Danno esistenziale da inadempienze in pubblico concorso (risarcito del tutto esiguamente)

 

T.A.R. Piemonte – Torino, Sezione I, 15 giugno 2007, n. 2623 – Pres. GOMEZ de AYALA – Est. LOTTI -  M. Prof. A. (avv. Gallo) c. Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (avv. Prinzivalli).

 

Danno esistenziale da mancata esecuzione di decisioni della giustizia amministrativa che aveva invalidato l’operato di una Commissione giudicatrice di un concorso pubblico – Onnicomprensivo di danno professionale, all’immagine e alla reputazione - Sussistenza e risarcimento.

 

Dal quadro "ridisegnato" nel recente passato emerge che al risarcimento del danno patrimoniale, sempre ancorato al paradigma dell'art. 2043 c.c., si accompagna il risarcimento del danno non patrimoniale, che trova tutela più ampia ed articolata nell'art. 2059 c.c., il quale non va più restrittivamente interpretato ed applicato in via esclusiva ai casi tradizionali del danno morale soggettivo (ex art. 185 c.p.), ma deve assicurare la riparazione delle ipotesi legali espresse di danno non patrimoniale risarcibile (art. 89 c.p.c., art. 2 l. n. 117/1988, art. 29 l. n. 675/1996, sostituito dall'art. 152 d. lgs. 196-03, art. 44 d.lgs. n. 286-98, art. 2 l. n. 89-01), e delle lesioni che, incidendo sui valori (della persona) costituzionalmente garantiti, non possono non costituire figure di danno risarcibile, a prescindere da risvolti penalistici, non più condizionanti.

Dalla nuova sistemazione deriva che il danno non patrimoniale è categoria ampia, nella quale trovano collocazione tutte le ipotesi di lesione di valori inerenti alla persona, ovvero sia il danno morale soggettivo (concretantesi nella perturbatio dell'animo della vittima), sia il danno biologico in senso stretto (o danno all'integrità fisica e psichica, coperto dalla garanzia dell'art. 32 Cost.), sia il c.d. danno esistenziale (o danno conseguente alla lesione di altri beni non patrimoniali di rango costituzionale).

Il danno esistenziale consiste, pertanto, nei riflessi esistenziali negativi (perdita di compiacimento o di benessere per il danneggiato) che ogni violazione di un diritto della personalità produce.

A differenza del danno biologico, tale voce di danno sussiste indipendentemente da una patologia (lesione fisica o psichica) suscettibile di accertamento e valutazione medico-legale; diversamente dal danno patrimoniale, prescinde da una diminuzione della capacità reddituale; rispetto al danno morale, inteso come turbamento dello stato d'animo della vittima, non consiste in una sofferenza od in un dolore, ma in un peggioramento della qualità di vita derivante dalla lesione del valore costituzionale "uomo".

E’ jus receptum l'affermazione secondo la quale l'immaterialità dei pregiudizi in questione (lesione di valori inerenti alla persona) rende ammissibile il ricorso alla prova per presunzioni, sulla scorta di valutazioni prognostiche anche basate su fatti notori o massime di comune esperienza.

 

FATTO

Con ricorso notificato in data 8.6.2005 e depositato in data 15.6.2005, il ricorrente, dirigente statale, espone che, all’epoca Direttore della Sezione operativa periferica di Torino dell'Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante, istituzione soggetta a vigilanza del Ministero, in allora, dell' Agricoltura e delle Foreste, partecipò, nel 1995, al concorso pubblico, bandito con decreto ministeriale 4 luglio 1995, per un posto di Direttore straordinario dell'Istituto Sperimentale per l'Enologia di Asti.

Espletato il concorso, la Commissione giudicatrice collocò il ricorrente al primo posto della graduatoria, ma, dopo avere così operato, dichiarò l'odierno ricorrente e gli altri concorrenti utilmente graduati tutti inidonei.

La decisione della Commissione venne approvata con decreto del Ministro delle Politiche Agricole e Forestali (nuova denominazione del Ministero dell' Agricoltura e Foreste) in data 20 marzo 1997.

Avverso quel decreto, l'odierno deducente propose ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, che, con sentenza della I sezione 4 novembre 1999, n. 658, accolse il ricorso ed annullò il provvedimento.

La sentenza (comunicata dalla Segretaria del TAR, in via amministrativa, al Ministero il 12 novembre 1999) passò in giudicato il 5 marzo 2000, non essendo stata impugnata dopo la notificazione, avvenuta il 5 gennaio 2000.

A seguito della sentenza, il Ministero riconvocò la Commissione giudicatrice, che peraltro adottò un giudizio di conferma del precedente, annullato dal Giudice; detto provvedimento venne approvato dal Ministero con decreto in data 17 ottobre 2000, che dichiarò il ricorrente inidoneo e non lo nominò.

Avverso questo decreto il deducente si rivolse ancora al TAR Piemonte, che con sentenza della I sezione 31 gennaio 2001, n. 192, nuovamente annullò il provvedimento negativo.

Il Consiglio di Stato, investito del ricorso in appello dal parte del Ministero, con ordinanza della VI sezione in data 12 febbraio 2002, n. 648, respinse l'istanza cautelare proposta dall'Avvocatura dello Stato avverso la sentenza, motivando "ritenuto che l'appello non appare assistito da fumus”.

Nel frattempo, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, accogliendo il ricorso per l'esecuzione proposto dall'odierno deducente, con sentenza della I sezione 6 settembre 2001, n. 1660, intimò al Ministero di riconvocare la Commissione.

Il Ministero riconvocò per la terza volta la Commissione, ma questa confermò lo stesso provvedimento; a sua volta, il Ministero approvò l'operato della Commissione, con decreto in data 15 ottobre 2001.

Ancora una volta l'odierno deducente si rivolse al TAR Piemonte, che accolse l'impugnazione, annullando il provvedimento negativo, con sentenza della I sezione 13 febbraio 2002, n. 305.

Anche il Consiglio di Stato, nuovamente adito dall'Avvocatura dello Stato, con ordinanza del VI sezione 25 giugno 2002, n. 2664 respinse l'istanza cautelare, ritenendo che dall'atto di appello non emergono elementi tali da far ritenere fondata la domanda incidentale dell'Amministrazione.

Con nuovo decreto ministeriale in data 3 marzo 2003 è stata ancora una volta confermata la valutazione negativa espressa nei confronti del ricorrente da parte della Commissione giudicatrice.

Avverso questo nuovo decreto, il deducente ha proposto ricorso al TAR Piemonte, che ha annullato il nuovo provvedimento con sentenza della I sezione 2 luglio 2003, n. 992.

Ancora una volta l'Avvocatura dello Stato ha ricorso in appello avanti il Consiglio di Stato avverso la sentenza, ma ancora una volta il Consiglio di Stato, con ordinanza della VI sezione 12 dicembre 2003, n. 5465, ha respinto l'istanza cautelare proposta dall' Avvocatura dello Stato così motivando: "ritenuto che il ricorso in appello appare del tutto sfornito di fumus bonis juris; considerato che sull'Amministrazione incombe l'obbligo di dare corretta esecuzione alle sentenze al Tribunale Amministrazione Regionale per il Piemonte intervenuto nella vicenda, conformemente alle statuizioni in essa contenute".

A questo punto, il ricorrente si è di nuovo rivolto al T AR Piemonte, per ottenere l' esecuzione delle precedenti pronunzie.

Il TAR Piemonte, con sentenza della I sezione 21 aprile 2004, n. 644, ha accolto il ricorso ed ha nominato un Commissario ad acta, nella persona del Dirigente pro-tempore dell'Ispettorato Regionale per il Piemonte del Corpo Forestale dello Stato.

Il Commissario ad acta, soggetto terzo, ha dato attuazione al giudicato, proponendo l'odierno deducente per la nomina a direttore dell'Istituto Sperimentale per l'Enologia di Asti.

Sulla scorta di questo provvedimento, il Ministero delle Politiche agricole e forestali con decreto in data 10 giugno 2004 ha nominato il ricorrente, a decorrere dalla stessa data, Direttore straordinario del ruolo dei servizi della ricerca e della sperimentazione agraria, per la Direzione dell'Istituto Sperimentale per l'Enologia di Asti.

Cosicché, nove anni dopo la pubblicazione del bando di concorso il deducente ha potuto assumere l'incarico di Direttore dell'Istituto Sperimentale per l'Enologia di Asti.

Sennonché, in considerazione del lungo tempo trascorso, la nomina ha avuto un brevissimo effetto, in quanto il deducente è stato collocato a riposo con decorrenza 1° dicembre 2004 per raggiunti limiti di età.

La vicenda, secondo il ricorrente, gli avrebbe arrecato al ricorrente dei danni gravissimi, non solo dal punto di vista stipendiale.

Tali danni, secondo la prospettazione fattane, consisterebbero in:

a) lesione della professionalità con riferimento a possibili sviluppi della stessa;

b) danno d’immagine;

c) danno professionale specifico per riduzione dell’attività della sede periferica di Torino;

d) danno esistenziale alla vita di relazione;

e) danno patrimoniale per mancato sviluppo i carriera ed esborsi per difese in giudizio.

Si costituiva l’Amministrazione intimata chiedendo il rigetto del ricorso.

Alla pubblica udienza del 13 giugno 2007 il ricorso veniva posto in decisione.

DIRITTO

Ritiene il Collegio, preliminarmente, di dover prendere posizione sulla figura del cd. danno esistenziale, espressamente richiesto, a fini liquidatori, dal ricorrente, sub d), ma sostanzialmente, come si dirà, predicabile anche con riferimento alle voci di danno rubricate, dal ricorrente, sub a), b) e c).

Come è noto, anche secondo la più recente giurisprudenza amministrativa, il danno esistenziale consiste nei riflessi esistenziali negativi (perdita di compiacimento o di benessere per il danneggiato) che ogni violazione di un diritto della personalità produce, ed è risarcibile ai sensi dell'art. 2059 c.c., a condizione che il diritto leso abbia rilievo costituzionale (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 18 gennaio 2006 , n. 125).

Più in specifico, secondo tale filone ormai affermatosi anche dinnanzi al giudice amministrativo, il danno esistenziale, la dimostrazione del quale emerge "ipso iure" dalla prova del fatto antigiuridico, è liquidato in via equitativa ex art. 1226 e 2056 c.c., alla luce della gravità e della durata della lesione e della rilevanza delle conseguenze derivanti al soggetto danneggiato.

E' noto, infatti, sotto il profilo ricostruttivo della figura, che il sistema delineato dal Codice civile del 1942 si fondava sulla concezione dicotomica che distingueva, nell'universo aquiliano, il danno patrimoniale da quello non patrimoniale.

Invero, mentre l'articolo 2043 configura la prima categoria (“Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”), il risarcimento del danno non patrimoniale è previsto dall'articolo 2059 c.c. secondo cui “Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge”. All'epoca dell'emanazione del codice civile (1942) il legislatore - con il prefato richiamo - intendeva riferirsi all'unica previsione espressa di risarcimento del danno non patrimoniale, quella racchiusa nell'articolo 185 del Codice penale del 1930.

E' noto, tuttavia, che nella successiva evoluzione verificatasi nella disciplina di tale settore, contrassegnata dal nuovo atteggiamento assunto, dal legislatore e dalla giurisprudenza, il sistema dicotomico del 1942 è entrato in crisi fino ad essere definitivamente superato per effetto della nuova sistemazione dogmatica del danno civile elaborata con il fondamentale contributo delle due sentenze gemelle della Suprema Corte di Cassazione del 31 maggio 2003 (nn. 8827 e 8828) e dell'interpretazione costituzionalmente orientata che - analogamente alla Corte di Cassazione - ne ha dato la Corte Costituzionale (sent. n. 233 dell'11 luglio 2003).

La prima tappa (giurisprudenziale) di tale complesso itinerario è stata incentrata sulla figura del danno biologico.

Nella sistematica codicistica originaria, l'individuo, in quanto titolare di un patrimonio valutabile sub specie economico - contabile, poteva invocare la tutela giuridica, solo ove il predetto patrimonio avesse subito un pregiudizio: l'ipotesi tipica era rappresentata dalla diminuzione della capacità di produrre reddito, a causa di una lesione fisica invalidante.

Questo impianto di tutela, tuttavia, escludeva quella forma di danno che poteva riguardare tutti gli individui, compresi i soggetti privi di un reddito lavorativo. Il sistema così descritto, in altri termini, operava un meccanismo di esclusione di tutela giuridica che, non solo si poneva in palese contrasto con i dettami della Carta Costituzionale (artt. 2, 3, Cost.), ma finiva anche con il rendere del tutto inoperante l'art. 32 Cost. (tutela della salute).

Intorno alla metà degli anni '70 - anche sulla spinta delle critiche rivolte dalla dottrina alle previsioni codicistiche - parte della giurisprudenza cercò, con una serie di tentativi, di superare l'impasse cui conduceva la richiamata dicotomia.

In tal senso la sentenza del Tribunale di Genova 25 maggio 1974, rappresentò - anche sotto il profilo storico - il primo passo verso una impostazione metodologica volta a "spostare l'asse dell'attenzione" dal criterio patrimoniale al criterio della "ingiustizia" del danno.

Un passo ulteriore è rappresentato dalle sentenze n. 87 e 88 del 1979 con le quali la Corte Costituzionale individuò nell'art. 32 Cost. la norma che assicura la effettività della tutela della salute quale diritto fondamentale dell'individuo, come diritto primario ed assoluto e pienamente operante nei rapporti tra privati. La medesima Corte precisò che il diritto alla salute, in virtù anche del suo carattere privatistico, è direttamente tutelato dalla Costituzione (art. 32) e, nel caso di sua violazione, il soggetto può chiedere ed ottenere il giusto risarcimento, in forza del collegamento tra l'art. 32 Cost. e l'art. 2059 c.c..

La successiva produzione giurisprudenziale vede l'affermarsi della tesi secondo cui la menomazione dell'integrità psicofisica della persona, costituisce un danno ingiusto di natura patrimoniale, in quanto colpisce un valore essenziale che fa parte integrante di quel complesso di beni di esclusiva e diretta pertinenza del danneggiato (Cass. civ., 11 febbraio 1985, n. 1130; per una applicazione in punto di danno biologico cfr. la sentenza n. 3675/81 della Corte di Cassazione)

Con la storica sentenza n. 134/1986, la Corte Costituzionale ribadisce la legittimità dell'art. 2059 c.c. che correttamente, nella discrezionalità del legislatore, ha delimitato il risarcimento del danno non patrimoniale alle sole ipotesi in cui il fatto costituisce reato. Al tempo stesso, però, la Corte Costituzionale nega che una simile scelta del legislatore possa pregiudicare la risarcibilità stessa del danno biologico, dal momento che tale risarcibilità va ricercata non nell'art. 2059 c.c., ma bensì nell'ambito dell'art. 2043 c.c..

Accanto alla poderosa opera di ricostruzione dogmatica da parte della giurisprudenza, si pone l'attività del legislatore che, nella normativa successiva al codice, ha notevolmente ampliato i casi di espresso riconoscimento del risarcimento del danno non patrimoniale anche al di fuori dell'ipotesi di reato (art. 185 c.p.), in relazione alla compromissione di valori personali (art. 2 L. n. 117/88: risarcimento anche dei danni non patrimoniali derivanti dalla privazione della libertà personale cagionati dall'esercizio di funzioni giudiziarie; art. 29, sostituito dall'art. 152, comma 12, d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196, comma 9, L. n. 675/96: impiego di modalità illecite nella raccolta di dati personali; art. 44, comma 7, D.L.vo n. 286/98: adozione di atti discriminatori per motivi razziali, etnici o religiosi; art. 2 L. n. 89/2001: mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo).

Venendo al più recente passato, la definitiva sistemazione dogmatica del "danno civile" è stata effettuata - come sopra anticipato - dalla giurisprudenza costituzionale e da quella civile del 2003.

In particolare la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto non più condivisibile la tradizionale restrittiva lettura dell'articolo 2059 c.c., in relazione all'articolo 185 c.p., come diretto ad assicurare tutela soltanto al danno morale soggettivo, alla sofferenza contingente, al turbamento dell'animo transeunte determinati da fatto illecito integrante reato. La Corte di Cassazione ha osservato che nel vigente assetto ordinamentale, nel quale assume posizione preminente la Costituzione - che, all'articolo 2, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, - il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona. La Corte ha precisato che si deve quindi ritenere ormai acquisito all'ordinamento positivo il riconoscimento della lata estensione della nozione di "danno non patrimoniale", inteso come danno da lesione di valori inerenti alla persona, e non più solo come "danno morale soggettivo".

Al giudice della legittimità non è sembrato proficuo ritagliare all'interno di tale generale categoria specifiche figure di danno, etichettandole in vario modo poiché, ha osservato, ciò che rileva, ai fini dell'ammissione a risarcimento, in riferimento all'articolo 2059 c.c., è l'ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, dal quale conseguano pregiudizi non suscettivi di valutazione economica.

Inoltre, la riserva di legge, originariamente esplicata dal solo articolo 185 c.p. (ma anche dall'articolo 89 c.p.c.), in punto di ammissibilità del risarcimento, è stata resa inoperante nel caso di lesione concernente i valori della persona costituzionalmente garantiti.

Dal quadro "ridisegnato" nel recente passato emerge che al risarcimento del danno patrimoniale, sempre ancorato al paradigma dell'art. 2043 c.c., si accompagna il risarcimento del danno non patrimoniale, che trova tutela più ampia ed articolata nell'art. 2059 c.c., il quale non va più restrittivamente interpretato ed applicato in via esclusiva ai casi tradizionali del danno morale soggettivo (ex art. 185 c.p.), ma deve assicurare la riparazione delle ipotesi legali espresse di danno non patrimoniale risarcibile (art. 89 c.p.c., art. 2 l. n. 117/1988, art. 29 l. n. 675/1996, sostituito dall'art. 152 d. lgs. 196-03, art. 44 d.lgs. n. 286-98, art. 2 l. n. 89-01), e delle lesioni che, incidendo sui valori (della persona) costituzionalmente garantiti, non possono non costituire figure di danno risarcibile, a prescindere da risvolti penalistici, non più condizionanti.

Dalla nuova sistemazione deriva che il danno non patrimoniale è categoria ampia, nella quale trovano collocazione tutte le ipotesi di lesione di valori inerenti alla persona, ovvero sia il danno morale soggettivo (concretantesi nella perturbatio dell'animo della vittima), sia il danno biologico in senso stretto (o danno all'integrità fisica e psichica, coperto dalla garanzia dell'art. 32 Cost.), sia il c.d. danno esistenziale (o danno conseguente alla lesione di altri beni non patrimoniali di rango costituzionale).

Merita di essere precisato che la categoria del danno esistenziale è stata enucleata dalla giurisprudenza civile (specialmente negli anni 1986 - 1994) mediante un fenomeno di dilatazione della categoria del danno biologico.

La successiva produzione giurisprudenziale, tuttavia, riconducendo il danno biologico nei confini della "patologia", determinò la necessità di definire, expressis verbis, una nuova categoria di danno idonea a ricomprendere tutte le ipotesi di lesione arrecata ai diritti della personalità (cfr., in particolare, le decisioni di merito Trib. Torino 8 agosto 1995, Trib. Verona 26 febbraio 1996).

Il suggello alla produzione giurisprudenziale (ed alla sottesa elaborazione della dottrina) in esame è stato posto dalla Corte di cassazione, sez. I, sentenza n. 7713 del 7 giugno 2000, secondo cui la lesione dei diritti fondamentali della persona, collocati al vertice della gerarchia dei valori costituzionalmente garantiti, va incontro alla sanzione risarcitoria per il fatto in sé della lesione (danno evento) indipendentemente dalle eventuali ricadute patrimoniali che la stessa possa comportare (danno conseguenza), come posto in luce dalla Corte costituzionale con la nota sentenza n. 184 del 1986.

La Corte di Cassazione ha osservato che la vigente Costituzione, garantendo principalmente e primariamente valori personali impone una lettura costituzionalmente orientata del paradigma aquiliano (che non si sottrarrebbe altrimenti ad esiti di incostituzionalità ), in correlazione agli articoli della Carta che tutelano i predetti valori, nel senso appunto che quella norma sia idonea a compensare il sacrificio che gli stessi valori subiscono a causa dell'illecito, attraverso il risarcimento del danno (che) è sanzione esecutiva del precetto primario ed è la minima delle sanzioni che l'ordinamento appresta per la tutela di un interesse.

Il danno esistenziale consiste, pertanto, nei riflessi esistenziali negativi (perdita di compiacimento o di benessere per il danneggiato) che ogni violazione di un diritto della personalità produce.

A differenza del danno biologico, tale voce di danno sussiste indipendentemente da una patologia (lesione fisica o psichica) suscettibile di accertamento e valutazione medico-legale; diversamente dal danno patrimoniale, prescinde da una diminuzione della capacità reddituale; rispetto al danno morale, inteso come turbamento dello stato d'animo della vittima, non consiste in una sofferenza od in un dolore, ma in un peggioramento della qualità di vita derivante dalla lesione del valore costituzionale "uomo".

Il Collegio reputa in concreto sussistenti i presupposti per il risarcimento del danno esistenziale cagionato all'appellante.

Nella fattispecie che ci occupa è evidente la violazione di una posizione tutelata dall'ordinamento (che l'illecita condotta dell'amministrazione ha leso, ostacolando le attività realizzatrici della persona umana libera dall'impegno e dal logorio dell'attività lavorativa).

In effetti, nel caso di specie, si è verificata una lesione del diritto fondamentale alla libera esplicazione della personalità del lavoratore, determinando un pregiudizio che incide sulla vita professionale e di relazione dell'interessato, trattandosi di pregiudizio del valore superiore della professionalità, direttamente collegato a un diritto fondamentale del lavoratore e costituente sostanzialmente un bene a carattere immateriale (cfr., per il principio, Cass., sez. lav., 2 gennaio 2002, n. 10).

Tanto detto sulla ricorrenza del danno ingiusto sub specie eventi, sul piano della prova, è jus receptum l'affermazione secondo la quale l'immaterialità dei pregiudizi in questione (lesione di valori inerenti alla persona) rende ammissibile il ricorso alla prova per presunzioni, sulla scorta di valutazioni prognostiche anche basate su fatti notori o massime di comune esperienza.

Nel caso in esame, il fatto della protrazione di un'attività lavorativa inferiore, per dignità e qualità professionale, a quella alla fine attribuita dopo un’estenuante iter legale, consente di risalire al fatto ulteriore del peggioramento della qualità dell'esistenza.

L' Amministrazione, invero, ha ricostruito la carriera del ricorrente, ma in ritardo, con un provvedimento assunto il 15 marzo 2005, e cioè dopo il suo collocamento a riposo.

Il deducente, al contrario, fin dal 1997 ha saputo di essere collocato al primo posto della graduatoria del concorso per il posto di Direttore dell’Istituto Sperimentale per l'Enologia di Asti, ma ha potuto assumere il servizio presso quell'Istituto soltanto nel giugno del 2004.

In questa situazione, è evidente non solo l'illegittimità dell'operato dell’Amministrazione, ma anche la grave colpa nella quale la medesima è incorsa reiterando provvedimenti illegittimi.

E' evidente che il ricorrente, Direttore della sezione operativa periferica di Torino dell'Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante, nel diventare direttore dell'Istituto Sperimentale dell'Enologia di Asti avrebbe compiuto una consistente progressione di carriera, passando dalla direzione di una sezione periferica alla direzione dell'intero Istituto.

Ciò avrebbe comportato l'acquisizione di una ben diversa posizione di ruolo (a sensi dell'art. 51 del d.p.r. prima citato il ruolo dei direttori e il ruolo dei direttori di sezione è distinto) e l'acquisizione di un trattamento economico articolato in termini molto più convenienti (lo stipendio del Direttore, disciplinato all'art. 57, è ben superiore allo stipendio del Direttore di sezione, disciplinato nell'art. 60).

La diversa posizione fra le due figure è rilevante dal punto di vista organizzativo ma anche dal punto di vista della ricerca, in quanto gli Istituti in questione avevano una espressa funzione di ricerca (tanto che ai medesimi potevano essere preposti dei professori ordinari dell'Università).

E' evidente, perciò, che il ricorrente era particolarmente interessato a diventare Direttore dell'Istituto Sperimentale dell'Enologia di Asti, che ha come bacino di riferimento il settore dell'Enologia, in Italia, notoriamente ben superiore ad esempio all'Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante, che si occupa, in sostanza, della ricerca in ordine ai fertilizzanti.

E' evidente, perciò, la lesione alla sua professionalità che configura danno esistenziale, nel senso sopra precisato.

Non è, invece, prospettabile un autonomo danno all'immagine, diverso da quello sopra evidenziato quale danno esistenziale, in quanto nel caso di specie, il danno esistenziale lamentato è riferito ex se a valori essenziali della persona, quali l'onore, la reputazione e la propria immagine, derivanti da un pregiudizio del bene professionalità costituzionalmente tutelato.

Lo stesso può dirsi con riferimento al danno prospettato sub c) (danno cd. professionale specifico).

Non può, invece, essere riconosciuto, difettandovene un esplicita e circostanziata prova degli elementi costituitivi atti anche alla sua quantificazione il danno patrimoniale così come rubricato sub e)., nel cui ambito è richiesto anche il risarcimento dei danni derivanti dalla lite il cui paradigma risarcitorio è, tuttavia, previsto, con diversi presupposti, qui non integrati, nell’art. 96 c.p.c.

Pertanto, è risarcibile il danno esistenziale (comprensivo, come detto, delle voci dedotte dal ricorrente sub a), b), c) e d) che è, quindi, suscettibile di liquidazione equitativa ex artt. 1226 e 2056 c.c., alla luce della gravità e della durata della lesione e della rilevanza delle conseguenze sopra descritte, nella misura di euro 10.000.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte - I sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, condanna l’Amministrazione convenuta a corrispondere al ricorrente il risarcimento del danno quantificato in euro 10.000.

Condanna parte resistente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in euro 1.500,00, oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella Camera di Consiglio del 13 giugno 2007, con l’intervento dei signori magistrati:

- Alfredo GOMEZ de AYALA Presidente

- Roberta VIGOTTI Consigliere

- Paolo LOTTI 1° Referendario, estensore

Depositato in segreteria a sensi di legge il 15 giugno 2007

 

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