Perchè Reddito Garantito

Gli chomeurs parigini, le “tute bianche” a Roma, i disoccupati di Napoli: da più parti si agita le mot d’ordre del reddito di cittadinanza. Anche a livello istituzionale si stanno muovendo delle forze che si indirizzano verso la soluzione della disoccupazione strutturale attuale mediante interventi ridistributivi di parte della ricchezza nazionale a favore delle “fasce più deboli” della società. Viste da un’ottica così lontana potrebbe sembrare che le differenze politiche siano impercettibili. Di fatto uno sguardo più ravvicinato ci permette di scorgere tra le proposte di ridistribuzione non solo delle crepe, delle fratture, ma dei veri e propri canyon tanto è grande la distanza di ragionamento  e divergenti le prospettive politiche che le differenziano. Differenze che si proiettano inevitabilmente sulla definizione e la formulazione concreta delle ipotesi. La stessa cartografia dei modi nei quali l’ipotesi redistributiva della ricchezza sociale viene connotata nominalmente dovrebbe far rilevare immediatamente anche le differenze di sostanza (le differenze strategiche) tra le posizioni in campo: reddito di cittadinanza o reddito universale, reddito minimo di sussistenza o reddito minimo garantito. I nomi nascondono o, più semplicemente, sottendono le strategie politiche.

Quando si avanza una battaglia politica, quando si definisce una proposta di lotta bisogna chiedere a se stessi tre cose indispensabili: in primo luogo, la definizione del campo di battaglia (l’analisi delle forze sociali in lotta e della loro composizione); in secondo, lo spiegamento delle truppe e il sistema delle alleanze (la determinazione delle strategie politiche in gioco); in terzo luogo, bisogna armarsi di concetti (come strumenti-incursori nel territorio sociale). In sostanza non si dovrà mai poter scambiare per territorio amico l’accampamento dell’avversario. Ci sembra il momento di tentare una se pur sintetica approssimazione cartografica del campo di battaglia.

Nel breve opuscolo che segue si tenterà la strada della definizione “politica” della questione del reddito di cittadinanza che, come ricorda Andrè Gorz , “è vecchia quanto la rivoluzione industriale stessa o, se si preferisce, quanto la disgregazione della società operata dal capitalismo” (1992: 223-224). Ed è proprio questa “disintegrazione” oggi più che in altri tempi feroce della storia del capitalismo che ha rimesso in circolo l’annosa disputa sul ruolo che questo istituto sociale può avere per controbilanciare lo smottamento che sta mutando da cima a fondo il carattere della società che abbiamo visto costituirsi negli altri ultimi duecento anni.

Il punto di partenza è quello di afferrare le coordinate dell’attuale dibattito tentandone un’articolazione che faccia emergere la posta “politica” in gioco. Ed è per questo che prima di enucleare le posizioni è necessario farle procedere da due brevi excursus su quelli che sono i presupposti fondamentali del dibattito sulla questione del reddito di cittadinanza. Dibattito che fa perno attorno a quelle che chiameremo “crisi della società del lavoro” e “crisi del sistema del Welfare state”. Questi sono i due assi lungo i quali scorre tutta la discussione contemporanea.

Il superamento della “società salariale” e il “superamento dello stato assistenziale” formano un triangolo con la questione del reddito di cittadinanza.

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