Demansionamento e uso extralavorativo di internet sul posto di lavoro
 
Trib. Firenze, sez. lav.,  7 gennaio 2008, n. 1218  - Giud. Nuvoli -  Ricorrente: XY – Controricorrente: Z Cooperativa a r.l.
 
Demansionamento – Necessità di allegazione di prove di danno risarcibile – Carenza, nella fattispecie - Uso di internet sul posto di lavoro – Licenziamento – Illegittimità in relazione al caso concreto – Reintegrazione.
 
Ai fini del risarcimento del danno da demansionamento, grava sul lavoratore l'onere di fornire la prova, anche attraverso presunzioni, dell'ulteriore danno risarcibile rispetto al subito demansionamento. Alla stregua di tali principi, non può ritenersi provato un danno patrimoniale alla professionalità, tenuto anche, conto della brevità del periodo di demansionamento dedotto da parte attrice; del tutto generiche sono allegazioni circa l'esistenza di danno esistenziale e all'immagine.
Dall'istruttoria espletata  è emerso che era consentito un accesso alla rete internet per motivi extralavorativi, sia pure nei limiti della ragionevolezza e purché il sistema non fosse tenuto occupato per tempi eccessivi; in tale contesto, benché gli accessi del ricorrente siano stati superiori a quelli di colleghi assegnati a mansioni affini (cfr. relazione peritale integrativa), non può ritenersi la proporzionalità della sanzione espulsiva (cfr., da ultimo, Cass. 30.3.2006 n. 7543), in quanto l'intensità dell' elemento soggettivo della condotta del lavoratore è sminuito dalla tolleranza aziendale all'accesso, da parte dei dipendenti, alla rete internet anche per motivi extralavorativi. Conseguentemente il licenziamento è illegittimo e il lavoratore va reintegrato in azienda.
Fatto e diritto
Con ricorso al Tribunale di Firenze, in funzione di giudice del lavoro, il sig. XY ha convenuto in giudizio Z Cooperativa a r.l. impugnando il licenziamento disciplinare intimatogli con lettera 28.10.2004 dalla datrice di lavoro e chiedendone la condanna al pagamento di complessivi euro 90.000.000 a titolo di risarcimento del danno biologico, esistenziale, all'immagine, da dequalificazione; costituitasi in giudizio, parte convenuta ha contestato la domanda, chiedendone il rigetto.
Escussi testi, ed espletata c.t.u. tecnica, all'odierna udienza la causa è stata discussa e decisa come da separato dispositivo, del quale è stata data lettura
Impugnazione del licenziamento 10.11.2004.
Con lettera 28.10.2004Z Cooperativa a r.l. . ha contestato al ricorrente il seguente addebito disciplinare: Dal mese di gennaio 2004 Lei ha quotidianamente usato in modo improprio e per fini ed interessi personali gli strumenti informatici aziendali in Sua dotazione accedendo, durante l'orario di lavoro, a diversi siti non attinenti alla sua attività lavorativa. A titolo meramente esemplificativo citiamo qui alcuni dei siti che Lei ha aperto e visionato e dai quali, in alcuni casi, ha scaricato dati ... omissis ..... A seguito di tale contestazione, il ricorrente è stato licenziato con lettera in data 15.11.2004.
Ad avviso del giudicante, parte convenuta non ha provato la sussistenza di giusta causa di recesso, per le seguenti considerazioni:
- la consulenza tecnica espletata, sulla base dei dati raccolti in sede di accertamento tecnico preventivo, ha concluso, se pure con il margine di approssimazione che deriva dalla difficoltà di distinguere con esattezza i siti internet attinenti all' attività lavorativa da quelli a essa estranei, che il ricorrente ha utilizzato il computer a lui assegnato per accedere alla rete internet per complessive 276,53 ore, su 163 giorni nei quali ha effettuato almeno un collegamento;
 - per il 70% circa tali accessi sono stati relativi a siti non attinenti l'attività lavorativa;
- considerato che il tempo medio di accesso alla rete internet ammonta, per il ricorrente, a circa 80 minuti giornalieri (cfr. supplemento relazione depositato in data 1.10.2007), l'utilizzo del computer per ragioni extralavorative può essere mediamente determinato in circa 56 minuti giornalieri
- peraltro, è emerso dall'istruttoria espletata che era consentito un accesso alla rete internet per motivi extralavorativi, sia pure nei limiti della ragionevolezza e purché il sistema non fosse tenuto occupato per tempi eccessivi;
- peraltro è emerso dall'istruttoria espletata che era consentito un accesso alla rete internet per motivi extralavorativi, sia pure nei limiti della ragionevolezza e purché il sistema non fosse tenuto occupato per tempi eccessivi
- in tale contesto, benché gli accessi del ricorrente siano stati superiori a quelli di colleghi assegnati a mansioni affini (cfr. relazione peritale integrativa), non può ritenersi la proporzionalità della sanzione espulsiva (cfr., da ultimo, Cass. 30.3.2006 n. 7543), in quanto l'intensità dell' elemento soggettivo della condotta del lavoratore è sminuito dalla tolleranza aziendale all'accesso, da parte dei dipendenti, alla rete internet anche per motivi extralavorativi;
- va inoltre rilevato che è estranea alla contestazione disciplinare la questione circa la mancata prestazione lavorativa del ricorrente durante l'accesso alla rete internet, in quanto il licenziamento è motivato con l'uso improprio degli strumenti informatici aziendali;
- tale fattispecie è assimilabile al danneggiamento di beni aziendali, per il quale l'art. 81 ccnl prevede la sanzione conservativa della sospensione, e anche sotto tale profilo va ritenuta la carenza di proporzionalità della sanzione espulsiva.
Ne consegue l'annullamento del licenziamento, con la condanna della convenuta alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento del danno ex art. 18 l. 300/1970, in difetto di prova circa l' aliunde perceptum (cfr. dichiarazione Agenzia delle Entrate in atti).
 
Domanda di condanna al risarcimento del danno.
Il ricorrente deduce di aver subito un danno derivante da reiterati mutamenti di mansioni e di ufficio, e da una situazione di sostanziale inattività iniziata a partire dal gennaio- febbraio 2004.
E' inammissibile la domanda di risarcimento del danno biologico, trattandosi di fattispecie successiva al 25.7.2000, e quindi compresa nella assicurazione INAIL ex art. 13 d. 19s. 23.2.2000 n. 38.
Per quanto concerne il dedotto danno da dequalificazione, la recente giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che l'assegnazione dei dipendenti a mansioni inferiori rispetto a quelle proprie del loro livello contrattuale non determina di per sé un danno risarcibile ulteriore rispetto a quello costituito dal trattamento retributivo inferiore cui provvede, in funzione compensatoria, l'art. 2103 cod. civ., il quale stabilisce il principio della irriducibilità della retribuzione, nonostante l'assegnazione e lo svolgimento di mansioni inferiori e meno pregia te di quelle già attribuite, giacché deve escludersi che ogni modificazione delle mansioni in senso riduttivo comporti una automatica dequalificazione professionale, connotandosi quest'ultima, per sua natura, per l'abbassamento del globale livello delle prestazioni del lavoratore con una sottoutilizzazione delle sue capacità e una conseguenziale apprezzabile menomazione - non transeunte - della sua professionalità, nonché con perdita di chance ovvero di ulteriori potenzialità occupazionali o di ulteriori possibilità di guadagno. Ne consegue che grava sul lavoratore l'onere di fornire la prova, anche attraverso presunzioni, dell'ulteriore danno risarcibile, mentre resta affidato al giudice del merito - le cui valutazioni, se sorrette da congrua motivazione, sono incensurabili in sede di legittimità - il compito di verificare di volta in volta se, in concreto, il suddetto danno sussista, individuandone la specie e determinandone l'ammontare, eventualmente con liquidazione in via equitativa. (In applicazione di tale principio, la Corte. Cass. ha cassato la sentenza impugnata che, accertato il demansionamento dei lavoratori, aveva per ciò solo ritenuto sussistente un danno risarcibile ulteriore rispetto a quello costituito dalla diminuzione della retribuzione, liquidandolo in via equitativa (Cass. 8.11.2003 n. 16792); mentre Il prestatore di lavoro che chieda la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno (anche nella sua eventuale componente di danno alla vita di relazione o di cosiddetto danno biologico) subito a causa della lesione del proprio diritto di eseguire la prestazione lavorativa in base alla qualifica professionale rivestita, lesione idonea a determinare la dequalificazione del dipendente stesso, deve fornire la prova dell'esistenza di tale danno e del nesso di causalità con l'inadempimento, prova che costituisce presupposto indispensabile per procedere ad una valutazione equitativa. Tale danno non si pone, infatti, quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo al lavoratore che denunzi il danno subito di fornire la prova in base alla regola generale di cui all'art. 2697 cod. civ. (Nella specie, la S. C. ha cassato la sentenza di merito sul punto in quanto il giudice invece di verificare se il prestatore di lavoro aveva nella specie provato, conformemente all'onere probatorio da cui era gravato, il danno ed il nesso di causalità con l'inadempimento datoriale, aveva affermato che al demansionamento professionale andava riconosciuta una indubbia dimensione patrimoniale, suscettibile di risarcimento e di valutazione anche equitativa, pur in mancanza della dimostrazione di un effettivo pregiudizio). (Cass. 28.5.2004 n. 10361).
Alla stregua di tali principi, non può ritenersi provato un danno patrimoniale alla professionalità, tenuto anche, conto della brevità del periodo di demansionamento dedotto da parte attrice; del tutto generiche sono allegazioni circa l'esistenza di danno esistenziale e all'immagine.
La domanda risarcitoria proposta da parte attrice è quindi infondata.
Ne consegue la pronuncia di cui al dispositivo.
Considerato il parziale accglimento della domanda, si ravvisano giusti motivi ex a.92 c.p.c. per la compensazione per ½ delle spese processuali, e parte convenuta va condannata al pagamento del residuo ½ , liquidato per tale quota come da dispositivo.
Vanno poste a carico di Z Cooperativa a r.l. le spese di c.t.u. liquidate come da separati decreti.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da XY con atto depositato in data 22.9.2005, respinta ogni diversa istanza, eccezione e deduzione:
- annulla il licenziamento intimato da Z Cooperativa a r.l. al ricorrente con lettera in data 15.11.2004;
- ordina a Z Cooperativa a r.l. di reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro;
- condanna Z Cooperativa a r.l. al pagamento a favore del ricorrente a titolo di risarcimento del danno, di una indennità pari alla retribuzione globale di fatto maturata dal 15.11.2004 alla data della reintegrazione, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, nonché al versamento del Contributi previdenziali ed assistenziali dovuti per il ricorrente per il periodo dal 15.11.2004 alla data della reintegrazione;
- compensa per 11 le spese processuali, e condanna Z Società Cooperativa a r.l. al pagamento, a favore di parte ricorrente, del residuo , liquidato per tale quota in € 900,00 per diritti, € 1.100,00 per onorari, oltre spese generali ex art. 14 tariffa forense, IV A e CAP;
- pone a carico di Z Società Cooperativa a r.1. le spese di c.t.u., liquidate come da separati decreti.
 
Firenze, 7 novembre 2007 (depositato il 7 gennaio 2008)

(Torna alla Sezione Mobbing)