La moda  del ricorso  all’outsourcing

    Sommario:

  1. Nozione di outsourcing

  2. Problematiche giuridiche dell’outsourcing

  3. Outsourcing tramite ricorso all’appalto

  4. Outsourcing tramite scorporo di ramo d’azienda

  5. L'outsourcing nell’accordo di rinnovo dei ccnl del settore credito dell’11 luglio 1999

 

*********

 

1.     Nozione di outsourcing

Con il vocabolo anglosassone “outsourcing” – traducibile in italiano con “esternalizzazione” o “terziarizzazione”, nel senso di affidamento a terzi dell’incarico di fornitura di un servizio aziendale – si usa designare l’attuale, intensificata, pratica delle imprese di estromettere dall’interno dell’azienda una o più attività che vengono fornite, dopo la dismissione, da parte di un soggetto terzo esterno all’azienda stessa.

Il soggetto terzo può essere una nuova  mini - azienda costituita ad hoc e, quindi, giuridicamente distinta dall’azienda committente (più spesso sotto il suo controllo azionario) ovvero un’azienda terza già operante da tempo sul mercato tramite una propria specializzazione – distinta non solo giuridicamente ma anche autonoma sotto il profilo finanziario e gestionale  dall’azienda committente – che si obbliga a fornire per il futuro i servizi dismessi dall’azienda committente. Normalmente ciò avviene dopo l’incorporazione del ramo di azienda da quest’ultima scorporato per vari motivi, quali la contrazione d’organico (onde traguardare un maggiore flessibilità gestionale) e la riduzione del costo del lavoro.

Non è una novità il fatto che le aziende, eminentemente per i motivi sopra riferiti, abbiano tentato di enucleare dal “core business” – o nucleo centrale d’attività – tutta una serie di operazioni di supporto, complementari, collaterali e sussidiarie all’attività strategica onde farle, possibilmente, effettuare all’esterno sia da ditte specializzate sia da aziende create appositamente allo specifico scopo. Per tal via è stata favorita la creazione del c.d. “indotto” (tipico quello Fiat, costituito da mini-aziende satelliti) e la parcellizzazione o frammentazione delle grandi e medie imprese in imprese minori, talora anche nell’ottica non disinteressata di dimensionarle al disotto dei limiti numerici di organico fissati dalla legge per l’applicazione garantista ai prestatori di lavoro della legge sulla “giusta causa” nei licenziamenti individuali (35 dip., ex lege n. 604/’66) e dello statuto dei lavoratori (15 dip., ex art. 35 della L. n. 300/’70).

Ora, strumentalizzando anche il dato reale della globalizzazione dei mercati e della più accentuata competitività, i manager delle nostre imprese si scoprono impegnati in operazioni, da un lato, di fusione e di concentrazione (fonte dei noti esuberi) e, dall’altro, di “outsourcing”, ovverosia di scorporo di attività e di interi rami d’azienda o di ricorso ad appalti esterni. Per parte sua il legislatore nostrano – con la L. n. 196/’97 (cd. “pacchetto Treu” per il lavoro) – è venuto incontro, sia pure con le necessarie cautele, alle insistenti richieste di “insourcing” provenienti dai datori di lavoro. “Insourcing” consistente nella legittimazione di prestito o inserimento funzionale di lavoratori temporanei, dipendenti da agenzie esterne, all’interno dell’azienda, attraverso la “fornitura di lavoratori interinali”. Fornitura che, qualora senza i vincoli attualmente apposti dalla legge italiana e praticata con la diffusione e la liberalizzazione tipica dei  paesi anglosassoni,  taluno (1) non ha esitato a qualificare come “un tipo evoluto di outsourcing”, precisando tuttavia, tanto correttamente quanto a malincuore, che “in questo caso davvero si può parlare di  ‘lavoro in affitto’, e che… in Italia il quadro normativo preclude ora questa possibilità, così importante appunto in altri contesti”.

 

2.     Problematiche giuridiche dell’outsourcing

Dal lato giuridico, due sono gli istituti che vengono in rilievo quando s’intende dar corso ad un’iniziativa di “outsourcing”:

a) l’art. 1655 c.c., afferente all’appalto di servizi, che definisce l’appalto come “…il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio, verso un corrispettivo in danaro”. Appalto che risulta legittimo quando il fornitore del servizio, in possesso dei requisiti soprariferiti, rivesta almeno le caratteristiche del piccolo imprenditore (di cui all’art. 2083 c.c.) se non della media impresa;

b) l’art. 2112 c.c., quale novellato dall’art. 47 della legge comunitaria del 29.12.1990, n. 428, che disciplina  sia lo scorporo di un ramo di azienda destinato alla costituzione ex novo di distinta azienda di servizi sia l’incorporazione da parte di preesistente azienda di un ramo d’impresa dismesso dall’azienda alienante.

 

3.     Outsourcing tramite ricorso all’appalto

Una volta assodato che l’idea di rivolgersi al mercato esterno per soddisfare in modo più efficace ed efficiente esigenze interne, non è affatto nuova e che a renderla innovativa non vale certo la parola di nuovo conio anglosassone “outsourcing”, va rilevato che con le degenerazioni di questa pratica o stategia organizzativo-gestionale s’imbattè il legislatore nel 1960 quando, sentite le risultanze della Commissione Rubinacci sulle condizioni dei lavoratori in Italia, varò la L. n. 1369 del 23.12.1960, titolata “Divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro e nuova disciplina dell’impiego della manodopera negli appalti di opere e servizi”.

La legge – con l’art. 1 – colpì la “ mera somministrazione di manodopera” alle imprese da parte del c.d. “imprenditore apparente”(in quanto non dotato di organizzazione, capitali e mezzi propri né soggetto a rischio d’impresa) tramite la sanzione della costituzione, in capo all’impresa realmente utilizzatrice delle prestazioni, di effettivi rapporti di lavoro con i prestatori d’opera somministrati dal terzo. Divieto e sanzione che la L. n. 196/’97 (c.d. “pacchetto Treu”) -  introduttiva nell’ordinamento del c.d. lavoro interinale -  ha mitigato e delimitato, legittimando esclusivamente:

a)      la fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo per attività espletabili da “qualifiche di non esiguo contenuto professionale, individuate come tali dai contratti collettivi nazionali della categoria di appartenenza dell’impresa utilizzatrice” (art.4, lett.a, L. n. 196/’97);

b)      nonché recependo un principio cardine della L. n. 1369/’60, cioè a dire quello della parificazione nel trattamento economico/normativo fra i dipendenti dell’impresa committente e dipendenti somministrati temporaneamente ad essa, con previsione esplicita di garanzia solidale in caso di inadempienza.

Non è superfluo riaffermare, su questa parte della L. n. 196/’97 afferente l’introduzione del lavoro interinale – quantunque con opportune garanzie e cautele – un giudizio di “incondivisibilità”, per la carenza di un portante sostrato ideologico, per l’assimilazione della persona del lavoratore ad una merce di scambio e per l’istituzionalizzazione di posizioni lavorative di indiscussa consistenza precaria, suscettibili di occasionare la fattispecie del lavoro “a saltimbanco” tra un’impresa ed un’altra, privo di sbocchi di carriera e carente di stimoli motivanti.

Tornando alla  legge n. 1369/’60, va detto che essa statuì poi – tramite l’art. 3 – che gli imprenditori che “appaltano opere o servizi – compresi i lavori di facchinaggio, di pulizia e di manutenzione ordinaria degli impianti – da eseguirsi all’interno delle aziende, con organizzazione e gestione propria dell’appaltatore, sono tenuti in solido con quest’ultimo a corrispondere ai lavoratori da esso dipendenti un trattamento minimo inderogabile retributivo e ad assicurare un trattamento normativo non inferiore a quelli spettanti ai lavoratori da loro dipendenti”. Stabilì, cioè, la parificazione tra i lavoratori del trattamento contrattuale, nazionale o aziendale. Il tutto in omaggio alle condivise considerazioni della Relazione della Commissione Rubinacci sulle condizioni dei lavoratori in Italia, secondo la quale:”Il perimetro dell’azienda non costituisce soltanto una delimitazione territoriale, ma il confine entro il quale una comunità di uomini si raccoglie ed opera, con la stessa vocazione, con un’intensità di rapporti umani, con una identità di ansie e di speranze, nelle quali i problemi, gli ideali, i sentimenti, le aspirazioni, i bisogni di ognuno, sia pure in parte si esprimono. E da tutti non può  non essere avvertita l’esigenza che unica sia la legge nella stessa comunità"(2). Correttamente poi giurisprudenza e dottrina rilevarono che lo stesso trattamento contrattuale collettivo doveva riguardare non tanto tutti i lavoratori  che operavano “fianco a fianco” all’interno del perimetro dell’azienda committente ma indistintamente tutti coloro che, dipendenti dell’appaltatrice, erano impegnati nella fornitura in appalto di un servizio strutturalmente finalizzato a realizzare il (o ad inserirsi nel ) ciclo produttivo dell’azienda appaltante. A riprova di questo convincimento militava l’art. 5 tramite il quale il legislatore aveva escluso dal regime equiparativo o di uniformità contrattuale, i soli dipendenti dell’impresa appaltatrice impiegati:

a)      in appalti afferenti attività accessorie al ciclo produttivo della committente, individuati con la formula “appalti per l’esecuzione di prestazioni saltuarie ed occasionali, di breve durata, non ricorrenti abitualmente nel ciclo produttivo dell’impresa”;

b)      nonché quelli impiegati in altre attività similmente estranee al ciclo produttivo aziendale o del tutto specialistiche, quali tassativamente: le costruzioni edilizie all’interno degli stabilimenti; l’installazione o montaggio di impianti e macchinari; la manutenzione straordinaria; i trasporti esterni; gli appalti  per particolari attività produttive le quali richiedano, in più fasi successive di lavorazione, l’impiego di manodopera diversa per specializzazione da quella normalmente impiegata nell’impresa, semprechè tale impiego non abbia carattere continuativo; gli appalti per lavori di facchinaggio, di pulizia e di manutenzione ordinaria, conclusi con imprese che impieghino il proprio personale presso più aziende contemporaneamente (e dietro autorizzazione dell’ispettorato del lavoro).

Ed infatti una consolidata dottrina e giurisprudenza interpretò la dizione “appalti da eseguirsi all’interno dell’azienda” (di cui all’art. 3 L.n. 1369/’60) non già in senso restrittivo perimetrale o topografico, ma in senso estensivo di inerenza degli appalti al ciclo produttivo dell’impresa committente. Secondo la Cassazione (di cui si riporta, per tutte, il pensiero della decisione n. 814/1993) la dizione “interno delle aziende non va intesa come mero riferimento topografico, nel senso che l’attività dell’appaltatore debba svolgersi all’interno dello stabilimento o stabilimenti ove ha sede l’attività produttiva dell’appaltante, bensì nel senso che l’attività dell’appaltatore riguardi un settore dell’organizzazione tecnica o amministrativa dell’impresa concedente l’appalto, ossia uno dei servizi principali o ausiliari predisposti ai fini della realizzazione del suo ciclo produttivo”.

Come si può agevolmente  comprendere, l’outsourcing che abbia, nel nostro Paese, come oggetto l’esternalizzazione di attività essenziali o strumentali alla realizzazione del ciclo produttivo aziendale -  e non già attività meramente accessorie o di carattere saltuario (quali quelle identificate tassativamente nell’art. 5 L. n. 1369) -  non potrà beneficiare degli effetti  correlati al movente del risparmio sul costo del lavoro, conseguibile  per effetto delle differenze contrattuali tra trattamento dei dipendenti dell’impresa gestente il “core business” e dell’impresa gestente, in appalto, le attività collaterali ma ad esso strumentalmente e finalisticamente collegate.

A poco, anzi a niente, vale – fintanto che tale normativa esiste e la si ritiene, come chi scrive, tutoria delle condizioni dei lavoratori -  dire che si tratta di “un precetto davvero superato, almeno nella sua perentorietà, al punto da indurre le imprese a ‘saltarlo’ completamente(3).

 

4.     Outsourcing tramite scorporo di ramo d’azienda

La modalità più innovativa e diffusa di spiegamento dell'outsourcing è quella dell’esternalizzazione delle attività non strategiche per l’azienda (es: informatizzazione dei dati, servizi generali - incluso magazzino e approvvigionamenti -, amministrazione delle paghe e stipendi del personale, contabilità generale, consulenza fisco-previdenziale e giuslavoristica, contenzioso, recupero crediti, ecc.) attraverso l’enucleazione delle stesse, unitamente ai dipendenti addetti al disimpegno di tali attività, per la loro riallocazione in distinte società costituite ad hoc (normalmente sotto il controllo azionario della scorporante i vari rami d’azienda) ovvero la loro cessione ad altre società specializzate, da tempo operanti proficuamente sul mercato, che provvederanno all’incorporazione dei ceduti rami d’azienda.

In entrambi i casi ipotizzati, l’azienda alienante dovrà – ex art. 2112 c.c., in tema di trasferimento d’azienda – seguire le procedure di informativa e di confronto sindacale di cui all’art. 47 L. n. 428/1990, mentre la nuova azienda (o l’acquirente) dovrà garantire la continuità dei rapporti di lavoro ed applicare nella nuova società “i trattamenti economico-normativi previsti da contratti collettivi, anche aziendali, vigenti  alla data del trasferimento fino alla loro scadenza, salvo che non siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa dell’acquirente medesimo”. Solo con l’intervento delle OO.SS. e attraverso atti inimpugnabili costituiti da verbali di conciliazione sindacale o amministrativa (realizzati ex art. 410 e 411 c.p.c.) l’alienante può essere liberato dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro pregresso; è tuttavia pacifico che affinchè il consenso sindacale non si attualizzi in una inimmaginabile svendita dei diritti dei lavoratori, gli effetti liberatori dovranno essere ampiamente compensati da altri benefici certi, consistenti ed apprezzabili, eminentemente in ordine al futuro assetto contrattuale dei lavoratori incorporati.

Con questa tecnica di “outsourcing”, l’azienda madre realizza indubitabilmente una contrazione di organico e risparmi retributivi indiretti ma sarà difficile che consegua una consistente e diretta contrazione del costo del lavoro anche perché nella procedura di confronto sindacale (che peraltro non si traduce in un obbligo datoriale a negoziare), nessuna seria Organizzazione sindacale acconsentirà, supportata dal disposto normativo dell’art. 3 L. n. 1369/’60, che la nuova società costituita per la fornitura di attività o servizi inerenti al ciclo produttivo aziendale (in quanto non rientranti tra quelli tassativamente elencati nell’art. 5 della legge citata) applichi contratti collettivi nazionali o aziendali diversi da quelli adottati dalla società alienante, trasformatasi in committente.

Allo stesso obbligo equiparativo nell’applicazione dei contratti collettivi nazionali ed aziendali – quantunque limitato alla durata del contratto di fornitura dei servizi inerenti al ciclo produttivo aziendale – soggiace l’azienda (terza) incorporante il ramo d’azienda dismesso, relativamente al nucleo di personale impiegato nella fornitura dei servizi all’azienda committente, nucleo che, non necessariamente ma molto  verosimilmente, coinciderà con quello dei dipendenti trasferiti con il ramo di azienda dismesso.

 

5.     L'outsourcing nell’accordo di rinnovo dei ccnl del settore credito dell’11 luglio 1999

Quanto abbiamo affermato – sotto l'aspetto della vincolatività giuridica del principio della uniformità economico normativa, realizzabile solo  attraverso l'uniformità di applicazione contrattuale,  sancita dall'art. 3 L. n. 1369/'60 per i lavoratori addetti (in organico o in aziende esterne) ad attività inerenti al ciclo produttivo dell'impresa principale committente – è stato indubbiamente tenuto presente nella sostanza  dagli agenti negoziali in rappresentanza delle OO.SS. stipulanti l' accordo dell'11 luglio 1999 di rinnovo degli scaduti ccnl del credito. Anche se dobbiamo sottolineare che la tassatività delle ipotesi codificate all'art. 5 della L. n. 1369/1960 (quali fattispecie di deroga all'applicazione del principio di uniformita di trattamento (id est, contrattuale) è stata abilmente – e con dubbia legittimità – riconfezionata ad hoc per il nostro settore e degradata ad "esemplificazione" ("indicativamente", nel testo dell'accordo), con il certo rischio di dilatazione ad altre ipotesi di "attività accessorie e/o complementari", con presumibile pregiudizio per i lavoratori (così Cap. 1, "area contrattuale", punto 3).

Tuttavia è fatto significativo ed importante  che il principio dell'uniformità di trattamento contrattuale – per lavoratori in organico e lavoratori scorporati  ed allocati in altre aziende (incorporanti) anche non bancarie, impiegati in attività facenti parte del ciclo produttivo aziendale dell'azienda di credito (o ad essa organizzativamente connesse) – sia stato mantenuto fermo, e ciò lo si desume dal tenore letterale dell'intero Cap.1 della predetta ipotesi di accordo.

Al 2°, 3° e 4° comma  del predetto Cap. 1 è stato, infatti, specificato, con intenti garantistici per i lavoratori, che – per "alcune attività o processi e fasi lavorative, o raggruppamenti di attività organizzativamente connesse" (a quelle dell'azienda di credito), in caso di allocazione del personale e delle attività (mediante eminentemente scorporo di ramo d'azienda)  presso aziende non controllate (e quindi non applicanti il ccnl del credito) -  "è garantita al personale interessato in tali processi ed a quello di nuova assunzione, impiegato nelle attività di cui al punto 1 del Cap. 1,  l'applicazione del ccnl del credito, con le relative specificità". A tal fine "l'azienda alienante potrà cedere le attività in questione a condizione che l'acquirente si impegni ad applicare il contratto collettivo del credito con le relative specificità e demandi e a far assumere, in caso di successiva cessione, il medesimo impegno al nuovo acquirente".

Le attività "organizzativamente connesse" al credito – per le quali, ferma restando l'applicazione al personale addetto del ccnl del credito (anche in caso di esternalizzazione),quantunque temperata da "specifiche regolamentazioni" in tema di orario ed inquadramenti al "fine di addivenire, con la necessaria gradualità temporale, ad una disciplina coerente con il mercato di riferimento" (Cap. 1, 2° comma) – sono tassativamente individuate al punto 1) della precitata ipotesi d'accordo.

Esse consistono nelle attività di:

A)    Intermediazione mobiliare.

B)    Leasing e factoring.

C)    Credito al consumo.

D)    Gestione delle carte di credito e sistemi di pagamento.

E)     Servizi o reparti centrali o periferici, di elaborazione dati, anche di tipo consortile.

F)     Centri servizi, relativamente alle attività di tipo amministrativo contabile, non di sportello, svolte in maniera accentrata (strutture centrali o periferiche), di supporto operativo alle seguenti specifiche attività creditizie:

-         nell'area sistemi di pagamento: bonifici Italia da/verso clienti; utenze; portafoglio cartaceo ed elettronico da clienti e corrispondenti; carte di credito e di debito; imposte e tasse; Inps; assegni circolari/bancari;

-         nell'area estero: crediti documentari e portafoglio estero; bonifici estero; girofondi finanziari;

-         nell'area finanza. amministrazione e regolamento titoli italiani in portafoglio non residenti; prodotti derivati trattati su mercati regolamentati; prodotti derivati OTC; forex/money market; depositi;

-         nell'area titoli: custodia titoli; amministrazione azioni e obbligazioni; regolamenti c/cifra e franco valuta; banca depositaria; fondi di gestione; GPM/risparmio gestito; informativa societaria;

-         nell'area supporto: anagrafe; conti correnti;

-         nell'area servizi generali: contabilità, ivi compresa quella fornitori.

G)    Gestione amministrativa degli immobili d'uso.

Per quanto riguarda l'attività dei CED, va detto che viene a scomparire la qualificazione (rinvenibile in entrambi i precedenti, scaduti, contratti) secondo la quale essa era "parte costitutiva essenziale del ciclo produttivo" aziendale, declassata ora nell'ambito delle "attività organizzativamente connesse" al core business della banca, anche se le conseguenze in ordine all'applicazione del ccnl del credito -  con specifici adattamenti o regolamentazioni (definiti nei precedenti contratti "norme di modulazioni e flessibilità") - restano del tutto immutate.

Sostanziosi cambiamenti sono invece rinvenibili in ordine alla previsione – in precedenza inespressa e pertanto ora del tutto nuova – delle "attività complementari e/o accessorie appaltabili" senza alcun vincolo di applicazione integrale del ccnl del credito (anzi destinatarie di contratti complementari contemplanti, per gli assumendi dopo la stipula del ccnl, una riduzione delle tabelle salariali del 15%). Attività che, peraltro vengono individuate non già "tassativamente" ma "indicativamente", tramite esemplificazioni dilatabili ad altre imprecisate fattispecie.

Come sopraccennato, lo scadimento dalla fissazione "tassativa"  – di cui all'art. 5 della L. n. 1369/1960 (invero con riferimento a realtà eminentemente industriali) – nella fissazione "esemplificativa" presenta indubitabili aspetti di pericolosità (oltre a sospetti di illegittimità della difforme previsione contrattuale in deroga alla legale caratterizzata da vistose analogie di ratio)  per i lavoratori adibii a tali operazioni appaltabili senza soverchie garanzie dal lato del trattamento economico-normativo dei prestatori d'opera. Tali attività, che gli agenti negoziali hanno convenuto come liberamente appaltabili e destinatarie di contratti con regolamentazioni difformi da quello del credito per taluni istituti economico/normativi –  invero, dopo 40 anni circa dalla formulazione legislativa, con spirito di maggiore aderenza alla realtà di oggi (e del settore) rispetto alle ipotesi (di marca  prettamente industriale) dell'art. 5 della legge del 1960, che comunque permane fino ad originare il dubbio che con essa si pongano in contrasto le odierne pattuizioni contrattuali del rinnovato ccnl del credito, in mancanza di una modifica specifica del legislatore alla legge de qua– sono identificate "indicativamente"come segue:

1.      Servizio portafoglio (escluse quelle di cui al punto 1, lett. F) e cassa/trattazione assegni; lavorazioni di data entry relative ad attività di back office.

2.      Trattamento delle banconote (ammazzettamento, contazione, cernita, etc.); trattamento della corrisposndenza e del materiale contabile; trasporto valori.

3.      Attività di supporto tecnico/funzionale per self-banking, POS, electronic banking e banca telefonica.

4.      Gestione di archivi, magazzini, economato (approvvigionamento di  materiali d'uso); servizi centralizzati di sicurezza; vigilanza.

 

A conclusione della disamina, possiamo dire che la "moda dell'outsourcing" – praticabile in maniera indiscriminata e selvaggia, nelle intenzioni aziendali  e dell'associazione datoriale – ha ricevuto, almeno per ora, tramite l'accordo di rinnovo, pesanti freni e condivisibili condizionamenti in linea con la riaffermazione della centralità e dell'applicabilità del contratto del credito per le attività intrinsecamente e/o strumentalmente connesse al ciclo produttivo dell'azienda bancaria, secondo i capisaldi di principio solidamente fissati dalla L. n. 1369/1960 che dei condizionamenti contrattuali é stata – indiscutibilmente – l'ispiratrice palese od occulta.  Sono tuttavia condizionamenti e freni che, da quanto traspare dalla stessa ipotesi di accordo, la parte datoriale si ripromette di sottoporre a futura e graduale erosione – a meno di una capacità di resistenza ad oltranza del Sindacato al riguardo – sollecitata dalla legge del "profitto" e del "mercato" cui è indifferente ed estranea  qualsiasi remora solidaristica e di rispetto dell'individuo e delle sue esigenze di dignità, alla cui difesa è invece deputato istituzionalmente il Sindacato, senza che gli sia  consentito – pena un pesante giudizio di inadeguatezza o, peggio, di collusione con la controparte - deflettere o venire meno al proprio compito.

Mario Meucci

(pubblicato in Incontri n. 4/1999)

 

  NOTE

 

(1) Biagi, L’outsourcing: rischio od opportunità?, in Guida al lavoro del 7.10.’97, n.3, p. 10 e ss

(2) Così dalla Relazione cit., in Rass. lav., febbr. 1958,p.220.

(3) Così Biagi, op.cit., p.14.

 

(Torna all'elenco Articoli presenti nel sito)