Obbligo
di liquidazione equitativa in presenza di indici presuntivi di
danno da demansionamento
Cass.
sez. lav. 29 aprile 2004 n. 8271 (ud.
3 dicembre 2004) – Pres. Ianniruberto – Rel. Mazzarella-
Pacchiana Giacomo (avv. Sonzogni, Giove) c. ALSTOM
FIR s.p.a. (avv. Cicolari, Vesci)
Demansionamento professionale - Diritto al risarcimento danni - Difficoltà di pervenire alla quantificazione - Rigetto della domanda risarcitoria - Illegittimità - Liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c. in presenza di indici presuntivi - Obbligo.
In
caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore in violazione
dell'art. 2103 cod. civ., il giudice del merito, con apprezzamento di fatto
incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l'esistenza
del relativo danno in base agli elementi di fatto relativi alla durata della
qualificazione e delle altre circostanze del caso concreto, potendo procedere ad
una autonoma valutazione equitativa del danno, rispetto alla quale non ostano né
l'eventuale insuccesso di una ctu disposta al fine di quantificarlo in concreto
alla luce di criteri lato sensu oggettivi, né l'eventuale inidoneità e/o
erroneità dei parametri risarcitori indicati dal danneggiato dovendosi, per
converso, ritenere contraria a diritto un'eventuale decisione di "non
liquet", fondata, appunto, sull'asserita inadeguatezza dei criteri indicati
dall'attore o sulla pretesa impossibilità di individuarne alcuno, risolvendosi
tale pronuncia nella negazione di quanto, invece, già definitivamente acclarato
in termini di esistenza di una condotta generatrice di danno ingiusto e di
conseguente legittimità di una richiesta risarcitoria relativa ad una
"certa res lesiva". ( Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto che
la corte di merito, con la sentenza impugnata, non si fosse attenuta ai principi
di diritto sopra indicati, avendo rigettato la domanda di risarcimento del danno
in via equitativa a fronte della considerazione del mantenimento della
retribuzione su livelli invariati, e dell'assenza della allegazione di un danno
ulteriore e di indicazioni sulla sua consistenza, laddove il lavoratore,
demansionato da progettista addetto alla componentistica a semplice addetto al
magazzino, aveva indicato indici di danno quali la perdita del bagaglio
professionale, la compromissione di una sua possibile riconversione, il
pregiudizio morale e psicologico incidente anche sulla vita di relazione).
Svolgimento del processo
Con la sentenza di cui in
epigrafe, e qui impugnata, il Tribunale di Brescia, in sede di rinvio, in
accoglimento per quanto di ragione dell'appello proposto dalla Alstom Fir
s.p.a., già Fabbrica Italiana Relé s.p.a. (F.I.R. s.p.a.) avverso la sentenza
del Pretore di Bergamo n. 0643194, che, a sua volta, aveva accolto la domanda
proposta da Giacomo Pacchiana contro la detta seconda società, della quale era
dipendente in qualità di impiegato di V° livello super, dichiarava sussistente
la variazione delle mansioni come denunziata, rigettava la relativa domanda di
risarcimento del danno, condannando lo stesso Pacchiana alla restituzione della
somma di lire 20.630.250 corrisposta dalla società in esecuzione della sentenza
di primo grado, e dichiarava inammissibili le altre richieste del Pacchiana
perché coperte da giudicato interno. Aveva dedotto il Pacchiana che dalle
iniziali mansioni di progettista, addetto alla componentistica di circuiti
stampati, era stato, per aver contratto spondiloartrosi cervicale con
discopatia e calcificazione del legamento nucale, con conseguente persistente
sindrome cefalgica nucale, trasferito prima al controllo elettrico, poi
dall'inizio del 1989 al magazzino, reparto garanzia e qualità, e, non avendo
avuto miglioramenti del suo stato di salute, dal rientro dalla cassa
integrazione speciale per il periodo dall'agosto 1990 all'agosto 1991, dirottato
al magazzino con mansioni di stretta manovalanza (conservazione di cataloghi di
fornitori, fotocopie, maneggio fogli, ed altro). Il Pretore di Bergamo aveva
accolto la domanda, riconoscendo l'avvenuta dequalificazione professionale e il
risarcimento del danno, liquidato in lire 26.500.000; la sentenza era stata
riformata in grado di appello ed erano state rigettate tutte le domande del
Pacchiana, in sintesi, sul presupposto che, pur riconoscendosi l'ammessa (dalla
società) dequalificazione professionale, l'adibizione del lavoratore alle
mansioni di archivio era stata in effetti obbligata, e anche accettata dallo
stesso, atteso il lungo periodo di mancate obiezioni; con la medesima sentenza
era stata anche rigettata la domanda di restituzione delle somme erogate in
esecuzione della sentenza di primo grado, mancante la prova dell'avvenuto
pagamento di esse. A seguito di impugnazione la Corte di cassazione, su ricorso
principale del Pacchiana e incidentale della società, riuniti i ricorsi, dopo
aver fissato una serie di principi di diritto, accoglieva il motivo di ricorso
principale sulla insufficienza delle argomentazioni poste dalla sentenza
impugnata a fondamento dell'accettazione da parte del lavoratore della
reformatio in pejus delle mansioni e sulla consapevolezza dello stesso di
insussistenza di accettabili alternative, accoglieva, con la sentenza n.
13688/2000, il ricorso principale e dichiarava assorbito quello incidentale.
Osservava il Tribunale
con la sentenza di rinvio, per quanto ancora di rilievo: pacifica la
dequalificazione professionale, e provata l'insussistenza in azienda di mansioni
equivalenti all'inquadramento riconosciuto al lavoratore, era rimasto privo di
riscontro l'asserito consenso di quest'ultimo, pur per fatti concludenti, al
passaggio a mansioni inferiori, tanto più che tale passaggio era stato
specificamente contestato per iscritto; di conseguenza, l'esercizio dello ius
variandi era avvenuto illegittimamente; tuttavia, la liquidazione equitativa
del danno, quest'ultimo dato per presunto nella sentenza appellata, non poteva
neanche essere effettuata, attesa l'assenza, in considerazione del mantenimento
della retribuzione acquisita, dell'allegazione e della prova di un ulteriore
danno e della sua consistenza; inammissibili erano le ulteriori domande per
mancata specifica impugnazione della pronuncia di primo grado sulla mancata
reintegrazione del Pacchiana nelle mansioni di origine o ad esse equivalenti.
Ricorre per cassazione
Pacchiana Giacomo affidandosi a due motivi di censura.
La Alstom Fir s.p.a. si
è costituita con controricorso.
Il Pacchiana ha
depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di
ricorso Pacchiana Giacomo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt.
1226 e 2697 c.c. in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c..
Deduce il ricorrente: era
immotivata la statuizione impugnata, che, pur avendo riconosciuta sussistente la
dequalificazione professionale, aveva rigettato la domanda del relativo
risarcimento del danno, per mancanza di prova; in realtà, dagli atti di causa
risultava più volte indicata la "perdita di bagaglio professionale",
la compromissione di una sua possibile riconversione e/o occupazione in mansioni
impiegatizie, e il pregiudizio morale e psicologico della sua relegazione in
mansioni inferiori, incidente anche nella sua vita di relazione e per un periodo
più lungo della stessa vita lavorativa; per la liquidazione del danno dovevano
supplire i criteri dell'equità giudiziale in relazione alla durata, pacifica,
della assegnazione alle mansioni dequalificanti.
Con
il secondo motivo di ricorso Pacchiana Giacomo denunzia omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ai sensi
dell'art. 360, n. 5,
c.p.c..
Si deduce, in sintesi: la
motivazione del rigetto della domanda di risarcimento del danno, sul presupposto
della inesistenza di prova sul punto, era insufficiente per il solo generico
riferimento alle risultanze di causa, e irriguardosa della reale
"portata" del giudizio; né risultava motivata la condanna del
Pacchiana alla restituzione delle somme riscosse in esecuzione della sentenza di
primo grado.
I motivi, da trattarsi
congiuntamente perché connessi fra loro, sono fondati nei termini che innanzi
si indicheranno.
Premesse pacifiche le
circostanze che l'esercizio dello ius variandi è avvenuto
illegittimamente, non essendo stata impugnata la sentenza su tale punto, le
censure in esame si riferiscono alla mancata liquidazione del danno. Precisa il
giudice di appello, sul presupposto che "la circostanza del
demansionamento, non corroborata da ulteriori elementi di giudizio, immutata
restando la retribuzione, non realizza di per sé sola un pregiudizio
risarcibile, costituendo, invece, un possibile antecedente per la verificazione
di un danno a carico del lavoratore, danno, dunque che va da quest'ultimo
comunque allegato e distintamente provato", in realtà non ne era stata
dedotta e allegata una qualche specificazione nell'atto introduttivo e nel corso
del giudizio, né in relazione ad essa era stata articolata prova alcuna; tanto,
per il giudice di merito, impediva il ricorso ai sollecitati poteri di ufficio
di liquidazione del danno in via equitativa, sicché l'azione risarcitoria
doveva essere rigettata.
In linea di principio la
tesi del giudice di merito va condivisa, essendo essa rispettosa dei principi
giurisprudenziali di legittimità. Tuttavia, nel caso di specie non può negarsi
che dalle difese delle parti risultano elementi di fatto non privi di una certa
valenza, comunque da valutarsi nella sede di merito, ai fini della sussistenza
in via teorica di un danno assoggettabile ai criteri di liquidazione equitativa.
Risulta, infatti, dalla stessa sentenza impugnata, per come ammesso dalla società,
non solo l'avvenuto demansionamento ma anche le modalità di esso nei termini
denunziati dal lavoratore (da attività di progettista, addetto alla
componentistica di circuiti stampati a quella di controllo elettrico, e quindi
al reparto garanzia e qualità, e, infine, al magazzino con mansioni semplici o
di stretta manovalanza di conservazione di cataloghi di fornitori, fotocopie,
maneggio fogli, ed altro), così come risultano denunziate analiticamente, ed
assunte come dequalificanti anche per i lunghi periodi di adibizione, le
mansioni di volta in volta affidate al lavoratore in luogo delle originali di
assunzione ovvero comunque svolte di 5^ categoria super. In conseguenza di tutto
questo il ricorrente ha denunziato "perdita del bagaglio professionale",
impedimento alla "possibilità di riconversione", "mortificazione
di professionalità", perdita di specializzazione tecnica, etc.. E
dunque, sul punto, il silenzio del giudice di merito in relazione ad elementi
fattuali in qualche modo valutabili, seguito alla mancanza di specifiche
indagini e opportuni accertamenti in proposito, non può non integrare vera e
propria omissione di motivazione circa punti decisivi della controversia,
finanche prospettati dalle parti e (certamente) connessi al denunziato, e
riconosciuto, demansionamento.
Tale iter
motivazionale contraddice anche principi già affermati dalla Corte, secondo cui
"in caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore in
violazione dell'art. 2103 cod. civ., il giudice del merito, con apprezzamento di
fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere
l'esistenza del relativo danno, determinandone anche l'entità in via equitativa,
con processo logico - giuridico attinente alla formazione della prova, anche
presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla durata della
qualificazione e alle altre circostanze del caso concreto" (Cass. 02
novembre 2001, n. 13580), e, in presenza di impossibile o difficoltosa prova
concreta del preciso ammontare del danno "...è legittimo e doveroso il
ricorso ad un'autonoma valutazione equitativa del danno - senza che spieghi
influenza, in senso contrario, né l'eventuale insuccesso della CTU disposta al
fine di quantificarlo in concreto alla luce di criteri lato sensu oggettivi, né
l'eventuale inidoneità e/o erroneità dei parametri risarcitori indicati dal
danneggiato - dovendosi, per converso, ritenere contraria a diritto un'eventuale
decisione di non liquet, fondata, appunto, sull'asserita inadeguatezza dei
criteri indicati dall'attore o sulla pretesa impossibilità di individuarne
alcuno, risolvendosi tale pronuncia nella negazione di quanto, invece, già
definitivamente acclarato in termini di esistenza di una condotta generatrice di
danno ingiusto e di conseguente legittimità di una richiesta risarcitoria
relativa ad una certa res lesiva " (Cass. 16 settembre 2002, n. 13469):
in tale ultimo caso la Corte sul presupposto di una dichiarata illegittimità di
un provvedimento, e di fronte all'accertata esistenza del danno, ha cassato la
sentenza che aveva poi rigettato la domanda risarcitoria per palese inidoneità
dei criteri adottati dal CTU nella relativa quantificazione e per la innegabile
difficoltà, ai limiti dell'impossibilità, di individuarne altri, concludendo,
per ciò stesso, in termini di inesistenza di un danno risarcibile.
Il ricorso, pertanto, è
fondato nei termini di cui sopra, la sentenza impugnata va cassata in relazione
ad essi, e la causa rinviata ad altro giudice di merito, che si designa nella
Corte di Appello di Venezia, che nel riesaminare la questione relativa alla
richiesta liquidazione in via equitativa del danno, si atterrà ai principi
sopra enunciati, e provvederà anche al regolamento delle spese del giudizio dì
cassazione.
P. Q. M.
La C o r t e
accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata in
relazione alle censure accolte, e rinvia, anche per le spese del giudizio di
cassazione alla Corte di appello di Venezia.
Così deciso in Roma il
03 dicembre 2003 (dep. 29 aprile 2004)
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