L'alto, il medio
ed il mini dirigente nelle moderne organizzazioni complesse
(con particolare riferimento alla
situazione attuale del settore del credito)
Sommario:
L’orientamento
giurisprudenziale
La
situazione nel settore credito
Conclusioni
*********
1.
L'orientamento giurisprudenziale
Con la recentissima decisione n. 12860 del 28
dicembre 1998 (1), riguardante il settore industriale – ma affermante principi
con carattere di generalità, estensibili quindi all'intera realtà delle imprese
del Paese (dall'industria, al commercio, al terziario, ai servizi, ecc.) – la
Sezione lavoro della Cassazione ha
sancito, con più incisività e chiarezza di quanto fatto in precedenza, il
superamento della concezione che identificava il "dirigente" nel solo
"alter ego" dell'imprenditore, connotato da caratteristiche di
supplenza dello stesso, stabilendo che
nelle odierne, complesse ed articolate, realtà organizzativo/produttive
sussiste una pluralità di dirigenti che
spaziano dall'alto, al medio, al mini dirigente. Alla iniziale concezione
monolitica del "dirigente" subentra una più aggiornata concezione
"pluralistica", nella quale la varietà dei dirigenti discende dal fatto che per la loro
identificazione non rileva più il ruolo "sostitutorio" o di supplenza
dell'imprenditore (accompagnato dall'ampiezza del potere gerarchico e di
direzione ed organizzazione dell'intera
impresa) ma l'esercizio di poteri
decisionali, suscettibili di influenzare gli obiettivi di fondo dell'intera
impresa o di un ramo autonomo di essa, esercitati secondo una posseduta
specializzazione o professionalità, con autonomia ed ampia discrezionalità, sulla base delle deleghe di potere
conferitegli.
In buona sostanza
la Suprema corte ha affermato con decisione
il superamento di una (inesistente) nozione unitaria o monolitica della
categoria "dirigenziale", dando atto che nella attuale realtà
produttiva, recepita dalla contrattazione collettiva, accanto al dirigente di
vertice (strutturante il top management o dirigenza apicale)
convivono il dirigente medio (rientrante nel middle management) ed il mini dirigente (appartenente al low management), impegnati – il medio e
mini dirigente – non già in ruoli necessariamente funzionali o di preposizione
gerarchica ma anche in ruoli professionali o di staff, caratterizzati dall'elevata specializzazione professionale e
dall'esercizio della stessa a supporto ed orientamento indispensabile per
l'assunzione delle decisioni fondamentali aziendali, in materia organizzativa,
tecnica, commerciale, economico-finanziaria o similare, da parte del vertice
societario (caso del capo ufficio studi e ricerche, il cui ruolo dirigenziale è
stato a suo tempo riconosciuto da Cass. n. 530/1984, in causa Caimani c. Monte
dei Paschi di Siena (2). In tal modo la Suprema corte ha fotografato la realtà
organizzativa delle nostre imprese e
l'ha recepita nelle proprie statuizioni di principio, sull'onda e dietro le
sollecitazioni della stessa dottrina
verso i cui richiami la
Cassazione ha dato atto di non essere insensibile o indifferente.
La Cassazione,
nella precitata sentenza n. 12860/1998, ha così stabilito: "E' opportuno ricordare che risulta attualmente minoritario, se
non proprio abbandonato, l'orientamento giurisprudenziale che tendeva a dare
una nozione restrittiva del dirigente, considerando tale chi, nella
organizzazione di impresa, si ponga in sostanza quale 'alter ego'
dell'imprenditore. Definizione che data la mutevolezza degli assetti
organizzativi di una moderna impresa, tanto più quanto di notevoli dimensioni,
pare assai poco rispondente alla realtà, caratterizzata da una pluralità di
dirigenti, di diverso livello, distribuiti nell'alto, medio, basso management:
sì che la qualifica dirigenziale è riconosciuta non solo a coloro che
partecipano alle scelte strategiche ma anche a coloro che hanno la funzione di
attuare tali scelte e di preordinare gli strumenti operativi, nell'ambito di un
diffuso decentramento dei poteri decisionali. Non a caso, infatti, la dottrina
aveva manifestato un atteggiamento critico verso la 'tendenza dei giudici ad
una definizione elitaria della dirigenza, che rifugge da qualsiasi comparazione
concreta, relativa ai modelli strutturali ed alla collocazione dei dirigenti
nell'impresa, essendo riscontrabile la posizione e la funzione di 'alter ego' dell'imprenditore
esclusivamente ai massimi livelli della organizzazione aziendale' . Né diverso
è l'approdo della linea evolutiva della contrattazione collettiva che del
dirigente dà una nozione di carattere contenutistico, ponendo in risalto le
proprietà qualitative della attività di un dirigente, senza che decisivo
significato assumano l'esercizio di poteri di supremazia gerarchica e, in
genere, di poteri direttivi che, con evidenza, sono cosa ben diversa dai poteri
decisionali.
Il dato al quale, ad avviso di questa Corte, occorre fare
riferimento per la nozione giurisprudenziale della dirigenza, è la
trasposizione del baricentro dell'attività dirigenziale dal piano della
preposizione e quindi della supremazia gerarchica e dei poteri direttivi ad
essa connessi, al piano della qualità, autonomia, discrezionalità delle
mansioni affidate: due piani che non si escludono tra loro, ma che possono
essere congiuntamente o separatamente sufficienti per sancire l'appartenenza
alla categoria dei dirigenti, data la possibilità che un'elevata
specializzazione o sperimentata esperienza abbiano un'incidenza rilevante ed
immediata sugli obiettivi dell'impresa: siano essi quelli di carattere generale
o quelli specifici di un settore o ramo autonomo di essa, nel quale il dirigente
si trovi ad operare. Il che significa che l'attività del dirigente deve
rifluire sugli obiettivi complessivi dell'imprenditore, anche se per il tramite
delle funzioni specifiche ad un ramo autonomo della organizzazione aziendale:
in questo, deve aggiungersi, consistendo la linea di confine utile ad evitare
sovrapposizioni tra la figura di dirigente e quella di quadro, introdotta dalla
legge n. 190 del 1985".
Va detto, per
completezza, che l'affermazione giurisprudenziale di una pluralità di dirigenti
nelle odierne organizzazioni complesse d'impresa – caratterizzate da un
decentramento di poteri decisionali per la più corretta gestione della stessa
ed il conseguimento degli obiettivi prefissati – era già stato operata dalla
Cassazione, oltreché dalla giurisprudenza di merito, in più occasioni. In sede
di Cassazione l'affermazione della sussistenza di dirigenti apicali (o di
vertice) unitamente ai dirigenti medi ed ai mini dirigenti si
è accentuata negli ultimi tempi
in relazione al (diverso ma tutt'altro che insignificante) problema
dell'applicabilità (o meno) delle garanzie procedimentali di cui all'art. 7 Stat. lav. – contestazione
scritta degli addebiti, audizione a difesa, ecc. - per il licenziamento
disciplinare del dirigente. Tali
garanzie sono state considerate inapplicabili "solo al dirigente industriale che si trovi in posizione apicale
nell'ambito dell'impresa e sia munito
di ampio potere gestorio, tanto che lo stesso possa essere propriamente
definito 'alter ego' dell'imprenditore e che nei suoi confronti non sia
ipotizzabile una dipendenza gerarchica e la sottoposizione al potere
disciplinare dell'imprenditore" (così Cass. n. 1434/1998 (3) ed invece
applicabili "nei confronti del
personale della media e bassa dirigenza, rappresentata dalla figura del
dirigente di "staff", tecnico altamente specializzato, ricercatore,
ecc., in grado di offrire prestazioni di elevata competenza e responsabilità
professionali – anche in mancanza di preposizione gerarchica ad un ramo o
servizio – personale per il quale, non sussistendo unitarietà del tipo legale
di dirigente, l'esclusione dalla tutela non ha ragion d'essere" (così
ancora Cass. n. 1434/1998).
Secondo
l'orientamento della Cassazione anche la dipendenza gerarchica da altro
dirigente non è ostativa per la configurabilità della qualifica dirigenziale,
sempre che sia fatta salva, anche nel dirigente di grado inferiore, una vasta
autonomia decisionale, sia pure circoscritta dal potere direttivo generale di
massima del dirigente di livello superiore (4), anche se non mancano decisioni
più isolate (5 - cfr. Cass. n. 1086/1994) secondo cui sussisterebbe
incompatibilità tra la qualifica di dirigente e l'esercizio di mansioni con
vincolo di dipendenza gerarchica anche nei casi di aziende ad organizzazione complessa
con pluralità di dirigenti e graduazione dei compiti, atteso che pure in tali
ipotesi per la sussistenza delle funzioni dirigenziali occorre che le mansioni,
nel loro svolgimento, siano "coordinate" e non già
"subordinate" ad altri. Sulla stessa linea più rigorosa e restrittiva anche una meno recente
giurisprudenza di merito, la quale conferisce ancora rilievo, per
l'individuazione del dirigente, al ruolo funzionale o di preposizione a
strutture organizzative (ignorando il dirigente di "staff"), asserendo
che: "La funzione del dirigente,
negli organismi particolarmente complessi, non può esaurirsi nella direzione
dell'ufficio (o reparto) pur importante che sia, e neppure nella contemporanea
direzione di più uffici (o reparti), tranne che questi costituiscano una
ramificazione autonoma dell'azienda, ma è rivolta a far sì che ciascuno di
detti nuclei organizzativi operi in funzione dell'attività dell'altro e tutti
cooperino allo svolgimento dell'attività produttiva, cui è preordinata l'intera
organizzazione aziendale o l'autonoma ramificazione di questa di cui fanno
parte. Ne consegue che anche quando l'organizzazione dell'azienda sia tale da
richiedere una pluralità di dirigenti con distribuzione e persino con
graduazione di compiti, al fine di poter riconoscere la qualifica di dirigente
non è sufficiente la preposizione ad un nucleo organizzativo con compiti
circoscritti al medesimo, ma è necessario che esso partecipi nel suo complesso
all'orientamento sul piano della scelta dei mezzi dell'attività aziendale sia
pure nella misura e con le modalità che sono stabilite dall'imprenditore
organizzatore, dovendo anche in tal caso l'attività del dirigente essere
caratterizzata, secondo un criterio squisitamente qualitativo, dalla sua
idoneità ad influenzare l'andamento dell'intera azienda o di una sua
ramificazione autonoma, considerata quest'ultima quale organizzazione a sé
stante" (6).
Conclusivamente si
può asserire che il più consolidato orientamento della Cassazione – di cui
l'attuale decisione rappresenta la punta più avanzata – è quello che condivide
l'orientamento dottrinale favorevole ad una proliferazione della figura del
dirigente, secondo cui: "sono da
qualificarsi come dirigenti, a tutti gli effetti, quei lavoratori che, a vario
titolo ed eventualmente con grado diverso, sono chiamati in ciascuna azienda a
far parte del ceto dirigenziale…espletando i compiti di loro pertinenza ed
assumendo le relative responsabilità e quindi anche i dirigenti di grado
inferiore e i professionisti e tecnici altamente specializzati" (7).
Nello stesso senso sostanzialmente un altro autorevolissimo accademico, secondo
cui :"le posizioni dirigenziali
vengono fondamentalmente determinate dalla contrattazione collettiva, in virtù
del rinvio operato dall'art. 2095, cpv., c.c. e quindi tutte le volte che, con
varia modalità, si abbia in questa sede la formale individuazione di una data
posizione di lavoro come dirigenziale, la questione è definitivamente risolta
senza possibilità di ulteriori contestazioni in qualsivoglia direzione".
"Diversamente nell'ipotesi in cui manchi una classificazione, elencazione,
valutazione sindacale specifica o non trovi applicazione il contratto
collettivo, l'indagine deve essere rimessa alla prudente valutazione del
giudice, il quale dovrà tenere conto del determinato tipo di impresa, della
regolamentazione collettiva (qui orientativamente) e della nozione formulabile
nell'ordinamento generale, ricavabile (soprattutto) dall'elaborazione
giurisprudenziale"(8).
2.
La situazione nel
settore del credito
Nel settore delle aziende di credito e
finanziarie, da tempo la realtà contrattuale aveva preso atto di questa
pluralità di posizioni
dirigenziali/direttive, affiancando alla qualifica del tutto elitaria (e
percentualmente ridottissima, rispetto a quella degli altri settori produttivi)
degli alti "dirigenti", la qualifica dei "funzionari"
(costituenti i medi e mini dirigenti), qualifiche entrambe ricondotte
nell'ampia categoria giuridica e sociologica del "personale direttivo",
destinatario di un unitario contratto, con norme comuni e due partizioni
graficamente distinte per le norme non comuni (o specifiche).
I contrapposti
agenti negoziali avevano – come sempre accade – colto la concretezza delle
realtà aziendali prima dell'orientamento giurisprudenziale, e colmato con la
figura del "funzionario" l'insufficienza della tripartizione
categoriale sancita dal legislatore del 1942, tramite l'art. 2095 c.c.
Quando poi nel
1985 – con la legge n. 190 – la tripartizione legale fu trasformata in
quadripartizione, per inclusione della nuova categoria dei "quadri"
ed il nuovo assetto avrebbe potuto ingenerare nei non addetti ai lavori o nei
non esperti del settore creditizio dubbi di coincidenza della nuova categoria
dei "quadri" con quella dei "funzionari", gli agenti
negoziali del settore (le OO.SS. Federdirigenticredito e Sinfub, da un lato, e
le associazioni imprenditoriali Assicredito ed Acri, dall'altro) si dettero
reciprocamente atto che una cosa erano i "quadri" ed un'altra
(sovrastante) erano i "funzionari". Benché la legge n. 190 del 13
maggio 1985 avesse conferito una "definizione cornice" piuttosto
enfatica della categoria dei "quadri" dichiarandola "costituita dai prestatori di lavoro
subordinato che, pur non appartenendo alla categoria dei dirigenti, svolgano
funzioni con carattere continuativo di rilevante importanza ai fini dello
sviluppo e dell'attuazione degli obiettivi dell'impresa" e nonostante
che quest'enfasi fosse stata ancor più
accentuata dalla contrattazione del settore creditizio – che asserì essere la
categoria dei quadri "costituita dal
personale che, in posizione superiore agli impiegati con il grado di capo
ufficio, sia stabilmente incaricato di svolgere mansioni che comportino
particolari responsabilità gerarchiche e/o funzionali, ovvero elevata
preparazione professionale, con facoltà decisionale nell'ambito delle direttive
ricevute per il conseguimento degli obiettivi aziendali" (così l'art.
7 ccnl 30.4.1987 per i lavoratori di base) –
le OO.SS. del personale direttivo convennero, con l'accordo del 12
dicembre 1985 (con Assicredito) e con l'accordo del 18.12.1985 (con Acri), sulla non riconducibilità alla categoria
dei "quadri" di "tutti
coloro che attualmente appartengono alla categoria direttiva
(dirigenti-funzionari)", in ragione del loro status sovraordinato e della loro specificità direttiva. L'estraneità della qualifica dei
"funzionari" a quella dei "quadri" venne ribadita nella
dichiarazione delle parti in calce all'art. 2 del ccnl 22 novembre 1990 per il
personale direttivo e risulta ora sancita nell'omologa dichiarazione congiunta
in calce all'art. 4 del vigente ccnl 22
giugno 1995, dove si afferma che "le parti si danno atto che la categoria
contrattuale dei funzionari si colloca – nell'ambito dell'articolazione delle
categorie del personale dipendente dalle aziende di credito, finanziarie o che
espletano attività intrinsecamente ordinate e funzionali all'intermediazione
finanziaria – fra la categoria dei dirigenti e quella dei quadri".
Passando dalla
storia alla cronaca, va detto che è iniziata successivamente, nei decorsi anni
1997 e 1998, l'offensiva dell'ABI (incorporante Assicredito) – all'insegna del
cosiddetto "contratto unico", alti dirigenti esclusi – sostenuta dalle OO.SS. del personale non professionale
di base, interessato a dilatare la propria sfera di rappresentatività con la
riconduzione dei funzionari nell'alveo del contratto impiegatizio, nonché a
beneficiare di una potenzialmente più consistente massa di contribuzioni
associative. Offensiva caratterizzata principalmente dalla richiesta di
accorpare i "funzionari" ed i "quadri" assieme e di
inserirli nella categoria dei c.d. "quadri direttivi" disciplinati
dal contratto impiegatizio – cioè a dire dalla richiesta di una degradazione dei "funzionari" da personale direttivo alla
normativa impiegatizia tipica dei
"quadri intermedi" – salvo elevare una ristretta quota dei funzionari
di grado più elevato (quelli oltre la 9° maggiorazione di grado) nei Dirigenti
(in modo da implementarne la consistenza fra l'1,5% ed il 2,5% del personale
dell'intera azienda), destinatari questi 'ultimi di un distinto contratto
collettivo.
E' storia nota che
la proposta dell'ABI è stata accolta, in data 28 febbraio 1998, dalle OO.SS. di base della FLB – per le
motivazioni soprariferite sinteticamente – e, dopo un travagliato e non
indolore processo interno, anche dal Sinfub, mentre la Federdirigenticredito,
che possiede la più ampia rappresentatività del personale direttivo, non ha
ritenuto di dover sottoscrivere quest'intesa (raggiunta in attuazione del
Protocollo del 4 giugno 1997 sul settore bancario) perché considerata, a buona
ragione, pregiudizievole per gli
attuali funzionari e preclusiva di un futuro per i nuovi. Da qui
l'indisponibilità a legittimare una "reformatio in peius" più che
della situazione attuale, delle prospettive contrattuali della qualifica
funzionariale.
Alla luce
dell'attuale sentenza della Cassazione n. 12860/1998 – innanzi riferita,
assertrice di una pluralità dei dirigenti, in conseguenza dei distinti
ruoli rivestiti dal personale direttivo
– possiamo dire che l'impostazione dell'ABI, da sempre contestata da
Federdirigenticredito, si rivela connotata da innegabili caratteristiche di
controtendenza e di negazione di un dato reale. Essa mira, infatti, a sopprimere una realtà esistente cioè a
dire la pluralità interna alla categoria dirigenziale, i cui componenti
spaziano tra l'alto, il medio ed il mini dirigente (questi ultimi due designati
contrattualmente dalla qualifica di "funzionari"), realtà di cui gli
operatori giuridici – che sempre si muovono con quello scarto o ritardo
temporale reso necessario dalla ponderazione e dall'analisi oggettiva della
realtà d'impresa e contrattuale – hanno dimostrato di prendere atto ed
affermato pubblicamente.
Sono oramai chiare
e piuttosto evidenti le ragioni della indisponibilità dei funzionari (iscritti
e non alle strutture sindacali aderenti alla Federdirigenticredito) ad essere
non solo terminologicamente designati "quadri direttivi" ma ad essere
spostati dal contratto del personale direttivo a quello dei quadri e dei
lavoratori di base. L'operazione possiede, infatti, intuitivi effetti demotivanti, connessi indirettamente alla
degradazione terminologico-normativa, in quanto gli ex funzionari si vedranno
costretti a subire a rimorchio le magre acquisizioni delle OO.SS.
rappresentative del personale di base, quand'erano abituati a beneficiare -
quantunque con il debito e sempre più accentuato riproporzionamento al ribasso
- di quelle ben più consistenti acquisite (o accordate) all'alta dirigenza.
Le conseguenze in
termini di difficoltà gestionale per le Aziende di credito non tarderanno a
farsi vedere, giacché l'appiattimento verso il basso – conseguente al contratto
unico "impiegati-funzionari" – comporterà inevitabilmente un processo
di "proletarizzazione" dei lavoratori delle medio-alte
professionalità ( quadri e funzionari) i quali diventeranno ligi e vigili, alla
pari dei loro subordinati, su aspetti del rapporto di lavoro (orario, ecc.)
verso i quali avevano sempre mostrato tolleranza collaborativa e senso di
superiorità, in diretta derivazione della loro "superiore"
considerazione aziendale nella scala gerarchica. Le stesse OO.SS. del personale
direttivo non potranno non accentuare il loro carattere conflittuale e si perderà
nel buio dei tempi quella conquista contrattuale (eminentemente datoriale) in
ordine al loro "ruolo partecipativo", ferma restando la loro
autonomia e la loro posizione dialetticamente antagonista. Non si riesce ancora
a comprendere quale ritorno, in termini di motivazione al lavoro e di
condivisione degli obiettivi aziendali, le aziende potranno conseguire da una
tale soluzione o scelta suicida che se,
da un lato, potrà far loro beneficiare di una transitoria contrazione del costo
del lavoro, dall'altro precluderà loro definitivamente l'utilizzo di quegli
stimoli e di quella impalpabile energia interiore del personale direttivo che
ha ad esse consentito la crescita e
l'affermazione nei mercati. Riteniamo che l'obiettivo transeunte dell'ABI di
vincere una battaglia non valga la pena di far perdere alle aziende associate,
in via definitiva ed alla distanza, l'intera guerra.
3.
Conclusioni
Va anche detto che alla soluzione "al ribasso" per
i "funzionari – raggiunta dall'ABI con le OO.SS. della FLB e Sinfub – non
esistono forme di contrapposizione giuridicamente appaganti e/o dotate di
concretezza, dal lato dei risultati. Una volta che l'ABI abbia – come ha fatto,
con l'accordo del 28.2.1998 – garantito agli ex funzionari l'invarianza delle
mansioni e del trattamento economico (in conformità all'art. 2103 c.c.) e
quindi l'assenza di un "danno attuale", non è giuridicamente
azionabile la rivendicazione di un ipotetico danno o pregiudizio futuro ed
eventuale conseguente allo "scollamento" dal contratto dei direttivi
o dirigenti. Anche il mutamento terminologico della qualifica di
"funzionario" in quella di "quadro direttivo" – una volta
salvaguardato il trattamento economico, attraverso superminimi non assorbibili,
e la qualità delle mansioni disimpegnate - non può essere oggetto di una
rivendicazione di un acquisito diritto alla qualifica, perché – come ha detto
una recentissima decisione della
sezione lavoro della Cassazione (9)
- la qualifica è un "nome comune" (gruista, impiegato di IV
livello, ecc.) che designa il contesto, le mansioni ed il trattamento
economico/normativo o entrambi. E se un "nome proprio" può essere
oggetto di diritto, peraltro assoluto (artt. 6,7, 2563 cod.civ.) non
altrettanto può dirsi del "nome comune", il quale non comporta di
regola un diritto rilevante rispetto ai terzi. Anche a non voler condividere
l'asserzione, non v'è dubbio che di fronte ad una rivendicazione di
mantenimento della posseduta qualifica di "funzionario" – in luogo di
quella di "quadro direttivo di 3 o 4 livello"- cui non si può
coniugare alcuna richiesta di risarcimento di
danno in essere (o attuale), è
ragionevole ipotizzare che, per chiudere la partita, le aziende convenute non
avrebbero alcuna remora a rilasciare all'attore una dichiarazione di titolarità
della dizione o qualifica di "funzionario", ai sensi della previgente
disciplina contrattuale, valida fino all'epoca della risoluzione del rapporto.
Ma, dal punto di
vista giuridico, v'è di più. Di fronte ad un accordo-quadro come quello del 28
febbraio '98 – prefigurante due distinti contratti collettivi, di cui uno
riservato alla sola dirigenza – cui seguiranno necessariamente, per
l'identificazione dei destinatari, norme contrattuali articolate in
declaratorie ed esemplificazioni (del tipo di quelle definite discrezionalmente nell'allegato n. 4 al
vigente ccnl 22.6.1995(10), i singoli lavoratori (di norma ex funzionari) – sia
appartenenti alle OO.SS. firmatarie sia da esse dissenzienti - anche se (in teoria) legittimati ad agire
per la tutela del diritto individuale alla verifica giudiziale del loro
inquadramento nel middle o low management riscontrato dalla
Cassazione nelle odierne realtà aziendali (anche del settore credito), si
imbatteranno nella preclusione del giudice a valutare la fondatezza della loro
pretesa individuale. Ciò in quanto il giudice ha il solo potere di agire negli
spazi lasciati dalle lacune (ovvero contraddizioni) della contrattazione
collettiva. Quando però il magistrato si trova di fronte a previsioni
contrattuali secondo le quali solo determinate mansioni o funzioni (di
preposizione ad Uffici di Sede centrale o ad importanti filiali o agenzie
territorialmente designate, ecc.) legittimano l'attribuzione della qualifica
dirigenziale, da esse non potrà discostarsi né effettuare operazioni di
"integrazione" interpretativa, pena la violazione delle soluzioni
conseguenti all'esercizio della libertà ed autonomia sindacale (codificata
nell'art. 39 Cost.) nella fattispecie concretizzate dalle pattuizioni (o
formulazioni contrattuali) raggiunte dai contrapposti agenti negoziali, fatti
salvi i soli ed esigui spazi lasciati
dalle esemplificazioni contrattuali per il
ricorso al criterio dell' analogia.
Concludendo, se non sussistono
strumenti giuridici idonei a sanzionare la "destrutturazione" in atto
della qualifica dei "funzionari", restano – e non sono affatto di
poco conto - a carico delle aziende i
danni e le difficoltà gestionali di un personale sinora "cardine" e
"portante" per le aziende di credito, alle quali certo non gioverà
l'aver spento stimoli, l'aver annacquato professionalità mature o emergenti,
l'aver soffocato attitudini ed imbrigliato ambizioni e competenze alle quali
invece un moderno contratto – che si rendesse garante e tutore del
differenziato valore qualitativo dei ruoli aziendali – conferirebbe libero
sfogo, a tutto vantaggio non solo delle naturali aspettative individuali ma,
principalmente, della funzionalità e produttività dell'impresa bancaria
impegnata, ora più di prima, dal suo più complesso operare sul mercato ed a servizio
dell'utenza.
(pubblicato
in Lav.
prev. Oggi 1999, 3, p. 581 come nota a Cass. sez. lav.
28.12.1998 n. 12860)
(1) In Lav. prev. Oggi
1999, 558.
(2) Cass. 21 gennaio 1984, n. 530 si trova in Foro it. 1984, I, 2564 e in Or. giur. lav. 1985, 56.
(3) Cass. 11 febbraio 1998, n.
1434 si trova in Lav. giur. 1998, 8,
673 con commento di A. M. Sarro.
(4) Vedi Cass. 18 maggio 1985 n.
3069, in questa Rivista 1986, 619.
Cfr. altresì Cass. 25 febbraio 1994, n. 1899, in Dir. prat. lav. 1994, 1610; Cass. 25 ottobre 1989, n. 4358, ibidem 1990, 525; Cass. 11 dicembre
1987, n. 9195, ibidem 1988, 1226;
Cass. 27 novembre 1987, n. 8842, ibidem 1988,
1193; Cass. 29 agosto 1987, n. 7137, ibidem
1988, 370; Cass. 5 giugno 1987, n. 4926, ibidem 1987, 3023.
(5) Vedi, ad es., Cass. 23
febbraio 1994, n. 1086, in Dir. prat. lav.
1994, 1547.
(6) Così Pret. Terni 12 gennaio
1995, in Lav. giur. (massima) 1995,
490 con nota redazionale.
(7) Così l'accademico e legale di
molte aziende di credito, R. Scognamiglio,
La nozione di dirigente nel diritto del lavoro e della previdenza sociale,
in La previdenza del dirigente d'azienda
nel sistema pensionistico italiano, Milano 1981, 120 e ss.).
(8)
G. Pera, voce Dirigente d'azienda, in
Noviss. Dig. it., App.II, Torino 1981, 1099-1100.
(9) Cass. 29 ottobre 1998, n. 10382, inedita allo stato.
(10)
Configurante ancora e nonostante taluni miglioramenti rispetto alle pregresse
versioni – eminentemente in ragione di una carente consensualità degli agenti
negoziali nella individuazione delle ipotesi cui ricollegare la qualifica di
dirigente, come si desume dalla formulazione dell'art. 83 del citato ccnl -
l'illegittima fattispecie del "riconoscimento formale" ad
iniziativa aziendale, a suo tempo
censurata dalla Cassazione. Sul tema si
rinvia a Meucci, Rimane ancorato al
"riconoscimento formale" aziendale il conferimento della qualifica di
"direttivo" del credito, in Lav.
prev. Oggi 1997, 1102 e segg.
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