Demansionamento e risarcimento dei danni assolutamente ingeneroso

 

T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 26 settembre 2007, n. 10125 - Pres. Ianigro - Rel. Pisano –  Ricorrente: R. Romano – Controricorrente: Corpo dei VV.FF.

 

Demansionamento – Ricorrenza di danno esistenziale e morale - Liquidazione equitativa.

 

La responsabilità da demansionamento ha natura contrattuale, in quanto integra una  violazione degli obblighi imposti al datore di lavoro, e precisamente del diritto di ogni lavoratore ad essere adibito allo svolgimento della prestazione lavorativa secondo la tipologia della propria qualifica di appartenenza come prescritto dall’art. 2103 c.c., nonché dell’obbligo di tutela della integrità fisica e della personalità morale dei lavoratori come sancito dall’art. 2087 c.c.. . Sicché, in materia di prova, trova applicazione l’art. 1218 c.c. secondo cui il debitore che non esegue la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.

Ad avviso del Collegio, argomentando ex art.115 c.p.c, tenuto conto delle allegazioni di parte ricorrente, sussistono nella specie elementi più che concordanti tali da ritenere provato il  danno esistenziale patito dal ricorrente per effetto di un provvedimento non soltanto illegittimo ma addirittura colposo dell’amministrazione.

L'illegittima protrazione per colpa della p.a. di un'attività lavorativa inferiore - per dignità e qualità professionale - a quella alla fine riconosciuta dopo un estenuante iter legale, configura un'ipotesi di danno esistenziale, consistente nei riflessi negativi (perdita di compiacimento e benessere e peggioramento della qualità della vita) che ogni violazione di un diritto della personalità comporta, indipendentemente sia da una patologia suscettibile di valutazione medico-legale (danno biologico), sia da una diminuzione del reddito (danno patrimoniale) sia da una sofferenza od un dolore (danno morale).

Nel caso di specie, alla luce di quanto sopra affermato, non vi é dubbio che l’adibimento del ricorrente a mansioni dequalificanti rispetto a quelle precedentemente svolte, per giunta con trasferimento in un diverso contesto territoriale (allo stato sospeso solo per effetto del provvedimento di sospensione cautelare del provvedimento impugnato), ha cagionato la lesione di diritti  costituzionalmente protetti, ovvero il diritto alla libera esplicazione della personalità sul luogo di lavoro e il diritto alla dignità personale, in termini di autostima ed eterostima nell’ambiente di lavoro ed in quello socio familiare, evincibile dall’art.2 della Costituzione.

Ciò premesso, si ritiene di poter liquidare equitativamente il danno esistenziale ex artt. 1226 e 2056 c.c., in euro 5.000,00 (cinquemila) alla luce della gravità e della durata della lesione e della rilevanza delle conseguenze sopra descritte. Sussiste anche il danno morale, quale voce autonoma risarcibile equitativamente, stimata nella complessiva misura di euro 1000,00 (mille), con la conseguenza di  un complessivo ammontare risarcitorio di euro 6.000.

 

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RITENUTO che il presente ricorso può essere deciso con decisione in forma semplificata, ai sensi dell'art.26, comma 4, l. n. 1034 del 1971 come modificato dall’art.9, comma 1, della legge 21 luglio 2000, n. 205, essendo manifestamente fondato;

RITENUTO, altresì, che sussistono gli ulteriori presupposti richiesti dalla legge, ovvero il rispetto del principio della completezza del contraddittorio (rituale notifica del ricorso ed il rispetto dei termini per la discussione sull'istanza incidentale ai sensi dell'art. 36, r.d. 17 agosto 1907 n. 642), la completezza dell'istruttoria (i fatti affermati non sono in contraddizione con i documenti depositati e con la C.T.U espletata) e l'assenza di esplicita opposizione delle parti costituite e presenti (Consiglio Stato , sez. IV, 20 dicembre 2005, n. 7201), avvisate in sede di trattazione della specifica  controversia della possibilità di pervenire ad una decisione in forma semplificata  (Consiglio Stato,  sez. VI, 06 giugno 2006, n. 3395);

RILEVATO, infatti, che il difensore del ricorrente Avv. F.Musella, presente,   specificamente reso edotto della possibilità di pervenire a decisione con sentenza in forma semplificata,  ha manifestato la propria adesione mentre l’amministrazione, pur costituita in giudizio, ha ritenuto di non presenziare alla camera di consiglio con l’assistenza del proprio difensore, si da ritenersi la stessa amministrazione implicitamente acquiescente all’adozione di decisione in forma semplificata (né potendo, evidentemente, l’assenza in giudizio della controparte  paralizzare l’utilizzazione di siffatto strumento di economia processuale);  

Ritenuto in fatto e considerato in diritto 

CONSIDERATO:

Che con il presente ricorso il Sig. Romano Rosario, in servizio dal 27.4.1987, Capo Squadra del Corpo dei Vigili del Fuoco  presso il distaccamento di Capri, ha impugnato, chiedendone l’annullamento, il provvedimento della Commissione Medica di II istanza di Napoli con cui è stato riconosciuto  “non idoneo permanentemente nel Corpo dei Vigili del Fuoco; idoneo parzialmente per il settore operativo (art.18 C.C.N.L.); controindicato all’impiego nel servizio tecnico urgente di soccorso” in quanto affetto da “pregresso infarto del miocardio inferiore intramurale non Q”, nonché l’ordine del giorno del Dirigente del Comando Provinciale di Napoli dei VV.FF con cui ne è stato disposto il trasferimento dal distaccamento di Capri alla sede della Direzione Regionale dei VV.FF della Campania in Napoli;

che all’esito della determinazione suddetta, a decorrere dalla data del 22.01.2007 il ricorrente è stato adibito allo svolgimento delle mansioni di autista presso la sede di Napoli, in luogo di quelle di Capo Squadra- operatore di soccorso tecnico urgente svolte nella sede di Capri. Ciò in quanto in data 26.01.2006, il ricorrente, colto da malore, veniva ricoverato presso l’Ospedale Cardarelli di Napoli che gli riscontrava un I.M.A. inferiore non Q, da trattarsi solo farmacologicamente;

che il ricorrente, in virtù di quanto sopra,  ha evidenziato altresì di aver patito danno esistenziale, in virtù del demansionamento da Capo Squadra dei VV.FF ad Autista e del trasferimento da Capri a Napoli (v.ordine di servizio n.26 del 19.1.2007 agli atti), atteso lo squilibrio della propria vita quotidiana e di relazione dovuto ad un imprevisto, erroneo ed ingiustificato stravolgimento dei ritmi ed abitudini di vita lavorativa e non - con disturbi anche di tipo somatico come insonnia, disturbi gastrointestinali stress ed ansia connessi alla dequalificazione professionale- nonché di aver patito danno morale per  il demansionamento subito per circa un anno, ed ha pertanto chiesto la condanna delle amministrazioni, in solido, al risarcimento di quanto dovuto, commisurato in via equitativa;

che parte ricorrente, articolando quattro motivi di ricorso, ha dedotto sotto vari profili l’illegittimità della determinazione n.06/07 MOD.BS del 16.01.2007 e dei conseguenti provvedimenti adottati  per carenza di motivazione e violazione dell’art.3 della legge n.241/90, eccesso di potere, difetto di istruttoria, manifesta irrazionalità, contraddittorietà, illogicità, errore per inesistenza dei presupposti di fatto, violazione sotto altro profilo dell’art.24 Cost. e art.3 della legge n.241/90;     

RITENUTO:

Che, in via preliminare, stante anche la domanda risarcitoria proposta,  giova ribadire la giurisdizione esclusiva, in subiecta materia, del Giudice Amministrativo in forza della c.d. «ripubblicizzazione», a partire dall’1° gennaio 2006, del rapporto di impiego del personale appartenente al Corpo nazionale dei vigili del fuoco (v.T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 03 maggio 2006 , n. 3095); ed invero, il Corpo dei vigili del fuoco è stato posto, con l. 30 settembre 2004 n. 252, attesa la peculiarità delle funzioni attribuite, nel comparto pubblicistico, essendosi aggiunto all'art. 3 d.lg. n. 165 del 2001, il comma 1 bis, in forza del quale "in deroga all'art. 2 commi 2 e 3, il rapporto di impiego del personale, anche di livello dirigenziale, del corpo dei vigili del fuoco, esclusi il personale volontario previsto dal regolamento di cui al d.P.R. in data 2 novembre 2000 e il personale di leva, è disciplinato in regime di diritto pubblico secondo autonome disposizioni ordinamentali", con la conseguenza che le relative controversie, in base al combinato disposto degli art. 3 e 63 del citato d.lg. n. 165 del 2001, risultano certamente appartenenti alla giurisdizione del giudice amministrativo (Consiglio Stato , sez. VI, 14 marzo 2006 , n. 1349);

Che il ricorso merita accoglimento quanto alla sussistenza della dedotta censura di erroneità dei presupposti, in relazione ai requisiti normativi richiesti per l’espletamento di mansioni nel settore operativo di soccorso del Corpo dei Vigili del Fuoco, nei termini di seguito esposti;

ed invero, premesso che il giudizio che le commissioni mediche militari sono chiamate ad esprimere sull'arruolamento o la permanenza in servizio è espressione di una particolare discrezionalità tecnica che attiene al merito dell'azione amministrativa, talché i provvedimenti che ne costituiscono espressione non sono sindacabili dal giudice amministrativo, se non per quanto attiene alla sussistenza dei presupposti posti alla base della valutazione, la logicità della valutazione stessa e la congruenza delle conclusioni tratte dall'amministrazione (C.d.S sez. IV, 16 maggio 2006, n. 2806), nel caso in esame la valutazione espressa dalla C.M.O circa la “non idoneità permanente nel Corpo dei Vigili del Fuoco; idoneità parziale per il settore operativo (art.18 C.C.N.L.); controindicazione all’impiego nel servizio tecnico urgente di soccorso” appare palesemente contrastante sia con le valutazioni mediche espresse  dall’Ospedale pubblico Cardarelli all’esito delle dimissioni del dipendente che con quelle espresse tanto dalla Consulenza tecnica  di parte che dalla Consulenza d’Ufficio disposta dal Tribunale, in relazione a quanto previsto dalla normativa vigente in materia di requisiti fisici per l’impiego nel settore operativo di soccorso del Corpo del Vigili del Fuoco;

In particolare, all’atto delle dimissioni in data 15.01.2007 l’Ospedale Cardarelli, conformemente agli esami clinici espletati (esame ecocardiografico del 13.6.06 e Report Holter del 6.7.2006) e prodotti agli atti,  attestava che il sig.Romano “affetto da pregresso infarto non Q, allo stato asintomatico e senza segni strumentali di ischemia residua può riprendere la propria attività lavorativa proseguendo la terapia in corso” (all.9 del ricorso). Nello stesso segno, la consulenza di parte effettuata dal dott.P.Sterni in data 8.3.2007, effettuati gli accertamenti medici dovuti (in particolare, ecocardiogramma, coronarografia e test ergometrico massimale) ha appurato che il ricorrente “non  presenta alcun rischio per fattori cardio-cerebrovascolari acuti ed è perfettamente idoneo alle mansioni ed alla qualifica di C.S.Vigili del Fuoco”. Tali risultati, infine, sono stati ritenuti assolutamente conformi dalla C.T.U. espletata su incarico del Tribunale dal dr.Maurizio Cappelli Bigazzi, Specialista in Cardiologia dell’Ospedale Monaldi di Napoli. In particolare il quesito posto a detto specialista  mirava specificatamente a verificare se permanga e costituisca fattore di rischio la riscontrata stenosi del 20% a carico del tratto medio dell’arteria coronaria dx, con relativo giudizio sulla idoneità del ricorrente a svolgere le mansioni di Capo Squadra dei vigili del Fuoco con riferimento ai requisiti fisici di idoneità previsti dal D.M.del 5 febbraio 2002, come modificato dal D.M. del 3 novembre 2003, tab.A con particolare riferimento alle imperfezioni ed infermità dell’apparato cardiovascolare (pag.4). Ciò in quanto, sebbene la C.M.O. di Caserta  si sia limitata a rilevare l’esistenza di detta stenosi - peraltro non contestata dal ricorrente, che anzi ha prodotto documentazione medica nello stesso senso, a seguito di esame coronarografico eseguito in data 23.2.2006 - senza motivare in alcun modo circa le eventuali conseguenze negative ad essa riconnesse;  l’amministrazione nella memoria depositata ha ritenuto che la stenosi in quaestione costituisca esito della malattia tale da comportare fattori di rischio per lo svolgimento delle mansioni contestate.

Ora, pur nella consapevolezza della inammissibilità dell’integrazione della motivazione in udienza, proprio l’esigenza di tutela dell’interesse alla salute del ricorrente e all’interesse pubblico sotteso allo svolgimento di tali delicate mansioni ha indotto il Tribunale ad approfondire tale aspetto, con il risultato che la C.T.U depositata ha nettamente escluso che  costituisca fattore di rischio la riscontrata stenosi del 20% a carico del tratto medio dell’arteria coronaria dx. e, in conclusione, che “il sig.Romano non ha riportato esiti significativi dell’episodio infartuale sofferto nel gennaio 2006, tale da limitare in alcun modo la funzione contrattile del ventricolo sx (….). Sulla base dei test svolti (….) può essere considerato idoeno a svolgere le mansioni di Capo Squadra dei VV.FF. con riferimento ai requisiti fisici di idoneità previsti dal D.M. del 5 febbraio 2002, come modificato dal D.M. del 3 novembre 2003, tab.A con particolare riferimento alle imperfezioni ed infermità dell’apparato cardiovascolare (pag.4)”;

Ed invero, il D.M.del 5 febbraio 2002, come modificato dal D.M. del 3 novembre 2003, tab.A, nell’individuare le imperfezioni e infermità che costituiscono causa di inidoneità al servizio presso il personale operativo (ma che eventualmente consentono, previa valutazione di idoneità della C.M.O., il transito in altro profilo professionale compatibilmente con la residua capacità lavotativa), con particolare riferimento alle imperfezioni ed infermità dell’apparato cardiovascolare (pag.4), quanto all’impiego nel settore operativo e di soccorso del Corpo dei VV.FF. richiede l’assenza di “malformazioni del cuore e dei grossi vasi” oltre che di “malattie cardiache ed esiti di patologie cardiache” (…).

Da un attenta lettura della tabella in questione, per la corretta valutazione delle malformazioni, congenite o successive, ivi complessivamente descritte, occorre verificare con il maggior scrupolo possibile i requisiti di idoneità degli appartenenti al settore operativo di soccorso. Ciò tenendo conto delle esigenze di tutela dell’interesse pubblico sottese all’attività operativa e di soccorso  del Corpo dei Vigili del Fuoco (anche alla luce di quanto esposto dalla stessa amministrazione con riferimento al caso concreto nella memoria depositata in data 4.5.2007 e, in generale, nella   allegata circolare n. 5601/04). Al fine di tutelare la salute dei dipendenti e di garantire l’effettività del servizio a tutela dell’incolumità pubblica,  si  richiede che gli appartenenti al settore operativo dei VV.FF siano soggetti perfettamente sani ed in grado di reggere allo stress ed ai rischi sottesi alle operazioni di soccorso. Ciò posto, con riferimento alle patologie cardiache, il Collegio reputa che una qualsivoglia  malattia  cardiaca non sia sufficiente a determinare l’inidoneità – assoluta o parziale -  nel settore operativo di soccorso, ma occorre che tale malattia abbia determinato in capo al dipendente degli “esiti” oppure dei “prevedibili - secondo la migliore scienza ed esperienza - postumi inabilitanti”, tali da  costituire una concreta incidenza di fattori di rischio per eventi cardio-cerebro vascolari acuti, e da trasformare il dipendente originariamente “ sano”  in soggetto se non “malato” quantomeno “a rischio”, per se stesso e per gli altri, per il caso in cui lo stesso venga adibito al servizio di soccorso operativo.

In sostanza, l'interpretazione da privilegiare nell'applicazione della Tabella richiamata è quella  logico-sistematica, secondo cui l'infermità deve comportare quantomeno un minimum di riduzione funzionale dell'organo interessato, sotto il profilo medico-scientifico, con conseguente   riduzione dell'efficienza fisica, funzionale all'attività richiesta, attuale o futura (e cioè prevedibile anche in correlazione alla peculiarità dell'attività professionale). In sostanza l’infermità deve essere tale da consentire di ritenere in re ipsa le ragioni dell'inidoneità alle mansioni operative, senza alcun ulteriore apporto motivazionale, per gli esiti inabilitanti, attuali o futuri, idonei ad incidere, sia pur marginalmente, sul disimpegno dell'attività d'ufficio inerente alla qualifica da rivestire (per l’opzione interpretativa circa la rilevanza non della malattia in se ma degli esiti invalidanti ai fini dell’ inidoneità all'esercizio del servizio militare o della professione militare vedi T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 20 aprile 2006 , n. 2851, in relazione all'arruolamento quale Carabiniere effettivo, in applicazione dell'art. 12, lett. D) del d.m. n. 114 del 2000).

Orbene,  è pacifico e non contestato che il ricorrente in data  26.01.2006 è stato colpito da “I.M.A. inferiore non Q, da trattarsi solo farmacologicamente”. Tuttavia la stessa C.M.O., nella determinazione impugnata del 16.01.2007,  non ha in alcun modo  motivato né sulla gravità in se della malattia in questione- che è stata esclusa da tutti gli accertamenti medici compiuti- né circa la presenza di esiti o di postumi invalidanti della stessa, limitandosi ad un riferimento alla presenza di una “stenosi non critica nel tratto medio della coronaria destra”, ciò che di per se nulla dice in mancanza di una esplicita valutazione delle conseguenze cliniche da ricondurre a tale stenosi.   Come osservato, per esigenze di tutela non solo dell’interesse alla salute del ricorrente ma in primis dell’interesse pubblico dell’amministrazione, con la disposta C.T.U il Collegio ha accertato che la riscontrata stenosi del 20% a carico del tratto medio dell’arteria coronaria dx, non costituisce fattore di rischio per l’adibizione del ricorrente a svolgere le mansioni di Capo Squadra dei vigili del Fuoco. 

Stante quanto precede, il ricorso deve essere accolto per erroneità dei presupposti (oltre che per carenza di motivazione), con assorbimento delle restanti censure, quanto all’annullamento della determinazione n.06/07 MOD.BS del 16.01.2007 e consequenziale caducazione del conseguente O.D.G. con cui è stato disposto il trasferimento del  ricorrente dal distaccamento di Capri alla sede della Direzione Regionale dei VV.FF della Campania in Napoli stante il nesso di presupposizione (Consiglio Stato, sez. V, 28 ottobre 2005 , n. 6004) con tale provvedimento che ne costituisce il necessario antecedente;

Quanto alla domanda tesa all’accertamento del danno esistenziale e del danno morale ed alla conseguente condanna in solido delle amministrazioni costituite, in via equitativa, va osservato quanto segue.

Secondo quanto affermato anche dalla più recente giurisprudenza amministrativa, il c.d. “danno esistenziale”- risarcibile ai sensi dell'art. 2059 c.c.-   va ravvisato nei riflessi esistenziali negativi (perdita di compiacimento o di benessere per il danneggiato) derivanti da ogni violazione di un diritto della personalità  a rilevanza costituzionale (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 18 gennaio 2006, n.125). Ciò può ravvisarsi ogni qual volta la lesione di diritti costituzionalmente garantiti, quali ad esempio il diritto all'onore ed alla reputazione - che può essere inteso, come nel caso in esame, quale diritto alla “considerazione sociale”- comporti sofferenza o disagio del danneggiato ovvero un "diverso relazionarsi”  del danneggiato rispetto alla collettività ( in tal senso: Tribunale Marsala, 03 luglio 2007).

Sebbene la giurisprudenza più che costante ritenga che il danno esistenziale vada specificamente allegato e provato nei suoi elementi costitutivi (ex multis: T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 10 maggio 2007 , n. 4251), tuttavia non è escluso che tale prova possa esser desunta dal Giudice, ai sensi dell’art. 115 comma 2 c.p.c., facendo ricorso a quelle nozioni generali derivanti dall’esperienza onde coerentemente risalire ad un fatto ignoto per dedurne la esistenza del danno, come avviene nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove,  (Cassazione civile , sez. un., 24 marzo 2006 , n. 6572).

Del resto occorre tener conto che la responsabilità da demansionamento ha natura contrattuale, in quanto integra una  violazione degli obblighi imposti al datore di lavoro, e precisamente del diritto di ogni lavoratore ad essere adibito allo svolgimento della prestazione lavorativa secondo la tipologia della propria qualifica di appartenenza come prescritto dall’art. 2103 c.c., nonché dell’obbligo di tutela della integrità fisica e della personalità morale dei lavoratori come sancito dall’art. 2087 c.c.. . Sicché, in materia di prova, trova applicazione l’art. 1218 c.c. secondo cui il debitore che non esegue la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.  

Orbene, come già evidenziato in punto di fatto, il ricorrente ha allegato di aver patito danno esistenziale, in virtù del demansionamento da Capo Squadra dei VV.FF ad Autista e del trasferimento da Capri a Napoli (v.ordine di servizio n.26 del 19.1.2007 agli atti), atteso lo squilibrio della propria vita quotidiana e di relazione dovuto ad un imprevisto, erroneo ed ingiustificato stravolgimento dei ritmi ed abitudini di vita lavorativa e non - con disturbi anche di tipo somatico come insonnia, disturbi gastrointestinali stress ed ansia connessi alla dequalificazione professionale- nonché di aver patito danno morale per il demansionamento subito per effetto del provvedimento  impugnato;

Ad avviso del Collegio, argomentando ex art.115 c.p.c, tenuto conto delle allegazioni di parte ricorrente, sussistono nella specie elementi più che concordanti tali da ritenere provato il  danno esistenziale patito dal ricorrente per effetto di un provvedimento non soltanto illegittimo ma addirittura colposo dell’amministrazione. Come noto, in presenza di danno da attività provvedimentale illegittima, qualora siano stati acquisiti, anche in via presuntiva, gli indici rivelatori della colpa della P.A., spetta poi a quest'ultima l'allegazione degli elementi, pure indiziari, ascrivibili allo schema dell'errore scusabile e, in definitiva, al giudice, apprezzarne e valutarne liberamente l'idoneità ad attestare o ad escludere la colpevolezza dell'amministrazione. (cfr., Cons. St, sez. IV, 16 luglio 2007, n. 4010). A sua volta  l’amministrazione non ha allegato alcunché al fine di comprovare nella specie la sussistenza degli estremi per ravvisare la ricorrenza di un errore scusabile. Ed infatti, come sopra osservato, è mancato, nella specie, qualsiasi accertamento da parte dell’amministrazione  circa la sussistenza di esiti invalidanti della patologia, di per se non particolarmente grave, riportata dal ricorrente. Sicché per effetto del demansionamento subito e del conseguente trasferimento di sede, sono restate alterate le abitudini e gli assetti relazionati propri del ricorrente, che si è trovato indotto a scelte di vita diverse e soprattutto negative e squalificanti quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. 

Nella specie, dalle allegazioni dedotte in ricorso si ricava che il ricorrente, giovane uomo di 43 anni, che per molti anni aveva svolto le mansioni di Capo Squadra - ruolo oggettivamente di particolare considerazione e riconoscimento sociale, specie in una piccola comunità quale è l’isola di Capri - all’esito dell’infarto non Q, con la determinazione impugnata nonché con l’O.d.S. n.26 del 19.1.2007 (cfr.documentazione agli atti), veniva temporaneamente trasferito da Capri alla  sede di Napoli, ed  adibito dall’amministrazione alle mansioni di autista non implicanti lo svolgimento di funzioni di soccorso, ovvero alle.

Orbene, l’adibimento a tali mansioni appare “in re ipsa”  oggettivamente dequalificante rispetto alle attitudini ed alle capacità fisiche di un uomo di 43 anni rivelatosi, già all’atto delle dimissioni dall’Ospedale, privo di postumi invalidanti rispetto alla malattia subìta e ritenuto dalla struttura pubblica perfettamente idoneo a svolgere le proprie mansioni abituali. Ma la valenza negativa del provvedimento emerge ancor di più se si valuta la circostanza che il ricorrente è stato allontanato da Capri e collocato nella diversa realtà dimensionale del Reparto di Napoli, perdendo - per effetto della suddetta determinazione illegittima- il proprio prestigio ed il ruolo di “riferimento” anche sociale per la collettività, in quanto capo Squadra dei Vigili del Fuoco dell’ isola suddetta.

Ed invero, l'illegittima protrazione per colpa della p.a. di un'attività lavorativa inferiore - per dignità e qualità professionale - a quella alla fine riconosciuta dopo un estenuante iter legale,  configura un'ipotesi di danno esistenziale, consistente nei riflessi negativi (perdita di compiacimento e benessere e peggioramento della qualità della vita) che ogni violazione di un diritto della personalità comporta, indipendentemente sia da una patologia suscettibile di valutazione medico-legale (danno biologico), sia da una diminuzione del reddito (danno patrimoniale) sia da una sofferenza od un dolore (danno morale) (T.A.R. Piemonte Torino, sez. I, 15 giugno 2007, n. 2623). In tali casi il danno esistenziale va riconosciuto comunque anche  all’infuori delle tradizionali ipotesi di danno morale, concretantesi nella perturbatio dell'animo della vittima, nonché al di là della sussistenza di un danno patrimoniale o della prova di un danno biologico, in senso stretto (o danno all'integrità fisica e psichica, coperto dalla garanzia dell'art. 32 Cost.).

A differenza del danno biologico, il danno esistenziale sussiste infatti indipendentemente da una patologia (lesione fisica o psichica) suscettibile di accertamento e valutazione medico-legale; esso, diversamente dal danno patrimoniale, prescinde da una diminuzione della capacità reddituale; e, rispetto al danno morale inteso come turbamento dello stato d'animo della vittima, non consiste in una sofferenza od in un dolore, ma in un peggioramento della qualità di vita derivante dalla lesione del valore costituzionale "uomo". Tale voce di danno, che resta dimostrato "ipso iure" nella prova del fatto antigiuridico- secondo l’orientamento ormai affermatosi anche dinanzi al giudice amministrativo-  può liquidarsi in via equitativa ex art.1226 e 2056 c.c., alla luce della gravità e della durata della lesione e della rilevanza delle conseguenze derivanti al soggetto danneggiato.

Il Collegio reputa in concreto sussistenti i presupposti per il risarcimento del danno esistenziale cagionato al ricorrente. Ed invero, nel caso di specie, si è verificata una lesione del diritto fondamentale alla libera esplicazione della personalità del lavoratore. Tale pregiudizio, incidendo sulla vita professionale e di relazione dell'interessato, ha inciso sul valore superiore della professionalità che è un diritto fondamentale del lavoratore e costituisce sostanzialmente un bene a carattere immateriale (cfr., per il principio, Cass., sez. lav., 2 gennaio 2002, n. 10 e, per  affermazione di analogo principio del danno esistenziale in ipotesi di “demansionamento”, TAR Piemonte, Torino, sez. I, 15 giugno 2007, n. 2623)

Ciò premesso circa la rilevanza del danno esistenziale come “danno evento” a prescindere dalle conseguenze, patrimoniali o non patrimoniali,   quanto alla prova, è jus receptum l'affermazione secondo la quale l'immaterialità dei pregiudizi in questione (lesione di valori inerenti alla persona) rende ammissibile il ricorso alla prova per presunzioni, sulla scorta di valutazioni prognostiche anche basate su fatti notori o massime di comune esperienza ( in termini identici: T.A.R Piemonte Torino, cit. e in termini, circa la prova per presunzioni, T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 10 maggio 2007 , n. 4251). Nel caso in esame per valutare il deterioramento della qualità dell’esistenza del ricorrente in conseguenza dei fatti in questa sede valutati, occorre tener conto della protrazione nel tempo, dalla data dell’O.d.S citato, dell’esercizio di attività lavorativa inferiore, per dignità e qualità professionale, a quella svolta nel corso della propria carriera (autista in luogo di Capo Squadra dei Vigili del Fuoco). Ed inoltre occorre considerare il rilievo del trasferimento di sede che è avvenuto con lo spostamento del ricorrente da un ambito territoriale circoscritto qual’era l’Isola di Capri - ove al ruolo sociale “di riferimento” delle mansioni svolte si accompagnava un evidente prestigio - ad una grande città, qual è Napoli, ove il ricorrente di fatto si è trovato ad essere “un numero tra tanti”. Non può non assumere importanza decisiva –stante la ridottissima dimensione dell’isola in cui il ricorrente operava e da cui è stato allontanato per effetto del provvedimento illegittimo- la conoscibilità all'interno ed all'esterno del luogo di lavoro dell'operata dequalificazione: senza dubbio, il Capo Squadra dei Vigili del Fuoco in un piccolo centro costituisce in qualche modo un’Autorità, analogamente al Comandante della locale stazione dei Carabinieri, al Parroco, al Sindaco e così via. Nel caso di specie, alla luce di quanto sopra affermato, non vi   e’ dubbio che l’adibimento del ricorrente a mansioni dequalificanti rispetto a quelle precedentemente svolte, per giunta con trasferimento in un diverso contesto territoriale (allo stato sospeso solo per effetto del provvedimento di sospensione cautelare del provvedimento impugnato), ha cagionato la lesione di diritti  costituzionalmente protetti, ovvero il diritto alla libera esplicazione della personalita’ sul luogo di lavoro e il  diritto alla dignita’ personale, in termini di autostima ed eterostima nell’ambiente di lavoro ed in quello socio familiare, evincibile dall’art.2 della Costituzione (v.TAR Napoli, I sez.n.704/2006).

Ciò premesso, si ritiene di poter liquidare equitativamente il danno esistenziale ex artt. 1226 e 2056 c.c., in euro 5.000,00 (cinquemila) alla luce della gravità e della durata della lesione e della rilevanza delle conseguenze sopra descritte.

Quanto alla valutazione del danno morale, inteso quale mero dolore o patema d'animo interiore, secondo la giurisprudenza più recente esso deve essere risarcito, oltre che nei casi previsti dalla legge ordinaria (185 ss., 598 c.p.; 89 comma 2, 120 c.p.c., ed in particolare a fronte di fattispecie di reato, che non si ravvisano nel caso in questione), anche nei casi di lesione di valori della persona umana costituzionalmente protetti - come nel caso in esame- quali la salute, la famiglia, la reputazione, la libertà di pensiero (Cassazione civile , sez. III, 20 aprile 2007, n. 9510; T.A.R. Umbria Perugia, 10 agosto 2006, n. 414). Tale voce di danno, che si differenzia dalla prima attesa la rilevanza “esterna” del danno esistenziale, può del pari desumersi per presunzione dai medesimi parametri già indicati e può essere equitativamente liquidata nella complessiva misura di euro 1000,00 (mille).

Secondo l'id quod plerumque accidit, infatti, la perdita del lavoro, specie se percepita e vissuta come conseguenza di un agire illegittimo e ingiustificato del datore di lavoro, costituisce un evento che incide profondamente nella sfera morale dell'interessato, provocando un notevole stato di sofferenza interiore che va risarcito per se stesso, a prescindere dalla questione del danno esistenziale, sulla base di un criterio probatorio che tenga conto sia del carattere intimo del pregiudizio, sia del fatto che la sussistenza dello stesso può normalmente essere presunta (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 13 aprile 2007, n. 3208). Ed invero, il  danno non patrimoniale deve essere riconosciuto e liquidato nella sua interezza sicché, laddove non limitato dalla parte a specifiche voci, la domanda va considerata come estesa a tutti gli aspetti che lo integrano: il danno morale (soggettivo), il danno biologico e il cosiddetto danno esistenziale (Cassazione civile , sez. III, 12 giugno 2006 , n. 13546).

Sulla somma suddetta come complessivamente liquidata (euro 6.000,00) spetta inoltre al ricorrente, ex lege, la corresponsione della rivalutazione monetaria, dalla data di maturazione dei singoli crediti, che nella specie si è verificata mese per mese in ragione della subita dequalificazione professionale, e sino al momento della presente pronuncia giurisdizionale; quanto al danno da ritardo, consistente negli interessi per la mancata disponibilità immediata della somma in oggetto, pur astrattamente configurabile, in merito nulla  è stato allegato e provato dal ricorrente, per cui non può essere riconosciuto il cumulo in tale periodo tra rivalutazione ed interessi; dalla data della pronuncia e sino al saldo sulla somma rivalutata come liquidata in sentenza, infine, spettano gli interessi legali.

Ed invero, secondo il più recente orientamento espresso dalle SS.UU.  (SS.UU. n. 1712/1995) e dalla Sezione lavoro della Corte di Cassazione (n. 5908/1998), condivisa anche dalla citata sentenza del TAR Napoli, I.sez., n.704/2006, i crediti derivanti- come nel caso in esame- da fatto illecito lesivo sono sottratti al principio nominalistico ed il meccanismo della rivalutazione monetaria  (al quale è assegnata la funzione di ripristinare il patrimonio del danneggiato nella situazione in cui si sarebbe trovato se non si fosse verificato il fatto che ha dato origine alla  lesione)  opera automaticamente. Pertanto, secondo la  giurisprudenza citata, su tali debiti bisogna applicare indici di rivalutazione monetaria del valore posseduto dal bene al momento della violazione sino alla quantificazione giudiziale ed è inoltre necessario procedere alla corresponsione del danno da ritardo, cioè il lucro cessante cagionato dal mancato godimento dell'equivalente pecuniario del bene leso nel periodo compreso tra il fatto e la liquidazione.  In conclusione il credito in oggetto, derivante da risarcimento del danno, è soggetto alle regole disciplinanti le obbligazioni che, originariamente di valore, si trasformano in obbligazioni di valuta per effetto del passaggio in giudicato della sentenza che decide sulla loro liquidazione e, una volta intervenuta tale conversione, l’ obbligazione di valuta va assoggettata alla disciplina dell’art. 1224 c.c.

Nel caso in esame non può invece essere risarcita come autonoma voce di danno-evento (benchè, in effetti, tale richiesta non sia stata formulata in modo esplicito ma si desuma solo implicitamente dai presupposti richiamati al fine di integrare il danno esistenziale e morale), il c.d. “danno biologico”, consistente nella lesione dell'integrità psicofisica accertabile in sede medico-legale, sub specie degli allegati “disturbi anche di tipo somatico come insonnia, disturbi gastrointestinali stress ed ansia”: di tale voce di danno, infatti, non è stata fornita prova alcuna (ad esempio, mediante produzione di referti medici) .  

Le spese seguono, come di regola, la soccombenza, e si liquidano come da dispositivo;

 

P.Q.M. - Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione quarta, accoglie il ricorso n. 2931/2006 , nei limiti di cui in motivazione, e, per l'effetto, annulla la disposizione dirigenziale n.06/07 MOD.BS del 16.01.2007 .

Condanna le amministrazioni costituite, in solido, a risarcire il danno subito a titolo di danno esistenziale e danno morale,  nella misura complessiva di euro 6.000,00 (seimila), oltre rivalutazione monetaria dalla data di maturazione dei singoli crediti alla presente pronuncia, ed interessi legali per il periodo successivo, come in motivazione;

Condanna le amministrazioni suddette altresì a rifondere le spese di lite, nella misura di Euro 1.500 (millecinquecento), oltre ad accessori come per legge, nonché Euro 500,00 (cinquecento) anticipate dal ricorrente per l’espletamento della C.T.U, giusta ordinanza n.1615/07.

Ordina  che la presente sentenza sia eseguita dall’Amministrazione.

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