Sommario:
1. La nozione
di licenziamento collettivo.
2. Le procedure
imposte dall'art. 4 L. n. 223/1991.
3 - 3.1. I
criteri di individuazione dei dipendenti licenziabili, ex art. 5 L. n. 223 e
ex art. 8 D.M. n. 158/2000 per il Fondo esuberi del credito.
3.2. I criteri
di scelta; la pubblicità della ponderazione, la pluralità delle
graduatorie.
4. Le
comunicazioni agli Organi amministrativi ed ai lavoratori licenziati.
5. Il regime
delle sanzioni.
6. La misura
delle prestazioni economiche a sostegno del reddito.
********
1.
La nozione di licenziamento collettivo in
generale e nel settore credito (ex artt. 17 e 73 ccnl 11.7.1999).
Esaminiamo, in via
sintetica, il contenuto della legge n. 223/91 che costituisce la normativa
base per i licenziamenti collettivi o per riduzione di personale, sia in
generale sia nel settore del credito che – pur carente
dell’ammortizzatore sociale della Cassa integrazione - da essa non può
prescindere come concludentemente conferma la recezione effettuata negli
artt. 17 e 73 del ccnl 11 luglio 1999 per le aree professionali ed i quadri
direttivi (dirigenti esclusi).
Preliminare si rivela l'individuazione della "nozione" di
licenziamento per riduzione di personale (o collettivo, come si usa anche
dire).
L'art. 24 L. n.223/1991 dispone che si ha "licenziamento
per riduzione di personale, quando le imprese, che occupano più di 15
dipendenti, intendono effettuare - in conseguenza di una riduzione o
trasformazione di attività o di lavoro - almeno 5 licenziamenti nell'arco
di 120 giorni, in ciascuna unità produttiva, o in più unità produttive
nell'ambito del territorio di una stessa provincia". La formula,
come è stato notato (1), è amplissima, tale da ricomprendere tutte le
ipotesi di riduzione di personale sia per ragioni meramente congiunturali
sia per trasformazione e ristrutturazione, sia i licenziamenti collettivi
c.d. "tecnologici", derivanti ad es. da introduzione di
innovazioni tecnologiche o da mutamento degli impianti che rendono
inoccupabili, per impossibile riconversione professionale, una certa
aliquota di personale. Si ha licenziamento collettivo quando si intende
comunque ridurre gli organici in conseguenza di "ragioni
oggettive" non riconducibili in alcun modo a "valutazioni o
considerazioni sulla persona del lavoratore" (o come dice la direttiva
CEE n. 75/129, per "ragioni non inerenti alla persona del
lavoratore"). Restano quindi esclusi dalla fattispecie - come ha notato
la dottrina (2) - "i
licenziamenti che riposano su motivi soggettivi, comunque mascherati,
inclusi i licenziamenti che potremo definire 'per sostituzione collettiva di
personale', che applicano criteri orientati alla 'scrematura efficientista'
del personale, come età, rendimento individuale, disponibilità alla
riconversione professionale, ecc., in vista di un turn over forzato"
(3).
La legge ha inoltre adottato la presunzione del "licenziamento
collettivo" quando si superano i 5 licenziamenti nell'arco di 120
giorni, al fine di ridurre - per quanto possibile - la tendenza datoriale a
diluire nel tempo i licenziamenti, per sottrarsi strumentalmente alla
procedura dettata per i licenziamenti collettivi. Ha poi disposto, al 2°
co. dell'art. 24, che la normativa deve applicarsi anche quando l'impresa
deve radicalmente cessare la propria attività.
Destinatari della precitata legge
sulla riduzione di personale risultano (come precisa l’art. 4, 9° comma,
afferente al collocamento in mobilità) “gli
impiegati, gli operai ed i quadri eccedenti”, con implicita esclusione
dei dirigenti e – prima dell'Accordo Quadro tra OO.SS. e ABI per il
settore creditizio - di quelle
categorie o qualifiche che, seppur non trovano la loro fonte nell’art.
2095 c.c. (come integrato dalla L. n. 190/’85 di riconoscimento dei quadri
intermedi), scaturiscono da fonte convenzionale, come i “funzionari” del
settore credito. Al riguardo – e con specifico riferimento alla categoria
o qualifica dei funzionari – il Pretore di Sassari, con decisione del
3.12.1996 (4) sollevò questione di costituzionalità, in relazione all'art.
3 Cost., in merito all'esclusione degli stessi (e dei dirigenti,
categoria considerata dal Pretore includente la sottospecie del
personale direttivo dei funzionari o mini-dirigenti) dall'applicabilità
delle garanzie di cui alla L. n. 223/'91, asserendo che «non
può sostenersi che il licenziamento collettivo del dirigente non meriti
particolare attenzione da parte
del legislatore…in quanto non desterebbe 'allarme sociale' come per le
altre categorie sottordinate essendo invece noto che per l'ampiezza assunta
dal fenomeno nell'attuale contesto economico, il licenziamento collettivo
del dirigente è evenienza tutt'altro che rara e foriera di rilevanti
tensioni sociali». La Corte costituzionale, tuttavia – con decisione
n. 258 del 18.7.1997 (5) rigettò la questione – come prospettata
dall'ordinanza di remissione pretorile, fondata su una
(non condivisa) «piena
equiparazione della categoria dei funzionari (fruenti di garanzie di
stabilità reale) a quella dei dirigenti (da esse esclusi)» -
talchè giunse ad affermare che la
«questione, così come prospettata, non attingeva il livello di una
necessaria verifica di costituzionalità, rimanendo ancora nell'ambito della
mera interpretazione (di esclusiva competenza del giudice del lavoro) della
denunciata disposizione dell'art. 24 l. 23 luglio 1991, n. 223, implicante
la indispensabile previa qualificazione dei destinatari di questa, anche
alla stregua delle norme del contratto collettivo che regolano
l'inquadramento nelle varie categorie di lavoratori». Il problema, è
stato poi risolto, a livello pattizio – con la norma dell'art. 3 punto 2),
comma 6°, dell'Accordo Quadro del 28.2.1998 tra le OO.SS. dei lavoratori
del credito e l'ABI, ove le parti esplicitano, con effetti di
interpretazione autentica, che
"per i quadri direttivi (dal 1°
al 4 livello, ricomprendente quest'ultimo i funzionari fino alla 10
maggiorazione di grado esclusa, n.d.r.) resta
chiarita l'applicabilità della L. n. 223/'91" (dizione ora
replicata nell’art. 73 ccnl 11 luglio 1999).
2. Le procedure imposte dall'art. 4 L. n. 223/1991.
Per le procedure da seguire e per le modalità risolutive del
rapporto di lavoro, l'art. 24 richiama l'art. 4 - commi da 2 a 12 - e l'art.
5, commi da 1 a 5.
2.1. La procedura si apre con la preventiva
comunicazione scritta a tutte le Rappresentanze sindacali e alle
associazioni sindacali di categoria, da inviare, in copia, all'Ufficio
Provinciale del lavoro ( art. 4, commi 2 e 4, L. n. 223).
La comunicazione deve indicare:
1) i motivi che determinano la situazione di eccedenza di personale
(es. calo di commesse e di ordini della clientela, introduzione di
innovazioni tecnologiche, difficoltà finanziarie, abbandono di una o più
produzioni aziendali e simili);
2) i motivi tecnici, organizzativi o produttivi per i quali l'azienda
ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta
situazione (perchè, ad. es., non sono suscettibili di essere prese in
considerazione misure alternative e limitative degli esuberi, quali il
ricorso a contratti di solidarietà difensivi o a forme flessibili di
gestione del tempo di lavoro, da intendersi il part-time ed i contratti a
termine, come si desume dall'art. 4, 5° co. ovvero la cassa integrazione
guadagni (6);
3) il numero, la collocazione aziendale ed i profili professionali
del personale eccedente;
4) le eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze,
sul piano sociale, dell'attuazione del programma medesimo (quali
trasferimenti interaziendali o nell'ambito del Gruppo, esodi incentivati e
simili). A tale riguardo si ritiene che il dato letterale non si presti ad
equivoci, nel senso che le misure sono meramente eventuali
e, pertanto, dovranno essere indicate solo in quanto effettivamente
previste.
Sarà bene sottolineare che la comunicazione è determinante ai fini
della procedura, onde si spiega la dettagliata previsione che la legge fa
del suo necessario contenuto.
La Cassazione ha preso posizione, inficiando i licenziamenti sulla
carenza di comunicazione dei motivi per cui l’azienda riteneva di non
poter ovviare alle riduzioni di personale, così asserendo, ad opera di della
decisione n. 13196 del 9
settembre 2003: «…poiché
la funzione della comunicazione di cui all'art. 4, comma
3, della legge
n. 223 del 1991, è quella di consentire alle organizzazioni sindacali una
partecipazione con efficacia adeguata al ruolo che il legislatore assegna
loro nell'ambito di una
vicenda dalla
quale esce
mutata la
stessa struttura
dell'azienda, la comunicazione della esistenza di una situazione
di esubero strutturale non fa venir meno l’onere per il datore di lavoro
di comunicare le ragioni che impediscono il ricorso a soluzioni alternative
ai licenziamenti, giacché tali ragioni sono particolarmente idonee a
rappresentare quale, secondo l’imprenditore, è l’assetto che
necessariamente
deve
assumere
l'azienda a fronte di fattori che non consentano di mantenere immutata la
forza lavoro, e la loro comunicazione preventiva risulta particolarmente
idonea a contribuire alla conoscenza che il sindacato deve avere per
esercitare efficacemente il ruolo di cogestione che la legge gli assegna.
In
tema di collocamento in mobilità e di licenziamenti collettivi, la
procedura disciplinata dall'art. 4 della legge n. 223 del 1991 assegna ai
sindacato, a fronte dell'esercizio del potere imprenditoriale modificativo
in maniera non marginale dell'assetto aziendale, un ruolo di tutela
dell'interesse del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro
nell'ambito del più generale controllo su eventi che incidano, in maniera
non marginale, sull'assetto occupazionale; poiché la tutela di un tale
interesse è subordinata alla informazione,
da parte
dell'imprenditore, che
risulti la
impraticabilità di rimedi
alternativi ai licenziamenti, il lavoratore è legittimato a far valere
l'incompletezza della informazione anche con riferimento a tale punto,
in quanto la comunicazione rituale e completa della mancanza di alternative
ai licenziamenti rappresenta, nell’ambito della procedura, una cadenza
legale che, se mancante, risulta ontologicamente impeditiva di una proficua
partecipazione alla cogestione della crisi da parte del sindacato».
Le
comunicazioni di cui ai punti da 1) a 4), infatti, debbono consentire non
solo il controllo e la verifica della necessità di riduzione del personale
e della congruità della dimensione del licenziamento, ma anche l'eventuale
adozione di criteri di scelta dei lavoratori da licenziare,
diversi (rectius
specificativi) di quelli di cui al successivo art. 5.
Carenze
o contraddittorietà della comunicazione possono assumere notevole
rilevanza, su piani diversi. Possono configurare comportamento antisindacale
(7) - reprimibile ex art. 28 L. n. 300/'70 - almeno in tutti i casi in cui
impediscano l'azione sindacale. Possono condurre anche alla dichiarazione di
inefficacia dei licenziamenti (8), intimati al termine di una procedura
infruttuosa, ai sensi dell'art. 5, 3° comma. Secondo l'orientamento della
Cassazione (9) «...nel corso di
licenziamento per riduzione di personale conseguente a riduzione
dell'attività aziendale effettuato a norma dell'art. 4 della l. n. 223/'91,
la procedura prevista nei commi da 2° a 12 di detto articolo – il cui
rispetto si pone come condizione di efficacia del licenziamento ai sensi del
successivo art. 5 – non può considerarsi osservata da una comunicazione
del datore di lavoro contenente soltanto i nomi dei licenziandi e le
relative qualifiche, nonché un semplice cenno a precedenti incontri con le
OO.ss., solo marginalmente relativi ai motivi tecnici della necessaria
riduzione, imponendo la menzionata legge al datore di lavoro un onere di
dettagliate indicazioni, funzionali alla valutazione da parte sindacale
dell'opportunità di chiedere l'esame congiunto della situazione e dei
possibili rimedi (e riguardanti, secondo la dettagliata indicazione della
legge, i motivi delle situazioni di eccedenza e quelli, di carattere
tecnico-organizzativo e produttivo che non consentono l'adozione di misure
atte a porvi rimedio evitando in tutto o in parte la dichiarazione di
mobilità; il numero, la collocazione aziendale e i profili personali
dei lavoratori eccedenti; i tempi di attuazione del programma di mobilità;
le misura programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale)». Secondo
la recentissima Cass. sez. un. n. 302/2000 (cit. in nt. 6) «tutti
gli obblighi di informazione e di trasparenza previsti dalla legge n. 223/91
sono posti a garanzia non soltanto della funzione del sindacato ma anche dei
diritti dei singoli lavoratori…che possono agire quindi giudizialmente per
ottenere la dichiarazione di inefficacia, per vizi procedurali, dei
provvedimenti aziendali»,
conformemente a quanto già in precedenza asserito, tra le altre, da Cass.
n. 265 del 12.1.1999. La trasparenza richiesta
per la procedura in questione è finalizzata alla garanzia del diritto dei
lavoratori all’osservanza delle garanzie procedurali legali nelle
riduzioni di personale – rispetto che deriva direttamente dall’obbligo
datoriale di osservanza dei principi di correttezza e buona fede nella
gestione delle obbligazioni connesse alla gestione del rapporto di lavoro,
ex artt. 1175 e 1375 c.c. – e
tale esigenza è ben evidenziata da Cass. n. 1198 del 3 febbraio 2002 (10)
secondo cui «… il rispetto sostanziale dei criteri di scelta,
da attuare non tanto in funzione di astratti livelli o classificazioni
contrattuali, quanto in conformità alle reali
fasce professionali e al contenuto
oggettivo delle mansioni concretamente svolte (v. Cass, 4 febbraio 1998,
n. 1150), è diretta derivazione dei princìpi di correttezza e buonafede
che, nel momento di gestione della crisi della impresa, costituiscono una
clausola generale di chiusura, di trasparenza e di garanzia per la
valutazione dei comportamenti imprenditoriali (v. Cass. 18.1.1999, n. 434;
6.7.1990, n. 7105; 17.4.1990, n. 3166; v. anche 27.4.1992, n. 5010;
6.12.1985, n. 6158). E stato
autorevolmente sostenuto, infatti, in dottrina - e il principio ha trovato
indirettamente l'avallo della Corte costituzionale nella sentenza n. 268 del
30 giugno '94 - che, con riferimento ai licenziamenti per riduzione di
personale e alle relative procedure, il personale non vanta tanto un diritto
alla conservazione del posto, quanto al rispetto, da parte
dell'imprenditore, durante l'intero procedimento dapprima amministrativo e,
poi, intersoggettivo, dei princìpi dì buona fede e correttezza...».
2.2.
Per il 4° comma dell'art. 4, copia della comunicazione va inoltrata anche
all'Ufficio Provinciale del lavoro, affinché questo sia edotto della
vertenza e possa prepararsi alle iniziative di sua competenza in c.d.
"sede amministrativa".
2.3.
Entro 7 giorni dall'invio della comunicazione, le Rappresentanze sindacali
aziendali e le rispettive associazioni sindacali possono richiedere che si
proceda ad un esame congiunto,
allo scopo di " esaminare le
cause che hanno contribuito a determinare l'eccedenza di personale e le
possibilità di utilizzazione diversa di tale personale, o di una sua parte,
nell'ambito della stessa impresa, anche mediante contratti di solidarietà e
forme flessibili di gestione del tempo di lavoro” (art. 4, 7°comma),
cioè tramite il ricorso a quelle misure che vengono identificate come
"ammortizzatori sociali" (11).
2.4.
La procedura di consultazione - tesa a consentire la discussione delle
ragioni che determinano l'eccedenza di personale e delle ragioni che non
consentono di evitare la riduzione - deve esaurirsi entro 45 giorni da
quello in cui la parte sindacale ha ricevuto l'iniziale comunicazione.
L'impresa deve dare comunicazione scritta
all'Ufficio Provinciale del lavoro dell'esito positivo o negativo della
consultazione (cioè dell'esito della procedura "in sede
sindacale").
Si noti che al fine di agevolare il raggiungimento di un accordo
sindacale che prevede il riassorbimento, anche parziale, degli esuberi, la
legge abilita le parti sindacali a prevederne l'assegnazione a
mansioni diverse, e quindi professionalmente inferiori a quelle
svolte, in deroga all'art. 2103 c.c. Questa agevolazione si aggiunge a
quella di utilizzare contratti
di solidarietà e forme flessibili di gestione del tempo di lavoro di cui si
è detto e testimonia il rilievo assegnato all'interesse alla conservazione
del posto di lavoro, a qualsiasi condizione (12).
Secondo dottrina (13) «anche
le comunicazioni all'Ufficio Provinciale del lavoro - sebbene la legge nulla
prescrive al riguardo - dovrebbero contenere... indicazioni analitiche dei
termini in cui si è svolto l'esame congiunto e cioè esplicitare, oltre ai
punti di dissenso, quali siano state su di essi le opposte posizioni delle
parti. E ciò, se non altro, al fine di mettere il direttore dell'Ufficio
Provinciale del lavoro nelle condizioni di assolvere efficacemente al
compito che la legge gli assegna quando, non essendo stato raggiunto un
accordo in sede sindacale, si apre la seconda fase della procedura, e cioè
quella c.d. "amministrativa».
Il direttore dell'Ufficio Provinciale del lavoro, infatti, ove non
sia stato raggiunto un accordo in sede sindacale, deve convocare le parti
per un ulteriore esame, da esaurirsi entro 30 giorni. Nel complesso
l'imprenditore può essere costretto ad attendere 82 (7+45+30) giorni prima
di poter procedere ai programmati licenziamenti (13), ma i termini sono
ridotti alla metà se le eccedenze sono inferiori a 10 unità (art. 4, 8°
co.).
Diversamente dicasi se l'accordo viene sottoscritto, potendosi in tal
caso procedere senza dover rispettare l'esaurimento dei termini.
2.5.
Raggiunto l'accordo o esaurita comunque la procedura, l'impresa può dar
corso ai licenziamenti (la cui intimazione deve
avvenire entro gg. 120 dall'apertura della procedura di mobilità),
intimandoli per iscritto con il rispetto del termine di preavviso
(surrogabile con l'indennità sostitutiva). Su tale esigenza di immediatezza
della comunicazione dei licenziamenti al termine
della procedura di scelta comparativa si è espressa incisivamente Cass. 9
ottobre 2000, n. 13457 (14),
la quale prevede che: « La complessa procedura di cui all’art. 4 della
l. 223 del 91, predisposta e voluta in vista dell’atto conclusivo che può
essere costituito dal licenziamento collettivo è in funzione di un
particolare momento e di particolari condizioni.
Il
particolare momento è quello di crisi aziendale che giustifica il
provvedimento. Le particolari condizioni sono date dalla situazione
comparativa dei vari lavoratori, che, presa doverosamente in esame e
adeguatamente considerata, determina la scelta dei lavoratori da licenziare.
Ambo
detti elementi devono sussistere nel momento della procedura in esame e dopo
che siano stati attentamente vagliati e accertati, giustificano il
licenziamento.
Quest’ultimo
viene compiuto quale atto conclusivo della procedura e in tale momento
(conclusione della procedura) produce i suoi effetti, se ritualmente
disposto.
Pretendere,
come nel caso in esame, che il licenziamento cominci a produrre i suoi
effetti ben oltre la conclusione della procedura di cui all’art. 4 (nel
caso di specie: un anno e mezzo dopo che i licenziamenti erano stati
comunicati ai lavoratori), significherebbe alterare tutti i presupposti e le
condizioni che hanno giustificato il licenziamento:
1º) il momento di crisi aziendale può essere stato superato o ridotto e
circoscritto; 2º) la situazione comparativa fra lavoratori può essere
tutt’affatto mutata, essendo potute intervenire, nel frattempo, cessazioni
di rapporti lavorativi o mutamento nelle situazioni personali, lavorative o
familiari, già prese a raffronto per la scelta dei lavoratori da licenziare.
Ne
consegue che il licenziamento collettivo può avere validità ed efficacia
solo nell’osservanza delle norme imperative che ne regolano la procedura e
che ne consentono l’adozione nell’obbligatoria osservanza di 120 gg,
dalla conclusione della procedura di cui ai co. 6, 7 e 8 della l. 223 del 91
(art. 8, co. 4 l. n. 148 del 93).
Ciò
spiega, dunque, la ragione per la quale il co. 9 dell’art. 4 della l. n.
223/91 prevede che le comunicazioni in questione avvengano contestualmente
al recesso il che esclude che le medesime possano avvenire in epoca
marcatamente successiva, al fine di conferire efficacia ad un
licenziamento che ormai ne è definitivamente privo (art. 5 co. 3 stessa
legge.)
Pertanto,
la contestualità di cui si è detto, anche se non intesa come esatta
contemporaneità, va considerata come obbligo di immediatezza,
(Cass. 3922 del 98), di tal che una comunicazione tardiva alle
organizzazioni sindacali e agli uffici del lavoro, in quanto al di fuori dei
tempi previsti per la procedura culminante col licenziamento collettivo, è
preclusa»
ed i licenziamenti sono invalidi.
3.
I criteri di individuazione dei dipendenti licenziabili, ex art. 5 L. n.
223.
3.1.
L'individuazione dei licenziabili "in
relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso
aziendale", deve avvenire nel rispetto dei criteri previsti dai
contratti collettivi stipulati con le R.S.A. dei sindacati maggiormente
rappresentativi (o con gli stessi sindacati). Ovvero, in
mancanza di questi contratti - che si ritiene abbiano efficacia erga omnes (15) in quanto appartenenti
alla tipologia degli "accordi gestionali", non basati sul
principio della rappresentanza volontaria - la scelta dovrà avvenire nel
rispetto dei criteri legali, in
concorso tra loro e così elencati nell'ordine: carichi di famiglia, anzianità, esigenze tecnico-produttive ed
organizzative. E qui nascono ponderosi problemi interpretativi, che,
allo stato, non hanno trovato soluzione univoca, anche se di ausilio possono
rivelarsi le enunciazioni di Corte cost. n. 268/1994 (16). Innanzitutto
l’efficacia “erga omnes” - eccedente gli associati ai Sindacati
stipulanti - viene ammessa indirettamente dalla stessa Corte, non già in
quanto gli accordi sindacali costituiscono “contratti collettivi
normativi” (i soli discendenti dalla procedura ex art. 39 Cost.) ma in
quanto “procedimentalizzano” il potere di recesso datoriale; tra
l’altro in via primaria e non subordinata rispetto alla norma (art. 5, 1°
co., L. n. 223) contemplante i criteri legali, la quale opera pertanto in
via suppletiva e con carattere di sussidiarietà rispetto agli accordi
sindacali. In secondo luogo, afferma la Corte cost., i criteri definibili a
livello sindacale sono nulli quando contrari a principi costituzionali e a
norme imperative di legge. L’adempimento ad essi demandato di una funzione
regolamentare delegata dalla legge, impone che i criteri pattizi non solo
non violino il principio di non discriminazione (ex art. 15 L. n. 300/’70)
ma che gli stessi rivestano i requisiti dell’obiettività e della razionalità,
in ragione di applicabilità
generalizzata. E come parametro del giudizio o valutazione di razionalità o ragionevolezza - asserisce la Corte - possono essere
utilizzati i criteri legali (ex art. 5, 1° co.) «non come tali ma in quanto riproducono criteri tradizionalmente
praticati nei rapporti connessi ai licenziamenti per riduzione di
personale...sicchè lo scostamento da essi deve essere giustificato».
Ed a titolo di esempio, indica che ci si potrebbe discostare dal
privilegiare il tradizionale criterio del mantenimento in servizio di
lavoratori in età anagrafica prossima al pensionamento, in presenza di
ristrutturazioni aziendali caratterizzate da elevati livelli di innovazione
tecnologica che richiedono obiettivamente professionalità specialistiche di
nuova formazione, ovvero per favorire - in situazione di forte
disoccupazione giovanile da mercato stagnante - i giovani nella
conservazione dell’occupazione.
Altra
problematica controversa è quella indotta
dall’esigenza di stabilire se la scelta dei licenziandi deve avvenire
nell'intero contesto dell'impresa oppure limitatamente allo stabilimento o
al reparto in cui c'è l'esuberanza. La questione è introdotta dal
riferimento letterale, ad opera dell'art. 5, 1° co., alle esigenze ... del
"complesso aziendale",
da taluno inteso come sinonimo della "intera impresa" (17) da
altri come sinonimo di "stabilimento" (18), anche articolato in più
unità produttive, che abbia una sua identità soprattutto territoriale (gli
stabilimenti ubicati in una certa provincia) o, anche, in certi casi,
organizzativa (il dipartimento finanziario, con uffici in più città
italiane). Da parte nostra si ritiene che, dovendo l'imprenditore limitarsi
a sopprimere o contrarre certe "funzioni" o "mansioni" o
“profili” fungibili, in astratto (ad es. il 30% dei contabili, il 20%
degli analisti finanziari o dei
promotori d'affari o dei legali addetti alla stipula dei contratti di
finanziamento ovvero dei tecnici incaricati delle valutazioni peritali, in
un'azienda di servizi; il 30% degli elettricisti; il 20% dei manutentori, in
un'azienda industriale, ecc.), dovrà individuare l'ambito dei lavoratori
interessati alla riduzione di personale fra tutti
coloro, in forza nelle varie unità produttive o reparti di esse, che
disimpegnano, con omogeneità e fungibilità, le suddette mansioni o
funzioni e che quindi rivestono gli stessi profili omogenei. Tale novero di
personale struttura l'"ambito" dei posti di lavoro sopprimibili.
Cosicché appare corretta l'opinione di chi sostiene che «se viene disposta la chiusura di un reparto, ma i lavoratori addetti al
reparto hanno profili professionali del tutto paragonabili a quelli dei
lavoratori di altri reparti, l'ambito della selezione non potrà essere
ristretto al reparto... e riguarderà anche gli altri reparti del 'complesso
aziendale' (19),
salvo che il datore di lavoro non assolva l'onere di provare le oggettive (e
non mirate) ragioni tecnico-produttive ed organizzative che lo inducono a
circoscrivere la soppressione allo specifico reparto o unità organizzativa
territoriale».
Solo ricorrendo tali condizioni può – a nostro avviso –
risultare condivisibile quell'orientamento della Cassazione (20) secondo
cui: «…la
comparazione dei lavoratori da avviare alla mobilità può essere effettuata
avendo riguardo soltanto ai lavoratori addetti al settore o al ramo
interessato dalla chiusura o dalla ristrutturazione e non a quelli
dell’intero complesso organizzativo e produttivo, soltanto
qualora si accerti che questi riguardano effettivamente in via esclusiva
detto settore o ramo d’azienda ed esauriscano in tale ambito i loro
effetti, non sussistendo inoltre in esso professionalità suscettibili di
utilizzazione nel settore o nel ramo nel quale l’attività viene mantenuta».
Infatti, si sostiene che, restringendo acriticamente la soppressione
al singolo reparto, si potrebbero legittimare operazioni di espulsione degli
"sgraditi" all'azienda che potrebbe averli astutamente trasferiti
nello stesso, aggirando così il controllo sull'imparzialità della scelta.
Ed in tal senso si è espressa Cass
sez. lav. n. 10383 del 4 novembre 1997, cit., secondo cui: «In
tema di licenziamenti collettivi, ai fini dell'applicazione dei criteri di
scelta dettati dall'art. 5, l. n. 223 del 1991, la comparazione dei
lavoratori da avviare alla mobilità deve avvenire, a meno che il
progetto di ristrutturazione si riferisca in modo esclusivo ed esaustivo ad
uno dei settori dell'azienda, nell'ambito dell'intero complesso
organizzativo e produttivo ed in modo che concorrano lavoratori di analoghe
professionalità (ai fini della loro fungibilità) e di similare livello,
rimanendo possibile una deroga a tale principio solo in riferimento a casi
specifici ove sussista una diversa e motivata esigenza aziendale. In caso
contrario sarebbe possibile finalizzare i criteri di scelta (eventualmente
in collegamento con preventivi spostamenti del personale) ad esigenze
imprenditoriali non esclusivamente tecnico produttive e all'espulsione di
elementi non graditi al datore di lavoro, senza concrete possibilità di
difesa da parte degli interessati».
Ma
a parte questa osservazione va rilevato che il criterio della concentrazione
sul singolo reparto finirebbe col privilegiare la scelta aziendale (cioè le
esigenze tecnico-produttive ed organizzative) a scapito degli altri criteri
di cui alla legge (carichi di famiglia ed anzianità).
Quanto abbiamo detto trova conferma nell’orientamento
giurisprudenziale più recente, esplicitato in maniera autorevole e diffusa
da Cass. 24 gennaio 2002 n. 809 (21) secondo cui: «
La delimitazione dell'ambito di applicazione dei criteri dei lavoratori da
porre in mobilità è dunque consentita solo quando dipenda dalle ragioni
produttive ed organizzative, che si traggono dalle indicazioni contenute
nella comunicazione di cui al terzo comma dell'art. 4, quando cioè gli
esposti motivi dell'esubero, le ragioni per cui lo stesso non può essere
assorbito, conducono coerentemente a limitare la platea dei lavoratori
oggetto della scelta (cfr. nello stesso senso Cass., 26 settembre 2000, n.
12711; Cass., 18 novembre 1997, n. 11465; Cass., 10 giugno 1999, n. 5718).
Per
converso non sembra invece potersi riconoscere, in tutti i casi, una
necessaria corrispondenza tra il dato relativo alla «collocazione del
personale» indicato dal datore nella comunicazione di cui all'art. 4 e la
precostituzione dell'area di scelta. Il datore infatti segnala la
collocazione del personale da espungere (reparto, settore produttivo, ecc.),
ma ciò non comporta automaticamente che l'applicazione dei criteri di
scelta coincida sempre con il medesimo ambito e che i lavoratori interessati
siano sempre esclusi dalla covalutazione con tutti gli altri, giacché
ogni delimitazione dell'area di scelta è soggetta alla verifica giudiziale
sulla ricorrenza delle esigenze tecnico produttive ed organizzative che la
giustificano. A mero titolo esemplificativo si può rilevare che ove
il datore, nella comunicazione di cui all'art. 4, indicasse che tutto il
personale in esubero è collocato all'interno di un unico reparto, essendo
solo questo oggetto di soppressione o di ristrutturazione, non sarebbe
giustificato limitare l'ambito di applicazione dei criteri di scelta a
quegli stessi lavoratori nel caso in cui svolgessero mansioni assolutamente
identiche a quelle ordinariamente svolte anche in altri reparti, salva la
dimostrazione di ulteriori ragioni tecnico-produttive ed organizzative
comportanti la limitazione della selezione.
Ed
ancora, quando la riduzione del personale fosse necessitata dall'esistenza
di una crisi che induca di ridurre genericamente i costi, non vi sarebbe,
quanto meno in via teorica, alcun motivo di limitare la scelta ad uno dei
settori dell'impresa, e quindi la selezione andrebbe operata in relazione al
complesso aziendale.-(omissis)-
La
legge n. 223 del 1991, com'è noto, delinea una complessa procedura, che ha
origine con la comunicazione di inizio della procedura di mobilità
(prescritta dal terzo comma dell'art. 4) con la quale vengono enunciate dal
datore le esigenze dell'impresa; in essa vanno infatti indicati, oltre ai
motivi che hanno dato luogo all'esubero, "il
numero, la collocazione aziendale, i profili
professionali del personale eccedente”. Ne discende che nella
comunicazione del datore il numero e la collocazione aziendale del personale
da porre in mobilità devono essere in essenziale connessione con gli altri
elementi che pure vanno indicati, ossia con le ragioni che hanno determinato
l'esubero e con le ragioni che rendono inevitabile l'espulsione. Nel
contempo la comunicazione deve fare integrale astrazione da ogni elemento
che valga ad individuare direttamente le "persone" da espungere.
Non
è casuale il riferimento che il datore deve fare ai "profili
professionali", perché questi, in maniera più precisa rispetto agli
inquadramenti nelle varie categorie contrattuali, sono in grado di dare
contezza delle mansioni svolte nell'ambito delle varie articolazioni
produttive, permettendo così la verifica della loro connessione con
l'indicato processo di crisi, ovvero di ristrutturazione.
…Chiusa la prima fase (con l'accordo sindacale sulla esistenza e sul
numero degli esuberi), si passa alla seconda fase, nella quale, dai dati
astratti enunciati dal datore, occorre poi passare alla individuazione in
concreto delle persone da collocare in mobilità. A tal fine l'art. 5 della
medesima legge prospetta una sorta di "procedura concorsuale" tra
i lavoratori, da seguire o con i criteri dettati dai contratti collettivi,
ovvero con i criteri di legge e cioè carichi di famiglia, anzianità ed
esigenze tecnico produttive. I primi due criteri tendono a far cadere la
scelta sul lavoratore più forte sul mercato del lavoro, affinché i
licenziamenti abbiano il minore costo sociale possibile, e ciò sarà tanto
più conseguibile quanto più si amplia la platea dei soggetti a cui
applicare i criteri stessi. Ma prima ancora di passare alla fase del
concorso va verificata la legittimità di una applicazione dei criteri
circoscritta ad un ambito più limitato rispetto al complesso aziendale a
cui la norma fa riferimento, perché questa è operazione estremamente
delicata, essendo indubbio che una indebita restrizione della selezione
varrebbe ad alterare profondamente il corretto meccanismo di operatività
dei criteri medesimi…Dunque in via preliminare la delimitazione del
personale "a rischio" si opera in relazione a quelle esigenze
tecnico produttive ed organizzative che sono state enunciate dal datore con
la comunicazione di cui al terzo comma dell'art. 4; è ovvio infatti che,
essendo la riduzione di personale conseguente alla scelta del datore sulla
dimensione quantitativamente e qualitativamente ottimale dell'impresa per
addivenire al suo risanamento, dalla medesima scelta non si può prescindere
quando si voglia determinare la platea del personale da selezionare.
Ma
va attribuito il debito rilievo anche alla previsione testuale della norma
per cui le medesime esigenze tecnico produttive devono essere riferite al
"complesso aziendale"; ciò in forza di una duplice ragione: una
è quella, già ricordata, per cui l'intendimento di espungere dall'azienda
i lavoratori più forti è meglio conseguibile ampliando al massimo l'area
in cui operare la scelta; l'altra è quella di approntare una ulteriore di
garanzia contro il pericolo di discriminazioni a danno del singolo
lavoratore, in cui tanto più facilmente si può incorrere quanto più si
restringe l'ambito della selezione.
D'altra parte sarebbe incongruo che quest'ambito venisse già predeterminato
dalla legge, perché ciò varrebbe indebitamente a presupporre una assoluta
e generalizzata incomunicabilità tra parti o settori dell'impresa».
3.2.
I criteri di scelta; la pubblicità della ponderazione, la pluralità delle
graduatorie.
Supponendo la carenza di accordi aziendali in ordine ai criteri di
scelta - che, secondo dottrina (22) non dovrebbero essere confliggenti con
quelli legali, ma meramente specificativi degli stessi
o razionalmente e motivatamente derogativi (cfr. Corte cost. n.
268/’94) - il datore di lavoro deve applicare quelli previsti all'art. 5,
1° co., L. n. 223/’91. Secondo
una decisione giurisprudenziale (23) - sufficientemente
convincente poiché adatta alla fattispecie dei licenziamenti
collettivi l'orientamento
consolidatosi in tema di ordine di prevalenza dei criteri, contrattualmente
prefigurati, di scelta per le promozioni
per merito comparativo - l'ordine legale in cui i criteri sono
enunciati non è casuale ma, all'opposto, indicativo di una prevalenza del
"fattore carichi di famiglia su tutti gli altri e del fattore anzianità
- da intendersi non come età anagrafica ma come anzianità di servizio
nella stessa azienda (24) -
rispetto all'esigenza aziendale del maggior rendimento del lavoratore"(25).
Poiché da parte di dottrina e giurisprudenza si sostiene,
correttamente, l'esigenza che la scelta dei licenziandi consegua da una
graduatoria a strutturare la quale concorrono, in mancanza di quelli
contrattuali, i criteri legali precitati, cui l'azienda deve aver conferito
una discrezionale ma razionale ponderazione (26) - da rendere previamente
nota alle R.S.A. per ragioni di trasparenza (27) - si ritiene che dovrebbe
procedersi nel seguente modo: ipotizzato un ordine di "gerarchia"
decrescente, direttamente conseguente all'ordine di menzione dei fattori
legali, si potrebbe attribuire un punteggio variabile fino a 25 alle
esigenze tecnico-produttive ed organizzative, un punteggio a partire da 25
in su, per l'anzianità, maggiorabile
di un'unità per ogni anno di anzianità di servizio (fino ad un massimo di
65 per 40 anni di servizio in azienda) ed un punteggio a partire da 65 in su
per i carichi di famiglia (maggiorabile di 3 unità per ciascun carico
familiare oltre il primo). Ne consegue, nell'esempio soprariferito, che un
dipendente che ha 2 carichi familiari, 25 anni di anzianità di servizio e
risponde "mediamente" alle esigenze aziendali, avrà un punteggio
in graduatoria pari a 133,5 (12,5 per le esigenze aziendali + 50 per
anzianità di servizio + 71 per carichi familiari). Analogamente si procederà
per gli altri lavoratori destinati a confrontarsi nelle graduatoria, che
conferirà esclusione dal licenziamento per coloro che hanno un punteggio più
elevato fino alla concorrenza del numero predeterminato dei licenziandi.
Chiaramente le graduatorie andranno fatte distintamente per omogenee
mansioni (o funzioni) fungibili e comparabili di cui si è decisa la
parziale soppressione (es. una graduatoria per i contabili, una per gli
analisti finanziari, una per i promotori d'affari, ecc., nell'azienda di
servizi; una per gli
elettricisti, una per i manutentori, nell'azienda
industriale, ecc.) di tutte le unità produttive o reparti che occupano
lavoratori in posizioni sottoposte alla parziale contrazione. Le graduatorie
dovranno essere distinte anche per "sesso" (una per gli uomini ed
una per le donne (28), in quanto a seguito della L. n. 236/1993 (art. 6,
comma 5 bis) è stato introdotto, per la fase risolutiva del rapporto, il
divieto di "discriminazione indiretta" (mutuato dalla L. n.
125/1991, sulle pari opportunità) che ha imposto un'aggiunta all'art. 5, 2°
co., secondo cui nella
individuazione dei licenziati deve essere mantenuto l'equilibrio
proporzionale esistente tra lavoratori e lavoratrici "con
riguardo alle mansioni prese in considerazione" per la parziale
soppressione (29).
Nella scelta, per effetto dell'art. 5, 2° comma, deve essere
salvaguardata altresì la proporzione degli invalidi presenti in azienda.
In linea con quanto esposto si è espressa Cass.,
sez. lavoro, dell’ 8 gennaio.2003 n° 86 (30) secondo cui:«In materia di licenziamenti collettivi di cui alla legge 23 luglio 1991
n. 223 la indicazione delle modalità con cui sono stati applicati i criteri
di scelta, rispondendo all'esigenza di consentire ai sindacati, ed al
giudice, un sollecito ed immediato controllo, evitando che l'imprenditore
possa, ex post, giustificare le sue scelte in relazione a quanto sostenuto
dai lavoratori in sede contenziosa, presuppone necessariamente la
evidenziazione della valutazione comparativa fra tutti i dipendenti
nell'ambito dei quali la scelta va operata, così
da permettere una vera e propria graduatoria derivante dal raffronto fra
tutti i lavoratori interessati al provvedimento espulsivo, in relazione
ai quali è intervenuta la scelta, onde consentire di verificare come e
perché i lavoratori licenziati siano stati scelti,
dovendosi osservare che in assenza della suddetta comparazione, la
comunicazione si riduce ad un inutile rituale, non consentendo di
verificare, nel rispetto della finalità della previsione normativi, in
esame, la effettiva e corretta applicazione dei criteri di scelta
integrando pertanto violazione dell’art. 4 c. 9.” (Cfr.
Cass. 4685 del 27/5/1997; Cass. 5718 del 10/6/1999).
3.3.
I criteri convenzionali per l’accesso al Fondo esuberi del credito.
Nel
settore creditizio, privo dell’ammortizzatore sociale della Cassa
Integrazione ed ove si è provveduto alla costituzione di apposito «Fondo
di solidarietà per il sostegno del reddito, dell’occupazione e della
riconversione e riqualificazione professionale» – tramite l'art. 9
dell'Accordo Quadro del 28.2.1998 (ora
rifluito nell’art. 8 dell’ approvato
D.Interministeriale 28.4.2000 n. 158) - si sono convenuti criteri
pattizi (prevalenti su quelli di legge, relegati dall'art. 5 della
medesima in un ruolo di sussidiarietà rispetto alle convenzioni
raggiunte in sede sindacale) per l'individuazione dei lavoratori destinatari
dei licenziamenti collettivi al riscontro di esuberi conseguenti a processi
di crisi aziendali o di ristrutturazione.
E'
stato stabilito che saranno prioritariamente licenziabili: a) i lavoratori
che sono in possesso dei requisiti per la pensione di anzianità o vecchiaia
e, successivamente: b) quelli più prossimi alla maturazione del
diritto a pensione a carico dell'Assicurazione generale obbligatoria (ovvero
in possesso di maggiore età anagrafica)
In
ciascuno dei casi sub a) e b)
sopradelineati, sarà favorito – in via preliminare – il criterio della
“volontarietà” che tuttavia opera esclusivamente nel caso in cui il
numero dei lavoratori in possesso dei suddetti requisiti sia superiore al
numero degli esuberi, per cedere alla “obbligatorietà”
dell’espulsione qualora invece il numero degli esuberi sia superiore ai
destinatari della volontarietà, nel qual caso viene introdotto il criterio
– a parità di età
anagrafica o di prossimità alla pensione – dei carichi di famiglia, con
priorità d’uscita per quelli meno gravati sul piano dei carichi
familiari.
Come
si può agevolmente desumere, il criterio dell'anzianità aziendale è stato
completamente svalutato, assumendo anzi caratteristiche di negatività,
essendo prevalse le esigenze aziendali dello "svecchiamento"
coniugatesi con l'attuale difficoltà giovanile di ricollocazione su un
mercato in condizioni stagnanti (che peraltro non risparmia né è più benevolo per i più anziani), secondo una linea
di tendenza già affermatasi nella pratica e nel settore industriale e che
ha ricevuto legittimazione sia dalla Corte costituzionale (n. 268/1994) sia
successivamente dalla Cassazione ad opera della decisione n. 13691 del 7
dicembre 1999 (31).
4.
Le comunicazioni agli Organi amministrativi ed ai lavoratori licenziati.
Una volta comunicata, anche con una sintetica allegazione alla
lettera di licenziamento, la metodologia di ponderazione dei criteri legali
per i licenziamenti, al lavoratore potrà essere inoltrata una lettera in
cui, riassunti i motivi determinativi dell'esuberanza di personale, gli si
comunica il recesso con preavviso dal rapporto di lavoro, a seguito
dell'applicazione dei criteri legali di scelta (preventivamente ponderati
secondo valori aritmetici resi noti per affissione negli albi aziendali) che
hanno implicato la sua collocazione in graduatoria tra le posizioni
sopprimibili. Gli si porterà a conoscenza che - come da disposizioni di
legge - un'informativa più articolata e comparativamente globale è stata
fornita contestualmente, ex art. 4, 9° co., agli Organi amministrativi e
alle associazioni sindacali di categoria, a cui potrà rivolgersi nel caso
di esigenza di ulteriori chiarimenti, in ragione del loro ruolo
rappresentativo degli interessi dei lavoratori.
Correttamente la dottrina esclude che i lavoratori siano destinatari
delle informazioni più capillari e particolareggiate - di cui al 9° co.,
dell'art. 4 - da inoltrare per
iscritto e contestualmente (32) all'Ufficio Regionale del lavoro, alla
Commissione regionale per l'impiego e alle associazioni sindacali di
categoria.
Com'è noto tali comunicazioni - devono contenere " l'elenco dei lavoratori oggetto del licenziamento collettivo, con
l'indicazione per ciascun soggetto del nominativo, del luogo di residenza,
della qualifica, del livello di inquadramento, dell'età, del carico di
famiglia nonché puntuale indicazione delle modalità con le quali sono
stati applicati i criteri di scelta di cui all'art. 5, 1° co”. (33).
Se di tali informazioni sono destinatari i sindacati di categoria e
gli Organi amministrativi, una certa dottrina tende a non precluderle al
lavoratore stesso, asserendo che "relativamente
ad esso deve ritenersi applicabile l'art. 2 L. n. 604/1966 - cioè la
richiesta entro 15 giorni e l'obbligo datoriale di risposta scritta entro 7
giorni - ed il lavoratore, una volta ricevuta la comunicazione del recesso
può richiedere i motivi della scelta caduta su di lui ossia la copia della
comunicazione fatta ai soggetti previsti dalla legge". La posizione
è tuttavia non accolta dalla giurisprudenza della Cassazione la quale
ritiene che ai singoli non spetti la motivazione della scelta e la
cognizione dei criteri, potendo documentarsi presso gli Organismi pubblici o
le OO.SS. In effetti quest’ultima tesi dottrinaria
seppur improntata ad
impostazione razionale e democratica, in quanto non sorretta da dati
normativi specifici, potrebbe dirsi ispirata
solo da “favor operari”.
5.
Il regime delle sanzioni.
L'art. 5, al 3° comma, prevede il regime sanzionatorio dei
licenziamenti illegittimamente disposti. Il recesso intimato oralmente è
inesistente ed il lavoratore, in fattispecie, non ha neppure l'onere
dell'impugnativa. Va invece impugnato - nel termine di 60 giorni di cui
all'art. 6 L. n. 604/1966 - il licenziamento che risulti inefficace per
asserita violazione dei criteri di scelta, erroneamente applicati.
Il giudice che accerti l'inefficacia o l'annullabilità dei
licenziamenti deve disporre, ai sensi dell'art. 18 della L. n. 300/'70 come
modificata dalla n. 108/1990, la reintegrazione nel rapporto ed il
risarcimento dei danni. Va ancora menzionato che, ai sensi dell'art. 17 L.
n. 223/'91, qualora i licenziamenti risultino viziati per violazione dei
criteri di scelta e ne segua la reintegrazione ex art. 18 L. n. 300 (34), la
legge n. 223 ha conferito all'imprenditore la facoltà di "procedere
alla risoluzione - sempre nel rispetto dei criteri di scelta di cui all'art.
5, 1° co., - del rapporto di un numero di lavoratori pari a quello dei
lavoratori reintegrati, senza dover esperire una nuova procedura, ma dandone
comunicazione alle Rappresentanze sindacali aziendali”.
6.1.Indennità
di mobilità da Cigs:
Si
parla di mobilità quando interviene il licenziamento del lavoratore, spesso
in seguito a un periodo di Cassa integrazione straordinaria, quando le
imprese che hanno beneficiato della CIGS non riescono, per motivi tecnici o
produttivi, a reinserire tutti i lavoratori sospesi; il personale eccedente
viene licenziato e l'impresa avvia la procedura di mobilità. I lavoratori
inseriti nelle liste di mobilità acquisiscono il diritto ad una indennità,
nel caso in cui abbiano una anzianità aziendale di almeno 12 mesi e
abbiano un contratto continuativo a tempo indeterminato. Le aziende sono
incentivate ad assumerli attraverso agevolazioni contributive. La durata del
trattamento è di 12 mesi prolungabili a 24 o 36 nel
caso di lavoratori che abbiamo raggiunti rispettivamente 40 o 50 anni di età.
Per questi lavoratori, nel Mezzogiorno e nelle aree svantaggiate la durata
massima viene elevata a 24, 36 e 48 mesi. Il lavoratore
viene cancellato dalle liste di mobilità, qualora rifiuti l'iscrizione a un
corso di formazione professionale o un lavoro equivalente al precedente con
una retribuzione non inferiore del 10%, un impiego di pubblica utilità, o
qualora non comunichi all'Inps un impiego a tempo parziale o a tempo
determinato. La competenza in materia di mobilità è dell'INPS.
Per
i primi 12 mesi:
100% del trattamento di Cassa integrazione straordinaria percepito o
che sarebbe spettato nel periodo immediatamente precedente il licenziamento,
nei limiti di un importo massimo mensile.
Per
i periodi successivi:
80% del predetto importo.
In
ogni caso l'indennità di mobilità non può superare un importo massimo
mensile determinato di anno in anno, importo che dal 1° gennaio 2003 è di
€ 791,21 lorde mensili (netto € 747,38), elevato a € 950,95 lorde
mensili (netto € 898,27) per i lavoratori che possano far valere una
retribuzione lorda mensile superiore a € 1.711,71.
L'indennità
è pagata ogni mese dall'INPS direttamente al lavoratore ed è sospesa
quando l'interessato è assunto con contratto a tempo determinato o a tempo
parziale.
6.2.
Assegno di accompagnamento alla pensione per esuberi nel settore credito (D.IM.
n. 158/2000):
Gli
assegni straordinari per il sostegno del reddito sono erogati dal Fondo
Esuberi, per un massimo di 60 mesi nell'ambito del periodo di cui al comma 2
(nell’ambito cioè di un periodo di 10 anni, n.d.r.), su richiesta
del datore di lavoro e fino alla maturazione del diritto a pensione di
anzianita' o vecchiaia a carico dell'assicurazione generale obbligatoria, a
favore dei lavoratori che maturino i predetti requisiti entro un periodo
massimo di 60 mesi, o inferiore a 60 mesi, dalla data di cessazione del
rapporto di lavoro.
Nei
casi di cui all'articolo 5, comma 1, lettera b), il Fondo eroga un assegno
straordinario di sostegno al reddito il cui valore e' pari:
a) per i lavoratori che possono conseguire la pensione di anzianita' prima
di quella di vecchiaia, alla somma dei seguenti importi:
1) l'importo netto del trattamento pensionistico spettante
nell'assicurazione generale obbligatoria con la maggiorazione dell'anzianita'
contributiva mancante per il diritto alla pensione di anzianita':
2) l'importo delle ritenute di legge sull'assegno straordinario.
b) per i lavoratori che possono conseguire la pensione di vecchiaia prima di
quella di anzianita', alla somma dei seguenti importi:
1) l'importo netto del trattamento pensionistico spettante
nell'assicurazione generale obbligatoria con la maggiorazione dell'anzianita'
contributiva mancante per il diritto alla pensione di vecchiaia;
2) l'importo delle ritenute di legge sull'assegno straordinario
Alle
prestazioni di cui all'articolo 5, comma 1, lettera a), punto 2) e lettera
b), nell'ambito dei processi di cui all'articolo 2 del D.IM n. 158/2000,
possono accedere anche i dirigenti, ferme restando le norme di legge e di
contratto applicabili alla categoria.
Gli
assegni straordinari di sostegno al reddito sono incompatibili con i redditi
da lavoro dipendente o autonomo, eventualmente acquisiti durante il periodo
di fruizione degli assegni medesimi, derivanti da attivita' lavorativa
prestata a favore di altri soggetti, ad esempio banche, concessionari della
riscossione, altri soggetti operanti nell'ambito creditizio o finanziario,
ivi compresi quelli operanti nel campo degli strumenti finanziari, nonche'
dei fondi comuni e servizi di investimento, che svolgono attivita' in
concorrenza con il datore di lavoro presso cui prestava servizio
l'interessato (cfr. sulla ratio dell’incompatibilità e relativa
nozione : messaggio Inps 17 febbraio 2004 n. 4376, in Guida la lavoro,
204, n. 10, p.79, secondo cui la concorrenza va intesa in senso stretto, in
attività in proprio o a favore di terzi che siano in condizioni di
aggravare la situazione di crisi del precedente
datore di lavoro, escluse quindi le prestazioni in consociate o collegate
del medesimo).
Roma,
31 marzo 2004
Mario
Meucci
NOTE
1.
Pera, I
licenziamenti collettivi, in Giust.
civ. 1992,II, 208 e ss.
2.
D'Antona, Commento
alla legge n. 223/1991, in Nuove
leggi civ.comm., 1994,926.
3. La legge, inoltre, sembra aver considerato anche l'ipotesi della
riduzione di personale alla quale non consegue un pari ridimensionamento
dell'attività dell'impresa, così come era stato
in precedenza ritenuto dalla Corte di Cassazione.
4.
In
Lav. Prev. Oggi, 1997, n. 4, 839,
ed ivi con nota di Meucci
a pag. 855.
5.
In Not. giurisp. lav. 1997,
415.
6. L'indicazione di tali
impedimenti è pretesa dalla dottrina e dalla giurisprudenza. V. in tal
senso, Rendina, In tema di procedura
di mobilità e licenziamenti collettivi, ecc., in Mass.giur.
lav. 1993,493 e 495. La mancanza dell'indicazione delle ragioni ostative
così come la violazione della procedura prevista all'art. 4, comma 9°,
della legge n. 223/'91 determina
l'inefficacia dei licenziamenti. In
tal senso, Cass. sez. un.
11.5.2000,
n. 302 ( Pres. Vela, est. Prestipino);
Cass. 9.11.1998, n. 11263; Cass. 21.7.1998, n. 7169 e Cass. 1.7.1998, n.
6448, entrambe in Mass. giur. lav.
1998, 692; Cass. 22.4.1998, n. 4121, ibidem
1998, 447; Cass. 23.9.1998, n. 9541 e Cass. 17.4.1998, n. 3922 (entrambe
inedite, a quanto consta); Cass. 17.1.1998, n. 419,
ibidem 1998, Mass. Cass.,
28, n. 88; Cass. 30.10.1997, n. 10716, in Lav.
giur. 1998, 623; Cass. 11.3.1997, n. 2165, in Mass.
giur. lav. 1997, 432; Cass. 27.5.1997, n. 4685, ibidem
1997, 632; Cass. 26.7.1996, n. 6759, ibidem
1996, 788. Conf.
anche la giurisprudenza di merito, tra cui,
Pret. Milano 4.5.1998, in D&L,
Riv. crit. dir. lav. 1998, 939;
Trib. Milano 11.10.1997, in Lav. giur.
1998, 328; Pret. Milano 4.7.1997, in D&L,
Riv. crit. dir. lav. 1998, 95, Pret.Padova 22.1.1997, in Or.
giur. lav. 1997, 200; Pret. Milano 6.8.1996, in D&L,
Riv. crit. dir. lav. 1997,88, ecc.
7.
Conf. Pret. Napoli 19.5.1992,
in D&L 1992,857; Pret. Milano
3.2.1993, ibidem 1993,534; Pret.
Milano 1.10.1992, ibidem 1993,88;
Pret. Milano 29.6.1992, in Riv. it.
dir. lav. 1993,II, 106 con nota di Scarpelli.
8.
Si rinvia, al riguardo, alle
decisioni citate in nota 6.
9.
Cass. 30.10.1997, n. 10716, cit.
10.
In Diritto e giustizia, 2002, fasc. n. 6.
11.
Cfr. punto 2) del testo.
12. Così D'Antona, op. cit. 919; Pera, op.cit., 213. Circa la natura
della dequalificazione, nel contesto della riduzione degli esuberi, si
segnalano Pret. Milano 12.5.1992 ( in D&L
1992,929), Pret. Milano
11.8.1992 (ibidem 1993,667) e Pret.
Milano 27.5.1993 ( ibidem
1994,133) che hanno escluso che la dequalificazione possa spingersi al punto
di trasformare "impiegati" in "operai", giacché tale
declassamento avrebbe l'effetto di derogare non già all'art. 2103 c.c. ma
all'art. 2095 c.c., posto che la divisione dei lavoratori dipendenti tra
"operai" ed "impiegati" non ha come riferimento il
livello di professionalità (oggetto dell'art. 2103 c.c.) ma si situa ad un
livello diverso e superiore qual'è quello del tipo di collaborazione con
l'imprenditore.
13.
D'Antona, op.cit., 919.
14.
In Orient. giur.
lav., 2000, I, 1015; in Rep. Foro. It. 2001, Lavoro (rapporto)
[3890], n. 1557.
15.
Conf. Vallebona, Il
licenziamento collettivo per riduzione di personale, in Mass.
giur. lav. 1992,433, che nota come " trattandosi di un dovere di
consultazione e non di un obbligo a contrarre, l'imprenditore non è tenuto
ad accogliere le istanze sindacali, che può legittimamente rifiutare, in
tutto o in parte, nè a concludere un accordo, potendo alla fine della
procedura effettuare comunque i necessari licenziamenti (ar. 4, 9° co.).
16.
Corte cost. 30.6.1994 n. 268
può leggersi in Not. giurisp. lav.
1994, 395; conf. Cass. 7.12.1999,
n. 13691.
17. Così Cass. 4 novembre
1997, n. 10832 in Not. giurisp. lav., 1997, 794 ;Pret. Milano
16.7.1993, in D&L 1994,89; Pret. Busto Arsizio 18.10.1993, in Mass.
giur. lav. 1993,493; Trib. Milano 22.12.1993, in D&L
1994,532.
18. In tal senso Liso, op.cit.,
n.18,p.11;Pera, op.cit., 213; Vallebona, op.cit., 434. L'allargamento del
"raffronto" all'intera azienda implicherebbe- secondo Liso - un
fenomeno di "trasferimenti a cascata " tra lavoratori fungibili,
di difficile gestione pratica.
19.
Così D'Antona, op.cit., 934; Mazzotta, I
licenziamenti, Commentario, Milano 1992,640; Alleva, Esuberanza e mobilità della forza lavoro, ecc., Roma, 1991,172.
Sostanzialmente conforme Cass. 9.6.1993 n. 6418, in Mass. giur.lav. 1993,484 nonchè Pret. Milano 18.4.1989, in Or.giur.
lav. 1989,769, Trib. Milano 11.7.1990, ibidem
1990,127, secondo cui " i criteri di scelta sono criteri di graduazione
e di confronto che, a parità di valenza professionale, devono investire
l'intera azienda quando il
ridimensionamento non si palesa locale e strutturale ma meramente
numerico"; conf. Trib. Milano 22.12.1993,cit.
20.
Cfr. Cass. 10 maggio 2003, n.
7169; Cass. 29.12.1998, n. 12879, in Mass.
giur. lav. 1999, 288; Cass. 4.11.1997, n. 10832, in Riv. crit. dir.
lav., 1998, 366.
21.
Cass. 24 gennaio 2002 n. 809, in Not. giurisp. lav. 2002, 233)
22.
Pera, op.cit., 214.
23.
Pret. Bologna 6.4.1992, in Riv.
it. dir.lav. 1992,II,1012, con nota di Guaglione.
24.
Conf. D'Antona, op.cit., 932; Del Punta, I
criteri di scelta dei lavoratori nei licenziamenti collettivi,ecc., in Giorn.dir.lav.rel.ind.
1993, 792; in giurisprudenza, nello stesso senso, Cass. 18.1.1986 n. 324;
contra: Zoli, La tutela delle
posizioni strumentali del lavoratore, Milano 1988, 277.
25.
La conclusione della priorità
delle esigenze sociali rispetto a quelle produttive aziendali - accolta
dalla L. n. 233, tramite l’ordine
assegnato ai fattori - è del tutto in armonia con la giurisprudenza
della stessa S.corte che ha sempre riconosciuto una prevalenza al fattore
delle “esigenze tecniche e produttive” nel contesto dell’A.I. 5.5.1965
che conferiva giustappunto a quest’ultimo un ordine formale di priorità
nella formulazione pattizia, rispetto all’anzianità ed ai carichi di
famiglia (cfr. in questo senso, da ultimo, Cass. 15 luglio 1995 n. 7708, in Riv.
it. dir. lav. 1996, II, 424 con nota di Franco). Quest’ultimo autore
accede alla nostra tesi interpretativa, affermando che il diverso ordine di
priorità, con preferenza per le esigenze sociali, effettuato dalla L. n.
233, porterebbe alla conclusione opposta a quella sostenuta dalla pregressa
giurisprudenza, in presenza dell’opposto ordine conferito ai fattori
dall’A.I del 1965. “Sembra esservi spazio - sostiene l’A. - per una
soluzione che riconosca un’efficacia precettiva all’ordine di priorità
dei criteri di scelta stabilito dal legislatore, senza per questo
pregiudicare la tutela dell’interesse dell’impresa”. Infatti se si
pensa che i criteri legali sono residuali rispetto ad eventuali criteri
sindacali, pattiziamente concordabili, “là dove il datore di lavoro
ritenga che l’obbligo di rispettare quest’ordine di priorità conduca ad
un risultato comunque non in linea con l’obbiettivo del risanamento
dell’azienda, può sempre ricercare una soluzione negoziale, che
stabilisca (ad esempio) un diverso ordine nell’applicazione dei criteri di
scelta, così da affidare alla tipizzazione convenzionale, invece che a
quella legale, la determinazione del ‘costo sociale’ che il datore di
lavoro è chiamato a sopportare per poter
licenziare”.
26.
Così Pret. Milano 16.6.1993, in D&L
1994,86;Trib. Milano 22.12.1993, ibidem
1994,532; Pret. Milano 10.11.1993, in Or.
giur.lav. 1993,969 che richiede che si giunga ad una graduatoria sulla
base di una "griglia" che dia conto della correttezza delle scelte
effettuate.
27.
Così si desume dalle
decisioni soprariferite in nota 18.
28.
Conf. D'Antona, op.cit., 936
per cui : «I criteri di scelta ...dovranno essere quindi applicati a liste
distinte per sesso, in modo da arrivare ad un risultato bilanciato tra i due
gruppi. Con la conseguenza che, soprattutto dove la percentuale femminile è
bassa e le mansioni omogenee, lavoratrici con minore anzianità e carichi di
famiglia di lavoratori con mansioni uguali, potranno risultare di molto
preferite stante la necessità di salvaguardare l'equilibrio della quota» .
29.
L'aggiunta così dispone:
" L'impresa non può altresì
collocare in mobilità una percentuale di manodopera femminile superiore
alla percentuale occupata, con riguardo alle mansioni
prese in considerazione".
30.
Inedita allo stato.
31.
In Foro it., 2000, I, 2842.
32.
Secondo Pret. Perugia 12.12.1992, in Or.
giur. lav. 1993,735, "contestuale" non
comporta "contemporaneità"
di inoltro delle comunicazioni, ma significherebbe inclusione
della comunicazione di recesso al lavoratore e delle comunicazioni agli
Organi amministrativi nello stesso
documento, da inviare sia al lavoratore sia agli Organi innanzi citati.
33.
Così D'Antona, op.cit., 935.
34.
Per fattispecie concrete, si rinvia ai casi decisi dalle sentenze
riferite alla nota 6.