- Danno
da inattività e/o dequalificazione: immanenza e liquidazione equitativa
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- Corte di
cassazione,
sezione lavoro, 22 febbraio 2003, n. 2763 (ud. 2 dicembre 2002) – Pres.ed Est. Dell’Anno – Ric. Zordan (avv.
R. Scognamiglio, Favalli, Trifirò), Res. Bull Italia (avv. Aureli, D’Urso,
Perinetti)
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- Demansionamento ed
inattività di un dirigente – Il danno alla
professionalità e all’immagine ha natura patrimoniale, automaticamente risarcibile – Danno
biologico – Risarcimento previo accertamento del nesso di causalità dalla
dequalificazione – Ferie non fruite dal dirigente – Risarcibilità solo se la mancata fruizione dipese da necessità di
adeguamento alle direttive dell’imprenditore.
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- Va cassata la sentenza resa in sede d’appello in quanto –
nel negare il risarcimento del danno alla professionalità per asserita carenza
di prova di pregiudizio patrimoniale da parte del dirigente dequalificato, confinato in inattività - ha ignorato come
questa Corte ha ripetutamente avuto modo di sottolineare che dall'articolo 2103
del codice civile si desume che sussiste il diritto del lavoratore
all'effettivo svolgimento della propria prestazione professionale e che la
lesione di tale diritto da parte del datore di lavoro costituisce inadempimento
contrattuale e determina, oltre all'obbligo di corrispondere le retribuzioni
dovute, l'obbligo del risarcimento del danno da dequalificazione professionale,
che può assumere aspetti diversi in quanto può consistere non solo nel danno
patrimoniale derivante dall’impoverimento della capacità professionale
acquisita dal lavoratore e dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità
o nel pregiudizio subito per perdita di chance ossia di ulteriori possibilità
di guadagno, ma anche - e tali aspetti, nella specie, sono stati completamente
trascurati - in una lesione del diritto del lavoratore alla integrità fisica o,
più in generale, alla salute ovvero alla immagine o alla vita di relazione (per
tutte, Cass., 14 novembre 2001, n. 14199). Più in particolare ancora, occorre
ribadire che la negazione o l'impedimento allo svolgimento delle mansioni, al pari del
demansionamento professionale, ridondano in lesione del diritto fondamentale alla libera esplicazione della personalità del lavoratore anche nel luogo di
lavoro, determinando un pregiudizio che incide sulla vita professionale e di
relazione dell'interessato, con una
indubbia dimensione patrimoniale che
rende il pregiudizio medesimo suscettibile di risarcimento e di valutazione
anche in via equitativa (Cass. 2 gennaio 2002, n. 10).
- Anche il dirigente che
normalmente ha la facoltà di autodeterminarsi la fruizione del periodo
feriale ha diritto al pagamento delle ferie non godute se dimostri che ciò è
dipeso non da scelta individuale ma da necessità di adeguamento alle direttive dell’imprenditore (Cass. 27 agosto 1996, n. 7883).
- Svolgimento del processo:
- con ricorso al tribunale di Milano del 22 dicembre 1998,
Zordan Sandro espose che: a) la società Bull Italia, alle dipendenze della
quale prestava attività lavorativa quale dirigente, avendo costituito la
società Bull Sud per la realizzazione di un programma di investimenti nelle
regioni meridionali italiane, gli aveva proposto di assumere in questa le
funzioni di vice direttore generale e che tale proposta era stata da lui accettata
venendogli assicurato il rientro in posizione adeguata; b) dopo un iniziale
periodo, emerse un graduale disimpegno della società Bull Italia nei confronti
della attività della seconda e, a partire dal 1° giugno 1994, si operò una
progressiva sua dequalificazione tanto che, pur èssendo stato nominato direttore generale, di
fatto venne escluso dallo svolgimento delle mansioni primarie proprie di tale
figura; e) con lettera del 22 febbraio 1995, gli venne comunicato dal Consiglio
di amministrazione della società che era stata abolita la posizione di
direttore generale e con altra del giorno successivo, la Bull Italia gli aveva
proposto il rientro presso essa con le funzioni di responsabile del personale
della direzione della assistenza tecnica; d) aveva svolto, a partire dal 1°
aprile 1995, le inferiori mansioni fino a tutto l'anno successivo, restando
inattivo per il periodo successivo fino alla data del 30 aprile 1998, in cui
accettò la proposta di una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. Ciò
premesso, lo Zordan convenne in giudizio la società Bull Italia, chiedendone la
condanna al risarcimento del danno morale, di immagine e biologico conseguente
alla dequalificazione, all'indennità sostitutiva del preavviso e a quella
supplementare con riferimento alle dimissioni - da qualificarsi come
licenziamento - con successiva riassunzione, al risarcimento dei danni per
mancata corresponsione degli incentivi e per la unilaterale riduzione delle
ferie dall'anno 1996 in poi. Costituitosi il contraddittorio, il tribunale, in
composizione monocratica, rigettò la domanda con pronuncia del 12 novembre
1999. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Milano ha
ritenuto infondata l'impugnazione dello Zordan, rilevando che: 1) la pretesa di
qualificare come licenziamento la risoluzione del rapporto con
la società Bull Sud era ingiustificata, essendo incontestabilmente risultato
che essa era conseguita a un concorde atto di
volontà delle parti che manifestarono il loro reciproco consenso su tutti gli aspetti
della questione, ivi compresi quelli di natura economica venendo riconosciute
al dipendente particolari e cospicue indennità, a nulla rilevando che la
relativa lettera non fosse stata formalmente sottoscritta dallo Zordan ed
essendo rimaste totalmente indimostrate le affermazioni dello stesso circa una
violenza morale su lui esercitata, smentite del resto dalla condizione del
rientro presso la società capo-gruppo all'atto della accettatone della proposta
del passaggio alla società controllata;
- 2) era da
escludersi la sussistenza della asserita dequalificazione per il periodo
trascorso presso la società Bull Sud, mai essendo stato utilizzato lo Zordan in
mansioni non proprie di un dirigente;
- 3) il nuovo
rapporto con la società Bull Italia trovava la sua origine non nel contratto
con la società Bull Sud, ma nell'atto di assunzione del 27 marzo 1995 da parte
della prima nel quale erano assenti specifiche pattuizioni, dovendo la società
esclusivamente rispettare l'impegno di "assicurare allo Zordan (come dallo
stesso, del resto, sostenuto) una posizione adeguata al background
professionale maturato", il che significava solo che dovesse essere
assunto con qualifica dirigenziale, come era avvenuto, e non per ricoprire la
stessa posizione precedente;
- 4) se era vero che per l'ultimo periodo di sedici mesi il
dipendente restò privo di mansioni e quindi inattivo, tuttavia il fatto, pur
avendo potuto provocare un certo disagio e disadattamento, non poteva essere
configurato come presupposto per una condanna al risarcimento di danni da
dequalificazione, non avendo comportato una decurtazione della retribuzione né
una diminuzione delle attitudini lavorative del soggetto, non essendo neanche
stato prospettato che, per effetto di ciò, allo stesso si rese impossibile un
avanzamento di carriera nella azienda o che si fossero ricercate altre scelte
di inserimento professionale che vennero ostacolate da una presunta intervenuta
diminuzione della attività lavorativa;
- 5} quanto agli incentivi, era risultata provata la loro natura
eventuale e discrezionale, mentre, con riferimento alla indennità sostitutiva
di ferie non godute, essa non può ritenersi dovuta a un dirigente che, per sua
stessa scelta - come nella specie - rinunci al riposo annuale. Della decisione
viene chiesta la cassazione dallo Zordan con ricorso sostenuto da tre motivi e
illustrato con memoria. La società intimata resiste con controricorso.
- Motivi della decisione:
- Con il primo motivo -
denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli 2118, 2119, 2697 e 1362 del codice civile, omessa,
insufficiente, e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della
controversia - il ricorrente deduce che erroneamente la Corte di appello di
Milano ha ritenuto che non dovesse qualificarsi come licenziamento l'allontanamento
dello Zordan dalla società Bull Sud, limitandosi a osservare che, formalmente,
dalla lettera del 27 marzo 1995 (non sottoscritta dal dipendente), con la quale
si comunicava la risoluzione del rapporto, si evinceva che questa era dovuta a
una concorde volontà delle parti, e ciò in contrasto con la tesi difensiva di
un recesso unilaterale da parte dell'impresa, non confortata da alcun elemento
probatorio. Secondo il ricorrente, il giudice di merito avrebbe totalmente
trascurato di valutare le circostanze, non contestate dalla controparte, che in
senso opposto inequivocabilmente deponevano, in quanto dimostravano che il
protrarsi della sua presenza presso la società costituiva un ostacolo al
realizzarsi dell'intendimento dei responsabili della capo-gruppo
all'affidamento delle responsabilità della conduzione della azienda ad altre
persone di maggiore gradimento e che la adesione alla proposta, di una
risoluzione consensuale era stata imposta - e necessitatamente subita - quale
unica alternativa al licenziamento. In una tale situazione, avendo lo Zordan
fornito la prova della sua estromissione dal rapporto, incombeva sul datore di
lavoro l'onere di dimostrare che questa non era dovuta all'allegato
licenziamento ma era stata-la conseguenza di una consensuale risoluzione dello
stesso.
- La censura è infondata. E invero, la Corte di appello, con
argomentazioni logicamente e giuridicamente corrette, ha fornito ragione del
perché dovesse ritenersi per provato che nella specie la cessazione del rapporto tra lo Zordan e la società
Bull Sud si pose come fatto terminale, e ampiamente previsto, di un complesso
regolamento negoziale che ebbe il suo avvio sin nel momento in cui il primo
accettò di transitare nella seconda alla condizione di un suo rientro presso la
Bull Italia, il che puntualmente si verifica contestualmente alla sua uscita
dalla Bull Sud, venendo concordato il riconoscimento di "particolari e
cospicue indennità". D'altra parte, a fronte delle prove documentali
attestanti una consensuale risoluzione del rapporto, il ricorrente si
limita ad opporre una diversa
ricostruzione della vicenda affidata esclusivamente ad affermazioni svolte in
maniera totalmente assertoria.
- Con il secondo e articolato motivo, lo Zordan
lamenta violazione e falsa applicazione degli articoli 2103, 1218, 1226 e 2043
del codice civile nonché vizi della motivazione nelle parti in cui il giudice
del merito ha ritenuto che non potesse trovare accoglimento la domanda, di
risarcimento dei danni causatigli dal demansionamento delle funzioni di
dirigente pervicacemente operato a suo carico nel corso della attività prestata
sia presso la Bull Sud che presso la Bull Italia nel periodo successivo al suo
rientro in questa, nel corso del quale restò totalmente inattivo per tutti i
sedici mesi antecedenti alle dimissioni finali.
- La censura è fondata con riferimento solo a quest'ultima
parte per la quale le ragioni, che hanno indotto la Corte di appello di Milano
al rigetto della richiesta di risarcimento dei danni subiti dallo Zordan a causa della mancanza di attività
alla quale il datore di lavoro avrebbe dovuto assegnarlo, appaiono
insufficienti dal punto di vista sia logico che giuridico. Va infatti osservato
che il giudice di merito, pur avendo dato atto che la circostanza della
“scarsissima attività o totale inattività” da parte dello Zordan per
l'intero periodo di cui sopra era rimasta non solo incontestabilmente provata
ma anche "lealmente ammessa" dalla stessa società, ha tuttavia
ritenuto che essa, pur avendo potuto provocare un certo disagio e
disadattamento, non poteva legittimare una condanna al risarcimento di danni da
dequalificazione, non avendo comportato una decurtazione della retribuzione né
una diminuzione delle attitudini lavorative del soggetto, per non essere
risultato che, per effetto di ciò, allo stesso si rese impossibile un
avanzamento di carriera nella azienda o che altre scelte di un diverso
inserimento professionale fossero state ostacolate da una intervenuta
diminuzione delle attitudini lavorative.
- Così argomentando, il giudice del merito ha ignorato i
principi costantemente affermati da questa Corte, che ha ripetutamente avuto
modo di sottolineare che dall'articolo 2103 del codice civile si desume che
sussiste il diritto del lavoratore all'effettivo svolgimento della propria
prestazione professionale e che la lesione di tale diritto da parte del datore
di lavoro costituisce inadempimento contrattuale e determina, oltre all'obbligo
di corrispondere le retribuzioni dovute, l'obbligo del risarcimento del danno
da dequalificazione professionale, che può assumere aspetti diversi in quanto
può consistere non solo nel danno patrimoniale derivante dall’ impoverimento
della capacità professionale acquisita dal lavoratore e dalla mancata
acquisizione di una maggiore capacità o nel pregiudizio subito per perdita di chance
ossia di ulteriori possibilità di guadagno, ma anche - e tali aspetti,
nella specie, sono stati completamente trascurati - in una lesione del diritto
del lavoratore alla integrità fisica o, più in generale, alla salute ovvero
alla immagine o alla vita di relazione (per tutte, Cass., 14 novembre 2001, n.
14199). Più in particolare ancora, occorre ribadire che la negazione o l'impedimento allo svolgimento delle mansioni,
al pari del demansionamento professionale, ridondano in lesione del diritto fondamentale alla libera
esplicazione della personalità del lavoratore
anche nel luogo di lavoro, determinando un pregiudizio che incide sulla vita
professionale e di relazione dell'interessato, con una indubbia dimensione
patrimoniale che rende il pregiudizio medesimo suscettibile di risarcimento e
di valutazione anche in via equitativa (Cass. 2 gennaio 2002, n. 10).
- Entro questi limiti il motivo di ricorso appare fondato,
sicché si impone un nuovo esame della questione, nel rispetto dei principi
sopra enunciati, da parte del giudice di rinvio che accerterà anche se
l'infarto subito dallo Zordan debba porsi in relazione causale con
l'inadempimento contrattuale del datore di lavoro, ampiamente dimostrato.
- Lo stesso motivo è invece manifestamente infondato per
quanto attiene alle censura nei confronti della motivazione della sentenza per
la parte nella quale il giudice di merito ha ritenuto che dovesse escludersi il
denunciato demansionamento durante il periodo in cui la attività lavorativa
venne prestata. E invero, a questo proposito sembra sufficiente osservare che
lo stesso ricorrente non lamenta che in punto di fatto egli sarebbe state
adibito a mansioni non dirigenziali e diverse da quelle appartenenti a un
dirigente dal ruolo formalmente attribuitogli negli organigrammi aziendali,
esaurendosi invece a dolersi del fatto che non tutte tali funzioni sarebbero
state da lui esplicate essendo state talune di esse assegnate ad altre persone,
nel che peraltro, con tutta evidenza, non può, in punto di fatto, configurarsi
ipotesi di demansionamento, appartenendo alla discrezione dell'imprenditore la
possibilità di assegnare a più preposti le responsabilità che pure, nella
prassi, sono affidate a un unico incaricato.
- Con il terzo motivo, vengono denunciate violazione e falsa
applicazione dell'articolo 2897 del codice civile, nonché omessa, insufficiente
e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia per la
parte in cui si è rigettata la domanda alla indennità sostitutiva delle ferie
non godute.
- Il rilievo è fondato, dovendo rilevarsi che - se è vero
che, come si legge nella sentenza impugnata, il dirigente, che, per propria
libera scelta, rinunci autonomamente a giovare dei giorni previsti contrattualmente per il riposo, non ha diritto
a corrispettivi economici sostitutivi - pur tuttavia la indennità in questione
spetta anche al dirigente che fornisca la prova che furono obiettive necessità
aziendali a ostare alla fruizione delle ferie (Cass. 27 agosto 1996, n, 7883).
Orbene, a tale fine sarebbe stato necessario esaminare se, almeno per il
periodo cui fa riferimento la lettera del 9 marzo 1994 a firma di tale
Baggiani, che nel motivo è trascritta, l'eventuale (circostanza da
accertarsi in punto di fatto) mancato godimento di giorni di ferie dipese non
da scelta dello Zordan ma da necessità di adeguarsi alle direttive
dell'imprenditore.
- Limitatamente quindi ai due punti sopra indicati (domanda
di risarcimento dei danni da inattività forzata e di indennità sostitutiva
delle ferie per il periodo interessato
dal documento citata) si impone la cassazione della sentenza impugnata con
rinvio ad altro giudice che si designa, nella corte dì appello di Brescia, alla
quale si demanda di provvedere sulle spese dell'intero processo.
- P. Q. M.
- La Corte rigetta il
primo motivo del ricorso e accoglie, per quanto di ragione, il secondo e il
terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia,
anche per le spese, alla Corte di appello di Brescia.