Il naturale e ragionevole epilogo delle vertenze nel settore credito per la mancata corresponsione di una addizionale retribuzione giornaliera in caso di coincidenza delle festività nazionali con la domenica (aggiornamento a Cass. nn. 6983 e  12731 del 1998 e   n. 1018 del 2001)

  

    1.    Con l'articolo "Festività cadenti di domenica nel settore credito" (1), fummo tra i primi (e tra i pochi) ad evidenziare l'insorgenza – tra la fine del 1994 ed il 1995 – di una vertenzialità diffusa nel settore credito (ed assicurativo) finalizzata a rivendicare da parte dei lavoratori il pagamento di una quota addizionale di retribuzione giornaliera – come praticato, per lo meno dal 1954, nel settore industriale, considerato anche l'Accordo Interconfederale  ivi raggiunto sulla materia in quell'anno – per l'ipotesi della coincidenza di festività nazionali (oramai, dopo la L. n. 54 del 1977, residuate nel solo 25 aprile e 1 maggio) con la domenica, in ragione del fatto che se non si fosse verificata una simile eventualità i lavoratori avrebbero fruito di una giornata di riposo in più rispetto a quelle legali e contrattuali. Con le nostre considerazioni dell'epoca circoscrivemmo altresì – compiendo un'operazione nella direzione della chiarezza, apprezzata anche dalle Aziende ed Associazioni datoriali del settore – l'ambito della rivendicazione, superficialmente ed irragionevolmente dilatata dalle OO.SS. dei lavoratori anche per le festività religiose e per la coincidenza  delle festività in genere anche con la giornata del sabato (oltreché con  quella della domenica).

 

    2.    All'epoca  effettuammo anche una breve cronistoria della specifica rivendicazione e degli esiti giudiziari cui era andata incontro nel tempo.

Riferimmo come "la prima rivendicazione al riguardo risale agli inizi degli anni '80 - ad iniziativa di lavoratori del Credito italiano - e fu respinta dalla Cassazione, nella sentenza del 18/4/1983, n. 2654 (2). Con la suddetta decisione,  la S. corte asserì che tutto il comma 3 dell'art. 5 della L. n. 260/1949 era caratterizzato da un identico presupposto: quello della prestazione lavorativa nelle suindicate festività. Pertanto sostenne che "la specificazione contenuta nella seconda parte del detto comma 3, secondo la quale qualora la festività ricorra nel giorno di domenica, spetterà ai lavoratori stessi oltre la normale retribuzione globale... anche un'ulteriore retribuzione corrispondente all'aliquota giornaliera non immuta il principio generale che pone come presupposto essenziale per la maggiorazione retributiva l'effettiva prestazione del lavoro, ma serve a chiarire che, quando si verifichi tale coincidenza, deve essere corrisposta anche la retribuzione per il giorno di domenica, normalmente non lavorato, e ad indicare in qual modo deve essere calcolato l'ammontare, fermo restando il predetto presupposto". Ad essa si è supinamente conformata Pret. Milano 31.1.1994 (3), preceduta da una più argomentata, anche se non condivisibile, Pret. Roma 19/l2/1992 (4).

Avverso tale orientamento si registrano più recenti e convincenti sentenze di merito (5), secondo le quali:

a) per la corresponsione del trattamento retributivo aggiuntivo in caso di coincidenza di festivita nazionale con la domenica non è necessario che la festività (e quindi la domenica) sia lavorata, come presuppone Cass. n.  2564/1983, poiché l'inciso del comma 3 della L. n. 260/1949 "nella sua testualità, si riferisce all'ipotesi di ricorrenza della festività nella domenica, senza richiedere, come l'inciso immediatamente precedente, lo svolgimento della prestazione lavorativa", tant'è vero che omette di menzionare - come invece pignolescamente effettuato negli incisi (e comma) precedenti - la spettanza della maggiorazione per il lavoro festivo;

b) la quota di retribuzione addizionale per la festività coincidente con la domenica si giustifica, poi, con la perdita della fruizione di un giorno aggiuntivo di riposo, compensabile quindi con la corrispondente retribuzione giornaliera, evitando così che diritti a connotazione oramai retributiva dei lavoratori debbano essere vanificati dalla loro casuale collocazione nel calendario.

Tale orientamento si è poi preoccupato di contrastare l'eccezione secondo la quale se il diritto de quo discendeva dalla legge mal si comprendevano i motivi per cui nel settore industriale lo stesso fosse stato consacrato ad opera di un Accordo interconfederale (Acc. interconf. 3/12/1954, reso erga omnes con D.P.R. n. 1029/1960).

A prescindere dal fatto - indubbiamente rilevante - che con tale Accordo le parti hanno ricompreso (estensivamente rispetto alla legge, limitatasi alle sole festività civili) anche le festività religiose nel beneficio della coincidenza con la domenica, l'orientamento giurisprudenziale sopracitato ha fatto presente lo scarso valore "interpretativo" di un tale accordo, carente negli altri settori. È stato convincentemente detto che esso può essere stato pattuito "sia perché le parti sociali non avevano piena consapevolezza dei termini del problema sia, più probabilmente, per aver voluto, in quel settore, evitare qualsiasi dubbio interpretativo". Alle stesse conclusioni, sia pure non argomentate, giunsero in precedenza Cass. 3/11/1983, n. 6496 (6) e Cass. 3/7/1979, n. 3713 (7) le quali, mentre negarono il diritto al trattamento addizionale per la coincidenza della festività con il sabato non lavorato, asserirono essere tale diritto spettante ex lege per la sola coincidenza della festività con la domenica (goduta). A questo punto c'è da prospettare quello che non è emerso in giurisprudenza e cioè che l'art. 2 L. 90/1954, nello stabilire, tra l'altro, il principio dell'estensione integrale del trattamento spettante al lavoratore che abbia prestato attività nella festività - costituito dalla retribuzione globale di fatto giornaliera incrementata dalla retribuzione per le ore effettivamente lavorate con la maggiorazione per il lavoro festivo – anche in capo al lavoratore (teoricamente tenuto a prestare attività ma) impedito da assenza per cause indipendenti dalla propria volontà, potrebbe essere correttamente interpretato (anzi deve necessariamente essere interpretato, n.d.r.) come introduttivo di miglioramenti al trattamento (di cui alla seconda parte del comma 3, dell'art. 5 L. n. 260/1949) per la coincidenza della festività con la domenica (goduta). Precisamente laddove 1'art. 2 consente, implicitamente, di desumere che compete il trattamento parificato della normale retribuzione incrementata da una quota giornaliera con maggiorazione per lavoro festivo in capo non solo al lavoratore della stessa squadra o turno (tenuto teoricamente a prestare attività nella festività ma impedito da assenza per malattia, ecc.), ma anche – e stavolta con la sola addizionale della ulteriore quota giornaliera di retribuzione, di cui si fa menzione alla seconda parte del comma 3 dell'art. 5 L. n. 260/1949 (n.d.r.) - per il caso, previsto alla lett. e) della L. n. 90/1954, di non prestazione (quantunque programmata) per "sospensione dal lavoro dovuta a coincidenza della festività con la domenica o altro giorno festivo considerato tale dai contratti collettivi, compresa la celebrazione del S. Patrono…".

Se questo è il significato che deve darsi all'art. 2 della L. n. 90/1954, è evidente che l'inciso del comma 3 dell'art. 5 della L. n. 260/1949 – introdotto giustappunto dall'art. 1 della precitata L. n. 90/1954 (n.d.r.) -  non può che riferirsi alla diversa ipotesi del lavoratore che non sia chiamato (o tenuto) a prestare attività nella festività coincidente con la domenica, poiché altrimenti, in caso di prestazione, gli spetterebbero, oltre alla retribuzione giornaliera corrente altre due quote addizionali  di retribuzione giornaliera, entrambe con la maggiorazione per il lavoro festivo, in ragione di una prestazione in due festività cumulatesi (e non già due quote addizionali di retribuzione, con una sola maggiorazione per il festivo, come sostenuto da Pret. Roma 19/12/1992, cit.).

Effettuando, a conclusione, una verifica nei quinquenni 1990-1995 e 1995-2000, di decorrenza della prescrizione quinquennale per i crediti retributivi in corso di rapporto - per i rapporti di lavoro degli impiegati e dei funzionari, dotati di stabilità reale, per le garanzie ex lege n. 604/1966 e art. 18 L. n. 300/1970 (8) -, la coincidenza delle due festività nazionali residue con la domenica si è verificata per il 25 aprile 1993 (e si verificherà per il prossimo 25 aprile 1999) nonché per il 1 maggio 1994".

Concludemmo all'epoca affermando che: "Infondata si rivela invece la rivendicazione della coincidenza della festività (fruita) con il sabato – equivocamente ed impropriamente considerato "giorno festivo" (in quanto normalmente non lavorato) – atteso che i contratti di lavoro del settore del credito non autorizzano affatto una simile configurazione "festiva" del sabato non lavorato per settimana corta. Espressamente l'art. 80 del ccnl 19 dicembre 1994 per i lavoratori di base e l'art. 37 del ccnl 22 giugno 1995 per il personale direttivo asseriscono che "sono considerati festivi (ai fini delle disposizioni del ccnl, n.d.r.) quelli previsti dalle disposizioni di legge".

Parimenti infondata la rivendicazione in questione (per coincidenza della festività con il sabato non lavorato per settimana corta) se invocata richiamandosi erroneamente al disposto dell'art. 2 dela  lett.b) della L. n. 90/1954, secondo cui il trattamento aggiuntivo spetterebbe nell'ipotesi di "assenza dal lavoro per riduzione dell'orario normale giornaliero e settimanale". Tale fattispecie – come ha puntualizzato Cass. 3.11.1983, n. 6496 (9) – "non ricorre  affatto quando viene attuata la semplice redistribuzione, in 5 giorni della settimana, dell'orario normale: nel sesto giorno non si realizza, sul piano contrattuale, "un'assenza dal lavoro" bensì la fruizione, da parte del lavoratore, delle porzioni di pausa di cui egli si è privato per il maggiore lavoro svolto nei restanti 5 giorni".

 

      3.  Mentre così scrivevamo negli ultimi mesi del 1995, la Corte di cassazione  - in una vertenza per il similare settore assicurativo -  raggiungeva le nostre stesse conclusioni ed asseriva: "Ai sensi dell'art. 5, 3 comma, ultima parte della L. 27 maggio 1949, n. 260, come modificato dalla L.  31 marzo 1954, n. 90, il compenso aggiuntivo (corrispondente all'aliquota giornaliera) ivi previsto per il caso in cui le festività del 25 aprile e del 1 maggio coincidano con la domenica, spetta al lavoratore (senza alcuna distinzione nell'ambito delle categorie previste dall'art. 2095 c.c.) che, in tali giorni, riposi; tale compenso, infatti trova giustificazione nel fatto che, ove le suddette festività non coincidessero con la domenica, il dipendente fruirebbe di una giornata in più di riposo"(10).

La  chiarissima affermazione di  principio di carattere generale non veniva recepita né dalle aziende del credito né dalle loro associazioni sindacali (le quali, in un primo tempo, avevano lasciato intendere ai sindacati di essere orientate ad una soluzione negoziale per arginare o sottrarre le aziende associate  alla prospettata vertenzialità giudiziaria ) in ragione dell'usuale e ricorrente affermazione per cui la sentenza "non concerneva il settore del credito" (sic!). Affermazione  della cui solidità è lecito quantomeno dubitare e con la quale è stata parimenti "bollata" di "irrilevanza settoriale" la recente sentenza n. 12860 del 28 dicembre 1998 della Cassazione, assertrice di una pluralistica nozione della dirigenza, articolata in top managers, middle managers e low managers (11).

Sopraggiungono ora, a metà e, rispettivamente, a fine del 1998, Cass. 16 luglio 1998, n. 6983 (in causa Banco di Napoli SpA ed un gruppo di lavoratori) e Cass, 19 dicembre 1998, n. 12731 (in causa Credito Italiano SpA ed un gruppo di lavoratori) (12), le quali, nel confermare l'orientamento anticipato da Cass. n. 11117 del 1995, così dispongono: "Ai sensi dell'art. 5, ultima parte, della legge 27 maggio 1949, n. 260, come modificato dalla l. 31 marzo 1954, n. 90, il compenso aggiuntivo (corrispondente all'aliquota giornaliera) ivi previsto per il caso in cui le festività (ora, dopo la L. n. 54 del 1977, residuate in quelle del solo 25 aprile e del solo  1 maggio.) coincidano con la domenica, spetta al lavoratore (senza alcuna distinzione nell'ambito delle categorie previste dall'art. 2095.c.c) che, in  tali giorni, riposi; tale compenso, infatti – che trova giustificazione nel fatto che, ove le suddette festività non coincidessero con la domenica, il dipendente fruirebbe di un giorno in più di riposo – è espressamente previsto dall'art. 2 della citata legge n. 90 del 1954 nel caso (tra l'altro) di sospensione dal lavoro dovuta a coincidenza della festività con la domenica"(13).

Esse attengono specificatamente al settore del credito e respingono – come noi -  decisamente  la tesi difensiva delle aziende bancarie incentrata sul fatto che l'inciso di cui alla seconda parte dell'art. 5, comma 3, della  L. n. 260/1949 che fa riferimento "ai lavoratori stessi" si dovrebbe considerare riferito ai  soli "lavoratori salariati retribuiti non in misura fissa" (cioè agli operai) e non ai lavoratori del credito che sono tutti quanti retribuiti con retribuzione mensile fissa e non variabile su base oraria.

Ma come noi avevamo asserito anche la Cassazione fa leva – per destituire di fondamento l'interpretazione avanzata dalla difesa delle aziende di credito – sulla portata modificativa dell'art. 2 della sopravvenuta L. n. 90 del 1954, la quale  espressamente innovò sulla precedente disciplina stabilendo (senza distinzioni fra lavoratori retribuiti in misura fissa o in relazione alle ore effettivamente prestate) che "il trattamento stabilito dall'art. 5 della legge 27 maggio 1949, n. 260, dovrà essere ugualmente corrisposto per intero al lavoratore, anche se risulti assente per i seguenti motivi:…e) sospensione dal lavoro dovuta a coincidenza della festività con la domenica…". E conclude, con convinzione, Cass. n. 6983/1998, che "la previsione risolve in radice ogni questione, in quanto – come osservato in dottrina – avendo il legislatore inteso significare, attraverso la innovazione, che nella coincidenza delle festività…con la domenica, si realizzano due distinte situazioni che determinano, autonomamente l'una dall'altra, la sospensione della prestazione di lavoro, e dovendo ritenersi che la domenica non esclude né assorbe la festività (nazionale, per i lavoratori retribuiti in misura fissa, n.d.r.), quest'ultima festività opera ugualmente con l'attribuzione al lavoratore di un ulteriore speciale compenso che trova la sua ragion d'essere nella ricorrenza festiva stessa", in ragione del fatto  che se non si fosse verificata la coincidenza con la domenica il prestatore di lavoro avrebbe finito per fruire di una giornata in più di riposo, cui in fattispecie si sostituisce il compenso retributivo/indennitario, pari ad una  quota giornaliera  addizionale alla retribuzione mensile corrente.

 

       4. Una volta acquisita e scontata la portata innovativa dell'art. 2 della L. n. 90/1954, per far risaltare l'infondatezza (dopo l'innovazione all'art. 5 L. n. 260/'49 apportata dall'art. 1 della L. n. 90/'54) del vecchio orientamento giurisprudenziale –  riassumentesi nelle decisioni citate in nota 2 – che considerava l'effettuazione della prestazione lavorativa nella festività nazionale quale presupposto per la corresponsione di una quota giornaliera addizionale di retribuzione, in caso di coincidenza della festività con la domenica – ipotizzata espressamente dalla seconda parte del comma 3 dell'art. 5 della L. n. 260/1949 nella modifica ex art. 1 L. n. 90/1954 -, è sufficiente rilevare come l'ipotesi di cui al precitato comma 3 dell'art. 5 sopracitato non possa che attenere esclusivamente (nella nuova versione) al caso del lavoratore che tale festività (coincidente con la domenica) goda in libero riposo o ricreazione. Giacché, se il lavoratore fosse tenuto a lavorare detta festività nazionale cadente in giornata domenicale, la norma di legge avrebbe dovuto prevedere che gli venisse corrisposta (oltre alla retribuzione giornaliera inclusa nella mensilità ordinaria) non già una quota ma due quote addizionali di retribuzione giornaliera ed entrambe con la maggiorazione per il lavoro festivo in ragione di una prestazione in due festività  non fruite e cumulatesi  tra loro.

In buona sostanza – come osserva acutamente anche Cass. n. 6893/1998, quando asserisce che la dizione "i lavoratori stessi" di cui alla seconda parte del comma 3 dell'art. 5 della L. n. 260/'49 avrebbe potuto anche coincidere  con "i lavoratori…retribuiti in misura fissa che prestano la loro opera nelle suindicate festività", se letta nel contesto originario del testo legislativo concepito dal legislatore nel 1949 – tale lettura non è più praticabile ed attuale dopo l'innovazione apportata a quel testo dalla L. n. 90/1954, ispirata ad estendere ai lavoratori, senza distinzione alcuna in ordine alla modalità di corresponsione della retribuzione (ad ora o fissa mensile), il trattamento previsto dall'art. 5 L. n. 260/1949 al verificarsi di "assenze dal lavoro" programmato, per causali indipendenti dalla volontà del lavoratore ed a lui non imputabili (es. malattia, infortunio, gravidanza, ecc.) ovvero del tutto casuali ed imprevedibili (es. coincidenza della festività con la domenica). Trattamento il cui onere economico viene dal legislatore accollato al datore di lavoro, secondo una impostazione fondata sul "rischio di impresa" o se si vuole sul "favor operari" verso la parte più debole del rapporto di lavoro.

Resta ora da vedere se le Aziende di credito (e le loro associazioni ABI e Acri) si decideranno a prendere atto – anche se, per conoscenza diretta,  è presumibile che attendano il parere delle sezioni unite al riguardo -  della corretta interpretazione fornita dalla Cassazione alla normativa in tema di "giorni festivi" o vorranno alimentare, con un atteggiamento di intrasingenza che è stato ed è da tempo loro tipica prerogativa, coltivare ancora un contenzioso (peraltro di  rilevanza economica individuale indubbiamente modesta) destinato ad intensificarsi per parte lavoratrice in ragione degli autorevoli supporti offerti dalla S. corte, anche per il tramite delle ultime due recenti sentenze.

 

Mario Meucci

(pubblicato in Lav. prev. Oggi, 1999, 4, 811)

 

P.S. -  Dopo la pubblicazione del sopra riportato articolo o nota, il Pretore di Viterbo dr. Pascolini (con decisione  dell’8.10.1998, in causa Banca di Roma, pubblicata in “Confronti e intese”, mensile del Sinfub, n.161 del 24 gennaio 2000) nel confermare i principi della Cassazione e  da noi asseriti in merito ha specificato  che poiché la “ratio della corresponsione di una giornata di retribuzione (conseguente a mancato riposo, n d.r.) è evidentemente indennitaria e compensa un mancato riposo” (cfr. Cass. 12731/’98)…è appena il caso di osservare che secondo costante giurisprudenza in tal caso la prescrizione è quella decennale (cfr. Cass. sez. lav. 24.12.1997 n. 13039 e 13040). In conclusione, non rientrando la fattispecie in quella prevista dall’art. 2948 n. 4, né in alcuna altra previsione di prescrizione breve, non può che essere applicata la prescrizione ordinaria decennale”.

"A tale conclusione è infatti pervenuta la S. corte la quale nella sentenza n. 12731/'98 afferma in motivazione che 'la ratio della mancata corresponsione di una giornata di retribuzione è evidentemente indennitaria e compensa un mancato riposo". Nello stesso senso, Cass. sez. lav. 16.7.1998 n. 6983: "le affermazioni circa la natura risarcitoria dell'indennità sostitutiva del riposo settimanale può evidentemente estendersi all'indennità sostitutiva dovuta a causa del mancato godimento di qualsiasi tipo di riposo, ivi compreso quello conseguente alla coincidenza della festività con la domenica", (così  Laugeni, in  Confronti e Intese, 166 del 24 sett. -ott. 2000, p. 27).

Dopo queste “batoste” dottrinali, prima, e giurisprudenziali, poi, in sede di ipotesi di accordo di rinnovo del ccnl di categoria ( ipotesi dell' 11 luglio 1999), tra l’intransigente Associazione datoriale ABI e le OO.SS. si conveniva di definire la problematica  al punto 10 (Festività coincidenti con la domenica) del cap. IV così stabilendo “ In considerazione della vigente disciplina di legge in tema di coincidenza delle festività del 25 aprile e del 1 maggio con la domenica e del consolidato indirizzo giurisprudenziale maturato al riguardo, si conviene di definire la questione come segue: al personale in servizio alla data di stipulazione del presente contratto ed in forza in coincidenza con la festività del 25 aprile 1999 e del 1 maggio 1994, l’azienda ha facoltà di riconoscere, d’intesa con il lavoratore, in alternativa al compenso aggiuntivo, altrettante giornate di permesso, da fruire compatibilmente con le esigenze di servizio”.

Soluzione quest’ultima di natura transattiva – fondata sul presupposto della prescrizione quinquennale e non di quella ordinaria decennale – riservata inverosimilmente ai soli lavoratori in servizio, escludente quelli in quiescenza che (a quanto ci è dato sapere) si sono consorziati (o hanno richiesto l’intervento sindacale)  per sopportare le spese giudiziali per un riconoscimento di principio  da parte della magistratura, una volta trascurati dai loro stessi Sindacati firmatari dell’ipotesi in questione (oramai ratificata come “contratto unico” del 11 luglio 1999 per il personale impiegatizio e direttivo, dirigenti esclusi).

Infine l'orientamento  assertore della spettanza di una ulteriore quota giornaliera di retribuzione per il caso di coincidenza delle festività nazionali del 25 aprile e del 1 maggio con la domenica, si è definitivamente consolidato con la sentenza  della Cassazione, sez. lav., n. 1018 del 25 gennaio 2001 (soccombente Monte dei Paschi di Siena SpA, assistito dal legale delle banche Prof. avv. R. Scognamiglio,  decisione ora reperibile integralmente in  Riv. it. dir. lav. 2001, 719 con nota di Calafà ampiamente carente nelle citazioni degli autori che, come noi, per primi se ne sono occupati funditus ed hanno concorso all'affermarsi dell'orientamento giudiziale), la quale - in  perfetta linea con le argomentazioni da noi esposte nell'articolo -  ha confermativamente stabilito che "Ai sensi dell’art. 5, comma 3°, ultima parte della legge 27 maggio 1949, n. 260 , come modificato dalla l. 31 marzo 1954, n.90, il compenso aggiuntivo fisso (corrispondente all’aliquota giornaliera e, quindi, slegato dalle ore di lavoro) ivi previsto per il caso in cui le festività  del 25 aprile e del 1 maggio(ora residuali, in quanto  quelle del 2 giugno  e del 4 novembre, già ivi comprese, sono state spostate alla prima domenica di giugno e di novembre dall’art. 1 della l. 5 marzo 1977, n. 54) coincidano con la domenica, spetta al lavoratore che, in tali giorni riposi e non presti quindi attività (come vorrebbe il ricorrente, la cui tesi non è fondata su alcuna base normativa). Tale compenso aggiuntivo fisso (corrispondente all’aliquota giornaliera)  che trova, giustificazione - come già asserito da Cass. nn. 11117/95, 6983/98 e 12731/98, cui si presta  piena adesione -  nel fatto che, ove le suddette festività non coincidessero con la domenica, il dipendente fruirebbe di una giornata in più di riposo, è  espressamente previsto dall’art. 2 della citata legge n. 90 del 1954 alla lettera e) per i lavoratori assenti nel caso (tra l’altro) di “sospensione dal lavoro dovuta  a coincidenza della festività con la domenica”.  

Sulla scorta della giurisprudenza secondo cui  nel concetto di retribuzione rientrano tutti gli importi che, pur senza trovare riscontro in una precisa prestazione lavorativa, costituiscono adempimento di obbligazioni pecuniarie imposte al datore di lavoro da leggi o da convenzioni nel corso del rapporto di lavoro, ed aventi origine e titolo nel contratto di lavoro, escluse soltanto le erogazioni originate da cause autonome o da responsabilità del datore di lavoro -  da cui consegue la natura retributiva e non risarcitoria delle maggiorazioni in questione -  le stesse sono soggette alla prescrizione quinquennale  di cui all’art. 2948 n. 4, c. c., che si applica a “tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”, a nulla rilevando che la coincidenza delle festività nazionali con la domenica sia puramente casuale e non presenti una ricorrenza ciclica, atteso che il requisito della periodicità, annuale o inferiore all’anno, che giustifica l’applicabilità della prescrizione quinquennale, deve essere riferito alla retribuzione nel suo complesso e non già alle singole voci che di volta in volta la compongono".

 

Roma 16 marzo 2001

NOTE

 

(1) In Lav. prev. Oggi 1995, 2050, cui ha fatto seguito la pubblicazione di Trib. Milano 5 maggio 1995 (Credito Italiano c. Altobelli, ora confermata da Cass. 19 dicembre 1998, n. 12731, riportata in Lav. prev. Oggi, 1999, 801), ibidem 1996, 340.

(2) In Not. giurisp. lav. 1984, 578, preceduta da Cass. 21 gennaio 1982 n. 406, in Giust. civ. 1982,I, 1260.

(3) In Not. giurisp. lav. 1994, 329.

(4) In Not. giurisp. lav. 1993, 63.

(5) Pret. Milano 19.9.1994, ibidem 1994, 640; Pret. Milano 28.12.1992, in D&L 1992, 397; Pret. Milano 22.1.1990, in Lav. 80, 1990, 287, confermata da Trib. Milano 23.11.1991, in D&L 1992, 465.

(6) In Giust. civ. 1984, I, 393, con nota di Cappagli.

(7) Ibidem, 1979, I, 1554.

(8) Per i dirigenti, notoriamente, la prescrizione dei crediti retributivi opera dopo la cessazione del rapporto, per carenza, nei loro confronti, dei requisiti della stabilità reale.

(9) In Not. giurisp. lav. 1984, 578 e conf. Cass. 15.11. 1984, n. 5800, in Mass. giur. lav. 1984, 636, nonché Cass. 3.7.1979, n. 3713, in Giust. civ. 1979, I, 1554.

(10) Così Cass. 26 ottobre 1995, n. 11117, in Not. giurisp. lav. 1995,896.

(11) Il cui nostro commento dal titolo "L'alto, il medio ed il mini dirigente nelle moderne organizzazioni complesse" è publicato in Lav. prev. Oggi 1999, 3, a pag. 581 e ss.

(12) Entrambe pubblicate in Lav. prev. Oggi  1999, l’una a pag. 797 e rispettivamente l’altra a pag. 801.

(13) Così la massima di Cass. n. 12731 del 19 dicembre 1998 e, analogamente, quella di  Cass. 16 luglio 1998, n. 6983, cit.

 

P.S. - Per la posizione di diniego nei confronti dei Pubblici dipendenti si rinvia alla circolare del Dip. Funzione Pubblica adottata su parere del Consiglio di Stato, che possono leggersi al seguente link: http://www.lexitalia.it/leggi/circdipfp_2003-03-21.htm

 

Prescrizione quinquennale per la rivendicazione del compenso

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 20 novembre 2006, n. 24593 - Pres. De Luca –Est. Miani Canevari - P.M. Destro (concl. conf.) -Soc. Poste italiane c.  Marini ed altri.
 
Crediti di lavoro - Nozione - Prescrizione quinquennale - Effetti - Maggiorazioni dovute per coincidenza delle festività del venticinque aprile e del primo maggio con la domenica - Natura retributiva - Sussiste - Applicabilità - Criteri.
 
Rientrano nel concetto di retribuzione e restano soggetti al regime della prescrizione dei crediti di lavoro non solo gli emolumenti corrisposti in finizione dell'esercizio dell'attività lavorativa, ma anche tutti gli importi che, pur senza trovare riscontro in una precisa prestazione lavorativa, costituiscono adempimento di obbligazioni pecuniarie imposte al datore di lavoro da leggi o da convenzioni nel corso del rapporto ed hanno origine e titolo nel contratto di lavoro, mentre ne restano escluse le sole erogazioni originate da cause autonome ovvero da responsabilità del datore di lavoro. Ne consegue che soggiacciono alla prescrizione quinquennale i crediti per le maggiorazioni dovute ai dipendenti, retribuiti a misura fissa, in caso di coincidenza delle festività del venticinque aprile e del primo maggio con la domenica.
 
Fatto. - Luciano Marini e altri litisconsorti, ex dipendenti delle Poste Italiane in quiescenza dal 1994, hanno chiesto il pagamento di compensi per festività nazionali e infrasettimanali coincidenti con la domenica, invocando a sostegno della domanda, oltre alle norme delle leggi n. 260 del 1949 e n. 54 del 1990, le previsioni dell'accordo interconfederale 3 dicembre 1954 che riconosce per tali occasioni una quota giornaliera della retribuzione di fatto. Il giudice adito ha accolto le domande, con decisione che la Corte di Appello di Roma ha confermato con la sentenza oggi denunciata. Dopo aver disatteso l'eccezione di prescrizione quinquennale sollevata dall'appellante, la Corte territoriale ha rilevato che la disciplina di legge richiamata riconosce ai lavoratori retribuiti in misura fissa il diritto al compenso per tre festività nazionali non lavorate coincidenti con la domenica; che la pretesa azionata trovava fondamento nell'accordo interconfederale invocato dai lavoratori, applicabile nella specie in quanto operante per il settore delle imprese industriali, nel quale andava inquadrata l'appellante.
Avverso questa sentenza la società Poste Italiane propone ricorso per cassazione con quattro motivi. Gli intimati non si sono costituiti.
 
Diritto. - 1. Con il primo motivo, denunciandosi violazione e falsa applicazione degli artt. 2955, 2956 e 2948, n. 4, c.c., si censura la sentenza impugnata secondo cui i crediti azionati dai lavoratori sono soggetti alla prescrizione decennale, trattandosi di prestazioni per loro natura non periodiche. Si sostiene che il requisito della periodicità, ai fini dell'applicazione dell'art. 2948, n. 4, ce, deve ritenersi soddisfatto quando il compenso, come nel caso di specie, debba essere corrisposto - come componente della retribuzione - al termine del periodo di paga in cui si è verificato il presupposto che dà diritto alla erogazione.
2. Il secondo motivo, con la denuncia di vizio di motivazione della sentenza impugnata, propone la questione dell'applicabilità per i rapporti di lavoro in questione della disciplina dettata dall'accordo sindacale 19 dicembre 2000 per la materia delle festività coincidenti con la domenica.
3. Il terzo complesso motivo contiene la denuncia dei vizi di violazione e falsa applicazione dell'art. 5 legge n. 260 del 1949 (come modificato dalla legge n. 90 del 1954) con riferimento agli artt. 11 e 29 della legge 29 marzo 1983, n. 93, all'art. 3 Cost. e alla legge 27 febbraio 1958, n. 119, nonché difetto di motivazione. Le censure investono sotto diversi profili la questione dell'applicabilità ai rapporti in esame della disciplina dettata per le ricorrenze festive dalle citate leggi n. 260 del 1949 e n. 90 del 1954, del diritto dei dipendenti retribuiti in misura fissa al compenso per le festività non lavorate coincidenti con la domenica.
4. L'ultimo motivo, con la denuncia di violazione e falsa applicazione dell'art. 2195 c.c., censura la statuizione relativa all'applicabilità ai rapporti in questione della disciplina dettata dall'accordo interconfederale 3 di­cembre 1954, recepito dalla legge 14 luglio 1959, n. 741.
5. Il primo motivo merita accoglimento. La sentenza impugnata, che ha escluso l'applicabilità del regime della prescrizione quinquennale, ex art. 2948, n. 4, c.c. per i crediti attinenti al compenso per festività nazionali, non risulta conforme al principio di diritto enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui rientrano nel concetto di retribuzione e restano soggetti al regime della prescrizione dei crediti di lavoro non solo gli emolumenti corrisposti in funzione dell'esercizio dell'attività lavorativa, ma anche tutti gli importi che, pur senza trovare riscontro in una precisa prestazione lavorativa, costituiscono adempimento di obbligazioni pecuniarie imposte al datore di lavoro da leggi o da convenzioni nel corso del rapporto ed hanno origine e titolo nel contratto di lavoro, mentre ne restano escluse le sole erogazioni originate da cause autonome ovvero da responsabilità del datore di lavoro. Ne consegue che soggiacciono alla prescrizione quinquennale i crediti per le maggiorazioni dovute ai dipendenti, retribuiti a misura fissa, in caso di coincidenza delle festività del venticinque aprile e del primo maggio con la domenica (Cass., 25 gennaio 2001, n. 1018). Nella specie, la pretesa azionata riguarda compensi per festività coincidenti con la domenica, maturati nel 1994 (i lavoratori ricorrenti in primo grado sono stati collocati a riposo nello stesso anno). La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata, risultando assorbito l'esame degli altri motivi dei ricorso. Non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, perché i crediti azionati, in base al principio sopra richiamato, risultano prescritti all'epoca della domanda giudiziale (settembre 2001). La causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384 c.p.c, con il rigetto delle domande proposte da Luciano Marini e litisconsorti con ricorso depositato il 20 settembre 2001. (Omissis).
Nota redazionale della Rivista (Not.giurisp.lav.)
La S.C. si pronuncia sul regime della prescrizione applicabile alle maggiorazioni corrisposte ai lavoratori dipendenti, retribuiti in misura fìssa, ai sensi dell'art. 5, 3° comma, della 1. n. 260 del 1949, in caso di coincidenza delle festività del venticinque aprile e del primo maggio con la domenica. Al riguardo, è opportuno premettere che secondo la giurisprudenza consolidata l'ulteriore emolumento che l'art. 5, comma 3, della 1. 27 maggio 1949, n. 260 riconosce al lavoratore retribuito in misura fissa in caso di coincidenza delle festività del 25 aprile e del 1° maggio con la domenica, in aggiunta alla retribuzione di fatto giornaliera, non presuppone che in tali giornate venga espletata la consueta attività lavorativa (cfr. Cass., 26 marzo 2004 n. 6112, in questa Rivista, 2004, p. 609; Cass., 16 febbraio 20O4, n. 2918, ibidem, 2004, p. 481; Cass., 8 aprile 2002, n. 4998, ibidem, 2002, p. 575, n. 10; Cass., 19 dicembre 1998, n. 12731 e Cass., 16 luglio 1998, n. 6983, ibidem, 1998, p. 707; Cass., 26 ottobre 1995, n. 11117, ibidem, 1995, p. 896).
Da precisare che attualmente il principio in questione riguarda le sole festività nazionali, coincidenti con la domenica, del 25 aprile, del 1° maggio e del 2 giugno.
È noto, infatti, che le festività infrasettimanali, celebrative di ricorrenze civili o religiose, sono elencate nell'art. 2 della legge 27 maggio 1949, n. 260 e, originariamente in numero di sedici, sono state ridotte a nove dalla legge 5 marzo 1997, n. 54 e portate a undici dal d.p.r. 28 dicembre 1985, n. 792. L'art. 5, nel testo sostituito dall'art. 1 della legge 31 marzo 1954, n. 90, prevedeva il trattamento economico limitatamente a quattro di esse: 25 aprile, 1° maggio, 2 giugno, 4 novembre. Attualmente, a seguito delle modifiche introdotte dalla 1. n. 54 del 1977, che ha spostato la celebrazione delle festività del 2 giugno e dei 4 novembre alla prima domenica dei mesi di giugno e di novembre, e dell'ulteriore novella stabilita con l. n. 336 del 20 novembre 2000 - che ha ripristinato come giorno festivo la giornata del 2 giugno - le festività per le quali si prevede il trattamento economico, sono appunto tre: 25 aprile, 1° maggio, 2 giugno.
Nel settore del credito la contrattazione collettiva riconosce che, in caso di coincidenza delle predette festività con la domenica, ai sensi della 1. n. 260 del 1949 spetta una retribuzione aggiuntiva a tutti i dipendenti. In relazione a ciò, le parti negoziali hanno convenuto che in tali fattispecie l'azienda - d'intesa con il lavoratore - ha facoltà di riconoscere al personale altrettante giornate di permesso — in alternativa al compenso aggiuntivo - da fruire compatibilmente con le esigenze di servizio.
Ciò premesso, e passando alla questione relativa al regime prescrizionale applicabile ai trattamenti spettanti ai lavoratori in questi casi, si può osservare come la S.C., muovendosi sulla scia di altre pronunce, ritenga che le maggiorazioni dovute ai dipendenti, retribuiti a misura fissa, in caso di coincidenza delle festività del venticinque aprile e del primo maggio con la domenica, soggiacciono alla prescrizione quinquennale dei crediti retributivi del lavoratore (v. Cass., 25 gennaio 2001, n. 1018, citata in motivazione, in questa Rivista, 2001, p. 351; Cass., 26 marzo 2004, n. 6112, cit.).
Tale argomentazione muove dalla constatazione che le maggiorazioni in parola non hanno natura risarcitoria, ma costituiscono una particolare forma di retribuzione per giornate festive non godute che trovano la loro fonte regolatrice nel contratto di lavoro. In quanto tali, pur non essendo corrisposte, in via sinallagmatica, cioè a seguito di una precisa prestazione lavorativa, rientrano nelle obbligazioni pecuniarie imposte al datore di lavoro, da leggi o da convenzioni nel corso del rapporto.
Ne consegue, che le stesse sono soggette alla prescrizione quinquennale di cui all'art. 2948, n. 4, c.c., il quale, come noto, si applica a -tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi -, a nulla rilevando che la coincidenza delle festività nazionali con la domenica sia puramente casuale, atteso che il requisito della periodicità annuale o inferiore all'anno, che costituisce il presupposto per l'applicabilità del termine de quo, deve intendersi riferito alla retribuzione nella sua globalità e non invece alle singole voci che di volta in volta la compongono.
 
(fonte: Not. giurisp. lav. 2007, 102 e ss.)

Insussistenza del diritto ad una quota giornaliera addizionale  nel Pubblico Impiego privatizzato

Cass., sez. lav., 5 novembre 2009, n. 23437 – Pres. Vidiri – Rel. Monaci - MINISTERO DELL'INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis; contro FA. CI. , FO. MA. , LA. RO. MA. , SI. RO. , BE. VI. , DI. CU. RO. , GI. RO. , ME. IT. , NI. AS. , DI. FI. AN. , ME. GI. MA. , BA. AN. , VE. CA. , CA. ST.  
 
Festività cadente di domenica – Maggiorazione retributiva nel P.Impiego privatizzato – Insussistenza.
 
In tema di pubblico impiego privatizzato, il diritto al compenso aggiuntivo per le festività civili coincidenti con la domenica, attribuito dalla Legge 27 maggio 1949, n. 260, articolo 5, comma 3, come modificato dalla Legge 31 marzo 1954, n. 90, articolo 1, è stato escluso dalla Legge 23 dicembre 2005, n. 266, articolo 3, comma 224, che, con norma di interpretazione autentica (resa palese dalla specifica salvaguardia delle situazioni coperte da giudicato formatosi anteriormente alla sua entrata in vigore), ha espressamente compreso la citata disposizione tra quelle riconosciute inapplicabili dal Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 69, comma 1, secondo periodo, a seguito della seconda tornata di contratti collettivi in materia di lavoro con la P.A.. Ne consegue che per le giornate del venticinque aprile 1999, due giugno 2002 e venticinque aprile 2004, tutte ricadenti di domenica, non sussiste il diritto dei dipendenti all'attribuzione, oltre alla normale retribuzione, di un'ulteriore aliquota giornaliera (così, Cass., 17 giugno 2009, n. 14048).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La controversia ha per oggetto la richiesta di alcuni dipendenti del Ministero dell'Interno - indicate in epigrafe - del pagamento della quota giornaliera di retribuzione in relazione al 24 maggio 1999, al 2 giugno 2002 e al 25 aprile 2004, giornate di festività nazionale cadute di domenica.
Costituitosi il contraddittorio, il giudice di primo grado accoglieva la domanda, e questa decisione veniva confermata in sede di impugnazione dalla Corte d'Appello di Torino.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso, in termine, il Ministero dell'Interno.
Gli intimati non hanno presentato difese in questa fase.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Nella sua impugnazione il Ministero dell'Interno lamenta la violazione e falsa applicazione della Legge 27 maggio 1949, n. 260, articolo 5 (come modificato dalla Legge 31 marzo 1954, n. 90 e dalla Legge 5 marzo 1977, n. 54), la falsa applicazione del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articoli 2 e 45 (Testo Unico sugli impiegati dello Stato), la violazione del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 69, in combinato disposto con la Legge 23 dicembre 2005, n. 266, articolo 1.
Secondo il ricorrente l'applicazione della normativa del 1949 (comprese le successive modificazioni) era esclusa dal Decreto Legislativo n. 29 del 1923 e dal Testo Unico Decreto Legislativo n. 165 del 2001.
Ai dipendenti del settore Ministeri non spettava il compenso aggiuntivo richiesto per le festività coincidenti con la domenica, perchè tutte le disposizioni relative all'attribuzione di trattamenti precedenti alla stipulazione del CCNL dovevano ritenersi venuti meno al momento al momento dell'entrata in vigore della contrattazione collettiva.
2. Il ricorso va accolto in ragione dello ius superveniens costituito dalla Legge 23 dicembre 2005, n. 266 che, nell'articolo 3, comma 224, con disposizione interpretativa ha stabilito che "Tra le disposizioni riconosciute inapplicabili dal Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 69, comma 1, secondo periodo, a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1 997 è ricompreso la Legge 27 maggio 1949, n. 260, articolo 5, comma 3, come sostituito dalla Legge 31 marzo 1954, n. 90, articolo 1, in materia di retribuzione nelle festività civili nazionali ricadenti di domenica. È fatta salva l'esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge".
Orbene questa Corte di Cassazione ha di recente statuito che, in tema di pubblico impiego privatizzato, il diritto al compenso aggiuntivo per le festività civili coincidenti con la domenica, attribuito dalla Legge 27 maggio 1949, n. 260, articolo 5, comma 3, come modificato dalla Legge 31 marzo 1954, n. 90, articolo 1, è stato escluso dalla Legge 23 dicembre 2005, n. 266, articolo 3, comma 224, che, con norma di interpretazione autentica (resa palese dalla specifica salvaguardia delle situazioni coperte da giudicato formatosi anteriormente alla sua entrata in vigore), ha espressamente compreso la citata disposizione tra quelle riconosciute inapplicabili dal Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 69, comma 1, secondo periodo, a seguito della seconda tornata di contratti collettivi in materia di lavoro con la P.A.. Ne consegue che per le giornate del venticinque aprile 1999, due giugno 2002 e venticinque aprile 2004, tutte ricadenti di domenica, non sussiste il diritto dei dipendenti all'attribuzione, oltre alla normale retribuzione, di un'ulteriore aliquota giornaliera (così, Cass., 17 giugno 2009, n. 14048).
A sostegno di tale statuizione i giudici di legittimità hanno anche osservato come, con la formula adoperata dal legislatore del 2005, si sia ottenuto un effetto indirettamente interpretativo della disposizione stessa, nel senso che si è finito per disporre retroattivamente - facendo salvo solo il giudicato - che la maggiorazione della retribuzione nelle festività nazionali coincidenti con la domenica, prevista da detta norma per la generalità dei lavoratori, non si applica ai dipendenti pubblici (cfr, al riguardo, Cass. 22 febbraio 2008 n. 4667); ed hanno altresì rimarcato come i dubbi di legittimità costituzionale prospettati nei confronti della accolta interpretazione, sotto il profilo della pretesa violazione del principio di uguaglianza, siano privi di fondamento (cfr, al riguardo, Cass. 17 giugno2009 n. 14048 cit., che, in motivazione, richiama il pronunziato della Corte Costituzionale 16 maggio 2008 n. 146, ed, ancora in motivazione, Cass. 22 febbraio n. 4667 cit.).
Del pari manifestamente infondato deve ritenersi anche il dubbio di incostituzionalità prospettato dai controricorrenti per supposta violazione del principio di libertà sindacale, atteso che le parti sociali hanno potuto provvedere, proprio con i contratti collettivi alla cui stipulazione è stata ricollegata l'inapplicabilità della Legge 27 maggio 1949, n. 260, articolo 5, comma 3, come sostituito dalla Legge 31 marzo 1954, n. 90, articolo 1 (giusta il disposto della ricordata norma di interpretazione autentica), ad una dettagliata e compiuta regolamentazione della materia inerente il godimento delle ferie, le festività e gli eventuali riposi compensativi, rispetto alla quale, peraltro, non è neppure ravvisabile violazione alcuna dei principi di cui all'articolo 36 Cost..
3. Il ricorso va dunque accolto, stante lo ius superveniens (per la cui applicabilità anche d'ufficio in cassazione cfr, ex plurimis, Cass. 10 maggio 2000 n. 6541, cui adde più di recente Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070; Cass. 17 aprile 2004 n. 7333) - per non essere state prospettate argomentazioni capaci di svalutare le ragioni poste a base delle ricordate statuizioni, che, pertanto, vanno ribadite in questa sede attesi i compiti di nomofilachia istituzionalmente devoluti ai giudici di legittimità.
Ciò comporta l'assorbimento di ogni altro motivo.
Ne consegue che la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, va decisa nel merito ai sensi dell'articolo 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto della domanda proposta dagli odierni intimati.
Ricorrono giusti motivi - considerata la natura della controversia e la complessità delle questioni giuridiche affrontate per la decisione del thema decidendum - per compensare interamente tra le parti le spese dell'intero processo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, respinge la domanda proposta dai dipendenti. Compensa le spese dell'intero processo.
 

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