forse, l’ultimo segmento di vita del vecchio partito e si sta prendendo atto della inefficienza dei partiti personali e della precarietà dei movimenti.

E’ vero che il vecchio partito è in affanno ed in esaurimento: le sue regole ci hanno consegnato dei corpi chiusi ed impenetrabili: le sue tavole dei valori hanno prodotto un forte senso dell’appartenenza a danno del rispetto dei doveri verso la comunità nazionale; la circolazione delle elités si è bloccata dinanzi ai processi di selezione e di scelte secondo i rituali di promozione e di cooptazione per fedeltà.

I movimenti per natura sono magma a perimetro variabile senza una “identità legittimante” di stabile riferimento.

Vittorio De Capraris, scomparso prematuramente nel 1964, acuto ed attento studioso di scienze politiche di matrice liberal-democratica, sul “Mondo” di Pannunzio, affrontò, in polemica con la scuola di pensiero antipartitocratica, sempre presente nelle classi dirigenti suggestionate dalle scorciatoie autoritarie, la questione cruciale della indispensabilità del partito politico. Così scriveva nel 1962 sul “Mondo”:

“…Mi pare troppo semplice considerarli una sorta di burocrazia parassitaria ed ingiusta la cui sola esistenza offende il sentimento democratico e la libertà degli iscritti ai partiti e dei cittadini, e che pertanto vanno distrutti. Il fatto è che i partiti organizzati, di cui noi abbiamo diretta esperienza sono figli legittimi del suffragio universale e di quel fenomeno che usa chiamare l’ingresso delle masse nella vita pubblica; e gli apparati sono, a loro volta, conseguenza di questa nuova dimensione dei partiti”.

De Capraris saggiamente così ammoniva:

“…se ci decidiamo a toccare i partiti, a legiferare su questa delicatissima e difficile materia, dobbiamo avere chiara la coscienza che tocchiamo uno degli strumenti più sensibili della nostra vita democratica; e bisogna, quindi, che le modifiche che si propongono siano pensate nel quadro di una riforma globale delle nostre istituzioni e che, in conseguenza, alla istituzionalizzazione dei partiti corrisponda un rafforzamento delle garanzia di libertà dei cittadini e dei partiti stessi”.

Lo scritto del “Mondo” concludeva con questa profezia, tanto attuale e vera:

“…quando si avviliscono i partiti si avviliscono tutte le altre salvaguardie della libertà, e si pone questa in pericolo di perdersi. Credendo di camminare per il famoso chemin royal delle riforme salutari s’imbocca, appunto, la scorciatoia che porta al cesarismo”.

L’Associazione non è un partito, ma vuole preparare il terreno sul quale possa formarsi una nuova generazione di duellanti a sinistra.

L’Associazione prenderà forza innestandosi sul corpo identitario della sinistra di governo e sulla grande tradizione del riformismo sociale della UIL e del sindacalismo di matrice non massimalista.

Vogliamo fare politica con posizioni limpide ed inequivoche:

1. non siamo interessati alle polemiche interne degli schieramenti già logori e superati;
2. non siamo interessati alle vertenze di potere che tanto agitano le coalizioni;
3. siamo interessati alla trasformazione profonda dell’attuale sistema politico;
4. siamo interessati al cambio di qualità dei poteri tradizionali e, al sorgere di nuovi poteri democratici;
5. vogliamo essere portatori di una visione istituzionale che sappia rompere il ciclo delle modifiche costituzionali di fatto;
6. vogliamo partire dall’89, dalla caduta del muro di Berlino quando entra in crisi il Pci, il partito più partito, e quando la politica italiana perde l’innocenza;
7. vogliamo capire perché è fallita la transizione e perché le riforme della politica e delle istituzioni sono rimaste al palo.

Vogliamo animare un confronto serio e virtuoso tra la grande esperienza politica dei socialisti e la creativa elaborazione del movimento sindacale, cominciando ad arare tre campi:

· il ruolo della contrattazione nazionale che ha trascinato il ruolo politico del sindacato e che si è concluso con la concertazione e la politica dei redditi agli inizi degli anni ’90;
· la trasformazione del mercato del lavoro e la crisi di alcuni strumenti tradizionali del sindacato. Vi è una risposta massimalista di Cofferati che non apre strade luminose. Vi è un brutale attacco al riformismo, che minaccia il sindacalismo unitario. Va esaminato con attenzione l’effetto che produrrà la dialettica riformismo-massimalismo nel sindacato e nella politica;
· il referendum sull’art.18 è una occasione per i socialisti e per la sinistra di governo di poter riscrivere la Carta dei nuovi diritti del lavoro.

L’Associazione è allo stato una “identità resistenziale” che deve trasformarsi in “identità progettuale”.
Perché ciò avvenga presto e bene bisogna radicarsi sul territorio, avere una forte autonomia di elaborazione e tenere ben presente che le alleanze seguono e non precedono la verifica delle convergenze.
Come dissero i compagni che presentarono l’Associazione il 14 aprile, la sfida è possibile se è alta ed ambiziosa.
Vogliamo dotare di un cuore centrale le mille piante che nasceranno con la elaborazione territoriale.
Vogliamo nel territorio creare una rete di cellule virtuose che siano alimentate dalla ricchezza di tante sensibilità umane.
Non abbiamo bisogno del carisma di un capo perché crediamo nel pensiero robusto delle idee-forza.
Non siamo interessati ad istituzioni centralizzate o burocratiche ma miriamo ad insediare una pluralità di centri gestiti con visioni unitarie ed ostili ad ogni localismo egoista.

In questa opera non siamo soli.
Sta emergendo in casa socialista e in vaste parti della sinistra e nelle aree elettorali del centro un interesse per il nuovo riformismo.
Sbaglieremmo se dovessimo ritenere che l’aprirsi di un ampio spazio politico è condizione sufficiente per cogliere copiosi successi.
La presenza di uomini della mia generazione che lottarono per una causa che si ripropone, è il segno della straordinarietà dell’evento.
Ma per misurare il nostro successo dovremo guardare al tempo che impiegheremo a passare il testimone alle nuove e promettenti generazioni. Se ciò avverrà in tempi brevi vuol dire che la montagna si è mossa.


La nostra iniziativa muove i suoi primi passi nel mezzo di una crisi internazionale che investe tutti gli organismi sopranazionali, che la seconda guerra mondiale aveva posto a presidio della pace nel mondo e della ricomposizione dei conflitti di area.

L’ONU, l’Unione Europea e la Nato sono in crisi come poteri legittimanti.
Si fronteggiano due visioni:

· un ordine mondiale negoziato da una rigorosa disciplina imposta dall’unica superpotenza economica e militare sopravvissuta al crollo del muro di Berlino;

· un ordine mondiale negoziato tra grandi aree geopolitiche che assicurino pace e sviluppo dentro e fuori dei propri confini.

Non guerra di religioni, non scontri di civiltà, non chiusure neonazionaliste o, peggio, isolazioniste.

La pace non può essere gridata deve essere costruita dai popoli e dai governi con lunga, paziente e persuasiva politica.

La sinistra che ha visto dissolversi il suo internazionalismo, non può arroccarsi dietro le fatue semplificazioni dei “senza se e senza ma”.

Oggi nel mondo vi sono in atto almeno quaranta conflitti armati.

I democratici, le chiese, la cultura e le nuove generazioni hanno la forza di imporre soluzioni politiche di lungo periodo per garantire un futuro di eguaglianza ai poveri del mondo e per sollevare dall’angoscia del terrorismo le genti dei paesi sviluppati?

Su questo terreno si dovrà misurare la sinistra europea senza lasciare solo Tony Blair.

Nei prossimi due mesi dovremo verificare le nostre idee, i nostri convincimenti e le nostre speranze almeno intorno a due temi:

· far vincere la pace dopo una guerra che auspichiamo sia di breve durata;
· piegare il fondamentalismo sociale che emergerà con la campagna referendaria sull’articolo 18.


Avanzare a piccoli passi non vuol dire fare piccole cose.
In passato le riforme più incisive le ottenemmo con un accorto gradualismo.
Umiltà e generosità devono essere le nostre armi migliori.

Cominciamo a provare! 

Grazie per la fiducia. 
So che la nostra iniziativa ha prodotto aspettative, forse, superiori alle nostre possibilità.
La speranza nasce dalla constatazione che gli eventi hanno giustiziato il cieco e brutale antisocialismo degli anni ’92-’97.
Ciò non basta per restituire all’idea che ha caratterizzato un secolo di storia la forza feconda che è necessaria.
La nostra fraterna unione potrà fare molto, se questo nostro assetto durerà poco.
Nuove passioni dovranno far vivere, nuove energie dovranno indicare il cammino.

 * dall'Ossimoro di Mario Artali