Non è risarcibile il danno da stress se, richiesto quale danno da mobbing, quest'ultimo non viene riscontrato
 
Tar Lazio Roma, sez. I quater – 28 maggio 2008, n. 5177 – Rel. Tricarico – Ricorrente: A. Marcello -  Controricorrente: Ministero della Giustizia e Dott. Cesare N.  
 
Mobbing in presenza di sindrome ansioso depressiva – Insussistenza per carente riscontro delle caratteristiche del fenomeno - Irrisarcibilità.
 
Il mobbing consiste in un complesso di atteggiamenti illeciti posti in essere nell’ambiente di lavoro nei confronti di un dipendente e che si risolvono in sistematici e reiterati comportamenti ostili, che finiscono per assumere forme di violenza morale o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire l’isolamento e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio psichico e del complesso della sua personalità. Deve ribadirsi che dinanzi al giudice amministrativo detti comportamenti assumono rilevanza solo se ed in quanto siano ascrivibili a mancata sorveglianza da parte dell’Amministrazione, quale datore di lavoro. Nel caso che ci occupa non può certo negarsi che il Sig. A. sia affetto da una patologia di stato ansioso, certificata da professionisti specificamente competenti. Non si disconosce neppure che detta patologia possa derivare dall’ambiente di lavoro nel quale il ricorrente si è trovato a prestare servizio. Tuttavia non può questa riferirsi ad un caso di mobbing, non ravvisandosi gli elementi che lo caratterizzano. Scontri interni, peraltro non limitati a rapporti intercorrenti unicamente tra l’attuale istante ed uno o più colleghi ma derivanti da un più diffuso disaccordo tra due gruppi di colleghi, non possono certo integrare il mobbing. Non si ravvisa alcun atteggiamento persecutorio nei confronti del Sig. A. , che ha semplicemente subito lo stress derivante da detto disaccordo e da tutte le proteste che ne sono derivate, organizzate da entrambe le fazioni.
 
FATTO
 
Il Sig. A. è dipendente dell’Amministrazione penitenziaria dal 28.2.1991. Al momento della proposizione del ricorso rivestiva la qualifica di assistente ed, a decorrere dall’ottobre 1998, prestava servizio presso il nucleo “Traduzioni e Piantonamenti” della Casa circondariale di Pescara. Nel maggio del 2002 detto nucleo è stato sottoposto ad ispezione ministeriale.
Con ordine di servizio 23.8.2002, n. 65, all’assistente capo Fabrizio Di P. è stato conferito l’incarico temporaneo della gestione automezzi presso tale nucleo. L’inserimento di quest’ultimo ha determinato insofferenza negli altri, che ivi prestavano già servizio, tant’è che il responsabile ispettore T. , con relazione del 5.12.2002, ha proposto al Direttore il suo allontanamento. Insofferenza si è creata altresì per l’inserimento dell’assistente capo Di P. Claudio nella scorta di collaboratore, a far data dal 16.10.2002. L’ispettore T. , persistendo episodi di insofferenza, in data 18.12.2002 ha relazionato, chiedendo il loro avvicendamento, al responsabile dell’Area “Sicurezza e Traduzioni” presso il Provveditorato regionale per l’Abruzzo e il Molise, il quale, con appunto del 19.12.2002 indirizzato al Provveditore, ha proposto di eseguire un accurato controllo presso il nucleo e di sentire tutti gli interessati.
A seguito di ulteriori episodi che avevano riguardato i due Di P. ed, in particolare, di quello accaduto in data 13.3.2003 (l’asserita sottrazione di documenti riguardanti traduzioni), con relazione di servizio del 14.3.2003, consegnata al Direttore, l’Ispettore T. ha ribadito la necessità, a suo parere, dell’allontanamento degli stessi. Il Direttore della Casa circondariale, con nota indirizzata al Provveditore regionale, ha ritenuto che questi dovessero provvisoriamente essere adibiti ad altri servizi e che si dovesse procedere ad indagini tese alla verifica della situazione in atto. Con ordine di servizio 17.3.2003, n. 21, il Direttore ha disposto che i dipendenti assegnati al nucleo in questione prestassero servizio di istituto, attesa la riscontrata incompatibilità con gli altri.
Intanto, in data 15.3.2003, l’assistente capo Claudio Di P. ha reso una relazione di servizio, concernente un episodio che si sarebbe verificato durante una traduzione avvenuta il 10.3.2003 (una conversazione tra il sovrintendente M. ed il difensore della detenuta tradotta). Al riguardo i componenti della scorta traduzione hanno reso dichiarazioni dinanzi al sostituto commissario incaricato, che in data 28.3.2003 ha compilato il relativo verbale. Il Provveditore regionale, con nota riservata del 18.3.2003, indirizzata al Direttore, ha ordinato a quest’ultimo di convocare le organizzazioni sindacali per fissare criteri di alternanza di tutto il personale del nucleo, anche a prescindere dai corsi seguiti, con la precisazione che l’Amministrazione avrebbe dovuto impartire le nozioni tecniche anche al nuovo personale ammesso al predetto servizio.
A seguito poi della richiesta in data 20.3.2003 di eseguire una visita ispettiva, pervenuta dal segretario dell’organizzazione sindacale S.A.P.P.E., in pari data il Provveditore regionale, rilevato che le indagini svolte precedentemente avevano accertato difficoltà di rapporti tra gli addetti al servizio, ha invitato la direzione della Casa circondariale di Pescara ad alternare le unità di polizia penitenziaria addette al nucleo. Ha avuto quindi inizio l’avvicendamento, previa intesa con le organizzazioni sindacali (cfr.: nota del Direttore della casa circondariale di Pescara 12.4.2003, prot. n. 6133, che fissa i criteri per realizzare detto avvicendamento).
Con nota del 12.4.2003, diretta al Provveditore regionale, il Direttore della casa circondariale di Pescara ha richiesto un approfondimento di indagine super partes da parte del superiore ufficio. Nel maggio del 2003 il Capo del Dipartimento ha disposto una verifica delle condizioni operative del nucleo de quo. Nella relazione concernente detta verifica, redatta dall’incaricato l’1.7.2003, recante il n. prot. 1983216/13VR, è stata evidenziata “la opportunità di procedere all’avvicendamento di personale (già precedentemente concordato con le OO.SS., in sede decentrata) nella misura massima concertata secondo modalità tali da garantire la necessaria gradualità, anche in relazione alla sperimentazione in corso di svolgimento che “avrebbe visto il Nucleo alle dirette dipendenze del Provveditorato”.
Con ordine di servizio del Provveditore regionale 1.7.2003, n. 37, è stato costituito il nucleo operativo interprovinciale “con l’intento di creare una sinergia di risorse in vista dell’economicità delle stesse”. Detto modello organizzativo era conforme alle previsioni a livello nazionale, risultanti dalla nota del capo del Dipartimento 18.6.2003, prot. n. 0254621-2003. Medio tempore, con ordini di servizio del Direttore della Casa circondariale di Pescara 24.6.2003, n. 40, 25.6.2003, n. 41 e 30.6.2003, n. 42, è stato disposto l’avvicendamento di personale.
Con comunicato del 30.6.2003, alcune organizzazioni sindacali hanno informato dello stato di agitazione iniziato per protestare contro l’avvicendamento “al fine di poter salvaguardare il decoro e la dignità degli appartenenti al corpo di Polizia penitenziaria e ripristinare il corretto svolgimento del particolare servizio, salvaguardando la sicurezza degli operatori e dei tradotti”. A tale proposito in pari data alcuni addetti al nucleo “Sicurezza e Traduzioni” della casa circondariale di Pescara, tra cui anche l’odierno ricorrente, hanno altresì firmato un volantino, nel quale hanno rappresentato la propria richiesta di intervento esclusivo del Capo del D.A.P. e del Responsabile dell’Ufficio centrale “Coordinamento Traduzioni e Sicurezza”, lamentando “l’assoluta mancanza di tutela, dimostrata dal Provveditore regionale Dr. C. e dal Direttore Dr. Carlo P. , che”, secondo quanto dagli stessi assunto, “non permettevano loro di svolgere il servizio con la necessaria serenità”. Alcuni di essi, tra cui il Sig. A. , quel giorno erano in congedo per malattia. Si è contrapposto un volantino di altri dipendenti della casa circondariale, che hanno fortemente contestato il comportamento dei colleghi. La protesta è terminata il 5.7.2003, così come attestato dal Direttore con nota 10.7.2003, prot. n. 10949/U.C..
Questi in data 4.7.2003 aveva revocato gli ordini di servizio n. 40 del 24.6.2003, n. 41 del 25.6.2003 e n. 42 del 30.6.2003. Contro tale ultima determinazione alcune organizzazioni sindacali in contrapposizione con quelle che hanno dato luogo alla richiamata protesta hanno manifestato il proprio malcontento. In data 10.7.2003 presso gli uffici del Provveditorato regionale si è tenuta una riunione sindacale con le principali organizzazioni sindacali, nel corso della quale si è accolta la richiesta di queste ultime di procedere dapprima, a cominciare proprio da luglio, con l’avvicendamento delle unità sprovviste del titolo specifico con altro personale preso dalla graduatoria dell’interpello e successivamente, a settembre, a corsi già espletati, con il normale avvicendamento delle unità provviste del titolo.
Il Provveditore regionale ha disposto una visita ispettiva per verificare le modalità della predetta protesta ed, in particolare, per accertare se si fosse svolta o meno secondo i canoni. La Commissione all’uopo nominata ha terminato i lavori il 5.8.2003, rilevando un comportamento anomalo delle unità di Polizia penitenziaria in servizio al nucleo, che avevano costituito “una sorta di lobby,” impedendo l’avvicendamento previsto, ed altresì che in detta protesta avevano partecipato alcuni agenti che erano in malattia. Nell’agosto 2003 presso il nucleo in parola è stata eseguita un’altra indagine, disposta dal Provveditore regionale in data 5.8.2003, in merito a presunti illeciti amministrativi nella gestione di buoni carburanti commessi nei mesi di ottobre-novembre 2002. La Commissione incaricata ha concluso che, in base agli atti acquisiti ed alle risultanze delle verifiche, essa non era in grado di affermare se vi fossero state o meno irregolarità a carico dei conducenti.
Sulla base delle risultanze dell’ispezione rese da entrambe le Commissioni, il Provveditore regionale, con nota 28.8.2003, prot. n. 116, inviata alla Procura della Repubblica di Pescara nonché alla Direzione generale del Personale e della Formazione ed all’Ufficio per il Coordinamento delle Traduzioni e Piantonamenti del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, ha chiesto l’apertura del procedimento disciplinare a carico dei firmatari del volantino del 30.6.2003, precisando che questo fosse tuttavia da sospendere qualora per i medesimi fatti fosse stato avviato il procedimento penale.
Il procedimento penale concernente presunti illeciti commessi durante la protesta del nucleo traduzione della casa circondariale di Pescara è stato archiviato con decreto del 28.1.2004. Di ciò l’Ufficio del Personale e della Formazione ha informato l’Ufficio “Disciplina” nonché la Direzione della Casa circondariale di Pescara per valutare l’opportunità di instaurare un procedimento disciplinare. Perciò, con nota 3.6.2004, prot. n. GDAP-0209564-2004, l’Ufficio “Disciplina” ha stabilito di dare inizio al procedimento disciplinare nei confronti di A. Marcello. La contestazione degli addebiti datata 7.6.2004 in relazione all’infrazione di cui all’art. 5, comma 3, lett. c), g) ed h) del D.Lgs. n. 449/1992, comportante la sanzione della sospensione dal servizio, è stata notificata all’interessato in data 9.6.2004. La contestazione mossa riguardava l’aver questi, col comportamento tenuto, “creato nell’occasione turbamento nella regolarità del servizio d’istituto impedendo l’avvicendamento disposto dall’ordine di servizio n. 42 del 30/06/2003; nonché avere sottoscritto un documento diffamatorio nella parte in cui afferma che l’autorità dirigente non permetteva loro di svolgere il proprio dovere”. In data 28.6.2004 il ricorrente ha depositato le proprie giustificazioni ed i documenti a corredo. Il 28.7.2004 il funzionario istruttore ha reso la relazione. Nella seduta del 16.11.2004 il Consiglio di Disciplina, ascoltato l’interessato, ha proposto l’applicazione della sanzione della censura. Con decreto del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria 30.11.2004, n. 0289975-2004/440/DS06, nei confronti del Sig. A. è stata irrogata la sanzione della censura.
Medio tempore, in data 22.7.2004 questi si è rivolto al Dipartimento di Salute mentale – Centro di salute mentale A.U.S.L. di Pescara, che diagnosticava che lo stesso era “affetto da disturbo dell’adattamento con umore depresso”. La Commissione medico-ospedaliera, che lo ha visitato nei giorni 17.8.2004, 16.9.2004, 20.10.2004 e 19.11.2004, lo ha di volta in volta ritenuto temporaneamente non idoneo al servizio d’istituto nella Polizia penitenziaria.
In data 9.8.2004 lo sportello “Mobbing” dell’Azienda A.U.S.L. di Pescara ha riscontrato “sindrome ansiosa di tipo reattivo con somatizzazioni in rapporto a situazione occupazionale anamnesticamente negativa”. Il 28.8.2004 l’attuale istante ha chiesto il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della patologia da cui era affetto – sindrome ansiosa di tipo reattivo. Presso il Centro di salute mentale A.U.S.L. di Pescara in data 13.10.2004 al ricorrente è stato ancora una volta diagnosticato uno stato ansioso di tipo reattivo (disturbo dell’adattamento con ansia). In data 2.12.2004 allo stesso è stato notificato il decreto 30.11.2004, n. 0289975-2004/440/DS06 su citato, impugnato col presente ricorso.
In questa sede è stata altresì avanzata, nei confronti dell’Amministrazione penitenziaria, nonché del Dott. C., che ricopriva la qualifica di Provveditore regionale, domanda di risarcimento del danno biologico, morale ed esistenziale asseritamente subito per mobbing. È stata allegata una relazione peritale redatta in data 15.1.2005 dal Primario del Dipartimento di Salute mentale dell’Azienda sanitaria di Pescara.
I motivi dedotti nel ricorso in esame sono i seguenti: violazione di legge: artt. 10, 5, 16 e 17 del D.Lgs. 30.10.1992, n. 449 - violazione di legge: artt. 2103 e 2087 c.c. e art. 13 della L. 20.5.1970, n. 300, artt. 2043 e 2049 c.c. – violazione di legge: artt. 3, 7 e 8 della L. 7.8.1990, n. 241 – eccesso di potere per difetto di presupposto, difetto di istruttoria, illogicità manifesta, manifesta ingiustizia e disparità di trattamento. Si sono costituiti in giudizio gli intimati Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia e Dott. C. a mezzo dell’Avvocatura erariale, che ha depositato corposa documentazione. Alla pubblica udienza del 13.3.2008 il ricorso è stato introitato per la decisione.
 
DIRITTO
 
1 - Il ricorso all’esame del Collegio contiene due petita, integrati dalla richiesta di annullamento del decreto del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria 30.11.2004, n. 0289975-2004/440/DS06, con cui è stata irrogata la sanzione della censura nei confronti del Sig. A. , e dalla istanza di risarcimento del danno biologico, morale ed esistenziale per mobbing, rivolta dallo stesso nei confronti dell’Amministrazione nonché del Dott. C. .
2 - Per quanto concerne l’impugnativa avverso il su richiamato provvedimento, essa è priva di fondamento.
2.1 - Al riguardo occorre rammentare che il procedimento disciplinare muoveva dalla contestazione di addebiti di cui all’art. 5, comma 3, lett. c), g) ed h) del D.Lgs. 30.10.1992, n. 449, per i quali è prevista la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio, ben più severa di quella della censura, in concreto poi comminata. Detto procedimento ha contemplato anche l’intervento del Consiglio di Disciplina, che è richiesto unicamente con riguardo alle sanzioni della sospensione dal servizio e della destituzione dal servizio.
2.2 - Esso ha avuto inizio dopo che, disposta un’ispezione presso il Nucleo “Traduzioni e Piantonamenti” della Casa circondariale di Pescara per accertare i fatti ed acquisite le risultanze e incominciato per i medesimi fatti il procedimento penale, quest’ultimo si è concluso con decreto di archiviazione. Perciò la mancata immediata contestazione del rapporto disciplinare deriva dagli accertamenti che l’Amministrazione, nella persona del Provveditore regionale, ha inteso eseguire per appurare i fatti e dalla circostanza che, una volta che il Provveditore stesso, acquisite le risultanze dell’indagine, ha inoltrato esposto alla Procura della Repubblica, quest’ultima ha subito dato inizio al procedimento penale. È chiaro che la circostanza che il procedimento penale sia stato archiviato non impedisce di valutare i fatti sotto il profilo disciplinare, cosa che ha fatto l’Amministrazione. Questa ha correttamente instaurato il procedimento disciplinare con la contestazione degli addebiti eseguita dal funzionario istruttore, consentendo all’interessato di accedere agli atti e di presentare controdeduzioni e documentazione a difesa e di essere ascoltato dal Consiglio di Disciplina, essendo inizialmente il procedimento medesimo teso ad accertare la sussistenza dei presupposti per comminare la sospensione dal servizio.
2.3 - Contro il decreto gravato non può neppure fondatamente muoversi la censura di eccesso di potere per illogicità manifesta e difetto d’istruttoria.
2.3.1 - Quanto al secondo profilo richiamato, al contrario si è rilevato in narrativa che è stata svolta un’approfondita indagine.
2.3.2 - Con riguardo alla dedotta contraddittorietà che emergerebbe tra quanto evidenziato dal funzionario istruttore ed asserito dal Consiglio di Disciplina e la proposta di quest’ultimo nonché la statuizione dell’irrogazione della sanzione della censura qui censurata, essa è solo apparente.
Deve ancora una volta evidenziarsi che le risultanze del funzionario istruttore, nonché le considerazioni espresse dal Consiglio di Disciplina vanno riferite alla ben più grave sanzione della sospensione dal servizio, per la quale è stato instaurato ed ha avuto corso il procedimento disciplinare. Ciò non toglie che possa ragionevolmente integrarsi l’ipotesi contemplata dall’art. 2, lett. c) del citato D.Lgs. n. 449/1992, che prevede l’irrogazione della sanzione della censura per mancanza di correttezza nel comportamento. Come evidenziato nello stesso provvedimento gravato, il comportamento tenuto dal ricorrente “appare non irreprensibile come si richiede ad un agente di polizia penitenziaria a dimostrazione del rispetto al Corpo e quindi ai superiori gerarchici”. Al riguardo deve considerarsi che si pretende un comportamento più che mai irreprensibile, rispettoso dei superiori gerarchici, agli appartenenti al corpo di polizia penitenziaria, atteso che esso rappresenta un vero e proprio corpo di polizia, ciò anche tenuto conto dei compiti delicati che è chiamato a svolgere e dell’importanza che perciò riveste la sua immagine. Pertanto la più lieve sanzione della censura non si palesa affatto abnorme ed illogica a fronte di quello che è emerso dall’istruttoria svolta dall’Amministrazione ed ancor più da quanto il Sig. A. ed ad altri colleghi hanno scritto su un volantino che hanno fatto girare nella casa circondariale di Pescara il 30.6.2003, quando hanno dato inizio alla protesta. Essi hanno lamentato – si ripete in un atto reso di pubblico dominio - “l’assoluta mancanza di tutela, dimostrata dal Provveditore regionale Dr. C. e dal Direttore Dr. Carlo P., che”, a loro dire, “non permettevano loro di svolgere il servizio con la necessaria serenità”, incentrando rimostranze e rivendicazioni su un piano meramente personale.
2.4 - Deve concludersi che l’impugnativa proposta avverso il decreto che commina la censura è priva di fondamento, non essendo questo inficiato da alcuno dei vizi dedotti.
3 - Per quanto concerne la domanda di risarcimento del danno, che costituisce l’altro petitum del presente ricorso, deve preliminarmente verificarsi la sussistenza o meno della giurisdizione di questo giudice.
3.1 - In proposito deve rilevarsi che in tema di mobbing sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo, per le ipotesi di pubblico impiego non contrattualizzato, qual è quello di specie, allorquando la domanda di risarcimento del danno appaia strettamente connessa alle asserite vessazioni e persecuzioni subite sul posto di lavoro, in quanto, cioè, il relativo rapporto non sia solo mera occasione del comportamento vessatorio ed ostile di colleghi e superiori, ma la lesione lamentata, attinente all’integrità psico-fisica, configuri anche una forma di culpa in vigilando della P.A. - datore di lavoro, che, consapevole di tale condotta, nulla ha fatto perché cessasse il lamentato atteggiamento di ostilità. Ciò in quanto, ai sensi 7, comma 3, della L. 6.12.1971, n. 1034, “il tribunale amministrativo regionale, nell’ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno”.
3.2 - Diversamente, con riguardo alla responsabilità extra-contrattuale per mobbing, essa, essendo riconducibile sostanzialmente unicamente a meri comportamenti dei superiori gerarchici o dei colleghi di lavoro del dipendente interessato, si pone al di fuori dell’ambito cognitorio del giudice amministrativo. Ne deriva che qui il Tribunale deve limitarsi a verificare se vi sia o meno una culpa in vigilando da parte dell’Amministrazione.
3.3 - Ciò comporta che la domanda di risarcimento mossa nei confronti del Dott. C., per asseriti comportamenti che lo stesso avrebbe posto in essere in danno del ricorrente, è inammissibile, non sussistendo al riguardo la giurisdizione del giudice amministrativo. Ove poi lo stesso fosse preso in considerazione non ex se ma per la funzione ricoperta all’interno dell’Amministrazione penitenziaria, difetterebbe la legittimazione processuale passiva, perché in tal caso rileverebbe come organo della P.A. e perciò come P.A..
4 - Nel merito la domanda in esame è infondata.
4.1 - In proposito occorre preliminarmente evidenziare che il mobbing consiste in un complesso di atteggiamenti illeciti posti in essere nell’ambiente di lavoro nei confronti di un dipendente e che si risolvono in sistematici e reiterati comportamenti ostili, che finiscono per assumere forme di violenza morale o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire l’isolamento e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio psichico e del complesso della sua personalità. Deve ribadirsi che dinanzi al giudice amministrativo detti comportamenti assumono rilevanza solo se ed in quanto siano ascrivibili a mancata sorveglianza da parte dell’Amministrazione, quale datore di lavoro. Nel caso che ci occupa non può certo negarsi che il Sig. A. sia affetto da una patologia di stato ansioso, certificata da professionisti specificamente competenti. Non si disconosce neppure che detta patologia possa derivare dall’ambiente di lavoro nel quale il ricorrente si è trovato a prestare servizio.
4.2 - Tuttavia non può questa riferirsi ad un caso di mobbing, non ravvisandosi gli elementi che lo caratterizzano. Scontri interni, peraltro non limitati a rapporti intercorrenti unicamente tra l’attuale istante ed uno o più colleghi ma derivanti da un più diffuso disaccordo tra due gruppi di colleghi, non possono certo integrare il mobbing. Non si ravvisa alcun atteggiamento persecutorio nei confronti del Sig. A. , che ha semplicemente subito lo stress derivante da detto disaccordo e da tutte le proteste che ne sono derivate, organizzate da entrambe le fazioni. Come può desumersi da quanto descritto in narrativa, l’Amministrazione, nelle persone dei superiori gerarchici, ha inteso individuare l’effettivo stato dei fatti, attraverso indagini ed ispezioni in loco, ed ha cercato di risolvere la situazione di contrasto venutasi a creare mediante avvicendamenti. Anche l’irrogazione della sanzione della censura, disposta con il decreto impugnato, che peraltro ex se non sarebbe stata idonea ad integrare un’ipotesi di mobbing, si è evidenziato non essere affatto illogica ed abnorme. Ne deriva che, mancando la riferibilità dello stato patologico sofferto dal ricorrente a culpa in vigilando dell’Amministrazione e, più in generale, ad atti persecutori integranti mobbing, non può riconoscersi, in capo allo stesso, il risarcimento del danno richiesto in questa sede.
5 – In conclusione il ricorso è in toto infondato e va rigettato.
5.1 – Per quanto concerne le spese di giudizio e gli onorari di difesa, essi seguono la soccombenza, ponendosi a carico del ricorrente, e vanno liquidati come in dispositivo.
 
P.Q.M.
 
il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso in epigrafe.
Ordina al ricorrente di versare all’Amministrazione intimata la somma complessiva di € 1.000,00 (mille/00), a titolo di spese di giudizio, diritti ed onorari di difesa.

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