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1. Un’importante decisione
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Un decreto emesso
dal Pretore di Pisa in data 30 marzo 1999 (1) nel corso del procedimento ex
articolo 28 Statuto dei lavoratori - tramite il quale sono state riscontrate in
contrasto con l'articolo 8 dello Statuto dei lavoratori le domande contenute in
test attitudinali sottoposte dalle Ferrovie dello Stato a dipendenti
frequentanti un corso di formazione – ci è apparso di d’indubbio interesse e, oltre a suscitare piena
adesione, riteniamo meriti di essere
illustrato ai lettori perché similari o identiche metodologie di gestione del
personale, a sfondo psicosociologico, vengono non infrequentemente poste in
essere, nel corso di programmi di formazione aziendale (internamente o
esternamente gestiti) o di indagini motivazionali curate dall’azienda o
commissionate a terze agenzie, anche nel nostro settore del credito,
scimmiottando tecniche “anglo americane” d’importazione, risalenti all’epoca
degli anni 60 .
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Al magistrato
pisano si rivolge, unitamente ad una Rsu, il sindacato provinciale della
Federazione dei lavoratori del settore trasporti della Cgil - l'unico legittimato
ex articolo 28 Statuto dei lavoratori all'azione relativa – il quale lamenta un
presunto comportamento antisindacale posto in essere dalle FF.SS. tramite la
sottoposizione (ai frequentanti un corso di formazione) di test attitudinali (o
psico attitudinali) contenenti domande di carattere privato, afferenti la sfera
dei convincimenti personali dei lavoratori o delle opinioni in senso lato, che
niente hanno a che vedere con le modalità di conferimento effettivo (o
potenziale) della prestazione lavorativa, mentre appaiono finalizzate a
scandagliare - secondo un grezzo sistema di intrusione nella
privacy mutuato dalle multinazionali angloamericane
- gli aspetti intimi del comportamento extralavorativo ed i personali, privati
convincimenti del dipendente.
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La massima del
decreto (da noi ricavata) così statuisce: “Il
divieto dell'articolo 8 dello Statuto dei lavoratori intende realizzare una
regola ben precisa che è quella di tenere fuori dalla fabbrica le questioni
personali: il datore di lavoro, o chi per lui, non può - quindi - utilizzare
come elementi di giudizio (sia nella fase genetica sia nella fase funzionale
del rapporto) quanto non serva a valutare la capacità professionale del suo
dipendente che - in linea di massima - può essere un disordinato nella vita
familiare, un agitato nella vita collettiva, un epicureo, un esuberante, un
timido, un introverso, un estroverso, un istintivo, o quel che si vuole, senza
che ciò debba interessare a chi abbia solo diritto ad una mera prestazione
lavorativa. La sottoposizione di gruppi
di dipendenti delle FF.SS. ad un test psico/attitudinale - comportante la
risposta a numerose domande concernenti aspetti privatissimi della personalità
ed in qualche caso miranti anche a cogliere la propensione conflittuale o,
invece, collaborativa dei dipendenti - integra la violazione dell'articolo 8
S.d.l. Detto articolo è, a maggior
ragione, violato, ove si consideri che ai candidati non viene reso noto il
criterio di valutazione delle risposte, che la (mancata)
partecipazione al test - pur non essendo
obbligatoria - deve essere giustificata e che non è imposto l'obbligo
dell'anonimato. Non sono ravvisabili,
tuttavia, in tale sottoposizione a test – quantunque finalizzato ad accertare,
illecitamente, le opinioni sulle istanze collettive dei lavoratori - gli
estremi della condotta antisindacale ex articolo 28 S.d.l. Gli atti del
procedimento debbono, tuttavia, essere trasmessi all'autorità penale competente
per l'eventuale esercizio dell'azione penale ex articoli 8 e 38 S.d.l.”
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2.
L’indagine vietata su fatti o convincimenti non
professionalmente rilevanti
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Chi scrive si è
trovato di fronte, nella propria esperienza di direzione del personale,
all'applicazione di queste metodologie anglosassoni da parte delle consociate
italiane di multinazionali americane - tenute ad adottare le politiche
gestionali del personale delle Case madri, salvo i necessari adattamenti
all'ordinamento del Paese di applicazione - e si è dovuto sgolare con gli
psico-sociologi responsabili dei settori della selezione e formazione del
personale (tradizionalmente privi di qualsiasi cognizione giuslavoristica ed
anzi ad essa ostili per una particolare formazione mentale) per far loro capire
che dai vecchi questionari d'assunzione contenenti domande "private"
(afferenti gli hobbies, l'adesione o
meno a club o associazioni, l'uso del
tempo libero, lo status di coniugato
o di single, ecc.) dovevano essere
espunti, dopo l'entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori, tutti questi
quesiti così come si doveva fare la massima attenzione nella (anzi era da
evitare, per sicurezza, la) effettuazione delle c.d.
surveys o "indagini motivazionali" sulla soddisfazione
nel lavoro o sul "clima aziendale" implicanti giudizi sulla gestione
aziendale, giustappunto perché tramite tali indagini (se non rigidamente
assistite dalla garanzia dell'anonimato) si sconfinava nella violazione
dell'art. 8 dello Statuto dei lavoratori (ed ora, in vigenza della L. n. 675/’96,
a maggior ragione nella violazione della legge sulla
privacy). Contro lo scetticismo dei direttori generali e degli
amministratori delegati, ci bastò sbandierare sulle loro facce (e lo facemmo
con vero piacere, attese le nostre propensioni libertarie) le prime decisioni
pretorili degli anni '70 della magistratura milanese, tra cui ricordiamo il
decreto ex art. 28 emesso dalla Pretura di Milano in data 7 febbraio 1974 (2),
secondo cui: "Contravviene al
divieto di indagini sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del
lavoratore o su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell'attitudine
professionale del lavoratore, il datore di lavoro che,
all'atto dell'assunzione, sottoponga una
'domanda d'impiego' con cui vengono chiesti i dati concernenti la condizione
personale di divorziato o separato, la precisazione, in riferimento agli
obblighi militari, dell'arma e del grado di appartenenza, nonché, per
l'opposto, l'eventuale motivo del non assolvimento del servizio militare, la
dichiarazione se il precedente datore di lavoro è al corrente delle intenzioni
del candidato di mutare lavoro, le referenze morali con l'indicazione di tre
persone non di famiglia che conoscano l'aspirante 'intimamente' da almeno 5
anni, i passatempi, le attività sportive con la dichiarazione di appartenenza
ad 'associazioni tecniche, commerciali, etc.', la dichiarazione se mai detenuto
per inosservanza di legge ('eccetto violazioni di minore importanza al codice
della strada') o coinvolto in processi penali, da specificarsi in caso
positivo, ed altre eventuali informazioni". Il timore di tali
dirigenti apicali di far incorrere il legale rappresentante nel reato penale ex
art. 38 S.d.l. - con le connesse ritorsioni sui malaccorti, refrattari ai
consigli degli specialisti - fu sufficiente a farli orientare, più per panico
che per convinzione, verso comportamenti di rispetto della personalità e della
privacy dei dipendenti o dei candidati all'assunzione,
non senza sentirli inveire contro la "ventata progressista" e contro
gli insopportabili "pretori d'assalto". Si vede che le FF.SS. - come
molte aziende italiane di retroguardia - arrivano ora a sperimentare tali
metodologie con il tradizionale ritardo (dei loro convogli), ovvero il tempo
trascorso dall'emanazione dello Statuto dei lavoratori ha fatto dimenticare ai
loro gestori quello che professionisti dell'area del personale dovrebbero
masticare come "pane quotidiano". Ovvero, più realisticamente, nella
loro ventata di "managerialità" privatistica si sono affidate ad una
sprovveduta società di consulenza (ad esclusivo indirizzo psico-sociologico)
senza filtrane le proposte applicative. Fatto sta che hanno sottoposto a loro
dipendenti (esplicanti prevalentemente mansioni tecnico/specialistiche) - sotto
forma volontaria, ma non pretendendone l'anonimato cosicché sono venute di
fatto meno le garanzie di non conoscibilità nominativa dei compilatori - tests
attitudinali, rectius veri e propri
sondaggi d'opinione, strutturati da domande che – come dice il magistrato -
"concernono
aspetti privatissimi della personalità del dipendente e, in qualche caso, mirano
anche a coglierne la propensione conflittuale o, invece,
collaborativa".
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Nel
caso di specie ci si trova di fronte eminentemente a domande subdole, con
chiave di lettura "psicologica" (neppure tanto incomprensibile, come
il giudice evidenzia), da parte dei promotori del test e non già di fronte alle
vecchie, grossolane "schedature" – sulle affiliazioni ai partiti o
sindacati, sulle propensioni politico-ideologiche, sul tenore o reddito
familiare, sulla frequentazione di persone o circoli, ecc. - riscontrate e
riferite in maniera più plateale di altri da Pret. Treviso 28 maggio 1977 (3) -
est. La Valle - che fecero dire all'estensore della nota redazionale (a pag.
457 di “Riv. giur. lav.” 1977,
IV):"Che a sette anni dall'entrata
in vigore dello Statuto dei diritti dei lavoratori si siano potute accertare
prassi di maliziose od indebite ingerenze nella vita e nelle opinioni personali
dei lavoratori dell'entità e della diffusione di quelle riscontrate dal pretore
di Treviso, è fatto che, ben più che solo stupire o indignare, deve far riflettere
sulla lentezza con la quale precetti di grande valore civile riescono sovente a
penetrare nell'ambito dei rapporti tra le parti sociali ed all'interno del
costume. C'è da sperare piuttosto - attesa la scarsità di precedenti in tema di
violazioni all'art. 8 S.L. - che le cennate prassi siano, pur nella loro
accertata cospicuità e durevolezza, frutto di specifiche arretratezze culturali
di limitati settori del mondo imprenditoriale e non invece - come pure alcuni
elementi lascerebbero arguire - caratterizzate da perdurante diffusione
topografica e solo velate da una pericolosa ma spiegabile carenza di
iniziative, private o pubbliche, individuali
o collettive, dirette a combatterle".
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3. La pretesa datoriale di una autorealizzazione nel solo
lavoro aziendale
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Peraltro
la maggiore ricercatezza dello strumento usato - favorita invero dai circa 30
anni decorsi dalla promulgazione della legge - non si risolve in un attenuante
per i promotori dell'indagine sulle opinioni dei dipendenti delle FF.SS., di
cui fa bene il magistrato a lumeggiare l'illiceità per l'assoluta irrilevanza
con le modalità di resa della prestazione oltreché per la (incondivisibile)
rispondenza della ratio dei tests ad
una visione "panaziendalistica", "assorbente" o
"totalizzante" del valore del lavoro e dell'impresa, tale da
soverchiare o comprimere qualsiasi interesse o libertà da esercitare nel
privato. È una concezione che si vorrebbe affermare, dato che - come asserisce
il magistrato - "circola ed anche
con un certo (qui non condiviso) successo l'opinione sempre più radicata di una
sorta di identificazione fra la persona in sè e la persona/lavoratore, secondo
istanze panaziendalistiche, fortemente
suggestive, che pretendono di versare nel lavoro quotidiano
(spesso solo faticoso e noioso) la complessa
personalità dell'individuo, quasi che
nella vita aziendale si dovesse esaurire (se non nei tempi,
quanto meno nella dedizione) ogni istanza di
aspirazione individuale". In effetti le domande di cui risulta (dalla
decisione) strutturato il test in questione, mirano a conoscere se "sui
treni ci si sente realizzati (sic!); se
"il lavoro è sentito come sola fonte di reddito"; se "concorrenza,
mercato ed innovazione sono vocaboli di una lingua sconosciuta al nostro
management"; se "il vertice delle FF.SS., merita la pensione, la
fiducia o consenso e sostegno"; se "andare a cena con un dirigente delle
FF.SS. è gratificante"; se "le FF.SS siano una seconda casa"; se
"i comportamenti ribelli suscitano simpatia"; se "alla guida delle
FF.SS. ci siano o meno persone inadeguate"; "se teorizzare sia una perdita
di tempo"; quanto si attagli al soggetto la frase dell'essere "molto
attivo nelle discussioni di gruppo" o di essere di solito "l'anima della
festa". Domande queste ultime che il magistrato individua finalizzate a
rivelare la possibile posizione di leader
delle istanze collettive dei lavoratori ovvero l'atteggiamento collaborativo,
succubo ed acquiescente in luogo di quello conflittuale e combattivo per i
propri principi, diritti e convincimenti. In ogni caso si tratta di una forma di penetrazione nell'intimità
dei convincimenti dei lavoratori, di cui si ignora l'uso da parte delle FF.SS.,
non consentiti dall'art. 8 della L. n.
300/'70 che - prima della L. n. 675/'96
- ha tutelato la privacy del
cittadino (lavoratore) e che dalla stessa ha ricevuto conferma di perdurante
vigenza ed attualità. Nella critica
alla visione panaziendalistica, il magistrato di Pisa ci richiama alla memoria
un'altra recente decisione della Pretura di Lecce (4)
- est. Cavuoto - che si è occupata di un caso
di discriminazione sessuale concernente una lavoratrice madre, funzionario
responsabile dell'Ufficio economico della locale associazione degli
industriali, licenziata al rientro dalla maternità per ridistribuzione del di
lei lavoro fra i restanti colleghi (ma sostanzialmente perché aveva fatto la
scelta della maternità in luogo di quella totalizzante della carriera!), di cui
ci piace riportare almeno uno spezzone delle civilissime considerazioni svolte
da questo magistrato che ha deciso, per riscontro di discriminazione indiretta in
violazione della L. n. 125/'91, la reintegrazione nel posto di lavoro del
funzionario in questione. Il magistrato leccese osserva come: "Orbene, costituisce circostanza assolutamente notoria che l'ambito
lavorativo nel quale le donne sono maggiormente sottoposte a discriminazione,
ancor più di quello salariale, è quello del riconoscimento delle qualifiche e
della possibilità di carriera, soprattutto per le figure professionali più elevate.
A parità di altre condizioni, alla donna manager o dirigente, o impiegata con
particolari responsabilità, viene nel nostro paese normalmente richiesto un
grado di identificazione con l'istituzione aziendale, e di subordinazione alla
sua "ideologia", che ben può definirsi di tipo
"giapponese". Non per questo le donne che accettano tal genere di subordinazione
(invero sempre più inutile e disfunzionale, atteso che oggi il discorso sociale
prevalente invoca flessibilità e
disponibilità dei lavoratori a cambiare lavoro e attitudini) sono di frequente
gratificate da promozioni a ruoli di comando, solitamente appannaggio dei
colleghi maschi, salve le debite
eccezioni che, soprattutto nel nostro Meridione, confermano la regola opposta.
In particolare, se può dirsi oramai accettato (sia pure con qualche rimpianto
dei tempi in cui "tutte queste garanzie" non esistevano) dalla
maggioranza dei datori di lavoro il "rischio" che una dipendente di
categoria operaia o impiegatizia non elevata possa, in quanto donna, scegliere
(o almeno accettare!) di avere uno o più figli, senza essere costretta ad
abbandonare il posto di lavoro, le resistenze sono di gran lunga maggiori, ed
anche qualitativamente diverse, se tale scelta o accettazione proviene da una
lavoratrice più qualificata. In tal caso l'istituzione aziendale, attraverso i
suoi dirigenti (uomini o magari donne con forte introiezione di una certa
mentalità maschile), tende a percepire come un tradimento la naturale
affermazione della maternità, che non viene considerata un temporaneo problema
organizzativo da affrontare e risolvere nel modo ottimale, bensì la riprova di
ciò che si era sempre ‘sospettato’, e cioè che la corporeità della dipendente
non è interamente risolubile nella sua forza-lavoro".
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Ecco,
in due regioni diverse, due atteggiamenti mentali analoghi, contrari - come noi
- ad una visione panaziendalistica della vita, il cui rifiuto ideologico non
deve portare a conseguenze pregiudizievoli nella vita di lavoro, quando il
lavoro (fonte di salario o di stipendio) venga espletato secondo correttezza,
sebbene non posto all'apice delle proprie aspirazioni.
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4. Quando il comportamento privato è rilevante nell’ambito
lavorativo
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Ritornando
alla riscontrata violazione dell'art. 8, il magistrato pisano è spiccatamente
obiettivo, riconoscendo che vi sono mansioni nelle quali - come anche noi
osservammo nel nostro primo saggio sull'art. 8 dello Statuto dei lavoratori (5)
- è rilevante l'aspetto caratteriologico, quello dell'estrosità o
dell'introversione (es. da parte di soggetti investiti del rapporto con i terzi
o nella gestione delle risorse) ovvero la "spendita della personalità del
dipendente" in consonanza con l'immagine aziendale,
senza che tali caratteristiche possano essere
tuttavia pretese in maniera generalizzata da tutti i dipendenti e senza che sia
perciò legittima una generalizzata indagine su tali caratteristiche le quali,
salvo la pertinenza per residuali posizioni di lavoro, fanno acquisire all'investigazione
l'aspetto dell'indebita intrusione nella privacy.
Dunque, per questi casi - dice il
magistrato pisano - "il datore di
lavoro potrà acquisire notizie, anche sulla personalità, che siano tuttavia
utili al giudizio attitudinale, con il limite di tutto quanto non serva a valutare
la sua capacità a relazionare all'esterno: perché costui potrà,
per ipotesi, possedere grandi capacità
dialettiche o modi cortesi, ma potrà essere persona estremamente disinvolta nei
rapporti personali senza che questo possa interessare al datore di lavoro, o
comunque persona che ritiene che il suo lavoro sia solo un gravoso strumento di
sopravvivenza o che non si ritenga gratificato per il solo fatto di andare a
cena con il capo ufficio o con il dirigente della società. Tanti, infatti,
fanno bene il loro lavoro, ed alle volte con successo, senza sentirsi investiti
di una vocazione, e stanno meglio a casa loro o allo stadio piuttosto che in ufficio".
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5. Esigenza indefettibile di trasparenza dei sondaggi d’opinione
e delle relative finalità
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Infine
ciò che convince il (o rafforza la convinzione del) pretore sull'illiceità dei
tests è la mancanza di trasparenza nell'acquisizione delle informazioni. Egli
sottolinea come "quanto alla
modalità di acquisizione dei dati o delle notizie, il limite del potere
esplorativo del datore di lavoro è dato dalla sostanziale lealtà dell'indagine
o, come oggi si dice con una parola abusata, dalla sua trasparenza. Occorre,
cioè, che il mezzo d'informazione non sia ingannevole e che il lavoratore sia
ben consapevole dell'attività investigativa posta in essere dal datore di lavoro
o dal suo incaricato". Nella fattispecie, la chiave di lettura era del
tutto sconosciuta ai dipendenti - come pure la finalità che le FF.SS. si erano
riproposte con l'acquisizione delle risposte al questionario - e l'anonimato
non era imposto come procedura obbligatoria, talché molti moduli erano controfirmati
ed altri no, con il conseguente venir meno della garanzia della non
identificabilità dei compilatori . Il
Pretore, infine, mentre ravvisa sussistente il contrasto con l'art. 8 S.d.l. -
e trasmette gli atti del procedimento al giudice penale ai fini e per l'effetto
della comminazione della pena ex art. 38 dello statuto dei lavoratori - non
ritiene invece che la non attinenza dell'intrusione nella
privacy dei lavoratori con aspetti rivelatori dell'attitudine professionale
degli stessi, attualizzi condotta antisindacale, cioè a dire si riveli idonea a
comprimere la libertà del sindacato ricorrente, quand'anche talune intrusioni attengano alla sfera delle istanze
collettive dei lavoratori medesimi e alle modalità di rendersene (o meno)
interpreti e portatori, anche a livello sindacale nei confronti del datore di
lavoro antagonista. Ed anche qui riteniamo sia nel giusto perché troppo esigue sono
le tracce di questo comportamento "plurioffensivo". Asserisce il magistrato
al riguardo: "ancorché la lesione
abbia acquistato i caratteri della collettività, è opinione che essa non si sia
risolta anche nella violazione di un diritto del sindacato ed in particolare
nella lesione o limitazione della libertà sindacale".
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Mario Meucci
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(pubblicato
in Lav. prev. Oggi 1999, n. 12, p. 2362)
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NOTE
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1.
In D&L, Riv.
crit.dir.lav. 1999, 519 e in Lav. prev. Oggi 1999, 2353.
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2.
Si trova, integralmente, in
Foro it. 1974, I, 2895. Conf. Pret. Piacenza 14 febbraio 1972, in
Or. giur. lav. 1972, 553, per cui "l'indagine effettuata dal datore di lavoro
(nel caso concreto un istituto di credito) diretta ad accertare le eventuali cariche ricoperte dai lavoratori
in enti o associazioni assistenziali, sportive, tecniche, culturali, sindacali,
religiose, etc., si pone in contrasto
con l'art. 8 della L. n. 300 del 1970". Nello stesso senso, Pret.
Milano 5 dicembre 1976, in Riv. giur. lav.
1977, IV, 109, ove emerge che durante
il colloquio di assunzione, il datore di lavoro aveva chiesto all'aspirante
lavoratrice se fosse coniugata o fidanzata o avesse "un ragazzo".
Sugli indebiti ed illeciti sondaggi, tramite
questionari - o colloqui - d'assunzione, finalizzati all'acquisizione di
notizie sull'affiliazione sindacale, vedi Pret. Milano 7 ottobre 1977,
ibidem, 1978, IV, 101 e -
rispettivamente - Pret. Recanati 2 marzo 1971, in
Foro it. 1971, I, 2012. Sulla raccolta da parte di un Sindaco
(comunista) di informazioni su un lavoratore (democristiano)
dell'amministrazione comunale che aveva
"espresso in pubblico giudizi negativi
e polemici nei confronti dell'amministrazione", vedi Pret. Pontremoli
26 ottobre 1973, ibidem 1974, II,
252. Sulla storiche
"schedature" praticate dalla Fiat e dall'Alfa Romeo, vedi - rispettivamente
- Trib. Napoli 7 ottobre 1976 (imp. Cuttica), in
Mass. giur. lav. 1978, 17
con nota e Pret. Milano 27 maggio 1978, in Riv.
giur. lav. 1978, IV, 459 con nota
di Mascarello, decisione quest'ultima affermante che :"Integra gli estremi della violazione
dell'art. 8 della L. n. 300 del 1970,
la raccolta, attraverso colloqui selettivi ed accertamenti affidati ad agenzie
private di investigazione, di notizie relative alle caratteristiche morali,
psicologiche e comportamentali dei singoli lavoratori da assumere. Detta norma,
infatti, ha lo scopo di proteggere la
vita privata del prestatore d'opera subordinato da indebite ingerenze
dell'imprenditore, e non può essere quindi altrimenti
interpretata se non nel senso di consentire a quest'ultimo di attingere
sui propri dipendenti, potenziali o effettivi, informazioni riguardanti esclusivamente le loro attitudini
professionali, e cioè, il possesso dei requisiti tecnici (preparazione,
esperienza, abilità, ecc.) necessari ad
assolvere le mansioni cui saranno adibiti".
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3.
Si trova in Riv.
giur. lav. 1977, IV, 457 e in Foro it.
1977, II, 429.
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4.
Pret. Lecce 13 dicembre 1997, in
D&L, Riv. crit. dir. lav. 1999, 129.
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5.
Meucci, Il divieto
di indagini sulle opinioni, in Lav.
prev. Oggi, 1977, p. 2009,
riproposto - con aggiornamenti - nel volume "Il rapporto di lavoro nell'impresa",
Napoli, 1991, 293 e ss. In tale scritto (a pag. 300-301) si sostenne (riferendo
la posizione di Romagnoli, in “Statuto dei lavoratori”,
Bologna 1972, sub art. 8, p.137) che la sfera
del riserbo non è illimitata: "essa comprende tutti i fatti della vita
privata del lavoratore irrilevanti ai fini della valutazione dell'attitudine
professionale del medesimo e più precisamente i fatti privi di uno specifico
rapporto con il contenuto delle mansioni. Fuori di questi limiti il diritto al
riserbo cede di fronte all'interesse del datore di lavoro a garantirsi la
ragionevole certezza delle premesse per l'esatto adempimento". E a
titolo esemplificativo, si disse che "per
la posizione del cassiere e per l'addetto al trasporto valori sarà rilevante (e
quindi pertinente e legittima) la conoscenza - per il datore di lavoro -
dell'abitualità o meno a frequentare case da giuoco, bische, etc. (la c.d.
propensione allo spendere), riscontrandosi in tali abitudini una
incompatibilità con le mansioni, per
potenziale pregiudizio. Per la posizione di autista, conducente di autovetture
private e pubbliche alla cui abilità e diligenza viene affidata l'integrità
fisica dei passeggeri, sarà rilevante e legittimo l'accertamento della
propensione all'uso di alcolici, la sussistenza di reati per ubriachezza, di
violazioni reiterate del codice della strada con la relativa frequenza degli
incidenti per colpa, etc. Per il compito di educatore rileva l'accertamento
della moralità e l'assenza di reati contro il buon costume (con tutte le
problematiche connesse alla individuazione, in un campo di valori in rapido superamento, della nozione di
entrambe)".