Non è risarcibile il danno
da stress se, richiesto quale danno da mobbing, quest'ultimo non viene
riscontrato
Tar Lazio
Roma, sez. I quater – 28 maggio 2008, n. 5177 – Rel. Tricarico – Ricorrente:
A. Marcello - Controricorrente: Ministero della Giustizia e Dott. Cesare N.
Mobbing in
presenza di sindrome ansioso depressiva – Insussistenza per carente
riscontro delle caratteristiche del fenomeno - Irrisarcibilità.
Il mobbing
consiste in un complesso di atteggiamenti illeciti posti in essere
nell’ambiente di lavoro nei confronti di un dipendente e che si risolvono in
sistematici e reiterati comportamenti ostili, che finiscono per assumere
forme di violenza morale o di persecuzione psicologica, da cui può
conseguire l’isolamento e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo
del suo equilibrio psichico e del complesso della sua personalità. Deve
ribadirsi che dinanzi al giudice amministrativo detti comportamenti assumono
rilevanza solo se ed in quanto siano ascrivibili a mancata sorveglianza da
parte dell’Amministrazione, quale datore di lavoro. Nel caso che ci occupa
non può certo negarsi che il Sig. A. sia affetto da una patologia di stato
ansioso, certificata da professionisti specificamente competenti. Non si
disconosce neppure che detta patologia possa derivare dall’ambiente di
lavoro nel quale il ricorrente si è trovato a prestare servizio. Tuttavia
non può questa riferirsi ad un caso di mobbing, non ravvisandosi gli
elementi che lo caratterizzano. Scontri interni, peraltro non limitati a
rapporti intercorrenti unicamente tra l’attuale istante ed uno o più
colleghi ma derivanti da un più diffuso disaccordo tra due gruppi di
colleghi, non possono certo integrare il mobbing. Non si ravvisa alcun
atteggiamento persecutorio nei confronti del Sig. A. , che ha semplicemente
subito lo stress derivante da detto disaccordo e da tutte le proteste che ne
sono derivate, organizzate da entrambe le fazioni.
FATTO
Il Sig. A.
è dipendente dell’Amministrazione penitenziaria dal 28.2.1991. Al momento
della proposizione del ricorso rivestiva la qualifica di assistente ed, a
decorrere dall’ottobre 1998, prestava servizio presso il nucleo “Traduzioni
e Piantonamenti” della Casa circondariale di Pescara. Nel maggio del 2002
detto nucleo è stato sottoposto ad ispezione ministeriale.
Con ordine
di servizio 23.8.2002, n. 65, all’assistente capo Fabrizio Di P. è stato
conferito l’incarico temporaneo della gestione automezzi presso tale nucleo.
L’inserimento di quest’ultimo ha determinato insofferenza negli altri, che
ivi prestavano già servizio, tant’è che il responsabile ispettore T. , con
relazione del 5.12.2002, ha proposto al Direttore il suo allontanamento.
Insofferenza si è creata altresì per l’inserimento dell’assistente capo Di
P. Claudio nella scorta di collaboratore, a far data dal 16.10.2002.
L’ispettore T. , persistendo episodi di insofferenza, in data 18.12.2002 ha
relazionato, chiedendo il loro avvicendamento, al responsabile dell’Area
“Sicurezza e Traduzioni” presso il Provveditorato regionale per l’Abruzzo e
il Molise, il quale, con appunto del 19.12.2002 indirizzato al Provveditore,
ha proposto di eseguire un accurato controllo presso il nucleo e di sentire
tutti gli interessati.
A seguito
di ulteriori episodi che avevano riguardato i due Di P. ed, in particolare,
di quello accaduto in data 13.3.2003 (l’asserita sottrazione di documenti
riguardanti traduzioni), con relazione di servizio del 14.3.2003, consegnata
al Direttore, l’Ispettore T. ha ribadito la necessità, a suo parere,
dell’allontanamento degli stessi. Il Direttore della Casa circondariale, con
nota indirizzata al Provveditore regionale, ha ritenuto che questi dovessero
provvisoriamente essere adibiti ad altri servizi e che si dovesse procedere
ad indagini tese alla verifica della situazione in atto. Con ordine di
servizio 17.3.2003, n. 21, il Direttore ha disposto che i dipendenti
assegnati al nucleo in questione prestassero servizio di istituto, attesa la
riscontrata incompatibilità con gli altri.
Intanto, in
data 15.3.2003, l’assistente capo Claudio Di P. ha reso una relazione di
servizio, concernente un episodio che si sarebbe verificato durante una
traduzione avvenuta il 10.3.2003 (una conversazione tra il sovrintendente M.
ed il difensore della detenuta tradotta). Al riguardo i componenti della
scorta traduzione hanno reso dichiarazioni dinanzi al sostituto commissario
incaricato, che in data 28.3.2003 ha compilato il relativo verbale. Il
Provveditore regionale, con nota riservata del 18.3.2003, indirizzata al
Direttore, ha ordinato a quest’ultimo di convocare le organizzazioni
sindacali per fissare criteri di alternanza di tutto il personale del
nucleo, anche a prescindere dai corsi seguiti, con la precisazione che
l’Amministrazione avrebbe dovuto impartire le nozioni tecniche anche al
nuovo personale ammesso al predetto servizio.
A seguito
poi della richiesta in data 20.3.2003 di eseguire una visita ispettiva,
pervenuta dal segretario dell’organizzazione sindacale S.A.P.P.E., in pari
data il Provveditore regionale, rilevato che le indagini svolte
precedentemente avevano accertato difficoltà di rapporti tra gli addetti al
servizio, ha invitato la direzione della Casa circondariale di Pescara ad
alternare le unità di polizia penitenziaria addette al nucleo. Ha avuto
quindi inizio l’avvicendamento, previa intesa con le organizzazioni
sindacali (cfr.: nota del Direttore della casa circondariale di Pescara
12.4.2003, prot. n. 6133, che fissa i criteri per realizzare detto
avvicendamento).
Con nota
del 12.4.2003, diretta al Provveditore regionale, il Direttore della casa
circondariale di Pescara ha richiesto un approfondimento di indagine
super partes da parte del superiore ufficio. Nel maggio del 2003 il Capo
del Dipartimento ha disposto una verifica delle condizioni operative del
nucleo de quo. Nella relazione concernente detta verifica, redatta
dall’incaricato l’1.7.2003, recante il n. prot. 1983216/13VR, è stata
evidenziata “la opportunità di procedere all’avvicendamento di personale
(già precedentemente concordato con le OO.SS., in sede decentrata) nella
misura massima concertata secondo modalità tali da garantire la necessaria
gradualità, anche in relazione alla sperimentazione in corso di svolgimento
che “avrebbe visto il Nucleo alle dirette dipendenze del Provveditorato”.
Con ordine
di servizio del Provveditore regionale 1.7.2003, n. 37, è stato costituito
il nucleo operativo interprovinciale “con l’intento di creare una sinergia
di risorse in vista dell’economicità delle stesse”. Detto modello
organizzativo era conforme alle previsioni a livello nazionale, risultanti
dalla nota del capo del Dipartimento 18.6.2003, prot. n. 0254621-2003. Medio
tempore, con ordini di servizio del Direttore della Casa circondariale di
Pescara 24.6.2003, n. 40, 25.6.2003, n. 41 e 30.6.2003, n. 42, è stato
disposto l’avvicendamento di personale.
Con
comunicato del 30.6.2003, alcune organizzazioni sindacali hanno informato
dello stato di agitazione iniziato per protestare contro l’avvicendamento
“al fine di poter salvaguardare il decoro e la dignità degli appartenenti al
corpo di Polizia penitenziaria e ripristinare il corretto svolgimento del
particolare servizio, salvaguardando la sicurezza degli operatori e dei
tradotti”. A tale proposito in pari data alcuni addetti al nucleo “Sicurezza
e Traduzioni” della casa circondariale di Pescara, tra cui anche l’odierno
ricorrente, hanno altresì firmato un volantino, nel quale hanno
rappresentato la propria richiesta di intervento esclusivo del Capo del
D.A.P. e del Responsabile dell’Ufficio centrale “Coordinamento Traduzioni e
Sicurezza”, lamentando “l’assoluta mancanza di tutela, dimostrata dal
Provveditore regionale Dr. C. e dal Direttore Dr. Carlo P. , che”, secondo
quanto dagli stessi assunto, “non permettevano loro di svolgere il servizio
con la necessaria serenità”. Alcuni di essi, tra cui il Sig. A. , quel
giorno erano in congedo per malattia. Si è contrapposto un volantino di
altri dipendenti della casa circondariale, che hanno fortemente contestato
il comportamento dei colleghi. La protesta è terminata il 5.7.2003, così
come attestato dal Direttore con nota 10.7.2003, prot. n. 10949/U.C..
Questi in
data 4.7.2003 aveva revocato gli ordini di servizio n. 40 del 24.6.2003, n.
41 del 25.6.2003 e n. 42 del 30.6.2003. Contro tale ultima determinazione
alcune organizzazioni sindacali in contrapposizione con quelle che hanno
dato luogo alla richiamata protesta hanno manifestato il proprio
malcontento. In data 10.7.2003 presso gli uffici del Provveditorato
regionale si è tenuta una riunione sindacale con le principali
organizzazioni sindacali, nel corso della quale si è accolta la richiesta di
queste ultime di procedere dapprima, a cominciare proprio da luglio, con
l’avvicendamento delle unità sprovviste del titolo specifico con altro
personale preso dalla graduatoria dell’interpello e successivamente, a
settembre, a corsi già espletati, con il normale avvicendamento delle unità
provviste del titolo.
Il
Provveditore regionale ha disposto una visita ispettiva per verificare le
modalità della predetta protesta ed, in particolare, per accertare se si
fosse svolta o meno secondo i canoni. La Commissione all’uopo nominata ha
terminato i lavori il 5.8.2003, rilevando un comportamento anomalo delle
unità di Polizia penitenziaria in servizio al nucleo, che avevano costituito
“una sorta di lobby,” impedendo l’avvicendamento previsto, ed altresì che in
detta protesta avevano partecipato alcuni agenti che erano in malattia.
Nell’agosto 2003 presso il nucleo in parola è stata eseguita un’altra
indagine, disposta dal Provveditore regionale in data 5.8.2003, in merito a
presunti illeciti amministrativi nella gestione di buoni carburanti commessi
nei mesi di ottobre-novembre 2002. La Commissione incaricata ha concluso
che, in base agli atti acquisiti ed alle risultanze delle verifiche, essa
non era in grado di affermare se vi fossero state o meno irregolarità a
carico dei conducenti.
Sulla base
delle risultanze dell’ispezione rese da entrambe le Commissioni, il
Provveditore regionale, con nota 28.8.2003, prot. n. 116, inviata alla
Procura della Repubblica di Pescara nonché alla Direzione generale del
Personale e della Formazione ed all’Ufficio per il Coordinamento delle
Traduzioni e Piantonamenti del Dipartimento dell’Amministrazione
penitenziaria, ha chiesto l’apertura del procedimento disciplinare a carico
dei firmatari del volantino del 30.6.2003, precisando che questo fosse
tuttavia da sospendere qualora per i medesimi fatti fosse stato avviato il
procedimento penale.
Il
procedimento penale concernente presunti illeciti commessi durante la
protesta del nucleo traduzione della casa circondariale di Pescara è stato
archiviato con decreto del 28.1.2004. Di ciò l’Ufficio del Personale e della
Formazione ha informato l’Ufficio “Disciplina” nonché la Direzione della
Casa circondariale di Pescara per valutare l’opportunità di instaurare un
procedimento disciplinare. Perciò, con nota 3.6.2004, prot. n.
GDAP-0209564-2004, l’Ufficio “Disciplina” ha stabilito di dare inizio al
procedimento disciplinare nei confronti di A. Marcello. La contestazione
degli addebiti datata 7.6.2004 in relazione all’infrazione di cui all’art.
5, comma 3, lett. c), g) ed h) del D.Lgs. n. 449/1992, comportante la
sanzione della sospensione dal servizio, è stata notificata all’interessato
in data 9.6.2004. La contestazione mossa riguardava l’aver questi, col
comportamento tenuto, “creato nell’occasione turbamento nella regolarità del
servizio d’istituto impedendo l’avvicendamento disposto dall’ordine di
servizio n. 42 del 30/06/2003; nonché avere sottoscritto un documento
diffamatorio nella parte in cui afferma che l’autorità dirigente non
permetteva loro di svolgere il proprio dovere”. In data 28.6.2004 il
ricorrente ha depositato le proprie giustificazioni ed i documenti a
corredo. Il 28.7.2004 il funzionario istruttore ha reso la relazione. Nella
seduta del 16.11.2004 il Consiglio di Disciplina, ascoltato l’interessato,
ha proposto l’applicazione della sanzione della censura. Con decreto del
Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria 30.11.2004, n.
0289975-2004/440/DS06, nei confronti del Sig. A. è stata irrogata la
sanzione della censura.
Medio
tempore, in data 22.7.2004 questi si è rivolto al Dipartimento di Salute
mentale – Centro di salute mentale A.U.S.L. di Pescara, che diagnosticava
che lo stesso era “affetto da disturbo dell’adattamento con umore depresso”.
La Commissione medico-ospedaliera, che lo ha visitato nei giorni 17.8.2004,
16.9.2004, 20.10.2004 e 19.11.2004, lo ha di volta in volta ritenuto
temporaneamente non idoneo al servizio d’istituto nella Polizia
penitenziaria.
In data
9.8.2004 lo sportello “Mobbing” dell’Azienda A.U.S.L. di Pescara ha
riscontrato “sindrome ansiosa di tipo reattivo con somatizzazioni in
rapporto a situazione occupazionale anamnesticamente negativa”. Il 28.8.2004
l’attuale istante ha chiesto il riconoscimento della dipendenza da causa di
servizio della patologia da cui era affetto – sindrome ansiosa di tipo
reattivo. Presso il Centro di salute mentale A.U.S.L. di Pescara in data
13.10.2004 al ricorrente è stato ancora una volta diagnosticato uno stato
ansioso di tipo reattivo (disturbo dell’adattamento con ansia). In data
2.12.2004 allo stesso è stato notificato il decreto 30.11.2004, n.
0289975-2004/440/DS06 su citato, impugnato col presente ricorso.
In questa
sede è stata altresì avanzata, nei confronti dell’Amministrazione
penitenziaria, nonché del Dott. C., che ricopriva la qualifica di
Provveditore regionale, domanda di risarcimento del danno biologico, morale
ed esistenziale asseritamente subito per mobbing. È stata allegata una
relazione peritale redatta in data 15.1.2005 dal Primario del Dipartimento
di Salute mentale dell’Azienda sanitaria di Pescara.
I motivi
dedotti nel ricorso in esame sono i seguenti: violazione di legge: artt. 10,
5, 16 e 17 del D.Lgs. 30.10.1992, n. 449 - violazione di legge: artt. 2103 e
2087 c.c. e art. 13 della L. 20.5.1970, n. 300, artt. 2043 e 2049 c.c. –
violazione di legge: artt. 3, 7 e 8 della L. 7.8.1990, n. 241 – eccesso di
potere per difetto di presupposto, difetto di istruttoria, illogicità
manifesta, manifesta ingiustizia e disparità di trattamento. Si sono
costituiti in giudizio gli intimati Dipartimento dell’Amministrazione
penitenziaria del Ministero della Giustizia e Dott. C. a mezzo
dell’Avvocatura erariale, che ha depositato corposa documentazione. Alla
pubblica udienza del 13.3.2008 il ricorso è stato introitato per la
decisione.
DIRITTO
1
- Il ricorso all’esame del Collegio contiene due petita, integrati
dalla richiesta di annullamento del decreto del Capo del Dipartimento
dell’Amministrazione penitenziaria 30.11.2004, n. 0289975-2004/440/DS06, con
cui è stata irrogata la sanzione della censura nei confronti del Sig. A. , e
dalla istanza di risarcimento del danno biologico, morale ed esistenziale
per mobbing, rivolta dallo stesso nei confronti dell’Amministrazione nonché
del Dott. C. .
2 - Per
quanto concerne l’impugnativa avverso il su richiamato provvedimento, essa è
priva di fondamento.
2.1
- Al riguardo occorre rammentare che il procedimento disciplinare muoveva
dalla contestazione di addebiti di cui all’art. 5, comma 3, lett. c), g) ed
h) del D.Lgs. 30.10.1992, n. 449, per i quali è prevista la sanzione
disciplinare della sospensione dal servizio, ben più severa di quella della
censura, in concreto poi comminata. Detto procedimento ha contemplato anche
l’intervento del Consiglio di Disciplina, che è richiesto unicamente con
riguardo alle sanzioni della sospensione dal servizio e della destituzione
dal servizio.
2.2
- Esso ha avuto inizio dopo che, disposta un’ispezione presso il Nucleo
“Traduzioni e Piantonamenti” della Casa circondariale di Pescara per
accertare i fatti ed acquisite le risultanze e incominciato per i medesimi
fatti il procedimento penale, quest’ultimo si è concluso con decreto di
archiviazione. Perciò la mancata immediata contestazione del rapporto
disciplinare deriva dagli accertamenti che l’Amministrazione, nella persona
del Provveditore regionale, ha inteso eseguire per appurare i fatti e dalla
circostanza che, una volta che il Provveditore stesso, acquisite le
risultanze dell’indagine, ha inoltrato esposto alla Procura della
Repubblica, quest’ultima ha subito dato inizio al procedimento penale. È
chiaro che la circostanza che il procedimento penale sia stato archiviato
non impedisce di valutare i fatti sotto il profilo disciplinare, cosa che ha
fatto l’Amministrazione. Questa ha correttamente instaurato il procedimento
disciplinare con la contestazione degli addebiti eseguita dal funzionario
istruttore, consentendo all’interessato di accedere agli atti e di
presentare controdeduzioni e documentazione a difesa e di essere ascoltato
dal Consiglio di Disciplina, essendo inizialmente il procedimento medesimo
teso ad accertare la sussistenza dei presupposti per comminare la
sospensione dal servizio.
2.3
- Contro il decreto gravato non può neppure fondatamente muoversi la censura
di eccesso di potere per illogicità manifesta e difetto d’istruttoria.
2.3.1
- Quanto al secondo profilo richiamato, al contrario si è rilevato in
narrativa che è stata svolta un’approfondita indagine.
2.3.2
- Con riguardo alla dedotta contraddittorietà che emergerebbe tra quanto
evidenziato dal funzionario istruttore ed asserito dal Consiglio di
Disciplina e la proposta di quest’ultimo nonché la statuizione
dell’irrogazione della sanzione della censura qui censurata, essa è solo
apparente.
Deve ancora
una volta evidenziarsi che le risultanze del funzionario istruttore, nonché
le considerazioni espresse dal Consiglio di Disciplina vanno riferite alla
ben più grave sanzione della sospensione dal servizio, per la quale è stato
instaurato ed ha avuto corso il procedimento disciplinare. Ciò non toglie
che possa ragionevolmente integrarsi l’ipotesi contemplata dall’art. 2,
lett. c) del citato D.Lgs. n. 449/1992, che prevede l’irrogazione della
sanzione della censura per mancanza di correttezza nel comportamento. Come
evidenziato nello stesso provvedimento gravato, il comportamento tenuto dal
ricorrente “appare non irreprensibile come si richiede ad un agente di
polizia penitenziaria a dimostrazione del rispetto al Corpo e quindi ai
superiori gerarchici”. Al riguardo deve considerarsi che si pretende un
comportamento più che mai irreprensibile, rispettoso dei superiori
gerarchici, agli appartenenti al corpo di polizia penitenziaria, atteso che
esso rappresenta un vero e proprio corpo di polizia, ciò anche tenuto conto
dei compiti delicati che è chiamato a svolgere e dell’importanza che perciò
riveste la sua immagine. Pertanto la più lieve sanzione della censura non si
palesa affatto abnorme ed illogica a fronte di quello che è emerso
dall’istruttoria svolta dall’Amministrazione ed ancor più da quanto il Sig.
A. ed ad altri colleghi hanno scritto su un volantino che hanno fatto girare
nella casa circondariale di Pescara il 30.6.2003, quando hanno dato inizio
alla protesta. Essi hanno lamentato – si ripete in un atto reso di pubblico
dominio - “l’assoluta mancanza di tutela, dimostrata dal Provveditore
regionale Dr. C. e dal Direttore Dr. Carlo P., che”, a loro dire, “non
permettevano loro di svolgere il servizio con la necessaria serenità”,
incentrando rimostranze e rivendicazioni su un piano meramente personale.
2.4
- Deve concludersi che l’impugnativa proposta avverso il decreto che commina
la censura è priva di fondamento, non essendo questo inficiato da alcuno dei
vizi dedotti.
3
- Per quanto concerne la domanda di risarcimento del danno, che costituisce
l’altro petitum del presente ricorso, deve preliminarmente
verificarsi la sussistenza o meno della giurisdizione di questo giudice.
3.1
- In proposito deve rilevarsi che in tema di mobbing sussiste la
giurisdizione del giudice amministrativo, per le ipotesi di pubblico impiego
non contrattualizzato, qual è quello di specie, allorquando la domanda di
risarcimento del danno appaia strettamente connessa alle asserite vessazioni
e persecuzioni subite sul posto di lavoro, in quanto, cioè, il relativo
rapporto non sia solo mera occasione del comportamento vessatorio ed ostile
di colleghi e superiori, ma la lesione lamentata, attinente all’integrità
psico-fisica, configuri anche una forma di culpa in vigilando della
P.A. - datore di lavoro, che, consapevole di tale condotta, nulla ha fatto
perché cessasse il lamentato atteggiamento di ostilità. Ciò in quanto, ai
sensi 7, comma 3, della L. 6.12.1971, n. 1034, “il tribunale amministrativo
regionale, nell’ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le
questioni relative all’eventuale risarcimento del danno”.
3.2
- Diversamente, con riguardo alla responsabilità extra-contrattuale per
mobbing, essa, essendo riconducibile sostanzialmente unicamente a meri
comportamenti dei superiori gerarchici o dei colleghi di lavoro del
dipendente interessato, si pone al di fuori dell’ambito cognitorio del
giudice amministrativo. Ne deriva che qui il Tribunale deve limitarsi a
verificare se vi sia o meno una culpa in vigilando da parte
dell’Amministrazione.
3.3
- Ciò comporta che la domanda di risarcimento mossa nei confronti del Dott.
C., per asseriti comportamenti che lo stesso avrebbe posto in essere in
danno del ricorrente, è inammissibile, non sussistendo al riguardo la
giurisdizione del giudice amministrativo. Ove poi lo stesso fosse preso in
considerazione non ex se ma per la funzione ricoperta all’interno
dell’Amministrazione penitenziaria, difetterebbe la legittimazione
processuale passiva, perché in tal caso rileverebbe come organo della P.A. e
perciò come P.A..
4
- Nel merito la domanda in esame è infondata.
4.1
- In proposito occorre preliminarmente evidenziare che il mobbing
consiste in un complesso di atteggiamenti illeciti posti in essere
nell’ambiente di lavoro nei confronti di un dipendente e che si risolvono in
sistematici e reiterati comportamenti ostili, che finiscono per assumere
forme di violenza morale o di persecuzione psicologica, da cui può
conseguire l’isolamento e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo
del suo equilibrio psichico e del complesso della sua personalità. Deve
ribadirsi che dinanzi al giudice amministrativo detti comportamenti assumono
rilevanza solo se ed in quanto siano ascrivibili a mancata sorveglianza da
parte dell’Amministrazione, quale datore di lavoro. Nel caso che ci
occupa non può certo negarsi che il Sig. A. sia affetto da una patologia di
stato ansioso, certificata da professionisti specificamente competenti. Non
si disconosce neppure che detta patologia possa derivare dall’ambiente di
lavoro nel quale il ricorrente si è trovato a prestare servizio.
4.2
- Tuttavia non può questa riferirsi ad un caso di mobbing, non
ravvisandosi gli elementi che lo caratterizzano. Scontri interni, peraltro
non limitati a rapporti intercorrenti unicamente tra l’attuale istante ed
uno o più colleghi ma derivanti da un più diffuso disaccordo tra due gruppi
di colleghi, non possono certo integrare il mobbing.Non si ravvisa
alcun atteggiamento persecutorio nei confronti del Sig. A. , che ha
semplicemente subito lo stress derivante da detto disaccordo e da tutte le
proteste che ne sono derivate, organizzate da entrambe le fazioni. Come
può desumersi da quanto descritto in narrativa, l’Amministrazione, nelle
persone dei superiori gerarchici, ha inteso individuare l’effettivo stato
dei fatti, attraverso indagini ed ispezioni in loco, ed ha cercato di
risolvere la situazione di contrasto venutasi a creare mediante
avvicendamenti. Anche l’irrogazione della sanzione della censura, disposta
con il decreto impugnato, che peraltro ex se non sarebbe stata idonea
ad integrare un’ipotesi di mobbing, si è evidenziato non essere affatto
illogica ed abnorme. Ne deriva che, mancando la riferibilità dello stato
patologico sofferto dal ricorrente a culpa in vigilando
dell’Amministrazione e, più in generale, ad atti persecutori integranti
mobbing, non può riconoscersi, in capo allo stesso, il risarcimento del
danno richiesto in questa sede.
5
– In conclusione il ricorso è in toto infondato e va rigettato.
5.1
– Per quanto concerne le spese di giudizio e gli onorari di difesa, essi
seguono la soccombenza, ponendosi a carico del ricorrente, e vanno liquidati
come in dispositivo.
P.Q.M.
il
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, definitivamente
pronunciando, rigetta il ricorso in epigrafe.
Ordina al
ricorrente di versare all’Amministrazione intimata la somma complessiva di €
1.000,00 (mille/00), a titolo di spese di giudizio, diritti ed onorari di
difesa.