Da: Corriere della sera, 4 marzo 1930 (g. cen.) Passeggiate curiose LA STORIA DEL CARNEVALE SENZA STORIA Penso francamente che, a parte le arancie, soprattutto quando colpiscono i bersagli, questo Carnevale di Ivrea sia il più vivo di quanti ne fioriscano in Italia. Il più vivo nel senso che esso non vien periodicamente resuscitato da un letargo, com'è di parecchi carnevali che finiscono per camminare per le strade dinoccolati e sonnolenti, provocando una smorfia che sta fra la risata e lo sbadiglio. No. Il carnevale di Ivrea non è la rappresentazione coreografica di un mondo di carta pesta. Le maschere non esistono. Qui non si canta o non si esalta una finzione. Questo carnevale non è il regno degli arlecchini. Forse quello che rappresentano i vari riti non sarà esistito, ma questa proiezione d’una leggenda s'è materiata per virtù d’uno spirito patriottico, per uno specialissimo ardor d’amore alla terra natìa. La “cerulea” Dora ha tessuto sotto l’arco canavesano tante canzoni e non c'è alcuno che non le abbia ascoltate e imparate, lieto di credervi, come si è lieti di credere a tutte le cose che ci vengono per prime insegnate. A Ivrea non troverete nessuno che creda sul serio alla leggenda della bella mugnaia, a questa specie di Giuditta provinciale, vendicatrice delle angherie erotiche d’un marchese voglioso, eppure guai se qualcuno osasse mettere in burletta questa personificazione romantica. La mugnaia esce da un sogno, ma vive in una realtà. La realtà ch’essa rappresenta brilla d’una dolce e lucente poesia. È la poesia della famiglia, della castità delle nostre spose, dell’indissolubilità dei legami dell’amore. Chi ha mai pensato di esaltare tutto ciò in un carnevale? Cos'è questa creatura di carne ed ossa, scelta or fra le ricche famiglie or fra il popolo, ed egualmente onorata, che vien portata in un corteo pittoresco di false autorità, con un cerimoniale rigidamente rispettato? Cos'è questo atomo di verità umana, questo palpito nostro, questo respiro vivente di bellezza che viene trascinato da generali che non lo sono, da cancellieri, da ufficiali, da paggi, tutti usciti dal guardaroba del Comune? È la poesia del popolo che non muore, più alta e più eterna di quella d’ogni suo poeta, e ch’esso sa conservare viva e profumata anche nella naftalina delle vecchie monture da operetta.. (...) Non ho mai visto ricever delle maschere con tanta serietà. C'è una specie di anacronismo psichico che turba la nostra sensibilità. Una doccia svedese per lo spirito. Il frac del prefetto e le alabarde allineate sulla via, all’uscita. Questo segretario in parrucca e col librone dei verbali, questo vistoso generale e questi marrons glacés napoleonici per fragranza... No: questo non è un Carnevale: è il calendario della vita che è andato a catafascio, è un rigurgito dagli abissi della storia sui nostri sentieri faticati.