Sommario:
1.
Il
preavviso come istituto nell’interesse della parte che subisce il
recesso
2.
Efficacia “reale” del preavviso. Conseguenze
3.
Rinunziabilità al preavviso lavorato solo dalla parte che subisce
l’iniziativa del recesso
4.
Intimazione del preavviso solo dopo il conseguimento dell’età per la
pensione di vecchiaia
5. Riflessi pensionistici dell’indennità sostitutiva del preavviso (in luogo del preavviso effettivamente lavorato);
6.
Sospensione del decorso del preavviso per intervenuta malattia
*****
1.Il preavviso come istituto nell'interesse della parte che subisce il recesso.
La
nostra legislazione lavoristica ha previsto che la maggior parte dei
casi di risoluzione del rapporto di lavoro sia accompagnata
dall'istituto del preavviso. Infatti ad eccezione delle ipotesi di:
a)
recesso per giusta causa ex art. 2119 c.c. (cioè per evento o
comportamento che non consente la prosecuzione neppure provvisoria del
rapporto e che, pertanto, non ammette preavviso);
b)
risoluzione consensuale o convenuta ad una certa data o età,
quest'ultime funzionanti quali cause di risoluzione automatica del
rapporto ed, al tempo stesso, garanti di una stabilità relativa (alle
quali non sono assimilabili, pacificamente, le ipotesi di libero
recesso, ex art. 4, 2° co., L. n 108/'90 a carico della lavoratrice
ultrasessantenne, in possesso dei requisiti pensionistici (60 anni) che
non si sia avvalsa del diritto di opzione, per la protrazione fino al
massimo dei 65 anni, a norma della legislazione in tema di prosecuzione
del rapporto);
tutte le altre forme di recesso, sia ad nutum (ex art. 2118 c.c. e art. 4, comma 2, L. n. 108/'90) sia per giustificato motivo (ex art. 3 L. n. 604/'66) debbono essere caratterizzate dall'intimazione del preavviso, ad iniziativa della parte recedente. Il preavviso assolve ad una specifica funzione: quella di "attenuare le conseguenze pregiudizievoli dell'improvvisa cessazione dei rapporto per la parte che subisce l'iniziativa del recesso" (così, per tutte, Cass. 22 luglio 1977, n. 2897). Sebbene sia stata massicciamente affacciato, nella passata giurisprudenza, la tesi secondo la quale il preavviso dovrebbe assolvere ad una funzione contemporaneamente bilaterale e, quindi, dovrebbe soddisfare congiuntamente gli interessi di entrambe le parti del rapporto, prevale esattamente (in dottrina e nella più recente ed autorevole giurisprudenza) l'opinione per cui l'istituto in questione è "imposto nel solo interesse di colui che subisce il recesso, a tutela delle sue legittime aspettative: esso consente al lavoratore licenziato di disporre del tempo necessario per trovare un nuovo lavoro (tant'è che a livello dei principali ccnl sono stati previsti appositi permessi orari, n.d.r.) ed all'imprenditore di evitare che le dimissioni di un dipendente abbiano a turbare l'organizzazione dei lavoro, permettendogli di rimpiazzare adeguatamente e tempestivamente il lavoratore licenziatosi" (rectius, dimessosi, n.d.r.; così, ancora, Cass. n. 2897/1977, cit.).
2.
Efficacia "reale" del preavviso - Conseguenze.
Pertanto essendo finalizzato ad evitare che l'estinzione del rapporto di
lavoro, determinata da un atto discrezionale di una sola delle parti, si
traduca in eccessivo pregiudizio per l'altra, il preavviso si pone come
condizione di liceità del recesso. Nel senso, tuttavia, che in difetto
sorge l'obbligo - a carico della parte recedente senza preavviso - di
corrispondere (ex art. 2118 c.c.) all'altra “una indennità
equivalente alla retribuzione che gli sarebbe spettata per il periodo di
preavviso" non lavorato. Chiaramente il vocabolo "retribuzione" è
stato usato dal legislatore atecnicamente, in via parametrica, e,
quindi, per determinare la misura dell'indennità spettante sia al
lavoratore che al datore di lavoro, cui sia stato intimato il recesso
senza preavviso (rispettivamente per licenziamento e dimissioni).
Va
subito precisato che la sostituzione del preavviso con l'indennità
corrispondente non è stata ritenuta legittima alternativa (nonostante la
piana dizione legislativa) né facoltà azionabile unilateralmente dalla
parte recedente: ciò in considerazione del c.d. "carattere reale" e non
meramente obbligatorio dell'istituto. In buona sostanza è stato
convincentemente asserito che, essendo il preavviso posto nell'interesse
della parte non recedente (c.d. receduta), l'offerta dell'indennità
sostitutiva (in alternativa al preavviso lavorabile) non dà luogo alla
cessazione del vincolo contrattuale, a meno che la parte receduta non
sia consenziente, consenso che può desumersi anche concludentemente per
effetto dell'accettazione incondizionata e senza riserve dell'indennità
in questione
[1].
Qualora la parte receduta non sia disponibile ad accettare la c.d.
monetizzazione del preavviso e la correlativa risoluzione istantanea del
rapporto (poiché ha, ad es., interesse alla sua prosecuzione in vista di
beneficiare di un maturando scatto di anzianità o dei miglioramenti
economici da rinnovo contrattuale), la parte recedente può comunque in
ogni caso rifiutare la prestazione offertale per il periodo di
preavviso, corrispondendo l'indennità sostitutiva, ma, in tal caso, il
rapporto si risolve con l'ultimo giorno di scadenza del preavviso
altrimenti lavorabile. Ne consegue che, considerandosi - agli effetti
delle conseguenze indennitarie - fittiziamente in vita il rapporto (per
tutto il periodo di preavviso che la parte receduta si è dichiarata
interessata ad effettuare in servizio), il lavoratore beneficerà degli
attesi miglioramenti medio tempore sopravvenuti. Essi
naturalmente comporteranno un conguaglio dell'indennità
"provvisoriamente" corrisposta, la quale verrà quindi integralmente
computata nella base per il trattamento di fine rapporto ex art. 2120
(quale novellato dalla L. n. 297/'82), trattandosi di erogazione
latamente retributiva, corrisposta, anche se non corrispettivamente, in
dipendenza del rapporto di lavoro medesimo o comunque alla retribuzione
in tutto assimilabile (per non danneggiare il lavoratore) in quanto
prende il posto, in virtù dell'efficacia reale del preavviso, di un
trattamento corrispettivo che gli è stato impedito di percepire
[2].
Poiché, in costanza di preavviso persistono le reciproche obbligazioni
ed i diritti connessi allo svolgimento del rapporto, ne discende che,
qualora durante il corso dello stesso (in quanto lavorato) si verifichi
un fatto od un comportamento di così rilevante gravità da non consentire
la prosecuzione nemmeno provvisoria del rapporto, il datore di lavoro (o
il lavoratore, a seconda dei casi) potrà recedere per giusta causa ai
sensi dell'art.
2119 c.c. (conf. Cass.
29 aprile 1976, n. 1650). Nell'ipotesi delineata si verifica, pertanto,
la sostituzione ad una precedente forma estintiva (ad es. al recesso per
giustificato motivo con preavviso) di un'altra causale risolutiva (il
recesso per giusta causa). Naturalmente la prospettata teoria
dell'efficacia reale del preavviso (in contrapposizione alla tesi che ne
sostiene la natura di obbligazione alternativa rispetto all'indennità
sostitutiva) non è condivisa pacificamente né in dottrina né in
giurisprudenza
[3]; al momento si può, tuttavia, asserire che sia
ancora quella che ottiene adesioni dal più ampio fronte degli operatori
del diritto, tanto da poter essere presentata quale posizione dottrinale
e giurisprudenziale prevalente.
3.Rinunziabilità al preavviso lavorato solo dalla parte che subisce
l'iniziativa del recesso.
Una
questione molto dibattuta in giurisprudenza è quella che concerne la
legittimità o meno di clausole contrattuali contemplanti la dispensa
ex post - con indennizzo e non - dal preavviso ad opera della parte
che ha subito l'iniziativa del recesso (c.d. receduta).
Dopo
un vivace contrasto, intorno agli anni '70, tra magistratura di merito e
della S. Corte, si può dire di essere giunti alla conclusione della
legittimità di tali clausole sulla base delle argomentazioni di cui alla
sentenza n. 1257 dei 13 marzo 1978 (e successive) della Cassazione,
secondo la quale: "la normativa del preavviso non è derogabile in
favore del recedente, perché ciò comporterebbe nocumento al contrapposto
diritto della parte non recedente nel cui interesse la norma è dettata;
ben diversa è invece l'ipotesi di una disciplina contrattuale collettiva
che, fermo restando l'obbligo del preavviso per la parte ad esso tenuta
per legge, preveda la facoltà delle parti contraenti di disciplinare,
nel modo da esse ritenuto più conforme ai propri interessi, gli aspetti
economici connessi con lo scioglimento del contratto di lavoro e, più
particolarmente, preveda la facoltà della parte non recedente di
dispensare ex post quella recedente dagli obblighi derivanti dal
preavviso. Pienamente legittima perciò deve ritenersi la clausola
contrattuale che non dispensa affatto in via preventiva il recedente
dall'obbligo del preavviso, ma prevede la facoltà della parte non
recedente di troncare il rapporto senza indennizzo per il periodo di
preavviso non compiuto".
Al
riguardo può dirsi che sia stata operata una sottile (quanto valida)
distinzione in tema di disponibilità ed indisponibilità dei diritti,
affermando che la regola generale dei conferimento dei preavviso
nell'interesse della parte receduta non può essere derogata dalle parti
contraenti in via preventiva, atteso che risulterebbero frustate
funzionalità e struttura dei preavviso così come configurate dal
legislatore. Tuttavia se l'istituto dei preavviso appartiene al novero
dei diritti inderogabili del prestatore sottratti alla disponibilità
delle parti, "rientra invece nella libera disponibilità dei
contraenti la regolamentazione dei successivi profili economici connessi
allo scioglimento del rapporto" (così Cass. n. 1257/1978, cit.).
Alla
luce dei sopra riferiti principi della prevalente giurisprudenza,
condivisi dalla più autorevole dottrina
[4], sono da considerarsi illegittime le clausole
- di cui agli artt. 62, co. 3, del ccnl 11.7.’99 per i quadri direttivi
ed il personale delle aree professionali del credito e 27 del ccnl
1.12.2000 per i dirigenti del credito - laddove lasciano spazio ad una
scelta discrezionale delle aziende (cioè a dire prescindono dal consenso
del lavoratore) circa l'alternativa del preavviso lavorabile o
dell'indennità sostitutiva "in difetto", id est in caso di
indisponibilità aziendale verso la soluzione, più favorevole al
lavoratore, del preavviso lavorabile.
4.
Intimazione del preavviso solo dopo il conseguimento dell'età per la
pensione di vecchiaia
Il
preavviso è dovuto, come in precedenza abbiamo visto, in qualsivoglia
fattispecie di risoluzione del rapporto, salva la risoluzione per giusta
causa ex art. 2119 c.c. e la risoluzione ad epoca o età predeterminate,
fungenti da clausole di risoluzione automatica del rapporto ed al
tempo stesso da clausole di stabilità relativa, nel senso
dell'essere preclusive di iniziative unilaterali e discrezionali di
risoluzione del rapporto.
Sul
punto specifico la S. Corte ha asserito che solo quando una certa età
(normalmente quella pensionabile) garantisca il lavoratore – tramite
clausola di stabilità convenzionale preclusiva della risoluzione
anticipata del rapporto - dai rischi del recesso discrezionale, la
stessa può fungere al tempo stesso da condizione di risoluzione
automatica del rapporto, senza necessità di intimazione di preavviso
[5].
Invero, secondo il condivisibile orientamento della Cassazione, in tale
fattispecie si realizza un equo contemperamento degli interessi (o dei
sacrifici) delle due parti, in quanto se dal lato del prestatore si
verifica la perdita del preavviso o dell'indennità sostitutiva, nonché
la perdita della sospensione degli effetti della risoluzione al
verificarsi di una delle cause previste dall'art. 2110 c.c., dal lato
del datore di lavoro si verifica la compressione temporale (fino a
quella determinata età) del diritto di recesso ad nutum,
bilanciando il sacrificio dell'altro contraente. Solo in presenza di
queste caratteristiche atte a configurare una clausola di stabilità
relativa (alla quale non è equiparabile una prassi aziendale
concretizzante solo uso negoziale e non normativo) è ammissibile la
risoluzione ipso iure (e senza preavviso) del rapporto al
raggiungimento di una data epoca o età (conf., per tutte, Cass. 10 .11.
1981, n. 5964; Cass. 20.3.1998,n. 2986, cit.; cfr. anche Cass.
2.3.1999, n. 1758
[6].
In
mancanza di tale clausola contrattuale (inequivocamente espressa) -
irreperibile nel contratto del settore credito innanzi menzionato -
, il raggiungimento dell'età per il pensionamento di vecchiaia (i 60 per
la donna e i 65 anni per l’uomo, così stabiliti ex L. n. 724/1994 ) non
esonera l'azienda dal conferimento del preavviso. Salvo che – per il
caso della sola donna - non sia stata esercitata opzione per la
prosecuzione fino al massimo dei 65 anni, ai sensi degli artt. 6 L. n.
54/'82 e n. 407/'90 le quali contemplano espressamente che la cessazione
del rapporto prolungato (fino al massimo dei 5 anni, ex art. 1, comma
2°, D.L.vo 30.12.1992, n. 503) per esercizio di opzione, "avviene
senza obblighi di preavviso per alcuna delle parti".
La
risoluzione del rapporto con preavviso deve pertanto essere intimata e
l'intimazione aziendale deve essere manifestata una volta superata -
per la sola donna - la predetta età pensionabile dei 60 anni nel caso
sia interessata a proseguire fino al massimo dei 65 anni, età superata
la quale non operano i divieti e gli oneri della legislazione
vincolistica del recesso, consistenti nell'obbligo di motivazione e di
giustificazione del licenziamento nonché nella sindacabilità giudiziale
dello stesso. Qualora, invece, il licenziamento venga intimato
antecedentemente seppure con preavviso scadente per l'epoca del
compimento dei 65 anni - come praticamente ed erroneamente ancora
diverse aziende usano fare - (ancorché si sia, ed il caso vale solo per
la donna, già maturato il requisito del diritto a pensione ai 60 anni e
non si sia, tuttavia, esercitato il diritto di opzione per la
prosecuzione fino al massimo dei 65 anni), si verte in fattispecie di
licenziamento ingiustificato che rende illegittima l'iniziativa
risolutiva e soggetto il datore di lavoro all'annullamento giudiziale
dell'atto (con reintegrazione, secondo taluna giurisprudenza,
prevalentemente di merito, del lavoratore nel rapporto ex art. 18 L. n.
300/'70) ed al concomitante pagamento della penale risarcitoria, non
inferiore a 5 mensilità, di cui allo stesso articolo
[7]. Da più recente giurisprudenza di Cassazione
(elaborata in ordine a clausola collettiva del CCNL delle Poste
Italiane) si ritiene, invece, che il licenziamento ante tempus –
per effetto di risoluzione automatica alla massima anzianità
contributiva dei 40 anni contrattualmente prevista - non realizzi la
fattispecie del “licenziamento ingiustificato” implicante il richiamo
dell’art. 18 Statuto dei lavoratori (con il beneficio della penale di 5
mensilità a vantaggio del lavoratore) ma realizzi la fattispecie del
“licenziamento nullo o inesistente” per nullità ex art. 1418 c.c. della
clausola contrattuale, con la conseguente ininterrotta protrazione del
rapporto di lavoro, da considerarsi mai risolto o interrotto dalla
comunicazione di recesso aziendale. Tale giurisprudenza - in presenza
di clausola contrattuale di risoluzione automatica (non rinvenibile nel
settore credito) - così si esprime: «Nella nuova regolamentazione
legislativa (d.l. n. 487 del 1993, convertito in l. n. 71 del 1994) del
rapporto di lavoro di diritto privato dei dipendenti dell’ente poste
italiane, il contratto collettivo per tale categoria di personale non
può derogare alle norme di legge imperative e quindi è nulla (ex art.
1418 c.c.) la previsione contrattuale, secondo cui (a partire dal 31
gennaio 1995) il rapporto di lavoro si risolve automaticamente (senza
obbligo di preavviso o di erogare la corrispondente indennità
sostituiva) al raggiungimento della massima anzianità contributiva,
perché in violazione del principio secondo cui il rapporto di lavoro si
può risolvere solo per licenziamento, per dimissioni, per mutuo consenso
o per lo spirare dei termini per la ripresa del servizio previsti
dall’art. 18, 5º comma, l. 20 maggio 1970 n. 300» (così Cass. 19
marzo 2001 n. 3909
[8].
Ancora va ricordato – per necessaria completezza – che giurisprudenza
minoritaria e meno coerente oltrechè più risalente nel tempo, pur
negando la legittimità della risoluzione intimata ante tempus,
con preavviso scadente al compimento dei requisiti anagrafici per la
pensione di vecchiaia (60° anno di età per la donna e 65 per l’uomo),
ritiene tuttavia che "derivi per il lavoratore il (solo,
n.d.r.) diritto all'indennità sostitutiva del preavviso",
altrimenti negato
[9].
5.Riflessi pensionistici dell’indennità sostitutiva del preavviso (in luogo del preavviso effettivamente lavorato).
Naturalmente l’erogazione datoriale (con adesione del prestatore)
dell’indennità sostitutiva del preavviso pone immediatamente fine al
rapporto di lavoro ma, dal lato previdenziale, i pregiudizi sono
minimizzati per effetto della equiparazione da parte Inps (sin dagli
anni ’80) – tramite procedimento di finzione contabile – della
contribuzione versata dal datore di lavoro (per assoggettamento ex
lege dell’indennità sostitutiva) che si distribuisce lungo tutti i
mesi per i quali è contrattualmente è prevista la corresponsione
dell’indennità in sostituzione del preavviso lavorato.
Va
detto che con circ. n. 53635 del 17 aprile 1987, l’Inps – a fronte
dell’iniziale equiparazione a tutti gli effetti dell’anzianità
dell’indennità sostitutiva del preavviso al preavviso lavorato – che
aveva occasionato lo spostamento dell’epoca di percezione della pensione
di anzianità alla fine dei mesi (virtuali) corrispondenti alla integrale
liquidazione dell’indennità sostitutiva del preavviso (che, in realtà,
avviene in un unica soluzione) rispetto all’epoca di cessazione del
rapporto e di presentazione della domanda di pensione, accolse
l’orientamento della Cassazione- nel frattempo sollecitata dalle
lamentele di coloro che si trovavano postergata l’epoca di
corresponsione della pensione di anzianità - e modificò il proprio
comportamento operativo, giustappunto con la Circ. Inps n. 53635 A.G.O./99
del 17 aprile 1987, nella quale così si espresse:
«A
mente dei criteri stabiliti dal Consiglio di Amministrazione con
deliberazione n. 63 del 4 maggio 1974 e diramati con circ. 365 C. e V. -
n. 53517 Prs. - n. 15451 O. del 19 agosto 1974, i contributi dovuti
sulla indennità sostitutiva del preavviso ai sensi dell'art. 12 della
legge 30 aprile 1969, n. 153 sono frazionati per i singoli periodi cui
il preavviso si riferisce e sono parificati, a tutti gli effetti, a
quelli versati in costanza di rapporto di lavoro.
L'attuazione di tale principio - fondato, come è noto, sulla presunzione
della persistenza del rapporto di lavoro oltre la data della effettiva
cessazione della prestazione lavorativa - ha comportato, quali riflessi
ai fini pensionistici, il differimento della decorrenza della pensione
di anzianità ed il divieto di cumulo della pensione con la retribuzione
in corrispondenza dei periodi di riferimento della indennità stessa.
Si
è peraltro consolidato in questi ultimi anni un diverso orientamento
giurisprudenziale in occasione di numerosi giudizi vertenti sulla
valutazione ed i conseguenti riflessi dell'indennità sostitutiva del
preavviso in relazione alla pensione di anzianità.
Le
sentenze della Corte di Cassazione (es. nn. 33 del 6.1.1982 e 4974 del
5.10.1984) affermano che la corresponsione dell'indennità sostitutiva
del preavviso, avente natura risarcitoria e non retributiva, non può
comportare la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre la cessazione
definitiva della prestazione lavorativa e che, quindi, non ha rilievo
preclusivo ai fini del perfezionamento delle condizioni per il diritto
alla pensione di anzianità.
Il Supremo Collegio argomenta, infatti, che il periodo per il quale sia stata erogata l'indennità di mancato preavviso non può essere equiparato ad un periodo di attività lavorativa retribuita né tale equiparazione - e, quindi, la persistenza giuridica del rapporto di lavoro - può essere fondata sulla considerazione che l'emolumento in parola sia assoggettato a contribuzione e che il valore dei contributi assicurativi conseguentemente versati sia scaglionato lungo tutto l'arco del periodo di mancato preavviso, trattandosi, nella specie, di una finzione contabile mediante la quale un periodo astrattamente configurabile ai soli fini della determinazione della misura della indennità in argomento viene assimilato ad un periodo di lavoro effettivamente prestato e quindi coperto di contribuzione.
Identificata, in tal modo, la natura risarcitoria dell'indennità
sostitutiva del preavviso e ritenuto, quindi, che la ripartizione
nell'intero periodo abbia unicamente valore contabile, la Corte
medesima conclude per la inammissibilità di una parificazione del
periodo di preavviso, sostituito dalla relativa indennità, alla
persistenza dell'attività lavorativa come causa preclusiva del diritto
alla pensione di anzianità.
In
conformità al principio emerso in sede giurisprudenziale ed ai fini
della corretta applicazione dello stesso si forniscono le seguenti
istruzioni.
1)
modalità di accreditamento dei contributi.
Per quanto concerne la valutazione dell'indennità sostitutiva del preavviso ai fini contributivi, dalla Corte di Cassazione non viene posto in discussione il principio della frazionabilità della indennità medesima : restano, conseguentemente, confermati i criteri stabiliti, sul punto specifico, con la richiamata delibera consiliare n. 63 del 4 maggio 1973 e le disposizioni applicative contenute nella citata circolare n. 365 C. e V. - n. 53517 Prs. - n. 15451 O. del 19 agosto 1974, p. 1 e p. 3, cpv. 1° e 2°.
2)
pensione di anzianità.
Come avanti precisato, in caso di corresponsione dell'indennità sostitutiva del preavviso, la risoluzione del rapporto di lavoro deve intendersi verificata in coincidenza con la cessazione della effettiva prestazione lavorativa. Risultando, in tal modo, soddisfatta la condizione della mancata prestazione di attività lavorativa alle dipendenze di terzi richiesta dall'art. 22, 1° comma, lett. e) per l'acquisizione del diritto alla pensione di anzianità, la decorrenza della prestazione stessa, qualora sussistano tutte le altre condizioni di legge, deve essere fissata al primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della relativa domanda anche se ricadente nel periodo al quale si riferisce l'indennità sostitutiva del preavviso.
La
contribuzione versata sull'indennità in argomento per periodi successivi
alla decorrenza della pensione dà luogo alla liquidazione di un
supplemento a norma dell'art. 7 della legge 23 aprile 1981, n. 155 »
5.
Sospensione del decorso del preavviso per intervenuta malattia.
In
argomento, un cenno merita anche la questione dell'insorgenza della
malattia nel corso dello spiegamento del preavviso.
Ai
sensi del comma 2' dell'art. 2110 c.c., la malattia, l'infortunio, la
gravidanza ed il puerperio sospendono l'efficacia dell'atto di recesso e
la parte se ne riappropria una volta superato l'evento o (se questo si
protrae nel tempo) una volta decorso il periodo contrattualmente
previsto per la conservazione del posto ovvero definito dagli usi o
secondo equità.
Naturalmente l'effetto sospensivo sul decorso del preavviso ad opera di
evento morboso (e la conseguente protrazione del rapporto per la durata
della malattia) cessa qualora durante la malattia emerga una giusta
causa che legittimi, ex art. 2119 c.c., la risoluzione istantanea del
rapporto.
Sull'efficacia sospensiva dei preavviso ad opera di malattia, la
giurisprudenza della S. Corte è oramai consolidata, mentre sono da
registrare in dottrina taluni motivati dissensi in relazione agli
effetti di incontrollabile spostamento della data di estinzione del
rapporto, in conseguenza dell'evento suddetto. La S. Corte ha, al
riguardo, assunto un orientamento univoco, ripetuto in diverse decisioni
ed esplicitato nei seguenti termini: "il comma 2° dell'art. 2110 c.c.,
riguardante tra l'altro la prosecuzione del rapporto ed il divieto di
licenziamento durante il periodo di malattia, è diretto ad assicurare al
lavoratore un trattamento economico ed assistenziale durante la
malattia, e si estende anche al l'ipotesi in cui sia stata esercitata da
una delle parti di facoltà di recesso e penda il periodo di preavviso"
(così, per tutte, Cass. n. 4915/1983). “Tale periodo rimane pertanto
sospeso fino alla guarigione del lavoratore o fino alla scadenza del
periodo di comporto; perdurando, medio tempore, il rapporto di
lavoro, ad esso debbono applicarsi tutte le norme di legge o di
contratto collettivo, eventualmente più favorevoli al lavoratore entrate
in vigore durante il decorso del termine del preavviso" (così, per
tutte, Cass. n. 451/1981; Cass. 27.6.2003 n. 10272; Cass. 30.8.2004 n.
17334, cit. in nt.1).
Anche
la questione circa la sospensione o meno del preavviso - al sopravvenire
di malattia - in caso di dimissioni, è stata risolta nell'identico senso
della sospensione del preavviso in caso di licenziamento: cioè sulla
base dell'oggettività dell'evento malattia, interruttivo, in ogni caso,
dello svolgimento del rapporto, a prescindere dalla parte che assume
l'iniziativa a carattere rescissorio. La conclusione appare convincente
e condivisibile, perché qualora si fosse negato alla malattia efficacia
interruttiva del preavviso dato dal dimissionario, si sarebbe privato la
parte receduta (nel cui interesse è posto il preavviso medesimo), e cioè
il datore di lavoro, di questo periodo di tempo di prestazione
lavorativa del dimissionario, eventualmente necessario per
l'effettuazione delle consegne ad altro lavoratore e per la conseguente
adeguata sostituzione. Il principio dell'interruzione del preavviso per
sopravvenuta malattia è operativo altresì nell'ipotesi di licenziamento
per età pensionabile (così, per tutte, Cass. n. 4624/1980), con effetti
pratici (invero talora perversi), quali quello dello spostamento - tanto
più incisivo quanto più sapiente - dell'epoca di risoluzione del
rapporto, preventivata dall'azienda.
Roma,
21.10.2004
Mario Meucci
[1]
Conf. Pret.
Milano 18 agosto 1980, in Or. giur. lav. 1980,904; Cass.
21 luglio 1984, n.4301, in Not. giurisp. lav. 1984,601;
Cass. 8 agosto 1983, n. 5925, ibidem, 1983, 351.
[2]
Conf. Vallebona,
Il trattamento di fine rapporto, ecc., in Giust. civ.
1982,11, 378.
[3]
Per una trattazione
più ampia delle posizioni, vedi Meucci, Il rapporto di
lavoro nell’impresa, Edizioni Scientifíche Italiane, Napoli
1991, 187 e ss.
[4]
V.
per tutti, Pera, La cessazione del rapporto di lavoro,
Cedam 1980,53 e in Diritto del lavoro, Cedam 1991,
533-534.
[5]
Così Cass. 20 marzo
1998, n. 2896, in Not. giurisp. lav. 1998, 331, con nota
di precedenti conformi.
[6]
Secondo Cass. n. 1758/1999 in Not. giurisp. lav. 1999,
349 (ed in precedenza, Cass. 25 luglio 1994, n. 6901,
ibidem 1994, 772) mancherebbe nell’ordinamento qualsiasi
delega legislativa alla contrattazione collettiva per derogare
“convenzionalmente” – anche con clausole di stabilità relativa
del rapporto - alle tassative ipotesi legali di risoluzione del
medesimo (con il corrispondente divieto di pattuire una ‘certa
età’ come condizione di risoluzione automatica del rapporto ed
al tempo stesso fungente da garanzia di stabilità relativa del
medesimo). Essa ha sancito la nullità, ex art. 1418 c.c., della
clausola del ccnl dell’Ente Poste che fissa al 40° anno di
contribuzione la risoluzione automatica e senza preavviso del
rapporto di lavoro, in quanto contra legem. Dalle
argomentazioni svolte se ne deve desumere che l’esonero dal
preavviso per raggiunta età risolutiva del rapporto (anagrafica
o contributiva) potrebbe riscontrarsi esclusivamente nella
previsione legale di raggiungimento dell’ età per la pensione di
vecchiaia (65 anni) o per l’epoca (anteriore) di estinzione del
termine definito dall’opzione esercitata dal dipendente per il
raggiungimento della massima anzianità contributiva (ex art. 6
L,. n. 54/’82 e art. n.407/’90), termine comunque non eccedente
il 65 anno di età. La massima della decisione così recita: «Nella
nuova regolamentazione legislativa (d.l. n. 487 del 1993, conv.
in l. n. 71 del 1994) del rapporto di lavoro di diritto privato
dei dipendenti dell’ente poste italiane, il contratto collettivo
per tale categoria di personale - che non è autorizzato a
derogare alla legge non essendo identificabile alcuna c.d.
delegificazione della materia, ma solo privatizzazione del
rapporto - non può innovare o derogare rispetto alle norme di
legge imperative e quindi è nulla (ex art. 1418 c.c.) la
previsione contrattuale, secondo cui (a partire dal 31 gennaio
1995) il rapporto di lavoro si risolve automaticamente (senza
obbligo di preavviso o di erogare la corrispondente indennità
sostitutiva) al raggiungimento della massima anzianità
contributiva, con effetto dal giorno successivo al compimento di
quaranta anni utili ai fini pensionistici, perché in violazione
del principio (di natura inderogabile) secondo cui il rapporto
si lavoro si può risolvere solo per licenziamento, per
dimissioni, per mutuo consenso o per lo spirare dei termini per
la ripresa del servizio previsti dall’art. 18, 5º comma, l. 20
maggio 1970 n. 300».
Successivamente è intervenuta Cass. 13. maggio 2000, n. 6175 (in
Lav. giur. 2001, 55 con nota di Pellacani) che ha
analogamente disposto per la nullità delle clausole
contrattuali, (tuttavia sottraendo le Poste alla sanzione delle
5 mensilità ex art. 18 Stat. lav.), così esprimendosi: «
Il rapporto di lavoro dei dipendenti dell’ente
poste italiane, come tutti i rapporti di natura privatistica, è
regolato dall’ordinaria disciplina civilistica anche con
riguardo alle ipotesi di risoluzione; deve, pertanto,
considerarsi nullo ai sensi dell’art. 1418 c.c., per contrasto
con norme imperative (codice civile, l. n. 604 del 1966 e l. n.
300 del 1970), l’accordo integrativo del c.c.n.l. per i suddetti
dipendenti del 26 novembre 1994, nella parte in cui prevede la
risoluzione automatica del rapporto al raggiungimento della
massima anzianità contributiva, dovendo escludersi che la
contrattazione collettiva possa, in assenza di una norma che ciò
espressamente consenta, prevedere cause estintive del rapporto a
tempo indeterminato diverse rispetto a quelle già individuate e
disciplinate dall’ordinamento (licenziamento, dimissioni, mutuo
consenso ovvero verificarsi delle ipotesi di cui all’art. 18, 5º
comma, l. n. 300 del 1970); ne consegue che l’eventuale
comunicazione da parte del datore di lavoro di cessazione del
rapporto al verificarsi del suddetto evento non costituisce
licenziamento, ma risoluzione del rapporto per un fatto
oggettivo, sicché alla fattispecie non è applicabile l’art. 18
l. n. 300 del 1970 nella parte relativa alla reintegra nel posto
di lavoro, dovendo seguire alla nullità della suddetta
clausola esclusivamente la declaratoria di prosecuzione del
rapporto».
[7] V. per tutte, Cass. 1 settembre 1987, n. 7151, in Or. giur. lav., 1987, 1079 seguita poi da Cass. 30.5.1989, n. 2613, da Cass. 20.2.1990, n. 1238, da Cass. 30.7.1991, n. 8448, in Mass. giur. lav. 1991, 554 che si ricollegano ad un orientamento consolidato risalente a Cass. 11.5.1978, n. 2313, in Or. giur. lav. 1978, 1091; contra, isolatamente e non condivisibilmente, Cass. 16.5.1995 n. 5356, in Or. giur. lav. 1995, 649, subito smentita dalla posteriore Cass. 27.5.1995, n. 5977, in Dir. prat. lav. 1996, 118. Di recente, in sede di merito, per la nullità di clausole collettive di risoluzione automatica del rapporto al raggiungimento della massima anzianità contributiva dei 40 anni, App.Bari, sez. lav. 4 aprile 2002 (est. Curzio), in Confronti e intese n. 191, p. 31, riguardante ancora il ccnl di Poste Italiane Spa.
[8]
Cass. 19 marzo 2001
n. 3909 può leggersi in Not. giurisp. lav. 2001, 473. In
senso conforme, in precedenza, Cass. 20 maggio 1999 n. 4681,
Cass. 4 giugno 1999 n. 5501, Cass. 7 giugno 1999 n. 5584, Cass.
17 giugno 1999 n. 6051, Cass. 28 giugno 1999 n. 6701 (inedite,
per quanto consta).
[9] Così Cass. 18.12.1993, n. 12558, in Dir. prat. lav. 1994, 670; Cass. 1.2.1993, n. Il 86, ibidem 1993,1,801; Cass. 26 gennaio 1993, n. 933, ibidem, 1993, 1,801; Cass. 24 luglio 1991, n. 8306, in Mass. giur. lav. 1991, 555, Cass. 22 luglio 1991, n. 8182, in Giust. civ. 1992, I, 1535.
Ancora sull'efficacia reale del preavviso e indennità sostitutiva
Mario Meucci