Mobbing della Palazzina Laf, condannato presidente dell'Ilva e collaboratori
(in attesa della pubblicazione della sentenza,
riferiamo questa notizia di stampa)
Undici imputati condannati
(tra cui il presidente dell'Ilva, Emilio Riva) per tentativo di violenza
privata; non c'è stata invece frode processuale: questa la sentenza, dopo otto ore
di camera di consiglio, emessa stasera dal giudice unico del tribunale di
Taranto Genantonio Chiarelli. Oggetto del processo il trasferimento forzato nel
'97, un chiaro caso di mobbing, di dodici dipendenti del centro siderurgico
(piu' tardi diverranno settanta) in in una palazzina inutilizzata e priva di
impianti di lavorazione. Un caso, questo della palazzina Laf, è diventato uno
dei più citati fra gli studiosi di mobbing. Emilio Riva, presidente del
consiglio d'amministrazione dell'Ilva, Luigi Capogrosso, direttore dello
stabilimento di Taranto, e un caporeparto, Antonio Bon, sono stati condannati a
due anni e tre mesi di reclusione. Un altro caporeparto, Angelo Greco, è stato
condannato a due anni. Claudio Riva, figlio di Emilio e amministratore delegato
dell'Ilva, è stato assolto sia dall'accusa di tentativo di violenza privata sia
da quella di frode processuale; da quest'ultima accusa sono stati assolti anche
Emilio Riva, Capogrosso e Greco. Altri sette imputati, tutti capireparto, sono
stati condannati a pene minori, a partire da nove mesi di reclusione. La
vicenda della palazzina Laf ha origine alla fine del '97 quando l'Ilva decide
di 'confinare' in quella struttura fatiscente dello stabilimento alcune decine
di dipendenti (alla fine saranno una settantina). Si tratta in gran parte di
lavoratori fra i più sindacalizzati e che soprattutto non avevano voluto
accettare la proposta aziendale di lavorare con mansioni e qualifiche inferiori
a quelle precedenti. Sul piano giudiziario invece l'inchiesta prende avvio il
19 febbraio del '98 quando all'allora procura della Repubblica presso la
pretura circondariale di Taranto giunge una nota del locale ispettorato del
lavoro. In quella nota, originata da una richiesta pervenuta dal ministero del
lavoro che doveva predisporre una risposta ad una interrogazione parlamentare,
si parlava di una situazione di estrema conflittualità all'interno dell' Ilva;
si faceva riferimento, in particolare, al caso della palazzina Laf da cui poi è
scaturita l'ipotesi di reato di tentativo di violenza privata ai danni dei
lavoratori. L'accusa di frode processuale era nata invece da una ispezione
fatta dai magistrati inquirenti, il procuratore aggiunto Franco Sebastio e il
sostituto procuratore Alessio Coccioli, il 7 novembre del '98. A parere dei
magistrati, nel periodo compreso fra la notifica del decreto di ispezione e la
sua esecuzione vennero svolti lavori di aggiustamento" della palazzina Laf
per renderla più 'vivibile' agli occhi dei visitatori. Nel corso della lunga vicenda
giudiziaria, la stessa struttura è stata anche sottoposta a due sequestri, uno
probatorio disposto dai pubblici ministeri e l' altro, preventivo, da parte del
gip del tribunale di Taranto. Dal '97, per oltre due anni, i lavoratori
'confinati' non hanno svolto alcuna attività lavorativa e per un certo periodo
sono stati tenuti a casa col pagamento dello stipendio. Poi sono finiti in
cassa integrazione, scaduta proprio il 30 novembre scorso: in questi giorni una
minima parte di loro è rientrata nel ciclo produttivo insieme ad altre unità
che erano in Cigs. Secondo quanto denunciato anche nel corso del processo, una
parte dei 70 lavoratori, a causa di queste vessazioni, ha subito danni
psicologici e persino fisici.
(da un articolo de “La Repubblica” dell’8 dicembre 2001)
Qui sono leggibili le sentenze:
a) Sentenza di 1° grado: Trib. pen. Taranto 7.3.2002
b) Sentenza d'Appello: App. Lecce (sez. dist. Taranto), sez. pen., 10.8.2005
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