Eccessiva
varietà di indennizzi all’insegna di una uniformità di censure di illegittimità
verso le pratiche aziendali di dequalificazione finalizzate all’espulsione
aziendale: due recenti sentenze a confronto
Tribunale di Torino – sezione lavoro (giudice unico di primo grado) – 10 agosto 2001 – Est. Ciocchetti – Solinas c. Sanpaolo IMI SpA.
Risarcimento del danno da dequalificazione
professionale e del danno biologico
sofferto da un dirigente ultrasessantenne
– Accertamento per testi, per il primo, e, dietro certificazione
ASL, per il transitorio danno alla
salute da patologia depressiva -
Sussistenza e liquidazione equitativa (in ragione di circa mezza
mensilità di retribuzione per ogni mese di demansionamento).
E’ irrilevante a
giustificare l’accantonamento di un dirigente (nel caso per la durata di 16
mesi) la giustificazione aziendale secondo cui, a seguito della fusione tra due
istituti di credito, si sarebbe verificata una duplicazione di funzioni ed un
conseguente esubero di personale, giacché è preciso ed ineludibile dovere del
datore di lavoro, cui corrisponde un altrettanto specifico diritto del
prestatore – entrambi discendenti dall’enunciato normativo contenuto nell’art.
2103 c.c. – di fornire al dipendente un incarico determinato e stabile, nel
rispetto dell’inquadramento riconosciuto e della professionalità acquisita.
Del pari irrilevante la
circostanza che nei confronti del predetto dirigente l’azienda avesse
l’intenzione, e fossero stati avviati contatti, di addivenire ad una
risoluzione consensuale anticipata del rapporto di lavoro rispetto all’età per
il pensionamento di vecchiaia, in quanto ciò non giustifica, in alcun modo, la
pratica datoriale di spoliazione delle mansioni, irrispettosa della precitata
previsione codicistica.
Ne consegue, in ragione del
riscontro di una forzata inattività per 16 mesi e di una sindrome depressiva
indotta dall’illegittimo contegno aziendale – accertata come causalmente
conseguente ad opera del Servizio neurologico dell’ASL, qualificato ed
indipendente dalle parti, escludente pertanto il ricorso a CTU sanitaria – la
liquidazione al ricorrente, in via equitativa ex art. 1226 c.c., dell’importo
netto di 100 milioni (comprensivo di interessi e rivalutazione monetaria) tenuto conto della retribuzione mensile
percepita ed a ristoro cumulativo del
danno professionale e biologico subito, nonché l’accollo alla banca soccombente
delle spese di lite per 18 milioni.
Svolgimento del
processo
Con ricorso depositato in
cancelleria in data 22 febbraio 2001 il dott. Alberto Solinas – dal 1958 dipendente dell’Istituto Bancario San Paolo di Torino (ora San Paolo IMI spa),
inquadrato come dirigente dall’1.5.1988 e con compiti di vice-direttore presso
la sede di Torino, piazza San Carlo, a far tempo dal 28.2.2000 – chiede al
giudice del lavoro:
-
di accertare la responsabilità del datore ex art.
2103 e 2087 c.c., per il danno professionale ed economico subiti, a causa dei
comportamenti illeciti tenuti e del mancato adempimento degli obblighi
specifici di protezione del dipendente;
-
di accertare la responsabilità del datore ex art.
2049 e 2043 c.c., per avergli causato, con il proprio comportamento omissivo
e/o commissivo, un grave ed ingiusto danno professionale ed economico;
-
di condannare il datore al pagamento in proprio
favore e a titolo di risarcimento del danno alla professionalità, alla carriera
ed all’immagine ex art. 2103 c.c., di somma equivalente alla retribuzione
mensile moltiplicata per il numero dei mesi di completa inattività e
dequalificazione (22 mesi, dall’aprile 1998 al febbraio 2000), o di somma da
liquidare ex art. 1226 c.c., avuto riguardo alla gravità della lesione subita,
della “perdita di chances” o “danno futuro”, del danno alla vita
di relazione sociale, alla personalità, all’immagine e all’estetica;
-
di condannare infine il datore al pagamento di somma
che sarà ritenuta di giustizia per il danno alla persona e/o esistenziale
patito, ai sensi dell’art. 2043 c.c.
A fondamento di tali domande osserva quanto segue:
1. con
lettera dell’11.6.1996 viene nominato responsabile Rischi Creditizi del
servizio Risk Management, con incarico di studiare e realizzare le più avanzate
metodologie e gli strumenti per la gestione dei rischi creditizi nonché di
supervisionare l’attività di Controllo Rischi di Gruppo;
2. in
base a tale mandato elabora una proposta contenente i principi fondamentali per
una gestione del Rischio Creditizio, approvata il 16.10.1996, con contestuale
incarico rivoltogli di preparare un documento denominato "Credit Risk
Management ", da presentare alla dirigenza della banca, avente gli stessi
contenuti della proposta approvata;
3. contatta
quindi diverse banche straniere tra cui Barclays Bank, all’avanguardia
nell’utilizzo dei nuovi sistemi di Credit Risk Management, fissando un primo
incontro il 17.10.1996, ove apprende che tale banca si avvale, per la
consulenza circa la metodologia da impiegare, di una società specializzata nel
settore, la Oliver Wyman & Co., nella persona del direttore dott. Davide
Taliente;
4. per
la realizzazione del progetto viene poi creato un Comitato Guida, composto dai
responsabili dei vari settori interessati, fra cui lo stesso ricorrente, in
qualità di responsabile Rischi Creditizi del Servizio Risk Management;
5. la
struttura organizzativa creata per la realizzazione del progetto viene quindi
approvata in data 10.12.1997 dall’Amministratore Delegato e Direttore Generale
del San Paolo, Responsabile del Settore, Rag. Luigi Maranzana;
6. di
lì a poco e con decorrenza 1.4.1998 viene comandato al Servizio Risk Management
del San Paolo il dott. Davide Alfonsi, già dipendente della società di revisione del San Paolo, Arthur Andersen spa e
assunto per l’occasione dal San Paolo Asset Management SIM Fiduciaria spa;
7. tale
comando condizionerà negativamente tutta l’attività successiva del ricorrente;
8. nel
frattempo, in data 3.3.1998, si tiene la prima riunione del Comitato Guida, per
relazionare sull’attività progettuale svolta dal dicembre 1997, ma tra gli
invitati non compare il nome del ricorrente;
9. alla
successiva riunione del 7.4.1998 egli partecipa fisicamente, ma non gli viene
recapitato l’invito formale, ottenuto – dopo vana richiesta rivolta alla
dott.ssa Tubarello – dal rag. Mirone, componente del progetto, il quale
nell’esaminare l’invito si avvede immediatamente che il suo nome risulta
cancellato;
10. segnala
quindi l’accaduto al rag. Scalerandi, il quale in un primo momento sostiene che
il ricorrente non fa più parte del Comitato Guida, dichiarando successivamente
di essersi sbagliato;
11. tale
episodio evidenzia l’atteggiamento di completa delegittimazione che il Capo
servizio adotta nei suoi confronti;
12. a seguito
dell’inserimento in azienda del dott. Alfonsi, viene estromesso dal progetto di
Credit Risk Management, tanto da essere escluso dall’incontro tra il rag. Scalerandi e il dott. Alfonsi e
quindi tra quest’ultimo e la Banca d’Italia, per la presentazione del progetto
in questione;
13. con lettera
20.7.1998 egli decide di denunciare l’accaduto, chiedendo l’intervento dei
superiori gerarchici, ma la missiva rimane senza risposta;
14. dall’1.11.1998,
a seguito del perfezionamento della fusione tra San Paolo ed IMI, la
dequalificazione già iniziata nell’aprile 1998 si trasforma nell’esclusione
totale e senza alcuna motivazione dall’incarico di Responsabile Rischi
Creditizi;
15. tale
esclusione avviene con comunicazione verbale e senza alcuna formalizzazione ed
avallo da parte del Comitato Esecutivo e/o dell’Amministratore Delegato della
Banca;
16. la
situazione di totale inattività che caratterizza tale periodo termina solo con
il 28. 2. 2000 e cioè quattro giorni prima della convocazione per il tentativo
obbligatorio di conciliazione, con la sua nomina a vice-direttore della sede di
Piazza San Carlo.
Parte convenuta si costituisce a sua volta in giudizio
e contesta tutte le pretese azionate in causa, ritenendole destituite di
fondamento, onde chiede il rigetto del ricorso.
Osserva in proposito quanto segue:
1. l’inserimento
del dott. Alfonsi nel Risk Management del San Paolo risponde all’esigenza di
utilizzare una professionalità avente specifica preparazione sui “rischi di
mercato”, dal medesimo maturata presso la società Andersen e inesistente in
ambito aziendale;
2. l’assenza
del nome del ricorrente nell’elenco delle persone da convocare per la prima
riunione del Comitato Guida è dovuto a mero disguido, tant’è che
successivamente il medesimo vi partecipa;
3. divenuta
operativa dall’1.11.1998 la fusione tra S. Paolo e IMI e costituito il cantiere
di lavoro interaziendale Risk Management, emerge l’esigenza di collocarvi
professionalità con forti conoscenze tecniche e non invece di tipo gestionale,
come quelle facenti capo al ricorrente;
4. in
tale periodo il dott. Solinas continua pur sempre ad essere preposto al settore
Rischi Creditizi, pur non essendo coinvolto nel relativo gruppo di lavoro,
anche in quanto vengono nel frattempo avviati contatti tra le parti, in vista
di una risoluzione anticipata dal servizio.
Fallita la conciliazione, il giudice dà corso
all’istruttoria, interrogando le parti ed escutendo numerosi testi.
All’esito dell’istruttoria la vertenza viene infine
discussa dai patroni delle parti ed in tale sede il ricorrente chiede disporsi
CTU medico-legale, al fine di valutare il danno biologico patito, e CTU
contabile, onde determinare il dovuto a titolo risarcitorio (cfr. proc. verb.,
p. 41, in riferimento alle pp.23-24 del ricorso).
La convenuta formula opposizione ad entrambe le
richieste, ritenendo inammissibile utilizzare a fini probatori la consulenza
(cfr. proc. verb., p. 41, in riferimento alle pp. 32-33 della memoria).
All’esito della discussione finale il giudice
definisce infine il giudizio, come da dispositivo trascritto in calce alla
presente sentenza, di cui dà pronta lettura alle parti.
1. La
difesa del ricorrente chiede in sede di discussione finale che il giudice
voglia disporre una CTU medico-legale, al fine di valutare l’entità del danno
biologico patito dal lavoratore in conseguenza dei fatti descritti nell’atto
introduttivo della vertenza, e inoltre una CTU contabile, onde determinare
quanto dovuto al prestatore a titolo risarcitorio (cfr. proc. verb., p.41, in
riferimento alle pp. 23-24 del ricorso).
In tale
sede la convenuta formula a sua volta opposizione ad entrambe le richieste,
ritenendo inammissibile utilizzare a fini probatori la consulenza tecnica,
strumento di mera valutazione dei dati già acquisiti e provati (cfr. proc.
verb., p.41, in riferimento alle pp. 32-33 della memoria).
Ad avviso
del giudice non vi è ragione di prendere posizione su tale questione
controversa, essendo l’accertamento peritale richiesto, nel caso in esame, del
tutto superfluo.
Gli
elementi raccolti in sede istruttoria e contenuti nella documentazione in atti,
come si vedrà più oltre, risultano infatti di portata tale da consentire la
definizione di ogni profilo della vertenza, sia per quanto concerne la
sussistenza del fatto lamentato dal lavoratore e l’entità del pregiudizio
patito sul piano personale e del diritto alla salute sia per ciò che concerne
la determinazione delle somme eventualmente dovute, a titolo di ristoro del
danno.
Ciò
premesso, passiamo ad esaminare il merito della causa.
****
2.
La
vertenza impone di prendere in considerazione i seguenti periodi in cui,
secondo la prospettazione contenuta nel ricorso introduttivo, si sarebbe
verificata la situazione di dequalificazione professionale e di danno alla salute
del dott. Solinas ivi lamentata:
a)
aprile 1998 – novembre 1998,
b)
novembre 1998 – febbraio 2000.
Nel
periodo sub a) il lavoratore risulta
responsabile del settore rischi creditizi, sia sul piano formale che
sostanziale, e in tale posizione permane sino agli inizi di novembre 1998 (cfr.
dep. Maino, p. 23).
Fa
inoltre parte, ad ogni effetto, del comitato Guida del progetto in cui è
coinvolto (cfr. dep. Scalerandi, pp. 27-28).
Orbene,
tali circostanze sono sufficienti – di per sé – ad escludere che nel periodo
ora in esame il ricorrente abbia subito un impoverimento, anche solo parziale,
dei propri compiti.
Né
ad una conclusione contraria può pervenirsi prendendo in considerazione
l’episodio della presunta (ma, per la verità, non provata in giudizio) “sbianchettatura”
del documento di convocazione per la riunione del Comitato Guida del 7.4.1998.
A
tale riunione il ricorrente ha infatti partecipato (cfr. dep. Scalerandi, p.
28), onde l’episodio – se avvenuto – non potrebbe comunque fornire la
dimostrazione della situazione di svilimento delle mansioni spettanti e
attribuite, lamentata in causa dal lavoratore.
Prova
dell’intervenuta dequalificazione non può neppure ritenersi il documento n. 26
prodotto dal ricorrente, costituito dal Verbale della riunione 24.6.1998 tenuta
da Barone, Scalerandi e Giovannetti e avente ad oggetto l’avvio del futuro
cantiere interaziendale Risk Management.
Il
fatto che (come sottolineato a p. 10, punto XLIV, del ricorso introduttivo) in
esso non compaia il nome del dott. Solinas, evidenziandosi invece quello del
dott. Alfonsi, non pare infatti autorizzare la conclusione che ne trae il
ricorrente.
L’istruttoria
ha infatti acclarato (cfr. dep. Picca, p. 19) la necessità di integrare la
collettività di lavoro incaricata di occuparsi dei rischi creditizi con esperti
di modelli matematici e statistici, per introdurre valutazioni di rischio
centrate su tale piano.
****
3.
Passando a questo punto ad esaminare il periodo menzionato sub b), il giudice
osserva quanto segue.
E’ provato
in causa che nell’arco temporale che va dal 1° novembre 1998, corrispondente al
momento in cui è divenuta operativa la
fusione tra S. Paolo e IMI, sino al 28.2.2000, data in cui il dott. Solinas
viene chiamato a svolgere la mansione di vice-direttore presso la sede di
Torino, piazza San Carlo, il ricorrente non ha avuto nessun tipo di incarico e
ruolo e cioè è rimasto totalmente inattivo.
Di
ciò fanno fede le deposizioni rese dai testi Ferraris (cfr. proc. verb., p. 31)
e Musetti (cfr. proc. verb., p. 38), nonché lo stesso interrogatorio del
rappresentante della convenuta (cfr.
proc. verb., pp.8-9), il quale non ha
significativamente saputo indicare che cosa il dott. Solinas facesse e di che
cosa si occupasse, nel periodo in questione, in cui solo formalmente era legato
al Risk Management.
Risulta
in tal modo fornita in giudizio la dimostrazione del contegno illegittimo
tenuto dalla convenuta nell’arco temporale ora in esame.
Né la
situazione può essere diversamente ricostruita e valutata prendendo in
considerazione due circostanze cui la memoria della convenuta allude e
illustrate dalla difesa della stessa nel corso della discussione finale e cioè:
a) divenendo
operativa dal 1 novembre 1998 la fusione tra S. Paolo e IMI, si è da tale
momento registrata, specie sui livelli di professionalità ed inquadramento
dirigenziali cui il ricorrente appartiene, una duplicazione di funzioni ed un corrispondente esubero di
personale;
b) nel
periodo in questione vengono avviati contatti tra le parti in causa, in vista di
una risoluzione anticipata dal servizio da parte del dott. Solinas.
La
circostanza sub a) è del tutto irrilevante, essendo preciso ed ineludibile
dovere del datore, cui corrisponde un altrettanto specifico diritto del
prestatore, entrambi discendenti dall’enunciato normativo contenuto nell’art.
2103 c.c., di fornire al dipendente un incarico determinato e stabile, nel
rispetto dell’inquadramento riconosciuto e della professionalità acquisita.
Del
pari priva di rilevanza è la circostanza sub b).
La presenza di contatti e colloqui tra le parti
in causa, in vista di un’eventuale risoluzione anticipata del rapporto, ammessi
dallo stesso ricorrente (cfr. proc. verb., p. 16), non giustifica infatti, in
alcun modo, la pratica datoriale della spoliazione delle mansioni, irrispettosa
della citata previsione codicistica.
********
4. Alla
luce di quanto in antecedenza esposto, va quindi riconosciuto al ricorrente il
diritto al ristoro del danno patito, correlato e discendente dalla forzata
inattività impostagli dal datore di lavoro, per lo spazio di 16 mesi
continuativi e cioè dall’1.11.1998 al 28.2.2000.
Al ricorrente va inoltre riconosciuto il diritto
al risarcimento del danno biologico subito, per la situazione di temporanea
depressione indotta causalmente dal contegno datoriale.
Di
tale patologia e del suo carattere transitorio fanno fede i due referti
prodotti dal ricorrente come documento n. 34, il primo dei quali, datato
24.3.1999, proviene dal servizio di neurologia dell’ASL n. 1 e cioè da servizio
medico qualificato ed indipendente dalle parti.
Per
le due voci di danno ora indicate e tenuto conto della retribuzione erogata
mensilmente al lavoratore (cfr. doc. n. 32 prod. p. ricorr.), viene
equitativamente liquidato al medesimo, ai sensi dell’art. 1226 c.c., l’importo
netto di £. 100.000.000 =, in esso computati anche gli accessori di legge
(rivalutazione ed interessi) maturati medio tempore sino al febbraio
2000.
Le spese di lite, liquidate in dispositivo,
seguono la soccombenza.
P.Q.M.
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO IN FUNZIONE DI
GIUDICE DEL LAVORO
Visto l’art. 429 c.p.c.;
1. Condanna
parte convenuta a corrispondere a parte ricorrente l’importo netto di £.
100.000.000=, oltre alla rivalutazione ISTAT ed interessi legali sulle somme
rivalutate dal febbraio 2000 al saldo effettivo;
2. Condanna
parte convenuta a rifondere al ricorrente le spese di lite, che liquida in £.
18.000.000=, oltre IVA e CPA;
3. Dichiara
esecutiva la presente sentenza.
Torino, 27
giugno 2001.
Depositata in
cancelleria il 10 agosto 2001
(inedita allo stato)
Va innanzitutto evidenziato come, la presente
decisione si ponga in controtendenza con le notorie, esasperanti quanto illegittime lungaggini giudiziarie,
che hanno giustificato e tuttora giustificano – anche in presenza
della maldestra c.d. legge Pinto n. 89/2001 sull’equa riparazione per i
ritardi processuali - le regolari sanzioni indennitarie a carico dello Stato
Italiano e a beneficio dei lavoratori, per importi dell’ordine medio dei 25
milioni c.a., dietro ricorso alla Corte Europea di Strasburgo per i diritti
dell’Uomo. Dal vizio di tali lungaggini, tipiche della maggior parte dei
magistrati e delle varie piazze italiane (che
trascinano i ricorsi di primo grado per
4 - 5 anni ed oltre), va
completamente esente l’attuale ricorso di primo grado proposto al Tribunale
di Torino in via ordinaria (non con procedimento d’urgenza ex art.700
c.p.c.) in data 22 febbraio 2001, che
è stato deciso nell’incredibile tempo record di soli 4 mesi (il 27
giugno 2001), da un magistrato che si è fatto apprezzare nell’occasione
per celerità, stile anglosassone e indisponibilità alla dilazione
conseguente alle usuali richieste di rinvio d’ufficio e di parte.
Nel caso di specie, il dirigente dr. A. Solinas
(ultrasessantenne, assunto dall’Istituto S. Paolo di Torino nel lontano
1958, responsabile, dopo plurimi incarichi di prestigio anche all’estero,
dal 1996 del Settore Rischi Creditizi del Servizio Risk Management), in concomitanza con l’inserimento
in una prima fase dall’esterno per comando nella
Capogruppo (da consociata San Paolo che ne aveva provveduto all’assunzione
dalla Arthur Andersen, Società di revisione della banca)
del dr. D. Alfonsi - in una seconda fase "significativamente"
assunto direttamente in organico come Capo servizio del Sanpaoloimi Spa - viene sottoposto a striscianti pratiche di
delegittimazione (mancata partecipazione ad incontri, scavalcamento
e simili) finalizzate all’accantonamento ed all’emarginazione e
sfocianti in effetti prima in una situazione di incipiente dequalificazione e
poi nella pratica inattività forzata per ben 16 mesi, con gli intuibili
negativi riflessi psico-somatici sullo stato di salute. Inutili si rivelano,
in questo come in tutti i casi
similari, le tradizionali richieste di spiegazione avanzate sia verbalmente
sia per iscritto ai superiori gerarchici e
fino ai massimi vertici della Banca, che ha avuto l’ardire di
difendersi in giudizio (del tutto infruttuosamente) ammettendo -
esplicitamente da parte di due suoi testi in posizione di rilevanza di ruolo
funzionale societario ed implicitamente, in ragione della “significativa”
incapacità del rappresentante aziendale di chiarire al giudice “che cosa il
dr. Solinas facesse e di che cosa si occupasse, nel periodo in questione” -
la denunciata inattività ma pretendendo di giustificarla e renderla
condivisibile per il magistrato con l’argomentazione dell’intenzione di
addivenire con il Solinas, in ragione dell’età, ad una risoluzione
consensuale anticipata del rapporto di lavoro rispetto all’epoca della
maturazione della pensione di vecchiaia (65 anni).
Il magistrato, escussi
celermente i testi, accertata la delegittimazione e l’inattività
totale per almeno 16 mesi (novembre 1998 – febbraio 2000) ha correttamente
dichiarato irrilevanti, ai fini dell’accantonamento del dr. Solinas:
a)
l’asserita “duplicazione di funzioni ed il conseguente
esubero di personale”, discendente dalla fusione tra San Paolo e IMI Spa,
affermando che era comunque “preciso ed ineludibile dovere del datore di
lavoro, cui corrisponde un altrettanto diritto del prestatore, entrambi
discendenti dall’enunciato normativo contenuto nell’art. 2103 c.c., di
fornire al dipendente un incarico determinato e stabile, nel rispetto
dell’inquadramento riconosciuto e della professionalità acquisita”;
b)
l’intenzione (seguita da avviati
contatti) di addivenire con il dr. Solinas ad una risoluzione anticipata dal
servizio, in quanto tale intenzione e tali contatti “non giustificano, in
alcun modo, la pratica datoriale di spoliazione delle mansioni, irrispettosa
della citata previsione codicistica” (art. 2103.c.c.).
Accertato il periodo di indiscussa inattività
dell’ordine dei 16 mesi e la temporanea sindrome depressiva
causalmente indotta dall’illegittimo contegno aziendale – causalità
certificata dal Servizio di neurologia dell’ASL n. 1, servizio medico
qualificato e indipendente dalle parti tale
da rendere superfluo il ricorso a CTU sanitaria – il magistrato,
tenuto conto della retribuzione mensile del dirigente, ha liquidato al dr.
Solinas (reinvestito dall’azienda
di effettivo nuovo incarico direttivo il 28.2.2000, 4 giorni prima del
tentativo obbligatorio di conciliazione) in via equitativa, ex art. 1226 c.c.
– a titolo di risarcimento onnicomprensivo del danno da
dequalificazione e biologico – l’importo netto di 100 milioni, in esso
ricompresi anche gli accessori di legge (rivalutazione ed interessi), ponendo
naturalmente a carico della Banca soccombente le spese legali nella misura di
ben 18 milioni.
Si tratta tuttavia solo del “primo round” e
restano pur sempre in facoltà della Banca le prerogative contrattuali
tipizzate per la risoluzione del
rapporto della specifica
categoria dirigenziale, anche se va sin
d’ora anticipato che l’eventuale azionamento da parte aziendale del
recesso ad nutum – dopo
questa decisione giudiziale che costituisce sanzione e negazione delle
iniziative di mortificazione o di
“mobbing” finalizzate giustappunto ad indurre
all’autoestromissione dall’azienda per dimissioni o risoluzione
consensuale a causa di insostenibilità psicologica della situazione
attualizzata dal management societario - non potrebbe che rivelare
indiziariamente e/o concludentemente l’aspetto discriminatorio della
“ritorsione”, suscettibile di portare, nella fattispecie,
all’annullamento dell’atto per motivo illecito e/o contra legem per
violazione dell’art. 14 l. n. 300/70, nell’intepretazione consolidata in
ordine alla nozione di
“discriminazione”, sempre intesa giurisprudenzialmente in senso lato. E’
infatti per lo meno dal 1981 (cfr. Cass. 29. 6.1981, n. 4241, in MGL 1982, 67)
che la S. Corte annulla i
licenziamenti per ritorsione aziendale verso lavoratori rei
solo di aver osato intraprendere e vincere cause giudiziarie contro i
propri datori di lavoro, qualificandoli apertamente “vendetta”
inammissibile. Non va poi dimenticato che il licenziamento ex art 2118 c.c.
(nella recezione contrattualizzata di cui all’art. 12 ccnl 1 dicembre 2000
per i dirigenti del credito) non è atto pienamente discrezionale per
l’azienda ma vincolato ad una motivazione scritta, atta a dar conto della
congruità, giustificatezza e razionalità obbiettiva del recesso, i cui
motivi sono pertanto sindacabili (per tale riscontro) sia in sede giudiziaria
che arbitrale, ai fini e per gli effetti della corresponsione, a titolo
risarcitorio, dell’indennità supplementare
per licenziamento oggettivamente ingiustificato (nelle misure di cui al
successivo art. 13).
******************
(2)
Tribunale
Milano 26 aprile 2000 - Est. Atanasio -
Taviani (avv. Failla e Pomares)
c. RAI Radiotelevisione Italiana Spa (avv.
Tosi e Uberti).
Totale
inoperosità del dipendente - Illegittima dequalificazíone - Danni alla
professionalità e all'identità professionale - Sussistenza - Risarcimento del
danno - Oneri probatori - Contenuto.
Dequalificazione
- Determinazione del danno - Criteri.
Costituisce illegittima dequalificazione la
sottrazione di tutte le mansioni attribuire al dipendente, tale da determinarne
la totale inoperosità; tale
demansionamento lede la
professionalità del lavoratore, intesa sia come insieme delle competenze
professionali acquisite, sia come identità
professionale del lavoratore percepita all'esterno della società civile, e
cagiona un danno che può essere accertato anche sulla base di presunzioni semplici. Il danno da dequalificazione professionale - suscettibile di valutazione
equitativa da parte del giudice - è
determinabile in una quota
della retribuzione mensile; tuttavia, in ipotesi
di totale e durevole svuotamento delle mansioni, il danno è da commisurare all’intera retribuzione.
(...
) Con ricorso depositato in data 14/6/99 Taviani Giovanni conveniva in giudizio
la Rai deducendo di essere stato nominato dirigente nel '78, quale procuratore
responsabile del Supporto gestionale del Centro di Produzione di Milano e
inquadrato in IV fascia dirigenti e di essere stato allora via via assegnato a
incarichi di elevata responsabilità: quello di responsabile delle riprese TV,
con inquadramento nella III fascia dirigente nel '87 e, contestualmente, quello
di responsabile, in via interinale, anche delle riprese interne, incarico
questo di IV fascia dirigenziale; e, nel settembre '91, sempre in via
interinale, anche quello di responsabile delle riprese esterne, inquadrabile
nella IV fascia dirigenziale.
Lamentava che, però, a
far tempo dall'aprile '94 era «stato oggetto di chiaro disegno emarginativo
evidentemente atto a provocare l'allontanamento dalla società».
Concludeva
pertanto chiedendo al Giudice di dichiarare l'illegittimità della condotta
tenuta dalla convenuta e di condannare la Rai a ricostruire la carriera del
ricorrente inquadrandolo nel livello equivalente alla II fascia dirigenziale a
partire dall'aprile '94 e quindi in quella di I fascia a far data dal novembre
'98, a corrispondergli le relative differenze retributive nonché ad assegnargli
mansioni equivalenti all'inquadramento predetto condannando la società, in caso
contrario, a pagargli una penale di L. 20 milioni mensili; chiedeva altresì di
dichiarare l'illegittimità del demansionamento subito a far data dall'aprile
'94 condannando la società a risarcirgli il danno patrimoniale e non, alla
salute, all'immagine e alla dignità professionale, quantificati in misura non
inferiore a tutte le retribuzioni percepite dall'aprile '94 all'attualità
quantificati in L.1.110.147.000 oltre le successive maggior somme maturate alla
data di pronuncia alla sentenza; con vittoria di spese.
Si
costituiva la parte resistente contestando le avverse deduzioni e domande delle
quali chiedeva il rigetto con vittoria di spese.
All'udienza
in discussione, i procuratori delle parti concludevano come in atti e il
giudice decideva come da separato dispositivo, conforme a quello trascritto in
calce al presente atto, di cui dava lettura.
Motivi della decisione
A) 1
) La domanda avente a oggetto l'accertamento dei subito demansionamento è
fondata.
Del
contenuto delle mansioni svolte dal Taviani prima che subisse il
demansionamento ha riferito il teste Panfili, direttore del Centro di
Produzione di Milano dall'aprile'94 al'98, il quale ha ricordato:
« In
quel periodo il Taviani è stato responsabile del gestionale dei Centro di
produzione e successivamente è stato nominato responsabile delle Riprese TV..
Quale responsabile del Centro di produzione la cosa più importante era la
gestione del personale del Centro; in sostanza era per così dire il capo del
personale del Centro di produzione che aveva all'epoca circa 1000
dipendenti. C'era una gestione
amministrativa e una valutativa: la prima riguardava proprio la gestione dei
singoli eventi dei rapporto di lavoro dalla malattia alle ferie; l'altra
riguardava invece la valutazione per promozioni o invece per procedimenti
disciplinari. Per quanto riguarda
l'aspetto delle valutazioni il Centro di produzione presentava delle proposte a
noi della Sede e noi dopo avere formalizzato la proposta la presentavamo alla
Direzione dei personale per l'assenso.
Ciò anche per quanto riguarda le assunzioni. Poi il Centro di produzione e il Taviani avevano le proprie
competenze per quanto riguardava gli aspetti commerciali, vale a dire degli
acquisti dei beni necessari per la produzione; ebbene sotto questo aspetto il
Centro godeva di maggiore autonomia aspetto alla Direzione commerciale in
quanto poteva scegliere i fornitori, contrattare il prezzo e stipulare il
contratto... In qualità di responsabile delle Riprese TV sia esterne che
interne il Taviani si occupava di gestire, organizzare e utilizzare il
personale per la creazione del prodotto; pertanto doveva occuparsi anche
dell'ottimizzazione delle risorse al fine della produzione».
Lo
stesso teste Panfili ha poi chiarito come a far data dall'aprile 1994 al
Taviani non fu praticamente assegnato alcun compito, spiegando anche le ragioni
di tale demansionamento al quale lo stesso PanFili non avrebbe potuto porre rimedio;
ha ricordato il teste:
«
Nel '94 quando tornai da Torino la Sede fu cancellata. Fu in sostanza abolita la duplicazione del
commerciale e del personale che prima esisteva tra la Sede e gestionale di
produzione. Il Centro di Produzione divenne un vero e proprio stabilimento di
produzione e presso di esso furono accentrate in pratica le funzioni prima
distribuire tra Centro di produzione e sede... Io divenni il responsabile
Centro di produzione di Milano. Il Taviani
fu nominata mio assistente. Non potè
però occupare posizioni di linea vale a dire occupare funzioni la cui nomina
spetta solo ai CdA (su proposta dei Direttore Generale) o a quest'ultimo
direttamente. Taviani con me non ha
praticamente lavorato. Avrei dovuto creare attività esterne al centro di
produzione per potere occupare il ricorrente, posto che quelle inerenti al
Centro erano già tutte occupate da determinati altri collaboratori. Sono rimasto a Milano in qualità di
responsabile dei Centro di produzione fino al settembre dei '98, la posizione
del Taviani è rimasta invariata fino a quella data. Il ricorrente non espletava
funzioni di Vicedirettore perché questa è una funzione di line che era già coperta.
Successivamente invece il Vicedirettore non c'era più. Comunque non poteva il Taviani espleta re
tale tipo di l'unzione. Il Taviani si è lamento di tale situazione anche
parlandone direttamente a me. Il Direttore Generale aveva creato una gerarchia
corta nel senso che si era passati da 32 a 7 dirigenti nell'ambito dello
stabilimento di Milano. Quindi non avevo spazio per dare al Taviani funzioni se
non trovandole tra quelle non essenziali alla produzione. Avrei certo potuto dargli dei singoli
compiti, ma non l'ho fatto. Per esempio
avrei potuto affidargli incarichi di pubbliche relazioni se fossi stato a
Torino o Napoli dove questi vengono gestiti direttamente dal Centro di
Produzione; non potevo farlo a Milano in quanto quella funzione dipendeva
direttamente dalla Direzione. Esisteva
già un dirigente responsabile delle Pubbliche relazioni che aveva una sua
struttura e poi c'era un delegato del Direttore Generale senza struttura per i
rapporti con l'esterno; quindi se anche avessi affidato al Taviani singoli
compiti dei genere avrei interferito in qualche modo con questi soggetti, e pertanto
non l'ho fatto».
Il
teste Panfili ha poi ricordato di essersi attivato presso la Direzione per la
risoluzione del problema del Taviani, senza successo però: «Io dipendevo dalla
Direzione della Produzione; mi sono attivato presso questa per risolvere il
problema del Taviani; le risposte erano positive («vedremo, faremo») ma poi il
tempo passava e non succedeva niente; ciò peraltro stranamente perché di solito
persone in qualche modo accantonate dopo certi periodi in Rai vengono ripescate
per certi compiti, e invece con il Taviani ciò non è accaduto».
La
situazione dei Taviani non è affatto mutata quando al Panfili è successo quale
direttore dei Centro di Produzione di Milano il Binacchi, il quale ha
ricordato:
«
Quando sono arrivato a Milano anche a seguito della riorganizzazione della Rai,
la Sede di Milano ha visto ridotte le posizioni di line del Centro di Produzione che sono passate da una diecina a
quattro. Ho pertanto riesaminato le posizioni dei dirigenti presenti a Milano e
ho proposto - anche a seguito di colloqui avuti con lo stesso Taviani - di
assegnare a quest'ultimo una posizione di staff,
in quanto la Direzione Centrale non intendeva assegnare al Taviani
posizioni di line. Chiarisco che
io non ho concordato con Taviani la nuova mansione; ho parlato con Roma che mi
ha detto «prendilo come assistente, inventati una posizione». Dopo di che ho proposto a Roma la soluzione
che ho detto. In sostanza al Taviani
dal febbraio'99 è stata assegnata la qualifica di assistente del Direttore in
rapporto con la Direzione Centrale per l'organizzazione dei Grandi eventi quali
Giro d'Italia, Sanremo, Salsoinaggiore ecc.; in tutti quei casi nei quali venga
direttamente interessato il Centro di Produzione di Milano».
In
effetti il Binacchi, ha preso in parola la Direzione inventandosi una posizione
per il collega senza che la stessa avesse alcuna reale consistenza sotto
l'aspetto dei compiti che il ricorrente avrebbe dovuto svolgere.
Ha
infatti ricordato ancora il Binacchi:
« Il
ricorrente nella sua qualità di assistente del direttore deve occuparsi di
pianificare le attività in particolare ponendo cura a ottenere
un'ottimizzazione delle risorse anche sotto l'aspetto del budget impiegato in ognuno di quegli eventi. In tale veste il ricorrente non interviene
direttamente sulla struttura verticale ma riferisce a me e al responsabile
nazionale della struttura Grandi Eventi De Lella... E' vero che Taviani più
volte si è lamentato di tale posizione chiedendomi - con riferimento alle
riunioni stesse: «che ci vado a fare?»... E' evidente che Taviani non è
essenziale all'organizzazione del Grande Evento che viene ugualmente
organizzato anche senza la sua presenza; però è vero che la sua partecipazione
può consentire di risparmiare sull'utilizzo di una troupe o di un tecnico e
comunque nell'utilizzazione delle risorse».
Tuttavia
è evidente che il ricorrente rispetto ai Grandi Eventi era ed è del tutto
esterno all'organizzazione e non in grado di intervenire al fine di incidere
realmente sull'organizzazione stessa, potendosi al più limitarsi a fornire
consigli al Direttore di Produzione.
Sull'organizzazione
Grandi Eventi il teste Scatena ha chiarito:
« Io
ho i] compito dì produrli quei Grandi Eventi.
Il responsabile dell'organizzazione dei Grandi Eventi è De Lella. Il
Taviani è l'interfaccia di Di Lella a Milano.
Nell'ambito dell'organizzazione di un grande evento bisogna distinguere
la fase organizzativa ideativa da quella più strettamente produttiva. E' nella prima fase che si decidono i mezzi,
le strutture (a esempio telecamere, bus da utilizzare); è evidente che ciò
implica l'utilizzazione maggiore o minore di risorse. A quella fase iniziale organizzativa partecipiamo ovviamente De
Lella, io e il committente cioè la redazione sportiva. Il Taviani credo di ricordare che abbia
partecipato a un paio di quelle riunioni. Nella fase dell'impostazione la
decisione delle strutture da utilizzare per la realizzazione di un evento sono
assunte collettivamente e comunque competono sia alla Direzione di produzione
(di cui facciamo parte sia De Lella sia io) che alla Divisione editoriale. Alla fine della fase di organizzazione vi è
una riunione di produzione che definisce nello specifico tutto ciò di cui c'è
bisogno per la produzione dell'evento.
Non so dire se Taviani a queste ultime fosse presente o meno; io di
solito non ci sono perché vi è uno staff molta
affiatato che se ne occupa».
Da
ciò si ricava che i margini di intervento del Taviani in una simile struttura
già organizzata erano e sono pressocché nulli.
Ma chiarisce poi l'impegno che comportava l'incarico del Taviani il
numero di Grandi Eventi organizzato in Milano; su tale aspetto i testi Binacchi
«Da febbraio a oggi i Grandi Eventi che hanno interessato Milano sono stati il
Giro d'Italia, Miss Italia che è stata organizzata da noi, La Mostra del Cinema
di Venezia che abbiamo organizzato insieme al centro di Produzione di Venezia,
i Mondiali di ciclismo tra Verona e Treviso» e Scatena «I Grandi Eventi sono
essenzialmente quelli sportivi (Giro d'Italia, Formula Uno - San Marino e Monza
- Mondiali di Ciclismo). Non fa parte
dei Grandi Eventi Salsomaggiore - Miss Italia che è ne stata esclusa; i
Mondiali di sci sono classificati tra i Grandi Eventi ma poiché partecipiamo
solo per le riprese TV e non per l'organizzazione allora ci limitiamo a mandare
i tecnici per le riprese. Pavarotti and
Friends non è un Grande Evento. A volte la produzione è totalmente nostra a
volte la facciamo con la Pavarotti Intemational» si sono trovati in qualche
modo divisi.
Tuttavia
proprio in considerazione della concreta organizzazione di cui si occupa il
teste Scatena si ritiene di dovere dare maggiore credito alle dichiarazioni di
quest'ultimo.
Sicché
se si considera poi che «all'incirca occorrono un paio di riunioni per ogni
grande evento» (cfr. teste Scatena), si deve giungere alla conclusione che per
lo svolgimento del proprio compito da parte del ricorrente sarebbe sufficiente
la partecipazione a circa otto riunioni l'anno, senza peraltro che lo stesso
sia in grado di incidere concretamente sull'organizzazione dell'evento se non
fornendo qualche consiglio al Direttore di produzione
Sicché,
a fronte di tale accertamento, la considerazione del teste Binacchi «Taviani
non ha dato alcun contributo né scritto - sotto forma di relazioni - né orale
per l'organizzazione Grandi Eventi, però ben avrebbe potuto farlo anche con la
sola presenza alle riunioni nelle quali veniva convocato utilizzando la
professionalità acquista sul campo in tutti gli anni passati» suona come
un'ulteriore ingiusta umiliazione data al ricorrente per ciò che non è stato
posto in grado di realizzare anche e soprattutto a causa di tutti coloro che -
Binacchi compreso - hanno assistito alla consumazione, all’emarginazione
professionale e umana di un dirigente che aveva occupato posizioni assolute di
vertice nell'ambito della Rai di Milano.
La
società va pertanto condannata a reintegrare immediatamente il Taviani nelle pregresse
mansioni o in altre equivalenti.
2) Dal fatto che il ricorrente è stato lasciato
dei tutto inoperoso per circa sei anni è certamente scaturito un gravissimo
danno che va risarcito.
Com'è
noto, secondo la giurisprudenza di merito, condivisa da questo giudice, il
demansionamento è causa di una lesione dell'immagine professionale del
lavoratore «certamente derivante dalla prevalente sostanziale inoperosità e
dalla sorta di isolamento cui è stata costretta» non invece della
professionalità («conoscenze professionali acquisite») acquisita quando il
demansionamento si sia limitato a un periodo di circa sei mesi (cfr. Pret.
Milano 31/7/97); è causa di «un danno alla professionalità globalmente
inteso anche con riguardo all'immagine professionale» pur se il demansionamento
si sia limitato a un periodo di soli due mesi (cfr. Pret. Milano 7/1/97); è
causa di «danni alla personalità e alla professionalità» in considerazione della
totale inoperosità per un periodo di due anni, ma anche di «un danno in sé alla
vita di relazione, alla propria dignità di lavoratore» ma non anche di danno
alla professionalità, in considerazione della prossimità dei lavoratore alla
pensione (cfr. Pret. Milano 11/3/1996); è causa di «danno alla
dignità e alla personalità del dipendente» in considerazione dell'alto livello
professionale occupato dal dirigente e dal fatto che esso costituiva lo «sbocco
naturale di una lunga carriera mirata alla crescita delle funzioni decisionali
e di direzione in ambiti sempre píù estesi di attività della banca»; è altresì
causa di danno all'identità professionale e all'immagine che egli offre nella
società civile (cfr. Pret. Milano 9/12/1997); è causa di «pregiudizio non
solo per la dignità ma anche per il bagaglio professionale mortificato e svilito»
(cfr. Pret. Milano 19/2/99).
Chi
scrive e la giurisprudenza in genere tendono a riconoscere che il danno alla
professionalità e all'identità personale si possa accertare sulla base di
presunzioni semplici (al senso cfr. anche Trib. Milano 30/11/96); sicché non si richiedono particolari
accertamenti se non l'uso di nozioni, di comune esperienza (concludendo per
l'esclusione della sussistenza di un dann o nel caso del lavoratore ormai al
limite della pensione o in considerazione della breve durata del
demansionamento o in occasione di svolgimento di mansioni di basso profilo (in
tal senso cfr. anche Pret. Milano
28/3/97).
Va
registrato che sostanzialmente anche il Giudice di II grado in particolare del
già Tribunale di Milano si pone sulla stessa posizione (cfr. Trib.
Milano 6/7/96 e 30/5/97) affermando
la lesione della professionalità a causa del patito demansionamento. Sentenze più rigorose con riferimento
all'accertamento della sussistenza del danno da demansionamento - così ad
es. Trib. Milano 9/11/96 - dopo avere affermato che il danno da
dequalificazione «ove non coinvolga profili ulteriori come il danno alla salute
o il danno morale vada considerato sub
specie del danno patrimoniale» e che «questo comporta che vadano provati e
l'esistenza e l'entità dei danno stesso e il collegamento causale con la
condotta», nega la sussistenza di un danno nel caso esaminato per la
relativamente breve durata dei demansionamento, circa un anno, concludendo però
per il riconoscimento di un danno all'immagine dei dipendente che come tale ha
un'incidenza in ogni caso sul mercato dei lavoro.
Bene, chi scrive ritiene che nella fattispecie di demansionamento che ci occupa proprio in considerazione della sua lunga durata, sei anni, e della circostanza che ha visto quale soggetto passivo uno dei massimi vertici della Rai di Milano rimasto del tutto privo di mansioni dopo avere avuto per lunghi anni alle proprie dipendenze fino a 1000 dipendenti - devono ritenersi sussistenti gravi, precisi e concordanti presunzioni dell'avvenuta consumazione di un danno alla professionalità e all'identità professionale del Taviani.
Questo
viene solitamente individuato in una percentuale variabile della retribuzione
mensile (cfr. Cass. 10/4/96 n. 3341 la
quale ha ritenuto la congruità di tale criterio di liquidazione del danno)
anche se vi è grande diversità di opinioni in ordine alla misura di quella
percentuale: e cosi v'è chi lo
individua nel circa 100% della retribuzione percepita (cfr. Pret.
Milano 7/1/97), nel 50% (cfr.
Pret. Milano 31/7/97 e 14/2/96),
nel 40% (cfr. Pret. Milano 22/8/96), nel 30% (cfr. Trib.
Roma 12/10/98), nel 15% (cfr.
Trib. Milano 9/11/96), in un
terzo della retribuzione (cfr.
Trib. Milano 30/11/96); c'è
infine chi ritiene poi che la perdita del valore della professionalità aumenti
col passare del tempo di esposizione al demansionamento (cfr. Pret.
Milano 9/12/97) che l'ha fissato in 1/4 della retribuzione per i primi 4
mesi , in 1/3 per i successivi 5 mesi, nel 50% per i successivi sei, in 2/3 nei
successivi tre e infine nel 100% da quella data in poi).
Tuttavia ritiene chi scrive che la durata del
demansionamento e la totale inoperosità alla quale è stato costretto il Taviani
possano essere adeguatamente risarciti solo con una quantificazione del
risarcimento equivalente alla misura della retribuzione percepita nel periodo
in considerazione, già comprensiva della rivalutazione e degli interessi, così
equitativamente determinata.
La
società convenuta va pertanto condannata a risarcire al Taviani il danno
professionale conseguente il patito demansionamento che si determina in via
equitativa nella misura dei 100% della retribuzione mensile percepita dal
Taviani, pari - per il periodo compreso tra il 1/4/94 e l'attualità - a lorde
£. 1.290.147.000 (unmiliardoduecentonovantamilacentoquarantasettemila). Su tale
somma vanno poi conteggiati interessi e rivalutazione monetaria dalla sentenza
al saldo.
B)
Deve invece essere rigettata l'altra domanda in considerazione della genericità
delle deduzioni e dell'incerto esito dell' istruttoria.
In
considerazione della parziale reciproca soccombenza, compensato un 1/5 delle spese di lite, la società convenuta va
condannata a rimborsare al ricorrente gli altri 4/5 delle spese che si
determinano in L. 18.000.000 di cui L. 100.000 per spese, 3.400.000 per diritti
e L. 14.500.000 per onorari.
Sentenza
provvisoriamente esecutiva per legge.
P.Q.M.
dichiara che il ricorrente ha subito un demansionamento a far tempo dal 1/4/94; condanna la società convenuta a reintegrare il ricorrente nelle pregresse mansioni o in altre equivalenti; condanna la società convenuta a risarcire al Taviani il danno professionale conseguente al patito demansionamento che si determina in via equitativa nella misura del 100% della retribuzione mensile percepita dal Taviani, pari - per il periodo compreso tra il 1/4/94 e l'attualità - a lorde £.1.290.147.000 oltre interessi e rivalutazione monetaria; rigetta le altre domande (…)
(già
pubblicata in D&L, Rivista critica di diritto del lavoro, 2000, 750
con nota di Pavone)
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