Ancora sull’obbligo di motivazione delle note di qualifica (e delle promozioni) nel settore del credito

 

Cassazione , Sezione Lavoro, 9 gennaio 2001, n. 206 - Pres.  De Musis – Est.  De Renzis - Vito c. Banco di Napoli.

 

Poteri del datore di lavoro - Note di qualifica – Obbligo di motivazione  sia per il dipendente  sia per la verifica di trasparenza in sede di sindacato giudiziale - Ripartizione dell’onere probatorio - Criteri - Fattispecie relativa al settore del credito.

 

Le valutazioni del datore di lavoro concernenti le note di qualifica dei dipendenti non sono insindacabili, restando il datore di lavoro soggetto ai limiti posti da eventuali criteri obiettivi previsti dal contratto collettivo e soprattutto agli obblighi di correttezza e buona fede, con l'onere di motivare le suddette note al fine di al dipendente l’ eventuale  contestazione  ed  al giudice il sindacato in ordine all'eventuale sussistenza di intenti discriminatori o di ritorsione ovvero di motivi illeciti o non ispirati alla necessaria trasparenza.. Da questa premessa la stessa Corte trae la conclusione che la clausola di contrattazione collettiva, che prevede la corresponsione di un premio di rendimento ai dipendenti che abbiano conseguito una determinata qualifica, non sancisce un potere soggettivo insindacabile del datore di lavoro, potendo il dipendente, cui tale premio sia negato per il mancato conseguimento della nota di qualifica necessaria, contestare la motivazione e quindi la legittimità in quest'ultima (in questo senso Cass., 27 febbraio 1995, n. 2252; Cass., 20 maggio 1996, n. 4823).

Nel caso, poi, in cui ad una determinata valutazione sia collegata l’attribuzione di un beneficio retributivo, il lavoratore ha l’onere di dedurre che la valutazione corretta avrebbe comportato l’attribuzione del beneficio, mentre la prova dell’esistenza di cause ostative ricade sul datore di lavoro. (Nella specie, la S. C. ha annullato la sentenza impugnata, che, in relazione all’incentivo economico previsto dall’accordo 29 dicembre 1988 a favore del personale direttivo del Banco di Napoli riportante la qualifica di ottimo, aveva rigettato la contestazione del lavoratore, valorizzando il carattere discrezionale dei giudizio dei datore di lavoro che la Cassazione ha censurato asserendo incisivamente che “l'erroneità dell'impugnata decisione del Tribunale di Napoli, la quale - come già si è detto - s'incentra solo sulla discrezionalità e quindi sull'insindacabilità, si coglie anche in base alla considerazione che se il giudizio di ' idoneità ' positivo deve essere parametrato e rapportato a specifici elementi, a maggior ragione il giudizio negativo, che deve essere idoneamente motivato, è suscettibile di controllo in sede giudiziale”) .

 

Fatto. - Con il ricorso al Pretore di Napoli del 5 agosto 1992 Gaetano Vito esponeva di essere dipendente del Banco di Napoli con il grado VI, di avere sempre riportato la qualifica ottimo, di avere percepito nell'anno 1991 l'incentivo per il personale direttivo meritevole di tale qualifica, di non essere stato ritenuto meritevole dell'incentivo per l'anno 1992. Ciò premesso, chiedeva pronuncia di illegittimità sia della normativa attinente agli incentivi, anche in relazione al giudizio per le c.d. qualità potenziali, sia del provvedimento aziendale negativo e condanna il Banco di Napoli al pagamento dell'incentivo per l'anno 1992.

L’ adito Pretore respingeva il ricorso con sentenza del 17 luglio 1996, confermata, a seguito di appello proposto dal Vito, dal Tribunale di Napoli con sentenza n. 2585 del 26 marzo 1999/8 luglio 1999.

Il Tribunale in particolare osservava che il riconoscimento dell'incentivo economico in questione, introdotto con accordo sindacale del 28/29 dicembre 1988, si fondava su valutazioni discrezionali rimesse al giudizio del datore di lavoro, il quale rimaneva totalmente libero nella formulazione del suo parere, espressamente definito non ricorribile.

Il Vito propone ricorso per - cassazione con unico complesso motivo, al quale resiste con controricorso il Banco di Napoli.

Lo stesso ricorrente ha depositato memoria ex art. 378  c.p.c.

 

Diritto. - Con l'unico motivo il ricorrente denuncia violazione e, comunque, falsa applicazione di norme di diritto, artt. 1362 e 1366 c.c. (con riferimento alla normativa convenzionale di cui all'Allegato b 4 dell'Accordo Sindacale per i dipendenti del Banco di Napoli del 28/29 dicembre 1988), artt. 1175 e 1375 c.c., art. 1223 c.c., ed art. 116 c.p.c., nonché vizi di motivazione su punti decisivi della controversia, mancato esame della documentazione acquisita agli atti, in relazione all'art. 360, n. 3 e n. 5, c. c.

Al riguardo sostiene che il giudice di secondo grado ha ritenuto del tutto irrilevante la richiamata normativa convenzionale, la quale richiedeva per il giudizio di disconoscimento dell'incentivo invocato “idonea motivazione” in modo da porre il dipendente in condizioni di conoscere immediatamente le ragioni effettive della valutazione e di poter chiedere il controllo giudiziale del provvedimento aziendale.

Aggiunge che non è stata presa in considerazione l'evidente contraddittorietà tra il giudizio espresso per l'anno 1992 rispetto a quello del 1991 e la non omogeneità delle relative schede, riguardando la scheda del 1991 la nota di qualifica sulla prestazione di lavoro effettuata nell'anno precedente a quello della valutazione e la scheda del 1992 i requisiti di capacità di vario genere acquisiti dal dipendente e prese in esame per la valutazione della potenzialità futura.

Rileva altresì che in questo quadro erroneamente l'impugnata sentenza non ha riscontrato la violazione delle prescrizioni di lealtà e correttezza, che costituiscono il cardine della disciplina delle obbligazioni nascenti dal rapporto di lavoro.

Il ricorrente lamenta che il Tribunale non abbia condiviso l'indirizzo espresso da questa Corte in analoga fattispecie relativa all'attribuzione dell'incentivo in questione.

Il Vito si duole infine che il Tribunale abbia omesso di valutare la contraddittoria difesa svolta dall'azienda nel processo, risultando l'incongruità dell'impugnato giudizio anche dalle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio libero in primo grado dal procuratore speciale del legale rappresentante del Banco.

Da parte sua il Banco di Napoli contesta le avverse tesi difensive deducendone in via principale l'inammissibilità e nel merito l'infondatezza, atteso che una idonea motivazione nel provvedimento negativo adottato avrebbe potuto ravvisarsi in relazione agli altri atti assunti; rileva in ogni caso che il Tribunale con apprezzamento di fatto, non suscettibile di censura in sede di legittimità, bene avrebbe interpretato la normativa negoziale individuando ampi margini di discrezionalità di valutazione del datore di lavoro ed escludendo la configurabilità di un diritto soggettivo del dipendente all'attribuzione dell'incentivo in questione.

Ciò premesso sulle opposte divergenti linee difensive, questa Corte ritiene fondati i rilievi del ricorrente. 

Al riguardo si osserva che in base a consolidato indirizzo di questa Corte le valutazioni del datore di lavoro concernenti le note di qualifica dei dipendenti non sono insindacabili, restando il datore di lavoro soggetto ai limiti posti da eventuali criteri obiettivi previsti dal contratto collettivo e soprattutto agli obblighi di correttezza e buona fede, con l'onere di motivare le suddette note al fine di consentire al giudice il sindacato in ordine all'eventuale sussistenza di intenti discriminatori o di ritorsione ovvero di motivi illeciti. Da questa premessa la stessa Corte trae la conclusione che la clausola di contrattazione collettiva, che prevede la corresponsione di un premio di rendimento ai dipendenti che abbiano conseguito una determinata qualifica, non sancisce un potere soggettivo insindacabile del datore di lavoro, potendo il dipendente, cui tale premio sia negato per il mancato conseguimento della nota di qualifica necessaria, contestare la motivazione e quindi la legittimità in quest'ultima (in questo senso Cass., 27 febbraio 1995, n. 2252; Cass., 20 maggio 1996, n. 4823).

A fronte di questo chiaro e convincente orientamento giurisprudenziale, che questa Corte ritiene di condividere, si contrappone la decisione del Tribunale, la quale in modo non corretto sostiene che la valutazione del datore di lavoro ai fini dell'attribuzione o meno dell'incentivo in questione sono di tipo discrezionale e non ricorribili, essendo così espressamente previsto.

Orbene l'erroneità dell'impugnata decisione, la quale - come già si è detto - s'incentra solo sulla discrezionalità e quindi sull'insindacabilità, si coglie anche in base alla considerazione che se il giudizio di  "idoneità" positivo deve essere parametrato e rapportato a specifici elementi, a maggior ragione il giudizio negativo, che deve essere idoneamente motivato, è suscettibile di controllo in sede giudiziale.

In sostanza è evidente l'errore di metodologia, in cui è incorso il Tribunale, che, a seguito del gravame del lavoratore, era chiamato a verificare la correttezza del controllo esercitato dal giudice di primo grado sul giudizio riassuntivo, formulato dalla Banca attraverso la nota caratteristica del 1992 e contrastante con quello contenuto nella nota del 1991, in ordine al rispetto degli obblighi di correttezza buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., i quali implicano il divieto di perseguire intenti discriminatori o di ritorsione o comunque non ispirati alla necessaria trasparenza.

Va osservato inoltre che in fattispecie analoga a quella in esame è stato affermato che il lavoratore ha l'onere di dedurre che la valutazione corretta avrebbe comportato l'attribuzione del beneficio, mentre la prova dell'esistenza di cause ostative non può che risalire al datore di lavoro (Cass., 10 novembre 1997, n. 11106), principio che deve trovare applicazione anche al caso di specie.

In conclusione il ricorso va accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con il rinvio per nuovo esame della causa alla Corte di Appello di Napoli, che, nell'uniformarsi ai principi e ai criteri enunciati, provvederà anche sulle spese di questo giudizio. (Omissis).

Nota

 

Dopo tante decisioni che hanno affermato l’obbligo datoriale di motivazione delle note di qualifica e delle promozioni sin dalla prima metà degli anni ‘80 (cfr., per tutte, Cass. n. 3675 del 27 maggio 1983, in Giust. civ. 1983, I, 2270 con nostra nota dal titolo: Significativi passi sulla via della trasparenza ed imparzialità nelle promozioni , cui adde più di recente  Pret. Roma 16 marzo 1993, in Dir. lav. 1994, II, 36;Cass. 27 febbraio 1995, n. 2252, in Not. giurisp. lav. 1995, 155;  Cass. 6 giugno 1998, n. 5601, inedita; Cass. 18 agosto 1999, n 8710, ibidem 1999, 569, n. 38; Cass. 8 agosto 2000, n. 10450, inedita), ancora  si fa fatica a spiegarsi in termini ragionevoli  (e non maliziosi) come i magistrati di talune sedi di “poteri forti” (quali le istituzioni di credito locali) continuino a discostarsi dalle statuizioni della Cassazione (impegnata a tutelare correttezza ed imparzialità a fronte del diffuso clientelismo) ed accolgano le tesi dei difensori dei potentissimi “pilastri cadenti” della c.d. “foresta pietrificata” del credito, nell’intento e con l’effetto di accordare loro la piena discrezionalità nell’attribuzione di premi di rendimento o produttività per i dipendenti (correlati alle note di qualifica) e nel conferimento delle promozioni del personale, sordi alla tuonante richiesta etico-giuridica che siano effettivamente ispirate a “merito comparativo” e non già a preferenza di cordata, ovvero frutto di segnalazione o raccomandazione partitico-politica o clientelare di similare o analoga provenienza. Ben ha fatto quindi la Cassazione a rammentare a questi magistrati locali il macroscopico “errore di metodologia” in cui erano incorsi  ed altresì bene ha fatto a non mutare la sede locale per la decisione di rinvio, allo scopo di infliggere – giustappunto in loco – la “lezione” dell’applicazione di consolidati principi di diritto, singolarmente dismessi sia in sede pretorile che in sede di ricorso al locale tribunale da parte di un lavoratore evidentemente restio a darsi per vinto (come di solito e comprensibilmente capita a chi si trova ad essere soccombente per ben due volte, prima da parte del giudice monocratico di 1° grado, successivamente  addirittura da parte di un collegio giudicante!).

 

Roma, 21 dicembre 2001

Mario Meucci

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