Rappresentanze e contributi sindacali dopo il referendum abrogativo e secondo la Corte costituzionale

 

    Sommario:

1)      L'iniziativa e le risultanze referendarie

2)      La nuova formulazione dell'art. 19

3)      La nuova formulazione dell'art. 26

 

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1)  L'iniziativa e le risultanze referendarie

Com'è noto, con d.p.r. 5 aprile 1995 sono stati indetti due referendum abrogativi - nella materia sindacale - afferenti rispettivamente alla lett.a) e parzialmente alla lett.b) dell'art. 19, 1° comma, dello Statuto dei lavoratori nonché all'art. 26, per quest'ultimo nella parte in cui la legge prevedeva l'obbligo, a carico delle aziende, di "ritenuta sulle retribuzioni  e sulle prestazioni erogate per conto degli enti previdenziali", per la corresponsione ai Sindacati designati dai lavoratori dei contributi di pertinenza.

I risultati  del referendum sulle due tematiche - relative ai requisiti di rappresentatività delle OO.SS. abilitate alla costituzione delle R.S.A. ed all'esazione, per ritenuta datoriale, dei contributi sindacali - sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale n. 176 del 29 luglio 1995, tramite due distinti d.p.r. (n. 312 e n. 313) che hanno dichiarato - con effetto dal 28 settembre 1995 - l'avvenuta abrogazione parziale dell'art. 19 e 26 della L. n. 300/1970, più nota come Statuto dei lavoratori.

 

2)  La nuova formulazione dell'art. 19

A seguito dell'esito referendario sopramenzionato ed in conseguenza diretta della "parziale abrogazione" dell'art. 19, il testo vigente del suddetto articolo risulta essere il seguente : "Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva nell'ambito delle associazioni sindacali, che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell'unità produttiva.

Nell'ambito di aziende con più unità produttive le rappresentanze sindacali possono istituire organi di coordinamento".

Pertanto, sulla base della nuova normativa, le Associazioni o gli organismi sindacali che risultino firmatari di un contratto (o accordo) collettivo applicato nell'unità produttiva (e, quindi, anche a livello aziendale) possono - dietro iniziativa propositiva dei lavoratori - dar luogo alla costituzione di rappresentanze sindacali ed usufruire, conseguentemente, della legislazione di sostegno strutturata dal Tit. III della L. n. 300/1970.

Il risultato del  referendum è quello di aver abrogato l'indice presuntivo di rappresentatività previsto dalla lett. a) dell'art. 19 (conseguente alla "adesione alle Confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale") e di aver circoscritto alla dimensione aziendale (anziché nazionale o provinciale) la soglia minima per il riscontro della rappresentatività effettiva contemplata dalla lettera b) dello stesso articolo.

Quanto sopra non legittima  nè significa  che qualunque organismo sindacale possa pretendere di firmare accordi aziendali  per poter, conseguentemente, dotarsi del titolo idoneo a costituire R.S.A. Nel contesto della vecchia normativa, a fronte dei ricorsi per condotta antisindacale ex art. 28 L. n. 300/'70 nei confronti del diniego datoriale ad essere ammessi al tavolo delle trattative, si è imposto un orientamento, con carattere di prevalenza, secondo cui nel rifiuto datoriale non è ravvisabile "condotta antisindacale",  in quanto in capo al Sindacato o alle R.S.A non può essere riconosciuto aprioristicamente un vero e proprio diritto a trattare e/o negoziare. Con la conseguenza che nessun obbligo graverebbe sul datore di lavoro di ammettere alla trattativa qualsiasi organismo sindacale che ne abbia fatto richiesta.

Tale orientamento - recepito dalla Cassazione (n. 5454 dell'8.5.1992; n. 1504 del 10.2.1992; n. 13805 dell'5.12.1991, ecc.) - è così lucidamente riassunto da Pret. Roma 16.3.1985 ( in Lav. prev. oggi, 1985,1520) : "Non esiste nel nostro ordinamento un principio di parità di trattamento dei sindacati tra loro, in quanto il legislatore...ha individuato nel sindacato...non soltanto  una manifestazione della generale libertà di associazione, ma anche, e soprattutto, lo strumento effettivo di autotutela collettiva dei lavoratori nel rapporto conflittuale tra capitale e lavoro, rapporto che, sia nell'ambito aziendale sia nell'ambito sociale, si svolge in termini di rapporto di forza".

E, nello stesso senso, si sono espresse, da un lato, Pret. Roma 25.10.1985 (in Not. giurisp. lav. 1985,627), secondo cui : "le trattative e le questioni dei soggetti sindacali legittimati alle trattative sono in sostanza rinviate dal legislatore a rapporti di forza sul luogo di lavoro, alla capacità delle associazioni sindacali di imporre il loro punto di vista, il che appare la logica conseguenza del costituzionale principio di libertà e di autonomia sindacale e di diritto di sciopero", e, dall'altro ( e non senza una certa crudezza), Pret. Lodi 18.2.1985 (in Not. giurisp. lav. 1985,2), secondo cui: "la propria immagine ogni sindacato se la deve costruire da sé e non è consentito ricorrere al giudice invocando il rimedio speciale di cui all'art. 28 l.n. 300/'70, per sopperire con la forza legale  dei provvedimenti giudiziali al proprio difetto  di forza per scarsa presenza tra i lavoratori  o per debole combattività dei propri aderenti  o per crisi di credibilità verso la base".

Non  sono mancate, nel panorama giurisprudenziale e dottrinale, tuttavia, opinioni contrarie che si sono intensificate dopo la modifica dell’art. 19 L. n. 300, il cui nuovo testo introduce quale unica via per acquisire il requisito di "rappresentatività" - indispensabile ai fini della costituzione delle R.S.A. e dell'accesso alla legislazione statutaria di sostegno - l’effettività dell'ammissione alle trattative, propedeutica e strumentale per la sottoscrizione dei contratti ed accordi sindacali. Invero lasciare al datore di lavoro la discrezionalità immotivata di ammettere alle trattative un sindacato ed escluderne un'altro, potrebbe significare renderlo arbitro della scelta dell'interlocutore antagonista, eventualmente individuabile tra quello dei sindacati più disponibile ed accondiscendente.

Nel contesto della vecchia formulazione dell'art. 19, l'orientamento contrario alla libera scelta aziendale della controparte sindacale nelle trattative  è esplicitato, ancora, da Pret. Roma 30.7.1986 (in Dir.prat. lav. 1986,2545) secondo cui: "Quantunque non sussista, nel nostro ordinamento, un principio di piena parità di trattamento tra sindacati in ordine alle loro varie prerogative, esso deve essere affermato (e quindi non può legittimamente farsi luogo a trattamento difforme) in ordine all'ammissione alle trattative per i sindacati in possesso dei comuni requisiti di rappresentatività di cui all'art. 19; l'eventuale differenziazione non attiene infatti ad aspetti marginali ed accessori ma alla funzione primaria e caratterizzante di ogni sindacato, la cui negazione determina l'impossibilità radicale di esercitare l'attività di rappresentanza, rivendicazione e tutela degli interessi dei lavoratori nei confronti di quelli contrapposti del datore di lavoro" (conf. Pret. Siena 25.1.1986, ibidem 1986, 1032, con nostra nota dal titolo: Trattative sindacali: la libertà di scelta della controparte; conf. Cass. sez. lav. 16.4.1976, n. 1336; Cass. sez. un. 25.10.1976, n. 3836; Cass. 15.7.1983, n.4850).

Sulla base della suesposte considerazioni secondo le quali il nuovo testo dell’art. 19 avrebbe privato il sindacato della “autonomia del proprio riconoscimento” assoggettandolo ad un potere di accreditamento del datore di lavoro, i Pretori di Milano (ord. 27.11.1995, in Not. giurisp. lav. 1995, 693) e di Latina (ord. 26.1.1996, ibidem 1996,1) hanno rimesso ai giudici della Consulta la valutazione di costituzionalità della nuova normativa  dell’art. 19 quale risultante dal referendum abrogativo. La Corte costituzionale con sentenza n. 244 del 12 luglio 1996 (in Not. giur. lav. 1996, 333) ha, tuttavia, rigettato (in armonia con la precedente sentenza n. 492 del 4.12.1995, ibidem 1995, 693) la questione di costituzionalità sollevata dalle due ordinanze di remissione, asserendo che:

a) secondo il nuovo art. 19, “la rappresentatività del sindacato non deriva da un riconoscimento del datore di lavoro, espresso in forma pattizia, ma è una qualità giuridica attribuita dalla legge alle associazioni sindacali che abbiano stipulato contratti collettivi (nazionali, locali o aziendali) che regolamentino, anche in forma  integrativa e con un contratto normativo, in modo organico i rapporti di lavoro, almeno per un settore o un istituto importante della loro disciplina “.

Va inoltre ricordato - in relazione all'attuale richiesto ed unico requisito della "firma" dei contratti di lavoro - che la giurisprudenza, nel contesto della precedente normativa, dopo talune oscillazioni si era prevalentemente orientata nel senso di considerare la "sottoscrizione" quale atto conclusivo di partecipazione effettiva al processo negoziale negando rilevanza, se non indiziaria ed in concorrenza con altri requisiti, alla c.d."firma per adesione".

Al riguardo così si è espressa Cass. n. 6613 del 5.12.1988 (in Not. giurisp.lav. 1989,1):"Ai fini dell'art. 19, lett.b) della l. n. 300/1970 - che prevede la possibilità di costituire r.s.a. nell'ambito di associazioni sindacali le quali, non affiliate alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali applicati nell'unità produttiva - la sottoscrizione di tali contratti assume rilievo non di per sé stessa, ma in quanto espressione del requisito della rappresentatività, il quale in tanto può ritenersi sussistente in quanto al dato formale della sottoscrizione si sia accompagnato quello sostanziale della partecipazione al processo di contrattazione, con la conseguente impossibilità di assegnare valore, ai fini suindicati, al fatto che un'associazione abbia successivamente sottoscritto, per adesione, un contratto collettivo precedentemente stipulato, dal datore di lavoro, con altre organizzazioni sindacali".

Anche su questo aspetto sostanziale la Corte costituzionale, nella citata decisione n. 244/1996, è intervenuta per precisare e riconfermare che:

b) “l’esigenza di oggettività del criterio legale di selezione comporta un’interpretazione rigorosa della fattispecie dell’art. 19, tale da far coincidere il criterio con la capacità del sindacato di imporsi al datore di lavoro, direttamente o attraverso la sua associazione, come controparte contrattuale. Non è pertanto sufficiente la mera adesione formale ad un contratto  negoziato da altri sindacati, ma occorre una partecipazione attiva al processo di formazione del contratto”.

In conseguenza della nuova formulazione dell’art. 19, risultante dal referendum abrogativo, sono state  poi considerate legittime le iniziative aziendali di disconoscimento e di dichiarata caducazione delle R.S.A. - a far data dal 28  settembre 1995 - costituite anteriormente da associazioni sindacali aderenti a Confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, risultate tuttavia non firmatarie (nel senso riprecisato dalla Corte cost. n. 244/’96) di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva. Tali iniziative di disconoscimento con decorrenza immediata dal 28 settembre 1995 hanno, com’era prevedibile, occasionato un contenzioso giudiziario risoltosi in larghissima prevalenza a favore delle aziende (vedi Pret. Pistoia 22.9.1995, in Not. giurisp. lav. 1995, 511; Pret. Roma, decr. 20.11.1995, Pret. Roma, decr.14.11.1995, Pret. Venezia, decr. 31.10.1995, Pret. Napoli, decr. 16.10.1995, Pret. Padova, decr. 13.10.1995, ibidem 1995, 693; Trib. Genova 26.1.1996, Pret. Torino, decr. 16.1.1996, ibidem 1996, 1), salvo in un caso in cui (Pret. Monza, decr. 19.11.1995, ibidem 1995,693) il magistrato ha ritenuto che, attenendo il nuovo requisito dell’essere ”firmatarie di contratti”, alla fase genetica di costituzione delle R.S.A., non potessero risultare decadute quelle sorte in precedenza ed ancora non scadute ma che per effetto della nuova normativa risultasse preclusa, a dette associazioni non firmatarie di ccnl, la costituzione di R.S.A. posteriori al 28.9.1995.

 

3) La nuova formulazione dell'art. 26

Anche la consultazione  referendaria relativa ai "contributi sindacali" con trattenuta a carico del datore di lavoro ( di cui all'art. 26 l. n. 300/1970) ha avuto esito abrogativo per quanto attiene al 2° e 3° comma.

Pertanto il nuovo testo della disposizione  allo stato recita che:"I lavoratori hanno diritto di raccogliere contributi o di svolgere opera di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali all'interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento dell'attività aziendale".

La nuova formulazione è stata così privata del precedente diritto  - ex lege - per le OO.SS. di percepire, tramite ritenuta  aziendale sulla retribuzione, i contributi che i lavoratori intendono versare.

Peraltro le risultanze referendarie non hanno inciso (su) né caducato le disposizioni dei contratti collettivi che regolano la riscossione dei contributi sindacali mediante trattenuta sulle retribuzioni, le quali sono ovviamente dotate di autonomia rispetto alla nuova normativa legale ( l'effetto abrogativo si realizzerebbe, invece, nell'eventualità che accordi sindacali avessero fatto esplicito ed esclusivo rinvio al citato art. 26).

Tali accordi  - già in atto tra l'Associazione imprenditoriale ed i  Sindacati del  personale non direttivo del credito - sono stati raggiunti con Assicredito anche dai Sindacati del Personale direttivo  in data 22 giugno 1995 e   tramite di essi si è convenuto di recepire i "criteri di cui all'art. 7,1°,3°,4° e 5° comma, della Convenzione per i diritti e le relazioni sindacali " nel settore (afferenti, giustappunto, all'obbligo convenzionale aziendale di esazione dei contributi sindacali per ritenuta sulle retribuzioni dei dipendenti).

 

Mario Meucci

(pubblicato in Incontri, rivista del Sindirigenticredito, n. 8/1996)

 

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