Demansionamento e trasferimento illegittimo del dirigente pubblico per colpa dei superiori determina danno erariale  da essi risarcibile

 

Corte dei conti – Sezione Lombardia – sentenza n. 579/2005 - Presidente ed estensore Tenore

Fatto

Con atto di citazione depositato il 20 luglio 2004, la Procura Regionale Lombardia conveniva innanzi a questa Sezione giurisdizionale il dr. E. T., direttore amministrativo dell’azienda ospedaliera Niguarda Ca’ Grande di Milano, deducendo quanto segue: a) che, a seguito di esposto del 22.1.2001 inviato alla Procura contabile dell’avv. S. N. , era stato acclarato che il Tribunale di Milano, con sentenze 20 marzo 2002 e 22 luglio 2003 aveva dichiarato illegittima la revoca dell’incarico di dirigente responsabile dell’ufficio acquisti dell’ospedale Niguarda disposta, con atto del 2 dicembre 1999, dal direttore amministrativo dr. T. nei confronti del dr. N. F. , responsabile di detto ufficio dall’11 giugno 1998, ed aveva altresì condannato il Niguarda al risarcimento dei danni (biologico, morale, all’immagine ed alla professionalità) cagionati al F. , pari a euro 87.447,00 oltre spese di lite (euro 10.000,00) e di Ctu (euro 750,00); b) che dopo dette sentenze, non appellate, era intervenuta una rituale conciliazione in data 8 settembre 2003 (recepita nella delibera 9.10.2003 n. 1089 dell’azienda ospedaliera), comportante un esborso di euro 87.447,00, più euro 7.553,00 a saldo di ogni pretesa, a carico del Niguarda a favore del dirigente F. ; c) che, oltre a detta somma, l’azienda ospedaliera aveva sopportato un ulteriore esborso di euro 13.464,00 per spese legali sostenute dal dr. F. , di euro 750,00 per Ctu e di euro 9.287,47 per spese legali del difensore del Niguarda, per un importo complessivo di euro 118.501,47 costituente, secondo l’istante Procura, un danno per l’erario; d) che le predette sentenze del Tribunale di Milano traevano origine dall’illegittimo comportamento del convenuto direttore amministrativo del Niguarda il quale aveva disposto la irragionevole ed immotivata revoca contra legem dell’incarico dirigenziale di responsabile dell’ufficio acquisti dell’azienda conferito al dr. F. , costringendo quest’ultimo ad un vittorioso ricorso in sede lavoristica; e) chiariva l’attrice Procura che detta revoca, con attribuzione di diverso incarico di palese minor rilievo e professionalità, ed anzi privo di contenuto effettivo (presso la struttura di Villa Marelli) al F. , aveva avuto origine dalle perplessità economico-giuridiche palesate dal dr. F. al direttore generale del Niguarda, dr. P. C. , in ordine alle offerte, eccessivamente elevate, presentate da 2 imprese in occasione della trattativa privata posta in essere, su sollecitazione del direttore generale, all’esito della gara pubblica andata deserta per l’appalto di «3 service, comprendenti la gestione completa dei reparti di emodinamica, radiologia interventistica e neuroradiologia interventistica per 5 anni»; f) aggiungeva la Procura che il direttore generale dr. C. aveva inizialmente condiviso le perplessità del F. sull’anomalia delle offerte, invitando il responsabile dell’ufficio acquisti ad un analitico riesame delle offerte dopo il periodo feriale, ma aveva poi, approfittando delle cennate ferie del F. , assegnato il riesame ad altro ufficio (diretto dal sig.Schimmenti), che aveva predisposto il provvedimento di aggiudicazione parziale (corrispondente a 2 dei 3 servizi oggetto della iniziale gara pubblica) per un importo superiore del 30% rispetto alla base d’asta determinata dal F. per tutti e tre i servizi da aggiudicare; g) che, a fronte di tale situazione, il F. aveva rifiutato di controfirmare la delibera di aggiudicazione parziale del servizio emodinamica e radiologia interventistica, affidato, con delibera 1359/99 del direttore generale, alla impresa NGC Medical spa per 5 anni per lire 66.607.625.000 più Iva; h) che dopo 2 mesi da detta aggiudicazione, era intervenuto, in data 2 dicembre 1999, il trasferimento del F. e di altri 5 funzionari operanti nel medesimo ufficio acquisti che avevano istruito la gara de qua; i) che a tale trasferimento avevano fatto seguito i vittoriosi ricorsi lavoristici e risarcitori del F. indicati sub a innanzi al Tribunale ordinario di Milano, che avevano acclarato la palese illegittimità del trasferimento, privo di qualsiasi giustificazione ed avente finalità sanzionatorie senza però rispettarne la relativa rigorosa procedura prescritta per la responsabilità dirigenziale; l) che la palese fondatezza della pretesa del ricorrente F. aveva indotto l’ospedale Niguarda ad addivenire ad una conciliazione stragiudiziale ex articolo 65, D.Lgs 165/01 in precedenza indicata sub b, rinunciando all’appello avverso le predette statuizioni del Tribunale di Milano; m) che era da addebitare al dr. E. T., direttore amministrativo del Niguarda, che aveva sottoscritto l’ordine di servizio statuente il trasferimento illegittimo del F. , la responsabilità per il danno patrimoniale indiretto originato dall’esborso di euro 87.447,00 più euro 7.553,00 a saldo di ogni pretesa, a carico del Niguarda a favore del dirigente F. a seguito della conciliazione 8 settembre 2003 (recepita nella delibera 1089/03 dell’azienda ospedaliera) e aggravato dall’ulteriore esborso di euro 13.464,00 per spese legali sostenute dal dr. F. , di euro 750,00 per Ctu e di euro 9.287,47 per spese legali del difensore del Niguarda; n) che le deduzioni scritte ed orali formulate dal T., volte essenzialmente ad evidenziare la doverosa ottemperanza, nel disporre il trasferimento, ad un ordine del direttore generale C. privo di giustificazioni circa gli asseriti “comportamenti pregiudizievoli” del F. e dei suoi 5 collaboratori e la mancata conoscenza delle pregresse vicende relative alla gara per i cennati tre service, non erano idonee ad escludere la responsabilità del convenuto ancorché, secondo la Procura attrice, «l’ipotesi di corresponsabilità formulata nei confronti del dr. C. non appaia del tutto destituita di fondamento» (p.12 citazione). Tutto ciò premesso, la Procura regionale chiedeva la condanna del dr. E. T. al pagamento della somma di euro 118.501,47 oltre interessi, rivalutazione e spese di lite.

Si costituiva il convenuto dr. T., tramite l’avv. R. M., con memoria depositata il 20.1.2005, chiedendo il rigetto della domanda attorea per difetto del nesso causale tra la propria condotta e il danno accertato, essendo quest’ultimo frutto della decisione, a sé non imputabile, di non appellare le due erronee sentenze del Tribunale lavoro di Milano che avevano portato alla condanna risarcitoria del Niguarda. In via gradata, il convenuto chiedeva che fosse adeguatamente valutato l’apporto causale del direttore generale dr. C. alla causazione del danno. In ogni caso invocava lo scomputo dall’importo del danno complessivamente reclamato della somma di euro 7.533,00 liquidata al F. in sede conciliativa a tacitazione di ogni pretesa. In ulteriore subordine il convenuto richiedeva un congruo esercizio del potere riduttivo dell’addebito.

All’udienza del 10 febbraio 2005 la sezione pronunciava l’ordinanza, di pari data, 67/2005, con cui veniva disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti del dr. P. C. . La Procura contabile ottemperava all’ordinanza evocando in giudizio il dr. C. . Quest’ultimo si costituiva tramite l’avv. L. V., eccependo preliminarmente la nullità/inammissibilità dell’atto di integrazione del contraddittorio nei propri confronti per violazione del diritto alla difesa e per violazione della imparzialità dell’organo giudicante. Nel merito la difesa del C. evidenziava come il trasferimento del dr. F. era stata disposta dal dr. T. per esigenze organizzative esplicate al legale dell’Azienda ospedaliera nel luglio 2000 (anteriormente al vittorioso ricorso lavoristico del F. ) e coinvolgenti anche altri dipendenti del Niguarda. In ogni caso la determina dirigenziale di trasferimento era stata assunta dal dr. T., senza alcuna pressione o “esortazione” psicologica da parte del direttore generale, con conseguente inimputabilità a quest’ultimo della scelta organizzativa. Il convenuto aggiungeva poi: a) che nessun legame sussisteva tra il trasferimento oggetto di causa e i pregressi asseriti contrasti tra egli, direttore generale, e il F. in relazione all’appalto per il service di alcuni reparti; b) che il F. non aveva mai contestato la propria assegnazione al nuovo incarico dalla data del trasferimento (dicembre 1999) alla data del ricorso lavoristico (gennaio 2001), e che quest’ultimo era stato intrapreso solo dopo la soccombenza del F. in un altro giudizio lavoristico volto ad ottenere un incarico (dirigente della Uo Approvvigionamenti) assegnato ad altro collega; c) che il danno contestato dalla Procura contabile era eccessivo, avendo l’attrice computato costi ed importi frutto della transazione 8 settembre 2003, a cui egli era stato estraneo, atto ben successivo alla sentenza del Tribunale lavoro Milano, unico titolo astrattamente originante un esborso imputabile ad esso convenuto; d) che la lievitazione degli importi del danno liquidato dal Tribunale di Milano al F. era frutto della colpevole tardiva attivazione giudiziaria (avvenuta nel gennaio 2001) del ricorrente a fronte del trasferimento patito in data dicembre 1999; e) che il danno contestatogli traeva origine anche dalla non condivisibile scelta, a sé non imputabile, di non appellare la sentenza del Tribunale lavoro di Milano.

Ciò premesso, la difesa del convenuto, in via gradata rispetto alla eccepità nullità dell’integrazione del contraddittorio, chiedeva il rigetto della domanda proposta nei propri confronti o, in ulteriore subordine, la riduzione in via equitativa del quantum reclamato. In via istruttoria richiedeva prova testimoniale sulle circostanze addotte a propria difesa.

La difesa del T. depositava memoria integrativa riportandosi agli argomenti già diffusamente esplicati in sede di costituzione. All’udienza del 20 settembre 2005, sentito il magistrato relatore prof. Vito Tenore, la Procura Regionale, in persona del Procuratore regionale predetto, ribadiva gli argomenti alla base dell’atto di citazione, mentre l’avv. M. e l’avv. V. per i convenuti sviluppavano le tesi difensive già puntualmente prospettate in comparsa di costituzione. Quindi la causa veniva trattenuta in decisione.

Diritto

1. La fattispecie sottoposta al vaglio dell’adita Sezione Giurisdizionale attiene alla pretesa risarcitoria azionata dalla Procura Regionale Lombardia nei confronti del dr. E. T., ex direttore amministrativo dell’azienda ospedaliera Niguarda di Milano, e del dr. P. C. , ex direttore generale della medesima azienda all’epoca dei fatti di causa, per il danno di euro 118.501,47 cagionato alla Pa a seguito dei vittoriosi ricorsi (anche risarcitori) del dr. N. T. innanzi al Tribunale ordinario di Milano avverso l’illegittima determina 2.1.2.1999 n. 8275/P del predetto dr. T., che aveva estromesso il ricorrente dall’incarico dirigenziale presso l’Uo approvvigionamento e risorse-ufficio acquisti dell’ospedale Niguarda, assegnandolo ad altra struttura di minor rilievo.

2. Prima di entrare nel merito della vicenda, va prioritariamente vagliata l’eccezione di nullità/inammissibilità dell’atto di integrazione del contraddittorio nei propri confronti formulata dalla difesa del C. per asserita violazione del diritto alla difesa e della imparzialità dell’organo giudicante.

La stessa è infondata per i motivi di seguito esplicati.

Osserva sul punto il Collegio che la necessità di evocare il giudizio il dr. C. nasce dalla intrinseca unitarietà, sotto il profilo psicologico, comportamentale, causale e effettuale della vicenda sub iudice addebitata ai due convenuti. Tale unitarietà è desumibile sia dalla prospettazione accusatoria della Procura contabile, che ha testualmente affermato, nell’originaria citazione nei confronti del solo dr. T., che «l’ipotesi di corresponsabilità formulata nei confronti del dr. C. non appaia del tutto destituita di fondamento» (p.12 citazione), sia dalla memoria di costituzione della difesa del convenuto T., che ha in più punti ipotizzato un concorso del C. nella vicenda de qua.

Occorre premettere che sulla possibilità da parte del giudice contabile di disporre l’integrazione del contraddittorio in giudizi di responsabilità non vi è un univoco indirizzo dottrinale e giurisprudenziale: a fronte di un orientamento ostativo ancorato al novellato articolo 111 Costituzione e al principio di parità tra le parti ivi ribadito (v. CdC, Sezione Lombardia, 818/03; id., Sezione terza, 300/02), ritiene il Collegio di aderire al più estensivo indirizzo fondato sul disposto testuale dell’articolo 47, Rd 1038/33 (secondo cui «Chiunque abbia interesse nella controversia può intervenire in causa con atto notificato alle parti e depositato nella segreteria della sezione. L’intervento può essere anche ordinato dalla sezione d’ufficio, o anche su richiesta del procuratore generale o di una delle parti») e dell’articolo 107 Cpc (richiamato dall’articolo 26 del Rd 1038/33 cit.) e che si pone in sintonia con la peculiarità del giudizio giuscontabile, innegabilmente caratterizzato da profili sindacatori che attenuano, in un processo caratterizzato da un’azione pubblica indisponibile, il generale principio della domanda codificato nell’articolo 112 Cpc (in terminis C.conti, Sezione Lombardia, 566/03; id., Sezione seconda, 28 gennaio 2002 n. 20/A; id., Sezione seconda, 3 marzo 2003 n.64/A).

In ogni caso, non appaiono sussistere al Collegio le ipotizzate violazioni processuali e costituzionali prospettate dalla difesa del C. , in quanto alcuna lesione al principio di imparzialità dell’organo giudicante è configurabile attraverso l’evocazione in giudizio di un soggetto, pienamente abilitato all’esercizio dei propri diritti defensionali che vengono vagliati con ontologica imparzialità dal giudice. La censura predetta prova inoltre troppo, in quanto potrebbe essere eccepita innanzi a qualsiasi giudice che disponesse, su impulso di parte o d’ufficio, l’integrazione del contraddittorio, strumento fisologico del nostro sistema processuale per una unitaria valutazione dei comportamenti coinvolti nella fattispecie, in ottemperanza al principio di economia processuale e per prevenire contrasto tra giudicati successivi nel tempo.

Parimenti infondata è la sollevata eccezione di violazione del diritto alla difesa del convenuto C. , a suo dire privato, attraverso la evocazione in giudizio da parte del Collegio, della fase preprocessuale dell’invito a dedurre. La pur suggestiva prospettazione non appare tuttavia convincente, avendo il convenuto avuto piena facoltà di esercitare i propri diritti innanzi al Collegio, sviluppando tutti gli argomenti astrattamente e concretamente sostenibili in replica all’invito a dedurre ed essendo palese, dalla lettura della citazione della Procura, che «l’ipotesi di corresponsabilità formulata nei confronti del dr. C. non appaia del tutto destituita di fondamento» (p. 12 citazione), per cui mai si sarebbe potuti giungere ad una archiviazione da parte della Procura istante nei confronti del C. a fronte del prospettato quadro istruttorio. Pertanto il convenuto, sviluppando con estrema completezza nella memoria di costituzione tutti gli argomenti giuridici e fattuali a propria difesa, e, soprattutto, non limitandosi alla esclusiva eccezione di nullità della citazione integrativa, ha sanato tale vizio per raggiungimento dello scopo ex articolo 156 comma 3 Cpc .

3. Ciò chiarito in ordine alla preliminare eccezione processuale della difesa del dr. C. , può passarsi al merito della vicenda, ribadendo che, al fine di acclarare la responsabilità dei due convenuti, occorre verificare la sussistenza di tutte le componenti strutturali dell’illecito amministrativo-contabile da cosiddetto “danno indiretto”: condotta, illecita, danno erariale, nesso causale ed elemento psicologico.

4. In ordine alla condotta, le inequivoche risultanze giudiziarie presso il Tribunale ordinario di Milano, Sezione lavoro (sentenze 811/02 e 2283/03) hanno acclarato la palese illegittimità del trasferimento del dr. F. disposto con la determina 2.1.2.1999 n. 8275/P del predetto dr. T. per asserite (e non provate) esigenze “organizzative e di coordinamento”. La illiceità comportamentale del dr. T. (e del C. v.infra) in tale singolare “scelta gestionale”, non qualificabile, per la sua unicità e non continuatività, come “mobbing” in senso tecnico in assenza dei relativi presupposti (atteggiamento doloso, persecutorio, sistematico e continuativo, preordinato al danneggiamento della persona del lavoratore e tradottosi in una serie significativa e protrattasi per un apprezzabile periodo di tempo di comportamenti tutti strategicamente indirizzati al fine di vessare il dipendente: v. ex pluribus Tribunale di Tempio Pausania - 10 luglio 2003; Tribunale di Milano - 31 luglio 2003; Tribunale di Siena - 19 aprile 2003; Tribunale di Ravenna - 11 luglio 2002, nozione oggi sostanzialmente recepita nel recente Ccnl 2002-2005), ma come mero conflitto nei rapporti di lavoro, appare evidente dalla lettura delle cennate sentenze milanesi, ormai in giudicato, che hanno correttamente colto le reali finalità punitivo-sanzionatorie di tale determina, non originata affatto da esigenze “organizzative e di coordinamento”, in quanto mai puntualmente (e doverosamente) esternate nell’atto gestionale de quo o in altri atti. Le sentenze lavoristiche hanno poi rimarcato i legami tra la penalizzazione del dirigente e i (non graditi) rilievi formulati dal dr. F. al direttore generale del Niguarda in occasione della procedura (sulla quale pende un parallelo giudizio in corso di definizione innanzi a questa Corte) di affidamento a trattativa privata di servizi, posta in essere, su sollecitazione del direttore generale, all’esito della gara pubblica andata deserta per l’appalto di “3 service, comprendenti la gestione completa dei reparti di emodinamica, radiologia interventistica e neuroradiologia interventistica per 5 anni”. Orbene, come rettamente rilevato nelle sentenze lavoristiche del Tribunale di Milano, il trasferimento del F. , in assenza di idonea motivazione, ha dunque avuto finalità punitive, senza però seguire le rituali procedure prescritte a garanzia del contraddittorio con il lavoratore: il riferimento è all’inosservanza sia delle norme in materia di responsabilità disciplinare, sia delle distinte norme in materia di responsabilità c.d. dirigenziale, configurabile solo in caso di risultati negativi di gestione o mancato raggiungimento di obiettivi (non esistenti nel caso di specie). Queste ultime norme sono prescritte, a tutela del diritto alla difesa , dagli articoli 19, comma 7 e 21, D.Lgs 29/1993, dagli articoli 28, comma 12 e 34 Ccnl dirigenza sanitaria non medica 1998-2001 e degli articoli 52, comma 6 e 57, Ccnl 1994/1997 dirigenza sanitaria non medica. In sintesi, sotto le mentite spoglie di un trasferimento formalmente per asserite (e indimostrate) esigenze organizzative, si celava sostanzialmente o un provvedimento per responsabilità dirigenziale, illegittimo per assenza dei relativi presupposti sostanziali e procedurali, o un provvedimento paradisciplinare, come tale parimenti illecito, in quanto contrastante con i principi generali della tassatività delle sanzioni disciplinari (tra le quali non è contrattualmente o legislativamente previsto il trasferimento) e della mancanza di sanzioni disciplinari conservative per il personale dirigenziale (v. articolo 35, Ccnl: 1994/1997 dirigenza sanitaria non medica). L’illiceità comportamentale addebitata ai convenuti (danno indiretto da onerosa sentenza lavoristica) non va dunque rinvenuta negli asseriti (e in questa sede non provati) “motivi” che avrebbero indotto il T., su impulso del C. , a trasferire il F. (rilievi su gare in atto, oggetto di altra vertenza innanzi a questa Corte), ma nell’averlo trasferito ad incarico di minor rilievo senza comprovate esigenze organizzative, di cui non viene data contezza nella determina dirigenziale, così esponendo l’azienda Niguarda ad un contenzioso lavoristico dall’esito (sfavorevole) scontato. Deve pertanto concludersi che la determina di trasferimento 2.1.2.1999 n. 8275/P a firma del predetto dr. T., per la sua palese e macroscopica infondatezza, abbia, sul piano comportamentale ed etiologico-causale, originato, anche a causa della inerte acquiescenza alla corrispondente illegittima richiesta, coperta da non ben precisati “motivi di riservatezza”, del direttore generale C. cui fa riferimento il T. (circostanza che il C. ha smentito in memoria di costituzione, ma che due funzionari del Niguarda hanno confermato), un contenzioso lavoristico il cui esito sfavorevole per il datore Niguarda era prevedibile ex ante secondo criteri di ordinaria diligenza gestionale da parte di un direttore amministrativo di comprovata esperienza, quale è l’attuale convenuto T. e da parte di un esperto direttore generale. E tale illiceità comportamentale, foriera di danno erariale indiretto da soccombenza giudiziaria innanzi all’Ago, è altresì comprovata dalla scelta di addivenire, dopo l’esito sfavorevole dei due cennati contenziosi civilistici, alla opportuna (e quasi doverosa) conciliazione 8 settembre 2003 (recepita nella delibera 1089/03 dell’azienda ospedaliera), volta a prevenire ulteriori gradi di giudizio sicuramente produttivi di ulteriori danni, da lite temeraria, per l’azienda ospedaliera.

Tale approdo argomentativo non appare confutabile dalle pur accurate difese dei convenuti, abilmente volte a dimostrare che, sul piano causale (e comportamentale, ergo della condotta), il danno venuto a determinarsi sarebbe frutto non già della scelta gestionale-trasferimento, ma della successiva e distinta scelta gestionale, non addebitabile al T. e al C. (in quanto non più in servizio all’epoca), di non appellare le due cennate sentenze del Tribunale lavoro di Milano conciliando la lite. La tesi, pur suggestiva, non appare convincente, ad avviso del Collegio, in quanto l’iter argomentativo delle due sentenze civili (e, in particolare, della decisione 811/02) appare corretto in quanto pienamente conforme ai fatti acclarati (dai testi escussi) e alle norme vigenti, risultando violato, con l’utilizzo “strabico” ed atipico del trasferimento per indimostrate esigenze organizzative, il disposto dagli articolo 19, comma 7 e 21, D.Lgs 29/1993, e degli articoli 52, comma 6 e 57, Ccnl 1994/1997 dirigenza sanitaria non medica (poi ribaditi dagli articolo 28, comma 12 e 34 Ccnl dirigenza sanitaria non medica 1998-2001, successivo ai fatti di causa) che prevedono, come detto, un rigoroso iter per l’adibizione ad altro incarico di un dirigente in presenza (anche qui non dimostrata) di risultati negativi di gestione o mancato raggiungimento di obiettivi. La stessa giurisprudenza lavoristica è univoca nell’affermare che anche nell’impiego pubblico privatizzato la legittimazione al potere del datore di lavoro di disporre il trasferimento di un lavoratore sussiste, nella misura in cui questo integri, ai sensi dell’articolo 2103 Cc, una scelta di carattere organizzativo, tecnico o produttivo, debitamente motivata. Laddove, invece, la carenza o inconsistenza di motivazione si cumuli con un atteggiamento contrastante con i principi che dovrebbero regolamentare il rapporto di lavoro, rivelando un intento sanzionatorio del provvedimento, vengono meno i presupposti di buona fede ed equivalenza presupposti dall’articolo 52 D.Lgs 165/01; difatti, pur potendo il datore di lavoro scegliere di assegnare al lavoratore mansioni differenti rispetto a quelle di assunzione, ciò risulta legittimo solo nel rispetto di quei principi che coordinano le esigenze del datore di lavoro con l’accrescimento professionale del lavoratore (ex pluribus, da ultimo, Trib.Catanzaro, 1 giugno 2001 ord. - Pres.Valea - Regione Reggio Calabria c. M.). La finalità paradisciplinare del disposto trasferimento trova una ulteriore e conclusiva conferma nel parallelo e simultaneo trasferimento ad altra sede di tutti i funzionari che coadiuvavano il F. nell’ufficio acquisti, verosimilmente a conoscenza delle ragioni dei contrasti tra il proprio diretto superiore e i vertici ospedalieri sulla gestione dell’appalto sovracitato. In conclusione, il non aver appellato le due sentenze lavoristiche e l’averle conciliate, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa dei convenuti, rappresenta una ragionevole scelta discrezionale dei successori degli attuali convenuti, scelta che ha prevenuto ulteriori soccombenze negli eventuali successivi gradi di giudizio. Ciò che ha originato tali onerosi giudizi (trasferimento non motivato del F. ) e la successiva transazione rappresenta invece, sul piano causale, il comportamento illecito in questa sede vagliato.

5. Acclarata dunque l’esistenza di una condotta illecita dei convenuti, occorre farsi carico della verifica circa la sussistenza di una colpa grave o, addirittura, di un dolo eventuale, del T. e del C. . Tale elemento psicologico è ritenuto insussistente da parte dell’ex direttore amministrativo T., il quale, nelle proprie deduzioni e nella memoria di costituzione, ha addotto, a propria giustificazione (ergo, a comprova della propria buona fede ostativa alla ipotizzata colpevolezza), tre sostanziali argomenti: a) l’aver dovuto ottemperare all’“ordine” di trasferimento impartito dal proprio direttore generale, dr. P. C. , a tutela di un generico “buon andamento dell’ufficio acquisti” (v. p.3 e 4 deduzioni 5 luglio 2004 agli atti); b) la riconducibilità esclusiva della scelta gestionale al direttore generale ex articolo 3, legge (rectius D.Lgs 502/92); c) la proprio sconoscenza, all’epoca del trasferimento, dei pregressi attriti tra il F. e il dirigente generale concernenti l’appalto di “3 service, comprendenti la gestione completa dei reparti di emodinamica, radiologia interventistica e neuroradiologia interventistica per 5 anni”.

Tali argomenti defensionali appaiono infondati per i motivi infraprecisati. Circa la buona fede per doverosa ottemperanza ad un ordine del proprio direttore generale, è agevole replicare che, quanto meno nell’ordinamento civile (ma norme analoghe operano anche per il personale militare), non esiste un obbligo incondizionato di ottemperare ad ordini illegittimi da parte di un pubblico dipendente, la cui “obbedienza” a precetti dei superiori incontra un limite logico, ancor prima che giuridico (articolo 17, Dpr 3/1957; articolo 28, comma 3, lettera h), Ccnl 1994-1997 Sanità, ribadito nel successivo Ccnl 1998/2001), nella “palese illegittimità” dell’ordine. In tale evenienza, il subordinato ha un obbligo di fare una immediata e motivata contestazione al superiore gerarchico, il quale può ribadire per iscritto l’ordine, a cui occorre, in tale evenienza, dar seguito, salvo che «la disposizione stessa sia vietata dalla legge penale o costituisca (come nel caso di specie, n.d.r.) illecito amministrativo».

Nella fattispecie in esame, per ammissione dello stesso T. nelle depositate deduzioni, il direttore generale non aveva esternato, per una asserita generica “salvaguardia del bene aziendale”, le ragioni giuridico-organizzative alla base del richiesto trasferimento. Orbene, la richiesta da parte del vertice gestionale di un atto dai rilevanti riflessi giuridici e contenziosi in quanto privo di idonea motivazione, avrebbe dovuto indurre il direttore amministrativo, soggetto di comprovata esperienza e professionalità richieste ex lege (articolo 3 seg., D.Lgs 502/92 infrariportato), a richiederne per iscritto le espresse ragioni, a fronte delle quali avrebbe potuto ragionevolmente decidere. L’acritico recepimento di un ordine (o, perlomeno, di una “esortazione”) immotivato, e come tale illegittimo, rappresenta, dunque, la gravemente colpevole scelta del convenuto direttore amministrativo, la cui elevata professionalità specifica (in base all’articolo 3, D.Lgs 502/92, applicabile anche alle aziende ospedaliere, come il Niguarda, in base al successivo articolo 4, «Il direttore amministrativo è un laureato in discipline giuridiche o economiche che non abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età e che abbia svolto per almeno cinque anni una qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa in enti o strutture sanitarie pubbliche o private di media o grande dimensione. Il direttore amministrativo dirige i servizi amministrativi dell’unità sanitaria locale. Sono soppresse le figure del coordinatore amministrativo, del coordinatore sanitario e del sovrintendente sanitario, nonché l’ufficio di direzione») avrebbe dovuto indurlo a non assumere un comportamento irragionevolmente acritico nei confronti del superiore gerarchico, tenuto conto che il principio di legalità e ragionevolezza rappresentano obiettivo prioritario di qualsiasi scelta gestionale, anche in un sistema “depubblicizzato” di pubblica amministrazione. Anzi, ad avviso del Collegio, l’aver adottato un atto la cui illegittimità era palese secondo criteri di ordinaria diligenza per un direttore amministrativo, configura addirittura un dolo eventuale, avendo l’autore della determina dirigenziale accettato il rischio di una fatale impugnativa lavoristica e del relativo accoglimento, foriero di danni erariali. Né assume giuridica rilevanza, in questa sede, una ipotetica “sudditanza psicologica” del T. nei confronti del direttore generale C. , cui fa un subliminale accenno il convenuto nelle proprie deduzione (ove si fa riferimento al “rapporto di fiducia” con il proprio vertice gestionale che lo avrebbe indotto a non mettere in dubbio la correttezza della richiesta del dir.gen.): dei problemi di fattuale “sintonia-sudditanza” dei dirigenti pubblici nei confronti dei propri dirigenti generali e di questi ultimi nei confronti degli organi politici, recentemente acuiti dalla discutibile legge 145/02, non può farsi carico l’autorità giudiziaria (ma il Parlamento o iniziative referendarie), trattandosi di un fatale indotto di scelte legislative ispirate ad una asserita libertà gestionale della dirigenza e ad un coesistente (e solo apparentemente coerente) legame “fiduciario” di quest’ultima con l’organo politico momentaneamente al vertice dell’ente pubblico.

Venendo alla asserita buona fede del convenuto per la prospettata riconducibilità esclusiva della scelta gestionale “trasferimento” non già al direttore amministrativo, ma al direttore generale ex articolo 3, legge (rectius D.Lgs 502/92), osserva il Collegio che, sebbene «Tutti i poteri di gestione, nonché la rappresentanza dell’unità sanitaria locale, sono riservati al direttore generale. Al direttore generale compete in particolare, anche…… la corretta ed economica gestione delle risorse attribuite ed introitate nonché l’imparzialità ed il buon andamento dell’azione amministrativa» (articolo 3, comma 6, D.Lgs 502/92), nel caso di specie la censurata determina 2.1.2.1999 n. 8275/P risulta adottata a firma esclusiva del predetto dr. T., verosimilmente sulla base di una generale (e assai frequente nelle pubbliche amministrazioni) delega di funzioni operata ex ante dal direttore generale ai propri dirigenti di settore o, comunque, in base all’articolo 3, comma 7, D.Lgs 502, che attribuisce testualmente al direttore amministrativo compiti di “direzione dei servizi amministrativi dell’unità sanitaria locale” e all’articolo 3, comma 1quinquies secondo il quale «Il direttore amministrativo e il direttore sanitario sono nominati dal direttore generale. Essi partecipano, unitamente al direttore generale, che ne ha la responsabilità, alla direzione dell’azienda, assumono diretta responsabilità delle funzioni attribuite alla loro competenza e concorrono, con la formulazione di proposte e di pareri, alla formazione delle decisioni della direzione generale».

In ogni caso, anche a voler ipotizzare una incompetenza del dr. T., tale circostanza non risulta eccepita dal dr. F. nella pertinente sede lavoristica, né tale ipotetica illegittimità ha originato un intervento autocorrettivo da parte del competente organo datoriale apicale del Niguarda, segno inequivoco della sua accettazione da parte di ambo le parti in lite. Da ultimo si osserva che lo stesso dr. T., ove incompetente in materia di trasferimenti, avrebbe potuto legittimamente rifiutare di adottare l’atto all’origine del contenzioso in questa sede vagliato: adottandolo ha assunto e accettato gli eventuali rischi dallo stesso derivanti. Infine appare infondato il terzo e conclusivo argomento difensivo volto ad escludere una colpa grave del convenuto, ed afferente la prospettata sconoscenza, all’epoca del trasferimento de quo, dei pregressi contrasti tra il F. e il dirigente generale concernenti l’appalto di “3 service, comprendenti la gestione completa dei reparti di emodinamica, radiologia interventistica e neuroradiologia interventistica per 5 anni”. In primo luogo, tale prospettazione, come rettamente rilevato dalla Procura attrice in citazione (v.p.11), è smentita fattualmente (per tabulas) e giuridicamente dalla circostanza che il T. espresse parere favorevole, quale direttore amministrativo (articolo 3, comma 1quinquies, D.Lgs 502 cit.), sia sulla delibera 1761/98 relativa alla gara ad evidenza pubblica per l’appalto predetto, sia sulla delibera 1359/99 relativa all’affidamento a trattativa privata dell’appalto alla Ngc spa. Ma, in ogni caso, come più volte ribadito in precedenza, tale circostanza (attriti predetti legati a gara d’appalto), non risulta in questa sede pienamente provata e, comunque, esula dal presente giudizio, nel quale il danno erariale deriva dalla adozione di un trasferimento non motivato e, come tale, annullato dal giudice ordinario del lavoro con costi sopportati dalla Pa: le asserite “motivazioni” alla base dell’immotivato trasferimento e sulle quali tanto si dilunga, per confutarle, la difesa del C. , anche se fossero veritiere, non assumono giuridica rilevanza in questa sede. I rilievi sin qui svolti evidenziano altresì il concorso psicologico e causale del C. nella causazione del danno. Ed invero la piena doverosa conoscenza in base all’articolo 3, comma 6 e 7, D.Lgs 502 da parte del direttore generale degli atti di maggior rilevanza assunti dai propri dirigenti, avrebbe dovuto suggerire una puntuale osservanza del basilare obbligo di motivare le scelte gestionali di maggior rilevanza, quali il trasferimento di un dirigente e di attivarsi per evitare l’adozione di atti. Tale motivazione non risulta fornita né in sede di adozione della relativa determina, né in questa sede, dove la difesa del C. ha insistito nel prospettare esigenze organizzative alla base dei molteplici trasferimenti effettuati, ma che rimangono affermazioni generiche e soprattutto non prospettate nelle competenti sedi lavorsitiche, dove invece la tesi risulta smentita con sentenza passata in giudicato.

Non va dimenticato che in base all’articolo 17, D.Lgs 502 cit., «Il direttore generale si avvale del Collegio di direzione (di cui fa parte il direttore amministrativo, ndr) per la elaborazione del programma di attività dell’azienda, nonché per l’organizzazione e lo sviluppo dei servizi, anche in attuazione del modello dipartimentale e per l’utilizzazione delle risorse umane».

6. Venendo, infine, alla quantificazione del danno reclamato dalla Procura, lo stesso appare rettamente determinato in euro 118.501,47 sulla scorta di tutte le voci frutto del pluricitato contenzioso lavoristico originato dalla analizzata illecita scelta gestionale del T.: euro 87.447,00 più euro 7.553,00 a seguito della conciliazione 8 settembre 2003 (recepita nella delibera 9.10.2003 n.1089 dell’azienda ospedaliera), esborso di euro 13.464,00 per spese legali sostenute dal dr. F. , esborso di euro 750,00 per Ctu ed euro 9.287,47 per spese legali del difensore del Niguarda. Da tale importo non sono affatto scomputabili - come vorrebbe il T. nelle depositate deduzioni, poi ampliate in memoria di costituzione e come vorrebbe anche il C. nella depositata memoria - le voci afferenti le spese legali e di transazione-conciliativa, ritenute frutto di una scelta, quella di resistere in giudizio al ricorso lavoristico del dr. F. e di conciliare poi la lite, imputabile ai successori degli attuali convenuti. Difatti, osserva di contro il Collegio, l’indotto contenzioso, e le relative spese (ivi compresi gli esborsi per la chiusura conciliativa della lite), sono un conseguenziale riflesso, sul piano causale, della iniziale illegittima scelta di trasferire contra legem (e contra CCNL) il F. : l’azienda ospedaliera ha, dunque, legittimamente esercitato il proprio diritto-dovere di difesa in giudizio, non potendosi ipotizzare, in alternativa, che a fronte della proposizione di un ricorso da parte di un proprio lavoratore la controparte datoriale debba necessariamente accogliere in via amministrativa la pretesa azionata in sede giurisdizionale. In ogni caso, l’accoglimento in via amministrativa della pretesa non avrebbe impedito il pagamento delle spese di lite da parte del Niguarda, in quanto la regola sulla (palese, nel caso sub iudice) soccombenza virtuale nell’intrapreso giudizio lavoristico che fosse venuto meno per cessazione della materia del contendere, avrebbe portato egualmente alla liquidazione delle cennate spese a danno dell’azienda ospedaliera.

Parimenti, la scelta di non appellare le sentenze di primo grado e di chiudere la vicenda in via transattiva rappresenta una ragionevole scelta gestionale volta prevenire ben più gravi esborsi che l’Azienda avrebbe sostenuto a fronte della temeraria resistenza “ad oltranza” in appello e in Cassazione in un contenzioso dall’esito negativo scontato a fronte della incontestabile mancanza di motivazione del demansionamento patito dal F. . Ne consegue, sul piano logico e causale, che l’esborso frutto della transazione de qua è pur sempre riconducibile all’iniziale immotivata scelta, imputabile agli attuali convenuti, di trasferire e demansionare il F. . In ordine al quantum del predetto danno addebitabile al dr. T. e al dr. C. , dovendosi fare corretta applicazione del principio di personalità della responsabilità amministrativo-contabile e di parziarietà dell’obbligazione risarcitoria (articolo 1, comma 1 e 1quater, legge 20/1994), sul piano causale e psicologico ritiene il Collegio che un concorrente contributo paritetico alla verificazione del danno sia stato dato dai due convenuti.

Ed invero, la scelta gestionale operata dal dr. T. era sicuramente nota al dr. C. , non solo quale verosimile ispiratore della stessa (circostanza non adeguatamente comprovata nel presente giudizio, ma confermabile in altra sede), ma, soprattutto, quale organo gestionale apicale dell’azienda Niguarda. Difatti, la vigente normativa prescrive chiaramente che «Il direttore amministrativo e il direttore sanitario sono nominati dal direttore generale. Essi partecipano, unitamente al direttore generale, che ne ha la responsabilità, alla direzione dell’azienda, assumono diretta responsabilità delle funzioni attribuite alla loro competenza e concorrono, con la formulazione di proposte e di pareri, alla formazione delle decisioni della direzione generale» (articolo 3, comma 1quinquies, D.Lgs 502/92 cit.) e che «Tutti i poteri di gestione, nonché la rappresentanza dell’unità sanitaria locale, sono riservati al direttore generale. Al direttore generale compete in particolare, anche…… la corretta ed economica gestione delle risorse attribuite ed introitate nonché l’imparzialità ed il buon andamento dell’azione amministrativa» (articolo 3, comma 6, D.Lgs 502/92 cit.). Inoltre, le scelte gestionali del personale (quale un trasferimento), soprattutto se apicale (quale era il dr. F. ), sono frutto di attenta ponderazione da parte del direttore amministrativo e del direttore generale in base all’articolo 17, D.Lgs 502 cit., secondo il quale «Il direttore generale si avvale del Collegio di direzione (di cui fa parte il direttore amministrativo, ndr) per la elaborazione del programma di attività dell’azienda, nonché per l’organizzazione e lo sviluppo dei servizi, anche in attuazione del modello dipartimentale e per l’utilizzazione delle risorse umane».

Alla luce di tale lineare quadro normativo deve ribadirsi che la formale scelta, a firma del dr. T., di trasferire (illegittimamente, v. sopra) il dr. F. era doverosamente nota, ex lege (e, assai verosimilmente, anche di fatto) al direttore generale dr. C. , che avrebbe dovuto impedire l’adozione della determina dirigenziale immotivata e contra legem (oltre che contraria al Ccnl). Tale condotta omissiva dell’apice gestionale è stata senza dubbio concausa del danno erariale indiretto in questa sede vagliato. Tale importo va dunque quantificato, secondo il Collegio, sulla base del predetto paritetico contributo causale e psicologico del T. e del C. , nel 50% della somma rivendicata dalla attrice Procura e, dunque, in euro 59.250,735 (euro 118.501,47:2), al cui pagamento va condannato ciascun convenuto. Non appaiono sussistere i presupposti per una riduzione dell’addebito, tenuto conto della palese illegittimità della determina dirigenziale assunta, ben nota a chi la adottò (dr. T.) e a chi avrebbe dovuto impedirla o non ispirarla (dr. C. ), soprattutto in considerazione della elevata professionalità giuridico-amministrativa-gestionale dei due predetti soggetti, reclutati, ex D.Lgs 502 cit., in base al possesso di rigorosi requisiti culturali e professionali. Come già in precedenza evidenziato, la condotta sembra dunque configurare, più che un comportamento gravemente colposo, una scelta mossa da dolo eventuale (ostativo alla riduzione dell’addebito), in quanto della palmare illegittimità dell’atto erano assai verosimilmente consapevoli i due coautori, che hanno accettato il rischio di una probabile azione legale, dall’esito scontato e foriera di gravi danni erariali, come dimostrato dai fatti di causa. I convenuti vanno conclusivamente condannati al pagamento della somma di euro 59.250,735 ciascuno, somma ad oggi già rivalutata, oltre interessi al tasso legale dal deposito della sentenza al saldo effettivo. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

PQM

La sezione giurisdizionale, definitivamente pronunciando, condanna T. Enrico e C. Pietro al pagamento della somma di euro 59.250,735 ciascuno, somma ad oggi già rivalutata, oltre interessi al tasso legale dal deposito della sentenza al saldo effettivo. Condanna i convenuti in parti eguali alla refusione delle spese di lite, che liquida in complessivi euro....

 

(fonte Bollettino Adapt 1/2006)

NOTA

 

Dirigente illecitamente estromesso – Responsabilità dei superiori

 

I giudici della Corte dei Conti Sez. Lombardia hanno condannato un ex direttore amministrativo e un ex direttore generale dell’azienda ospedaliera di Niguarda a risarcire l’amministrazione per il danno cagionato in seguito ai ricorsi, con esito positivo, di un dirigente dell’ufficio acquisti che era stato illegittimamente trasferito e demansionato. Infatti, il tribunale di Milano, con due sentenze, aveva dichiarato illegittima la revoca dell’incarico di dirigente responsabile dell’ufficio acquisti dell’ospedale Riguarda, disposta dal direttore amministrativo, nei confronti del responsabile di detto ufficio e aveva condannato il Niguarda al risarcimento dei danni (biologico, morale, all’immagine ed alla professionalità) cagionati al responsabile dell’ufficio acquisti. Dopo queste sentenze era intervenuta una rituale conciliazione comportante, a carico del Riguarda, un esborso totale di euro 118.501,47 parte per risarcimento a favore del dirigente estromesso, parte per spese legali.

Nella sentenza n. 579/2005, i giudici della Corte analizzano la condotta tenuta dai responsabili, individuati nella persona del direttore generale, che ha dato l’ordine di trasferire il dirigente, e nella persona del direttore amministrativo, che ha formalizzato l’atto, rilevando come nella fattispecie, sotto le mentite spoglie di un trasferimento formalmente per asserite esigenze organizzative, si celasse sostanzialmente sostanzialmente o un provvedimento per responsabilità dirigenziale, illegittimo per assenza dei relativi presupposti sostanziali e procedurali, o un provvedimento paradisciplinare, come tale parimenti illecito.

In definitiva, per la Corte, si è trattato di un trasferimento, che, in assenza di idonea motivazione, ha avuto finalità punitive, senza però seguire le rituali procedure prescritte a garanzia del contraddittorio con il lavoratore, poiché risultano violate sia le norme in materia di responsabilità disciplinare, sia le norme in materia di responsabilità c.d. dirigenziale, configurabile solo in caso di risultati negativi di gestione o mancato raggiungimento di obiettivi (non esistenti nel caso di specie).

In relazione alla individuazione dei soggetti responsabili, il giudice ha ritenuto che, unitamente al direttore generale, non potesse risultare esente da responsabilità anche il direttore amministrativo, che ha sottoscritto l’atto, sia pure su richiesta del primo. Anche quest’ultimo deve rispondere del danno, poiché ha dato supinamente esecuzione all’ordine del superiore, che palesemente illegittimo, per cui non si può ammettere la buona fede del direttore amministrativo, in quanto per un pubblico dipendente non esiste un obbligo incondizionato di ottemperare ad ordini illegittimi sia pure impartiti da un superiore. Tuttavia, i giudici non hanno ritenuto che la illiceità comportamentale dei due condannati fosse configurabile come fattispecie di mobbing per l'assenza dei relativi presupposti (atteggiamento doloso, persecutorio, sistematico e continuativo, preordinato al danneggiamento della persona del lavoratore e tradottosi in una serie significativa e protrattasi per un apprezzabile periodo di tempo di comportamenti tutti strategicamente indirizzati al fine di vessare il dipendente).

 

Anna Teresa Paciotti

annateresapaciotti@studiolegalelaw

 

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