Tar Campania 15 ottobre
2010 n. 19669 – Rel. Palmarini
Danno da sottoinquadramento
- Somma risarcitoria pari alla differenza tra la retribuzione della
categoria dirigenziale superiore spettante e quella inferiore – Non è
indennizzo di danno emergente ma di lucro cessante - Costituisce reddito da
lavoro dipendente – Assoggettamento a tassazione.
Secondo la disciplina
dettata dal d. P.R. n. 917/1986, art. 6 e 16, tutte le indennità conseguite
dal lavoratore a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita
di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, e
quindi tutte le indennità aventi causa o che traggano comunque origine dal
rapporto di lavoro, comprese le indennità per la risoluzione del rapporto
per illegittimo comportamento del datore di lavoro, costituiscono redditi da
lavoro dipendente. E’ onere del contribuente dimostrare che l’indennità si
riferisce (in tutto o in parte) a voci di risarcimento puro, esenti da
tassazione, e non è sufficiente che sia precisato che esso ha carattere
risarcitorio, perché costituisce risarcimento anche il ristoro di emolumenti
non percepiti, tassabili ai sensi del d.P.R. n. 917/1986, art. 6, comma 2.
(Nella fattispecie il risarcimento è stato disposto per i “danni causati al
ricorrente dal mancato conferimento dell’incarico dirigenziale” e
quantificato in relazione alla mancata percezione del reddito pertinente).
FATTO
Con sentenza n. 4208/2007 il
T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, si è pronunciato favorevolmente sul
ricorso n. R.G. 2961/2002 proposto da Paolo Calvo, condannando la Regione a
risarcire il danno conseguente all’attività provvedimentale illegittima
posta in essere dalla stessa e accertata con sentenza del T.A.R. Campania
del 21.1.1997. In particolare al ricorrente, dipendente della Regione con
funzione di dirigente fino all’1.1.1999, data di collocamento a riposo, era
stato attribuito illegittimamente un punteggio deteriore nella graduatoria
della 1a qualifica dirigenziale utile alla nomina a capo servizio.
L’amministrazione, in
ottemperanza alla sentenza del 1997, modificava la posizione del ricorrente
nella predetta graduatoria ma non provvedeva a conferire l’incarico di capo
servizio. Per tali motivi il ricorrente, nel frattempo andato in pensione,
adiva questo Tribunale che riconosceva il diritto al risarcimento dei danni.
Per la quantificazione di quest’ultimo, il giudice di primo grado si
avvaleva dello strumento offerto dall’art. 35, comma 2, del decreto
legislativo n. 80 del 1998, dettando dei criteri per la formulazione di una
proposta di pagamento da parte dell’amministrazione regionale.
La Regione interponeva appello
alla sentenza del T.A.R. n. 4208 avanti al Consiglio di Stato che la
confermava con la decisione del 29.4.2009, n. 2714.
Con sentenza n. 193/2010
questo Tribunale ha preso atto del mancato perfezionamento dell’accordo ai
sensi dell’articolo 35, comma 2, del decreto legislativo n. 80 del 1998 tra
il ricorrente e la Regione Campania relativamente alla quantificazione delle
somme dovute a titolo di risarcimento del danno in esito alla condanna
generica recata dalla sentenza n. 4208/2007, e ha nominato un Commissario ad
acta con il compito di effettuare i conteggi del quantum dovuto nel rispetto
dei seguenti criteri indicati nella sentenza n. 4208/2007 sulla quale si è
formato il giudicato:
- corresponsione di una somma
corrispondente alla differenza tra il trattamento retributivo percepito e il
trattamento retributivo conseguente all’attribuzione di un incarico
dirigenziale corrispondente alla collocazione in graduatoria riconosciuta al
ricorrente, a decorrere dal 26 febbraio 1993 e fino al collocamento a riposo
del ricorrente;
- corresponsione di una
ulteriore somma corrispondente alla differenza tra quanto percepito a titolo
di indennità di buonuscita e quanto avrebbe dovuto essere percepito, in
conseguenza dell’espletamento di incarico dirigenziale e percezione della
migliore retribuzione connessa;
- corresponsione di una
ulteriore somma corrispondente alla differenza tra il rateo pensionistico
mensilmente percepito e quello che avrebbe dovuto essere percepito ove fosse
stato attribuito l’incarico dirigenziale in contestazione.
Questo Tribunale provvedeva
poi a chiarire con la sentenza n. 193/2010 che il Commissario ad acta ai
fini del calcolo avrebbe dovuto:
- tenere conto delle sole voci
retributive non specificamente collegate alla effettiva prestazione di
lavoro e alla presenza in servizio;
- determinare il rateo
pensionistico integrativo che la Regione dovrà corrispondere al ricorrente
per tutta la durata della sua vita. La determinazione dovrà essere fatta
procedendo ad una simulazione della pratica pensionistica.
Il Commissario ad acta con
provvedimento notificato in data 9 aprile 2010 determinava la somma da
corrispondere in euro 358.046,88 lorde e in un assegno integrativo mensile
di euro 957,57.
Avverso la determinazione del
Commissario ad acta l’interessato ha proposto l’odierno reclamo deducendo
l’illegittimità del suo operato laddove:
1) ha consentito che venissero
operate sulle predette somme le ritenute fiscali;
2) non ha conteggiato il
premio di produzione che è stato corrisposto ai dirigenti con incarico di
capo servizio andati in pensione nel 1998.
Si è costituita in giudizio
per resistere la Regione Campania eccependo in rito l’inammissibilità del
gravame.
Sia il ricorrente sia
l’amministrazione resistente hanno depositato ulteriori memorie difensive.
Alla camera di consiglio del
23 settembre 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il reclamo è infondato e,
pertanto, può prescindersi dall’esame delle eccezioni in rito avanzate dalla
Regione.
Con il primo motivo il
ricorrente deduce che le somme quantificate dal Commissario ad acta a titolo
di risarcimento del danno emergente da demansionamento non dovevano essere
assoggettate a ritenuta fiscale.
Il motivo non ha pregio.
La Corte di Cassazione ha
chiarito che “In tema di imposta sui redditi, l’art. 6, comma 2 del d.P.R.
22 dicembre 1986 n. 917 nella parte in cui dispone che “le indennità
conseguite…a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di
redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte,
costituiscono redditi della stessa categoria di quelli…perduti”, va inteso
nel senso che le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio
costituiscono reddito imponibile solo nei limiti in cui abbiano la funzione
di reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi.
L’applicazione in concreto della norma comporta, quindi, che la questione
relativa alla imponibilità delle somme riscosse dal lavoratore a titolo
risarcitorio non possa mai prescindere dall’accertamento in ordine alla
natura del pregiudizio che l’importo ricevuto ha la funzione di
indennizzare, dovendo in particolare il giudice di merito verificare se la
dazione di tali somme trovi o meno la sua causa nella funzione di riparare
la perdita di un reddito, potendo soltanto in caso di risposta positiva – e
sempre che non si tratti di danni da invalidità permanente o da morte –
affermarsi la tassazione della relativa indennità (Cassazione civile, sez.
trib. 13 maggio 2009, n. 10972).
E, ancora, più di recente:
“secondo la disciplina dettata dal d. P.R. n. 917/1986, art. 6 e 16, tutte
le indennità conseguite dal lavoratore a titolo di risarcimento di danni
consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da
invalidità permanente o da morte, e quindi tutte le indennità aventi causa o
che traggano comunque origine dal rapporto di lavoro, comprese le indennità
per la risoluzione del rapporto per illegittimo comportamento del datore di
lavoro, costituiscono redditi da lavoro dipendente. E’ onere del
contribuente dimostrare che l’indennità si riferisce (in tutto o in parte) a
voci di risarcimento puro, esenti da tassazione, e non è sufficiente che sia
precisato che esso ha carattere risarcitorio, perché costituisce
risarcimento anche il ristoro di emolumenti non percepiti, tassabili ai
sensi del d.P.R. n. 917/1986, art. 6, comma 2” (Cassazione civile sez. trib.
25 gennaio 2010, 1349).
Nella fattispecie il
risarcimento è stato disposto per i “danni causati al ricorrente dal mancato
conferimento dell’incarico dirigenziale” (sent. 4208/2008) e quantificato in
relazione alla mancata percezione del reddito pertinente.
L’indennità risarcitoria è
stata legittimamente assoggettata a tassazione in quanto avente la funzione
di reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi da
lavoro e non come sostenuto da parte ricorrente, afferente al danno
emergente da demansionamento subito. In particolare non ricorre nel caso di
specie un danno alla professionalità e all’immagine del lavoratore che
secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione non è assoggettabile a
tassazione (Cassazione civile, sez. trib., 9 dicembre 2008, n. 28887).
Risulta evidente, che se si
calcolasse il danno per lucro cessante derivante dalla mancata nomina a capo
servizio prendendo a parametro di riferimento per la quantificazione delle
somme il reddito a lordo delle ritenute fiscali, si realizzerebbe un
ingiustificato arricchimento del danneggiato.
E’, altresì, da respingere la
pretesa a vedersi riconosciuto nel conteggio dell’indennità risarcitoria il
premio di produzione all’epoca corrisposto ai dirigenti con incarico di capo
servizio al momento del pensionamento.
Il Commissario ha, infatti,
legittimamente eseguito il dictum giudiziale che gli ha imposto di tenere
conto ai fini del calcolo, “delle sole voci retributive non specificamente
collegate alla effettiva prestazione di lavoro e alla presenza in servizio”
(sent. n. 193/2010). A tale riguardo, non può porsi in dubbio il fatto che
il premio di produzione sia una voce retributiva connaturata alla
prestazione di lavoro effettivamente svolta e che non può andare a comporre
la somma dovuta a titolo risarcitorio.
2. Tenuto conto che la sent.
n. 193/2010 nel nominare il Commissario ad acta per l’esecuzione della
sentenza n. 4208/2007, stabiliva che le spese del giudizio sarebbero state
regolate al momento della liquidazione del compenso del Commissario ad acta
e che nel presente giudizio il reclamante è soccombente, il Collegio ritiene
sussistenti le condizioni di cui all’art. 92 del c.p.c. come richiamato
dall’art. 26 del c.p.a. per compensare le spese del giudizio, ad eccezione
di quelle relative al compenso del Commissario ad acta, che vanno poste a
carico della Regione. In particolare, considerata l’attività svolta dal
Commissario ad acta, dott. Salvatore Riccio, appare congruo determinare la
misura del compenso in euro 1.000 (mille).
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo
Regionale della Campania (Sezione Terza)
il Tribunale Amministrativo
Regionale per la Campania, sede di Napoli, sez. III; definitivamente
pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe (R.G. n. 04898/2009) così
provvede:
a) rigetta il reclamo;
b) compensa le spese del
giudizio;
c) dispone che al dott.
Salvatore Riccio venga corrisposta la somma di € 1000,00 (mille) a titolo di
compenso per l’espletamento del mandato di cui sopra, da porsi a carico
della Regione Campania.
Ordina che la presente
sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella
camera di consiglio del giorno 23 settembre 2010 con l'intervento dei
magistrati: