Eccessiva varietà di indennizzi all’insegna di una uniformità di censure di illegittimità verso le pratiche aziendali di dequalificazione finalizzate all’espulsione aziendale: due recenti sentenze a confronto

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Tribunale di Torino – sezione lavoro (giudice unico di primo grado) – 10 agosto 2001 – Est. Ciocchetti – Solinas  c. Sanpaolo IMI SpA.

 

Risarcimento del danno da dequalificazione professionale e del  danno biologico sofferto da un dirigente ultrasessantenne  – Accertamento per testi, per il primo, e, dietro certificazione ASL,  per il transitorio danno alla salute da patologia depressiva -  Sussistenza e liquidazione equitativa (in ragione di circa mezza mensilità di retribuzione per ogni mese di demansionamento).

 

E’ irrilevante a giustificare l’accantonamento di un dirigente (nel caso per la durata di 16 mesi) la giustificazione aziendale secondo cui, a seguito della fusione tra due istituti di credito, si sarebbe verificata una duplicazione di funzioni ed un conseguente esubero di personale, giacché è preciso ed ineludibile dovere del datore di lavoro, cui corrisponde un altrettanto specifico diritto del prestatore – entrambi discendenti dall’enunciato normativo contenuto nell’art. 2103 c.c. – di fornire al dipendente un incarico determinato e stabile, nel rispetto dell’inquadramento riconosciuto e della professionalità acquisita.

Del pari irrilevante la circostanza che nei confronti del predetto dirigente l’azienda avesse l’intenzione, e fossero stati avviati contatti, di addivenire ad una risoluzione consensuale anticipata del rapporto di lavoro rispetto all’età per il pensionamento di vecchiaia, in quanto ciò non giustifica, in alcun modo, la pratica datoriale di spoliazione delle mansioni, irrispettosa della precitata previsione codicistica.

Ne consegue, in ragione del riscontro di una forzata inattività per 16 mesi e di una sindrome depressiva indotta dall’illegittimo contegno aziendale – accertata come causalmente conseguente ad opera del Servizio neurologico dell’ASL, qualificato ed indipendente dalle parti, escludente pertanto il ricorso a CTU sanitaria – la liquidazione al ricorrente, in via equitativa ex art. 1226 c.c., dell’importo netto di 100 milioni (comprensivo di interessi e rivalutazione monetaria)  tenuto conto della retribuzione mensile percepita ed  a ristoro cumulativo del danno professionale e biologico subito, nonché l’accollo alla banca soccombente delle spese di lite per 18 milioni.

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso depositato in cancelleria in data 22 febbraio 2001 il dott. Alberto Solinas – dal 1958 dipendente dell’Istituto Bancario San Paolo di Torino (ora San Paolo IMI spa), inquadrato come dirigente dall’1.5.1988 e con compiti di vice-direttore presso la sede di Torino, piazza San Carlo, a far tempo dal 28.2.2000 – chiede al giudice del lavoro:

-         di accertare la responsabilità del datore ex art. 2103 e 2087 c.c., per il danno professionale ed economico subiti, a causa dei comportamenti illeciti tenuti e del mancato adempimento degli obblighi specifici di protezione del dipendente;

-         di accertare la responsabilità del datore ex art. 2049 e 2043 c.c., per avergli causato, con il proprio comportamento omissivo e/o commissivo, un grave ed ingiusto danno professionale ed economico;

-         di condannare il datore al pagamento in proprio favore e a titolo di risarcimento del danno alla professionalità, alla carriera ed all’immagine ex art. 2103 c.c., di somma equivalente alla retribuzione mensile moltiplicata per il numero dei mesi di completa inattività e dequalificazione (22 mesi, dall’aprile 1998 al febbraio 2000), o di somma da liquidare ex art. 1226 c.c., avuto riguardo alla gravità della lesione subita, della “perdita di chances” o “danno futuro”, del danno alla vita di relazione sociale, alla personalità, all’immagine e all’estetica;

-         di condannare infine il datore al pagamento di somma che sarà ritenuta di giustizia per il danno alla persona e/o esistenziale patito, ai sensi dell’art. 2043 c.c.

A fondamento di tali domande osserva quanto segue:

1.      con lettera dell’11.6.1996 viene nominato responsabile Rischi Creditizi del servizio Risk Management, con incarico di studiare e realizzare le più avanzate metodologie e gli strumenti per la gestione dei rischi creditizi nonché di supervisionare l’attività di Controllo Rischi di Gruppo;

2.      in base a tale mandato elabora una proposta contenente i principi fondamentali per una gestione del Rischio Creditizio, approvata il 16.10.1996, con contestuale incarico rivoltogli di preparare un documento denominato "Credit Risk Management ", da presentare alla dirigenza della banca, avente gli stessi contenuti della proposta approvata;

3.      contatta quindi diverse banche straniere tra cui Barclays Bank, all’avanguardia nell’utilizzo dei nuovi sistemi di Credit Risk Management, fissando un primo incontro il 17.10.1996, ove apprende che tale banca si avvale, per la consulenza circa la metodologia da impiegare, di una società specializzata nel settore, la Oliver Wyman & Co., nella persona del direttore dott. Davide Taliente;

4.      per la realizzazione del progetto viene poi creato un Comitato Guida, composto dai responsabili dei vari settori interessati, fra cui lo stesso ricorrente, in qualità di responsabile Rischi Creditizi del Servizio Risk Management;

5.      la struttura organizzativa creata per la realizzazione del progetto viene quindi approvata in data 10.12.1997 dall’Amministratore Delegato e Direttore Generale del San Paolo, Responsabile del Settore, Rag. Luigi Maranzana;

6.      di lì a poco e con decorrenza 1.4.1998 viene comandato al Servizio Risk Management del San Paolo il dott. Davide Alfonsi, già dipendente  della società di revisione del San Paolo, Arthur Andersen spa e assunto per l’occasione dal San Paolo Asset Management SIM Fiduciaria spa;

7.      tale comando condizionerà negativamente tutta l’attività successiva del ricorrente;

8.      nel frattempo, in data 3.3.1998, si tiene la prima riunione del Comitato Guida, per relazionare sull’attività progettuale svolta dal dicembre 1997, ma tra gli invitati non compare il nome del ricorrente;

9.      alla successiva riunione del 7.4.1998 egli partecipa fisicamente, ma non gli viene recapitato l’invito formale, ottenuto – dopo vana richiesta rivolta alla dott.ssa Tubarello – dal rag. Mirone, componente del progetto, il quale nell’esaminare l’invito si avvede immediatamente che il suo nome risulta cancellato;

10.  segnala quindi l’accaduto al rag. Scalerandi, il quale in un primo momento sostiene che il ricorrente non fa più parte del Comitato Guida, dichiarando successivamente di essersi sbagliato;

11.  tale episodio evidenzia l’atteggiamento di completa delegittimazione che il Capo servizio adotta nei suoi confronti;

12.  a seguito dell’inserimento in azienda del dott. Alfonsi, viene estromesso dal progetto di Credit Risk Management, tanto da essere escluso dall’incontro  tra il rag. Scalerandi e il dott. Alfonsi e quindi tra quest’ultimo e la Banca d’Italia, per la presentazione del progetto in questione;

13.  con lettera 20.7.1998 egli decide di denunciare l’accaduto, chiedendo l’intervento dei superiori gerarchici, ma la missiva rimane senza risposta;

14.  dall’1.11.1998, a seguito del perfezionamento della fusione tra San Paolo ed IMI, la dequalificazione già iniziata nell’aprile 1998 si trasforma nell’esclusione totale e senza alcuna motivazione dall’incarico di Responsabile Rischi Creditizi;

15.  tale esclusione avviene con comunicazione verbale e senza alcuna formalizzazione ed avallo da parte del Comitato Esecutivo e/o dell’Amministratore Delegato della Banca;

16.  la situazione di totale inattività che caratterizza tale periodo termina solo con il 28. 2. 2000 e cioè quattro giorni prima della convocazione per il tentativo obbligatorio di conciliazione, con la sua nomina a vice-direttore della sede di Piazza San Carlo.

Parte convenuta si costituisce a sua volta in giudizio e contesta tutte le pretese azionate in causa, ritenendole destituite di fondamento, onde chiede il rigetto del ricorso.

Osserva in proposito quanto segue:

1.      l’inserimento del dott. Alfonsi nel Risk Management del San Paolo risponde all’esigenza di utilizzare una professionalità avente specifica preparazione sui “rischi di mercato”, dal medesimo maturata presso la società Andersen e inesistente in ambito aziendale;

2.      l’assenza del nome del ricorrente nell’elenco delle persone da convocare per la prima riunione del Comitato Guida è dovuto a mero disguido, tant’è che successivamente il medesimo vi partecipa;

3.      divenuta operativa dall’1.11.1998 la fusione tra S. Paolo e IMI e costituito il cantiere di lavoro interaziendale Risk Management, emerge l’esigenza di collocarvi professionalità con forti conoscenze tecniche e non invece di tipo gestionale, come quelle facenti capo al ricorrente;

4.      in tale periodo il dott. Solinas continua pur sempre ad essere preposto al settore Rischi Creditizi, pur non essendo coinvolto nel relativo gruppo di lavoro, anche in quanto vengono nel frattempo avviati contatti tra le parti, in vista di una risoluzione anticipata dal servizio.

Fallita la conciliazione, il giudice dà corso all’istruttoria, interrogando le parti ed escutendo numerosi testi.

All’esito dell’istruttoria la vertenza viene infine discussa dai patroni delle parti ed in tale sede il ricorrente chiede disporsi CTU medico-legale, al fine di valutare il danno biologico patito, e CTU contabile, onde determinare il dovuto a titolo risarcitorio (cfr. proc. verb., p. 41, in riferimento alle pp.23-24 del ricorso).

La convenuta formula opposizione ad entrambe le richieste, ritenendo inammissibile utilizzare a fini probatori la consulenza (cfr. proc. verb., p. 41, in riferimento alle pp. 32-33 della memoria).

All’esito della discussione finale il giudice definisce infine il giudizio, come da dispositivo trascritto in calce alla presente sentenza, di cui dà pronta lettura alle parti.

MOTIVI  DELLA DECISIONE

     1.      La difesa del ricorrente chiede in sede di discussione finale che il giudice voglia disporre una CTU medico-legale, al fine di valutare l’entità del danno biologico patito dal lavoratore in conseguenza dei fatti descritti nell’atto introduttivo della vertenza, e inoltre una CTU contabile, onde determinare quanto dovuto al prestatore a titolo risarcitorio (cfr. proc. verb., p.41, in riferimento alle pp. 23-24 del ricorso).

In tale sede la convenuta formula a sua volta opposizione ad entrambe le richieste, ritenendo inammissibile utilizzare a fini probatori la consulenza tecnica, strumento di mera valutazione dei dati già acquisiti e provati (cfr. proc. verb., p.41, in riferimento alle pp. 32-33 della memoria).

Ad avviso del giudice non vi è ragione di prendere posizione su tale questione controversa, essendo l’accertamento peritale richiesto, nel caso in esame, del tutto superfluo.

Gli elementi raccolti in sede istruttoria e contenuti nella documentazione in atti, come si vedrà più oltre, risultano infatti di portata tale da consentire la definizione di ogni profilo della vertenza, sia per quanto concerne la sussistenza del fatto lamentato dal lavoratore e l’entità del pregiudizio patito sul piano personale e del diritto alla salute sia per ciò che concerne la determinazione delle somme eventualmente dovute, a titolo di ristoro del danno.

Ciò premesso, passiamo ad esaminare il merito della causa.

 

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2. La vertenza impone di prendere in considerazione i seguenti periodi in cui, secondo la prospettazione contenuta nel ricorso introduttivo, si sarebbe verificata la situazione di dequalificazione professionale e di danno alla salute del dott. Solinas ivi lamentata:

a)            aprile 1998 – novembre 1998,

b)            novembre 1998 – febbraio 2000.

Nel periodo sub a)  il lavoratore risulta responsabile del settore rischi creditizi, sia sul piano formale che sostanziale, e in tale posizione permane sino agli inizi di novembre 1998 (cfr. dep. Maino, p. 23).

Fa inoltre parte, ad ogni effetto, del comitato Guida del progetto in cui è coinvolto (cfr. dep. Scalerandi, pp. 27-28).

Orbene, tali circostanze sono sufficienti – di per sé – ad escludere che nel periodo ora in esame il ricorrente abbia subito un impoverimento, anche solo parziale, dei propri compiti.

Né ad una conclusione contraria può pervenirsi prendendo in considerazione l’episodio della presunta (ma, per la verità, non provata in giudizio) “sbianchettatura” del documento di convocazione per la riunione del Comitato Guida del 7.4.1998.

A tale riunione il ricorrente ha infatti partecipato (cfr. dep. Scalerandi, p. 28), onde l’episodio – se avvenuto – non potrebbe comunque fornire la dimostrazione della situazione di svilimento delle mansioni spettanti e attribuite, lamentata in causa dal lavoratore.

Prova dell’intervenuta dequalificazione non può neppure ritenersi il documento n. 26 prodotto dal ricorrente, costituito dal Verbale della riunione 24.6.1998 tenuta da Barone, Scalerandi e Giovannetti e avente ad oggetto l’avvio del futuro cantiere interaziendale Risk Management.

Il fatto che (come sottolineato a p. 10, punto XLIV, del ricorso introduttivo) in esso non compaia il nome del dott. Solinas, evidenziandosi invece quello del dott. Alfonsi, non pare infatti autorizzare la conclusione che ne trae il ricorrente.

L’istruttoria ha infatti acclarato (cfr. dep. Picca, p. 19) la necessità di integrare la collettività di lavoro incaricata di occuparsi dei rischi creditizi con esperti di modelli matematici e statistici, per introdurre valutazioni di rischio centrate su tale piano.

 

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      3.      Passando a questo punto ad esaminare  il periodo menzionato sub b), il giudice osserva quanto segue.

E’ provato in causa che nell’arco temporale che va dal 1° novembre 1998, corrispondente al momento  in cui è divenuta operativa la fusione tra S. Paolo e IMI, sino al 28.2.2000, data in cui il dott. Solinas viene chiamato a svolgere la mansione di vice-direttore presso la sede di Torino, piazza San Carlo, il ricorrente non ha avuto nessun tipo di incarico e ruolo e cioè è rimasto totalmente inattivo.

Di ciò fanno fede le deposizioni rese dai testi Ferraris (cfr. proc. verb., p. 31) e Musetti (cfr. proc. verb., p. 38), nonché lo stesso interrogatorio del rappresentante  della convenuta (cfr. proc. verb., pp.8-9), il quale  non ha significativamente saputo indicare che cosa il dott. Solinas facesse e di che cosa si occupasse, nel periodo in questione, in cui solo formalmente era legato al Risk Management.

Risulta in tal modo fornita in giudizio la dimostrazione del contegno illegittimo tenuto dalla convenuta nell’arco temporale ora in esame.

Né la situazione può essere diversamente ricostruita e valutata prendendo in considerazione due circostanze cui la memoria della convenuta allude e illustrate dalla difesa della stessa nel corso della discussione finale e cioè:

      a)      divenendo operativa dal 1 novembre 1998 la fusione tra S. Paolo e IMI, si è da tale momento registrata, specie sui livelli di professionalità ed inquadramento dirigenziali cui il ricorrente appartiene, una duplicazione  di funzioni ed un corrispondente esubero di personale;

      b)      nel periodo in questione vengono avviati contatti tra le parti in causa, in vista di una risoluzione anticipata dal servizio da parte del dott. Solinas.

La circostanza sub a) è del tutto irrilevante, essendo preciso ed ineludibile dovere del datore, cui corrisponde un altrettanto specifico diritto del prestatore, entrambi discendenti dall’enunciato normativo contenuto nell’art. 2103 c.c., di fornire al dipendente un incarico determinato e stabile, nel rispetto dell’inquadramento riconosciuto e della professionalità acquisita.

Del pari priva di rilevanza è la circostanza sub b).

La presenza di contatti e colloqui tra le parti in causa, in vista di un’eventuale risoluzione anticipata del rapporto, ammessi dallo stesso ricorrente (cfr. proc. verb., p. 16), non giustifica infatti, in alcun modo, la pratica datoriale della spoliazione delle mansioni, irrispettosa della citata previsione codicistica.

 

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      4.      Alla luce di quanto in antecedenza esposto, va quindi riconosciuto al ricorrente il diritto al ristoro del danno patito, correlato e discendente dalla forzata inattività impostagli dal datore di lavoro, per lo spazio di 16 mesi continuativi e cioè dall’1.11.1998 al 28.2.2000.

Al ricorrente va inoltre riconosciuto il diritto al risarcimento del danno biologico subito, per la situazione di temporanea depressione indotta causalmente dal contegno datoriale.

Di tale patologia e del suo carattere transitorio fanno fede i due referti prodotti dal ricorrente come documento n. 34, il primo dei quali, datato 24.3.1999, proviene dal servizio di neurologia dell’ASL n. 1 e cioè da servizio medico qualificato ed indipendente dalle parti.

Per le due voci di danno ora indicate e tenuto conto della retribuzione erogata mensilmente al lavoratore (cfr. doc. n. 32 prod. p. ricorr.), viene equitativamente liquidato al medesimo, ai sensi dell’art. 1226 c.c., l’importo netto di £. 100.000.000 =, in esso computati anche gli accessori di legge (rivalutazione ed interessi) maturati medio tempore sino al febbraio 2000.

Le spese di lite, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

IL TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO IN FUNZIONE DI GIUDICE DEL LAVORO

 

Visto l’art. 429 c.p.c.;

1.      Condanna parte convenuta a corrispondere a parte ricorrente l’importo netto di £. 100.000.000=, oltre alla rivalutazione ISTAT ed interessi legali sulle somme rivalutate dal febbraio 2000 al saldo effettivo;

2.      Condanna parte convenuta a rifondere al ricorrente le spese di lite, che liquida in £. 18.000.000=, oltre IVA e CPA;

3.      Dichiara esecutiva la presente sentenza.

 

Torino, 27 giugno 2001.                                                                   Depositata in cancelleria il 10 agosto 2001

 (inedita allo stato)

NOTA

Va innanzitutto evidenziato come, la presente decisione si ponga in controtendenza con le notorie, esasperanti  quanto illegittime lungaggini giudiziarie,  che hanno giustificato e tuttora giustificano – anche in presenza della maldestra c.d. legge Pinto n. 89/2001 sull’equa riparazione per i ritardi processuali - le regolari sanzioni indennitarie a carico dello Stato Italiano e a beneficio dei lavoratori, per importi dell’ordine medio dei 25 milioni c.a., dietro ricorso alla Corte Europea di Strasburgo per i diritti dell’Uomo. Dal vizio di tali lungaggini, tipiche della maggior parte dei magistrati e delle varie piazze italiane (che  trascinano i ricorsi di primo grado per  4 - 5 anni ed oltre),  va completamente esente l’attuale ricorso di primo grado proposto al Tribunale di Torino in via ordinaria (non con procedimento d’urgenza ex art.700  c.p.c.) in data 22 febbraio 2001, che  è stato deciso nell’incredibile tempo record di soli 4 mesi (il 27 giugno 2001), da un magistrato che si è fatto apprezzare nell’occasione per celerità, stile anglosassone e indisponibilità alla dilazione conseguente alle usuali richieste di rinvio d’ufficio e di parte.

Nel caso di specie, il dirigente dr. A. Solinas (ultrasessantenne, assunto dall’Istituto S. Paolo di Torino nel lontano 1958, responsabile, dopo plurimi incarichi di prestigio anche all’estero, dal 1996 del Settore Rischi Creditizi del Servizio Risk Management), in concomitanza con  l’inserimento in una prima fase dall’esterno per comando  nella Capogruppo (da consociata San Paolo che ne aveva provveduto all’assunzione dalla Arthur Andersen, Società di revisione  della banca)  del dr. D. Alfonsi - in una seconda fase "significativamente" assunto direttamente in organico come Capo servizio del Sanpaoloimi Spa - viene sottoposto a striscianti pratiche di delegittimazione (mancata partecipazione ad incontri, scavalcamento  e simili) finalizzate all’accantonamento ed all’emarginazione e sfocianti in effetti prima in una situazione di incipiente dequalificazione e poi nella pratica inattività forzata per ben 16 mesi, con gli intuibili negativi riflessi psico-somatici sullo stato di salute. Inutili si rivelano, in questo come in tutti i  casi similari, le tradizionali richieste di spiegazione avanzate sia verbalmente sia per iscritto ai superiori gerarchici e  fino ai massimi vertici della Banca, che ha avuto l’ardire di difendersi in giudizio (del tutto infruttuosamente) ammettendo - esplicitamente da parte di due suoi testi in posizione di rilevanza di ruolo funzionale societario ed implicitamente, in ragione della “significativa” incapacità del rappresentante aziendale di chiarire al giudice “che cosa il dr. Solinas facesse e di che cosa si occupasse, nel periodo in questione” - la denunciata inattività ma pretendendo di giustificarla e renderla condivisibile per il magistrato con l’argomentazione dell’intenzione di addivenire con il Solinas, in ragione dell’età, ad una risoluzione consensuale anticipata del rapporto di lavoro rispetto all’epoca della maturazione della  pensione di vecchiaia (65 anni).

Il magistrato, escussi  celermente i testi, accertata la delegittimazione e l’inattività totale per almeno 16 mesi (novembre 1998 – febbraio 2000) ha correttamente dichiarato irrilevanti, ai fini dell’accantonamento del dr. Solinas:

a)      l’asserita “duplicazione di funzioni ed il conseguente esubero di personale”, discendente dalla fusione tra San Paolo e IMI Spa, affermando che era comunque “preciso ed ineludibile dovere del datore di lavoro, cui corrisponde un altrettanto diritto del prestatore, entrambi discendenti dall’enunciato normativo contenuto nell’art. 2103 c.c., di fornire al dipendente un incarico determinato e stabile, nel rispetto dell’inquadramento riconosciuto e della professionalità acquisita”;

b)      l’intenzione (seguita da  avviati contatti) di addivenire con il dr. Solinas ad una risoluzione anticipata dal servizio, in quanto tale intenzione e tali contatti “non giustificano, in alcun modo, la pratica datoriale di spoliazione delle mansioni, irrispettosa della citata previsione codicistica” (art. 2103.c.c.).

Accertato il periodo di indiscussa inattività  dell’ordine dei 16 mesi e la temporanea sindrome depressiva causalmente indotta dall’illegittimo contegno aziendale – causalità certificata dal Servizio di neurologia dell’ASL n. 1, servizio medico qualificato e indipendente dalle parti tale  da rendere superfluo il ricorso a CTU sanitaria – il magistrato, tenuto conto della retribuzione mensile del dirigente, ha liquidato al dr. Solinas (reinvestito  dall’azienda di effettivo nuovo incarico direttivo il 28.2.2000, 4 giorni prima del tentativo obbligatorio di conciliazione) in via equitativa, ex art. 1226 c.c.  – a titolo di risarcimento onnicomprensivo del danno da dequalificazione e biologico – l’importo netto di 100 milioni, in esso ricompresi anche gli accessori di legge (rivalutazione ed interessi), ponendo naturalmente a carico della Banca soccombente le spese legali nella misura di  ben 18 milioni.

Si tratta tuttavia solo del “primo round” e restano pur sempre in facoltà della Banca le prerogative contrattuali tipizzate  per la risoluzione del rapporto della  specifica categoria dirigenziale, anche se va  sin d’ora anticipato che l’eventuale azionamento da parte aziendale del recesso ad nutum  – dopo questa decisione giudiziale che costituisce sanzione e negazione delle iniziative di mortificazione  o di “mobbing” finalizzate giustappunto ad indurre  all’autoestromissione dall’azienda per dimissioni o risoluzione consensuale  a causa di insostenibilità psicologica della situazione attualizzata dal management societario - non potrebbe che rivelare indiziariamente e/o concludentemente l’aspetto discriminatorio della “ritorsione”, suscettibile di portare, nella fattispecie, all’annullamento dell’atto per motivo illecito e/o contra legem per violazione dell’art. 14 l. n. 300/70, nell’intepretazione consolidata in ordine alla  nozione di “discriminazione”, sempre intesa giurisprudenzialmente in senso lato. E’ infatti per lo meno dal 1981 (cfr. Cass. 29. 6.1981, n. 4241, in MGL 1982, 67) che la S. Corte  annulla  i licenziamenti per ritorsione aziendale verso lavoratori rei  solo di aver osato intraprendere e vincere cause giudiziarie contro i propri datori di lavoro, qualificandoli apertamente “vendetta” inammissibile. Non va poi dimenticato che il licenziamento ex art 2118 c.c. (nella recezione contrattualizzata di cui all’art. 12 ccnl 1 dicembre 2000 per i dirigenti del credito) non è atto pienamente discrezionale per l’azienda ma vincolato ad una motivazione scritta, atta a dar conto della congruità, giustificatezza e razionalità obbiettiva del recesso, i cui motivi sono pertanto sindacabili (per tale riscontro) sia in sede giudiziaria che arbitrale, ai fini e per gli effetti della corresponsione, a titolo risarcitorio, dell’indennità supplementare  per licenziamento oggettivamente ingiustificato (nelle misure di cui al successivo art. 13).

Mario Meucci

Roma, 1 settembre 2001

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 (2)   

Tribunale Milano 26 aprile 2000 -  Est.  Atanasio -  Taviani (avv.  Failla e Pomares) c. RAI Radiotelevisione Italiana Spa (avv.  Tosi e Uberti).

 

Totale inoperosità del dipendente - Illegittima dequalificazíone - Danni alla professionalità e all'identità professionale - Sussistenza - Risarcimento del danno - Oneri probatori - Contenuto.

Dequalificazione - Determinazione del danno - Criteri.

 

Costituisce illegittima dequalificazione la sottrazione di tutte le mansioni attribuire al dipendente, tale da determinarne la totale inoperosità; tale demansionamento lede la professionalità del lavoratore, intesa sia come insieme delle competenze professionali acquisite, sia come identità professionale del lavoratore percepita all'esterno della società civile, e cagiona un danno che può essere accertato anche sulla base di presunzioni  semplici. Il danno da dequalificazione professionale - suscettibile di valutazione equitativa da parte del giudice - è determinabile in una quota della retribuzione mensile; tuttavia, in ipotesi di totale e durevole svuotamento delle mansioni, il danno è da  commisurare all’intera retribuzione.

 

(... ) Con ricorso depositato in data 14/6/99 Taviani Giovanni conveniva in giudizio la Rai deducendo di essere stato nominato dirigente nel '78, quale procuratore responsabile del Supporto gestionale del Centro di Produzione di Milano e inquadrato in IV fascia dirigenti e di essere stato allora via via assegnato a incarichi di elevata responsabilità: quello di responsabile delle riprese TV, con inquadramento nella III fascia dirigente nel '87 e, contestualmente, quello di responsabile, in via interinale, anche delle riprese interne, incarico questo di IV fascia dirigenziale; e, nel settembre '91, sempre in via interinale, anche quello di responsabile delle riprese esterne, inquadrabile nella IV fascia dirigenziale.

Lamentava che, però, a far tempo dall'aprile '94 era «stato oggetto di chiaro disegno emarginativo evidentemente atto a provocare l'allontanamento dalla società».

Concludeva pertanto chiedendo al Giudice di dichiarare l'illegittimità della condotta tenuta dalla convenuta e di condannare la Rai a ricostruire la carriera del ricorrente inquadrandolo nel livello equivalente alla II fascia dirigenziale a partire dall'aprile '94 e quindi in quella di I fascia a far data dal novembre '98, a corrispondergli le relative differenze retributive nonché ad assegnargli mansioni equivalenti all'inquadramento predetto condannando la società, in caso contrario, a pagargli una penale di L. 20 milioni mensili; chiedeva altresì di dichiarare l'illegittimità del demansionamento subito a far data dall'aprile '94 condannando la società a risarcirgli il danno patrimoniale e non, alla salute, all'immagine e alla dignità professionale, quantificati in misura non inferiore a tutte le retribuzioni percepite dall'aprile '94 all'attualità quantificati in L.1.110.147.000 oltre le successive maggior somme maturate alla data di pronuncia alla sentenza; con vittoria di spese.

Si costituiva la parte resistente contestando le avverse deduzioni e domande delle quali chiedeva il rigetto con vittoria di spese.

All'udienza in discussione, i procuratori delle parti concludevano come in atti e il giudice decideva come da separato dispositivo, conforme a quello trascritto in calce al presente atto, di cui dava lettura.

Motivi della decisione

A) 1 ) La domanda avente a oggetto l'accertamento dei subito demansionamento è fondata.

Del contenuto delle mansioni svolte dal Taviani prima che subisse il demansionamento ha riferito il teste Panfili, direttore del Centro di Produzione di Milano dall'aprile'94 al'98, il quale ha ricordato:

« In quel periodo il Taviani è stato responsabile del gestionale dei Centro di produzione e successivamente è stato nominato responsabile delle Riprese TV.. Quale responsabile del Centro di produzione la cosa più importante era la gestione del personale del Centro; in sostanza era per così dire il capo del personale del Centro di produzione che aveva all'epoca circa 1000 dipendenti.  C'era una gestione amministrativa e una valutativa: la prima riguardava proprio la gestione dei singoli eventi dei rapporto di lavoro dalla malattia alle ferie; l'altra riguardava invece la valutazione per promozioni o invece per procedimenti disciplinari.  Per quanto riguarda l'aspetto delle valutazioni il Centro di produzione presentava delle proposte a noi della Sede e noi dopo avere formalizzato la proposta la presentavamo alla Direzione dei personale per l'assenso.  Ciò anche per quanto riguarda le assunzioni.  Poi il Centro di produzione e il Taviani avevano le proprie competenze per quanto riguardava gli aspetti commerciali, vale a dire degli acquisti dei beni necessari per la produzione; ebbene sotto questo aspetto il Centro godeva di maggiore autonomia aspetto alla Direzione commerciale in quanto poteva scegliere i fornitori, contrattare il prezzo e stipulare il contratto... In qualità di responsabile delle Riprese TV sia esterne che interne il Taviani si occupava di gestire, organizzare e utilizzare il personale per la creazione del prodotto; pertanto doveva occuparsi anche dell'ottimizzazione delle risorse al fine della produzione».

Lo stesso teste Panfili ha poi chiarito come a far data dall'aprile 1994 al Taviani non fu praticamente assegnato alcun compito, spiegando anche le ragioni di tale demansionamento al quale lo stesso PanFili non avrebbe potuto porre rimedio; ha ricordato il teste:

« Nel '94 quando tornai da Torino la Sede fu cancellata.  Fu in sostanza abolita la duplicazione del commerciale e del personale che prima esisteva tra la Sede e gestionale di produzione. Il Centro di Produzione divenne un vero e proprio stabilimento di produzione e presso di esso furono accentrate in pratica le funzioni prima distribuire tra Centro di produzione e sede... Io divenni il responsabile Centro di produzione di Milano.  Il Taviani fu nominata mio assistente.  Non potè però occupare posizioni di linea vale a dire occupare funzioni la cui nomina spetta solo ai CdA (su proposta dei Direttore Generale) o a quest'ultimo direttamente.  Taviani con me non ha praticamente lavorato. Avrei dovuto creare attività esterne al centro di produzione per potere occupare il ricorrente, posto che quelle inerenti al Centro erano già tutte occupate da determinati altri collaboratori.  Sono rimasto a Milano in qualità di responsabile dei Centro di produzione fino al settembre dei '98, la posizione del Taviani è rimasta invariata fino a quella data. Il ricorrente non espletava funzioni di Vicedirettore perché questa è una funzione di line che era già coperta.  Successivamente invece il Vicedirettore non c'era più.  Comunque non poteva il Taviani espleta re tale tipo di l'unzione. Il Taviani si è lamento di tale situazione anche parlandone direttamente a me. Il Direttore Generale aveva creato una gerarchia corta nel senso che si era passati da 32 a 7 dirigenti nell'ambito dello stabilimento di Milano. Quindi non avevo spazio per dare al Taviani funzioni se non trovandole tra quelle non essenziali alla produzione.  Avrei certo potuto dargli dei singoli compiti, ma non l'ho fatto.  Per esempio avrei potuto affidargli incarichi di pubbliche relazioni se fossi stato a Torino o Napoli dove questi vengono gestiti direttamente dal Centro di Produzione; non potevo farlo a Milano in quanto quella funzione dipendeva direttamente dalla Direzione.  Esisteva già un dirigente responsabile delle Pubbliche relazioni che aveva una sua struttura e poi c'era un delegato del Direttore Generale senza struttura per i rapporti con l'esterno; quindi se anche avessi affidato al Taviani singoli compiti dei genere avrei interferito in qualche modo con questi soggetti, e pertanto non l'ho fatto».

Il teste Panfili ha poi ricordato di essersi attivato presso la Direzione per la risoluzione del problema del Taviani, senza successo però: «Io dipendevo dalla Direzione della Produzione; mi sono attivato presso questa per risolvere il problema del Taviani; le risposte erano positive («vedremo, faremo») ma poi il tempo passava e non succedeva niente; ciò peraltro stranamente perché di solito persone in qualche modo accantonate dopo certi periodi in Rai vengono ripescate per certi compiti, e invece con il Taviani ciò non è accaduto».

La situazione dei Taviani non è affatto mutata quando al Panfili è successo quale direttore dei Centro di Produzione di Milano il Binacchi, il quale ha ricordato:

« Quando sono arrivato a Milano anche a seguito della riorganizzazione della Rai, la Sede di Milano ha visto ridotte le posizioni di line del Centro di Produzione che sono passate da una diecina a quattro. Ho pertanto riesaminato le posizioni dei dirigenti presenti a Milano e ho proposto - anche a seguito di colloqui avuti con lo stesso Taviani - di assegnare a quest'ultimo una posizione di staff, in quanto la Direzione Centrale non intendeva assegnare al Taviani posizioni di line.  Chiarisco che io non ho concordato con Taviani la nuova mansione; ho parlato con Roma che mi ha detto «prendilo come assistente, inventati una posizione».  Dopo di che ho proposto a Roma la soluzione che ho detto.  In sostanza al Taviani dal febbraio'99 è stata assegnata la qualifica di assistente del Direttore in rapporto con la Direzione Centrale per l'organizzazione dei Grandi eventi quali Giro d'Italia, Sanremo, Salsoinaggiore ecc.; in tutti quei casi nei quali venga direttamente interessato il Centro di Produzione di Milano».

In effetti il Binacchi, ha preso in parola la Direzione inventandosi una posizione per il collega senza che la stessa avesse alcuna reale consistenza sotto l'aspetto dei compiti che il ricorrente avrebbe dovuto svolgere.

Ha infatti ricordato ancora il Binacchi:

« Il ricorrente nella sua qualità di assistente del direttore deve occuparsi di pianificare le attività in particolare ponendo cura a ottenere un'ottimizzazione delle risorse anche sotto l'aspetto del budget impiegato in ognuno di quegli eventi.  In tale veste il ricorrente non interviene direttamente sulla struttura verticale ma riferisce a me e al responsabile nazionale della struttura Grandi Eventi De Lella... E' vero che Taviani più volte si è lamentato di tale posizione chiedendomi - con riferimento alle riunioni stesse: «che ci vado a fare?»... E' evidente che Taviani non è essenziale all'organizzazione del Grande Evento che viene ugualmente organizzato anche senza la sua presenza; però è vero che la sua partecipazione può consentire di risparmiare sull'utilizzo di una troupe o di un tecnico e comunque nell'utilizzazione delle risorse».

Tuttavia è evidente che il ricorrente rispetto ai Grandi Eventi era ed è del tutto esterno all'organizzazione e non in grado di intervenire al fine di incidere realmente sull'organizzazione stessa, potendosi al più limitarsi a fornire consigli al Direttore di Produzione.

Sull'organizzazione Grandi Eventi il teste Scatena ha chiarito:

« Io ho i] compito dì produrli quei Grandi Eventi.  Il responsabile dell'organizzazione dei Grandi Eventi è De Lella. Il Taviani è l'interfaccia di Di Lella a Milano.  Nell'ambito dell'organizzazione di un grande evento bisogna distinguere la fase organizzativa ideativa da quella più strettamente produttiva.  E' nella prima fase che si decidono i mezzi, le strutture (a esempio telecamere, bus da utilizzare); è evidente che ciò implica l'utilizzazione maggiore o minore di risorse.  A quella fase iniziale organizzativa partecipiamo ovviamente De Lella, io e il committente cioè la redazione sportiva.  Il Taviani credo di ricordare che abbia partecipato a un paio di quelle riunioni. Nella fase dell'impostazione la decisione delle strutture da utilizzare per la realizzazione di un evento sono assunte collettivamente e comunque competono sia alla Direzione di produzione (di cui facciamo parte sia De Lella sia io) che alla Divisione editoriale.  Alla fine della fase di organizzazione vi è una riunione di produzione che definisce nello specifico tutto ciò di cui c'è bisogno per la produzione dell'evento.  Non so dire se Taviani a queste ultime fosse presente o meno; io di solito non ci sono perché vi è uno staff molta affiatato che se ne occupa».

Da ciò si ricava che i margini di intervento del Taviani in una simile struttura già organizzata erano e sono pressocché nulli.  Ma chiarisce poi l'impegno che comportava l'incarico del Taviani il numero di Grandi Eventi organizzato in Milano; su tale aspetto i testi Binacchi «Da febbraio a oggi i Grandi Eventi che hanno interessato Milano sono stati il Giro d'Italia, Miss Italia che è stata organizzata da noi, La Mostra del Cinema di Venezia che abbiamo organizzato insieme al centro di Produzione di Venezia, i Mondiali di ciclismo tra Verona e Treviso» e Scatena «I Grandi Eventi sono essenzialmente quelli sportivi (Giro d'Italia, Formula Uno - San Marino e Monza - Mondiali di Ciclismo).  Non fa parte dei Grandi Eventi Salsomaggiore - Miss Italia che è ne stata esclusa; i Mondiali di sci sono classificati tra i Grandi Eventi ma poiché partecipiamo solo per le riprese TV e non per l'organizzazione allora ci limitiamo a mandare i tecnici per le riprese.  Pavarotti and Friends non è un Grande Evento. A volte la produzione è totalmente nostra a volte la facciamo con la Pavarotti Intemational» si sono trovati in qualche modo divisi.

Tuttavia proprio in considerazione della concreta organizzazione di cui si occupa il teste Scatena si ritiene di dovere dare maggiore credito alle dichiarazioni di quest'ultimo.

Sicché se si considera poi che «all'incirca occorrono un paio di riunioni per ogni grande evento» (cfr. teste Scatena), si deve giungere alla conclusione che per lo svolgimento del proprio compito da parte del ricorrente sarebbe sufficiente la partecipazione a circa otto riunioni l'anno, senza peraltro che lo stesso sia in grado di incidere concretamente sull'organizzazione dell'evento se non fornendo qualche consiglio al Direttore di produzione

Sicché, a fronte di tale accertamento, la considerazione del teste Binacchi «Taviani non ha dato alcun contributo né scritto - sotto forma di relazioni - né orale per l'organizzazione Grandi Eventi, però ben avrebbe potuto farlo anche con la sola presenza alle riunioni nelle quali veniva convocato utilizzando la professionalità acquista sul campo in tutti gli anni passati» suona come un'ulteriore ingiusta umiliazione data al ricorrente per ciò che non è stato posto in grado di realizzare anche e soprattutto a causa di tutti coloro che - Binacchi compreso - hanno assistito alla consumazione, all’emarginazione professionale e umana di un dirigente che aveva occupato posizioni assolute di vertice nell'ambito della Rai di Milano.

La società va pertanto condannata a reintegrare immediatamente il Taviani nelle pregresse mansioni o in altre equivalenti.

2)  Dal fatto che il ricorrente è stato lasciato dei tutto inoperoso per circa sei anni è certamente scaturito un gravissimo danno che va risarcito.

Com'è noto, secondo la giurisprudenza di merito, condivisa da questo giudice, il demansionamento è causa di una lesione dell'immagine professionale del lavoratore «certamente derivante dalla prevalente sostanziale inoperosità e dalla sorta di isolamento cui è stata costretta» non invece della professionalità («conoscenze professionali acquisite») acquisita quando il demansionamento si sia limitato a un periodo di circa sei mesi (cfr.  Pret.  Milano 31/7/97); è causa di «un danno alla professionalità globalmente inteso anche con riguardo all'immagine professionale» pur se il demansionamento si sia limitato a un periodo di soli due mesi (cfr.  Pret.  Milano 7/1/97); è causa di «danni alla personalità e alla professionalità» in considerazione della totale inoperosità per un periodo di due anni, ma anche di «un danno in sé alla vita di relazione, alla propria dignità di lavoratore» ma non anche di danno alla professionalità, in considerazione della prossimità dei lavoratore alla pensione (cfr.  Pret.  Milano 11/3/1996); è causa di «danno alla dignità e alla personalità del dipendente» in considerazione dell'alto livello professionale occupato dal dirigente e dal fatto che esso costituiva lo «sbocco naturale di una lunga carriera mirata alla crescita delle funzioni decisionali e di direzione in ambiti sempre píù estesi di attività della banca»; è altresì causa di danno all'identità professionale e all'immagine che egli offre nella società civile (cfr.  Pret.  Milano 9/12/1997); è causa di «pregiudizio non solo per la dignità ma anche per il bagaglio professionale mortificato e svilito» (cfr.  Pret.  Milano 19/2/99).

Chi scrive e la giurisprudenza in genere tendono a riconoscere che il danno alla professionalità e all'identità personale si possa accertare sulla base di presunzioni semplici (al senso cfr. anche Trib.  Milano 30/11/96); sicché non si richiedono particolari accertamenti se non l'uso di nozioni, di comune esperienza (concludendo per l'esclusione della sussistenza di un dann o nel caso del lavoratore ormai al limite della pensione o in considerazione della breve durata del demansionamento o in occasione di svolgimento di mansioni di basso profilo (in tal senso cfr. anche Pret.  Milano 28/3/97).

Va registrato che sostanzialmente anche il Giudice di II grado in particolare del già Tribunale di Milano si pone sulla stessa posizione (cfr.  Trib.  Milano 6/7/96 e 30/5/97) affermando  la lesione della professionalità a causa del patito demansionamento.  Sentenze più rigorose con riferimento all'accertamento della sussistenza del danno da demansionamento - così ad es.  Trib.  Milano 9/11/96 - dopo avere affermato che il danno da dequalificazione «ove non coinvolga profili ulteriori come il danno alla salute o il danno morale vada considerato sub specie del danno patrimoniale» e che «questo comporta che vadano provati e l'esistenza e l'entità dei danno stesso e il collegamento causale con la condotta», nega la sussistenza di un danno nel caso esaminato per la relativamente breve durata dei demansionamento, circa un anno, concludendo però per il riconoscimento di un danno all'immagine dei dipendente che come tale ha un'incidenza in ogni caso sul mercato dei lavoro.

Bene, chi scrive ritiene che nella fattispecie di demansionamento che ci occupa proprio in considerazione della sua lunga durata, sei anni, e della circostanza che ha visto quale soggetto passivo uno dei massimi vertici della Rai di Milano rimasto del tutto privo di mansioni dopo avere avuto per lunghi anni alle proprie dipendenze fino a 1000 dipendenti - devono ritenersi sussistenti gravi, precisi e concordanti presunzioni dell'avvenuta consumazione di un danno alla professionalità e all'identità professionale del Taviani.

Questo viene solitamente individuato in una percentuale variabile della retribuzione mensile (cfr.  Cass. 10/4/96 n. 3341 la quale ha ritenuto la congruità di tale criterio di liquidazione del danno) anche se vi è grande diversità di opinioni in ordine alla misura di quella percentuale: e cosi v'è chi  lo individua nel circa 100% della retribuzione percepita (cfr.  Pret.  Milano 7/1/97), nel 50% (cfr.  Pret.  Milano 31/7/97 e 14/2/96), nel 40% (cfr.  Pret. Milano 22/8/96), nel 30% (cfr.  Trib.  Roma 12/10/98), nel 15% (cfr.  Trib.  Milano 9/11/96), in un terzo della retribuzione (cfr.  Trib.  Milano 30/11/96); c'è infine chi ritiene poi che la perdita del valore della professionalità aumenti col passare del tempo di esposizione al demansionamento (cfr.  Pret.  Milano 9/12/97) che l'ha fissato in 1/4 della retribuzione per i primi 4 mesi , in 1/3 per i successivi 5 mesi, nel 50% per i successivi sei, in 2/3 nei successivi tre e infine nel 100% da quella data in poi).

Tuttavia  ritiene chi scrive che la durata del demansionamento e la totale inoperosità alla quale è stato costretto il Taviani possano essere adeguatamente risarciti solo con una quantificazione del risarcimento equivalente alla misura della retribuzione percepita nel periodo in considerazione, già comprensiva della rivalutazione e degli interessi, così equitativamente determinata.

La società convenuta va pertanto condannata a risarcire al Taviani il danno professionale conseguente il patito demansionamento che si determina in via equitativa nella misura dei 100% della retribuzione mensile percepita dal Taviani, pari - per il periodo compreso tra il 1/4/94 e l'attualità - a lorde £. 1.290.147.000 (unmiliardoduecentonovantamilacentoquarantasettemila). Su tale somma vanno poi conteggiati interessi e rivalutazione monetaria dalla sentenza al saldo.

B) Deve invece essere rigettata l'altra domanda in considerazione della genericità delle deduzioni e dell'incerto esito dell' istruttoria.

In considerazione della parziale reciproca soccombenza,  compensato un 1/5 delle spese di lite, la società convenuta va condannata a rimborsare al ricorrente gli altri 4/5 delle spese che si determinano in L. 18.000.000 di cui L. 100.000 per spese, 3.400.000 per diritti e L. 14.500.000 per onorari. 

Sentenza provvisoriamente esecutiva per legge.

P.Q.M.

dichiara che il ricorrente ha subito un demansionamento a far tempo dal 1/4/94; condanna la società convenuta a reintegrare il ricorrente nelle pregresse mansioni o in altre equivalenti; condanna la società convenuta a risarcire al Taviani il danno professionale conseguente al patito demansionamento che si determina in via equitativa nella misura del 100% della retribuzione mensile percepita dal Taviani, pari - per il periodo compreso tra il 1/4/94 e l'attualità - a lorde £.1.290.147.000 oltre interessi e rivalutazione monetaria; rigetta le altre domande (…)

 

(già pubblicata in D&L, Rivista critica di diritto del lavoro, 2000, 750 con nota di Pavone)

 

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