LA MIA STORIA DI MOBBING LUNGA 20 ANNI

Il contesto lavorativo all’ente pubblico economico Istituto Mobiliare Italiano

(da un articolo dell’Europeo del 17.2.1978, a firma f.b.,Affari e lavoro)
IN  BANCA CON PEDIGREE  
Banchieri al centro di clamorose vicende politico-giudiziarie. Bancari al centro delle polemiche sulla “giungla retributiva”.
Ma c’è un altro aspetto del mondo bancario che sta venendo fuori in questi giorni di disperata ricerca del posto da parte dei giovani: la politica delle assunzioni, i criteri con i quali vengono scelti i “privilegiati”, ammessi a lavorare in banca. L’accusa che si muove alle banche è di “clientelismo”. Spinto fino al più rigoroso “nepotismo”. Un esempio che si cita spesso nell’ambiente è quello dell’IMI.
Scorrendo l’elenco dei dipendenti dell’Istituto si scopre che all’IMI non si lavora se non si è parenti di “qualcuno”. Qualcuno che conta, naturalmente. Ci sono dinastie che si ramificano negli uffici dell’Istituto oramai da decenni, praticamente dalla fondazione, che hanno proliferato durante il fascismo, la repubblica di Salò, la resistenza e la democrazia parlamentare.
Da un direttore generale che tenne la carica durante il ventennio, Cavallari, discendono oggi Edoardo Cesareo, Ennio Cavallari, Bruno Lanzara e Giuseppe Romero, quest’ultimo a sua volta genero di un capo del Servizio contabilità, Felicioli, che occupò la carica prima, durante e dopo il fascismo.
I presidenti dell’IMI, quelli passati e quello presente, si sono preoccupati di lasciare di sé un’impronta ben marcata nell’Istituto.
Per Silvio Borri ci sono Silvano Panella e Giampaolo Grimaldi, nipoti, e Fancesco Vagnozzi, genero.
Per Stefano Siglienti c’è Roberto Ceciarelli, figlio del suo segretario particolare.
Per l’attuale Presidente, Giorgio Cappon, ci sono Gastone Bollino, nipote, e Paolo Modestini, figlio del suo medico personale.
Altri dirigenti dell’IMI, passati e presenti, non sono stati da meno dei presidenti. Giorgio Chinigò, nipote di due ex direttori generali; Massimo Gasbarri, fratello di un altro ex direttore generale; Gianni Monaco, nipote di un ex capo del Servizio ispettivo; Massimo Donati, figlio dell’amministratore di una finanziaria estera dell’Istituto; Andreina Ottaviani, nipote della segretaria del Direttore generale Saracini; Claudio Poli, figlio di un ex dirigente; Cesare Albini, nipote del capo Servizio filiali; Vincenza Lombardo, figlia di un ex consigliere di amministrazione; Alberto Grazioli, nipote dell’ex capo del Personale; Anna Maria Donatelli, figlia di un consulente; Maria Viaggio e Pietro Zazzara, figlia e genero dell’ex Presidente del collegio sindacale, Paolo Privitera, nipote di un ex ragioniere generale; Angelo Bagnato, nipote del direttore generale Saracini; Marco Musti De Gennaro e Luciano Balducci, nipote e genero dell’ex direttore generale del Credito navale dell’IMI, Giandolini.
Scorrendo l’elenco dei dipendenti dell’IMI sono visibili anche i legami con l’alta burocrazia e l’alta dirigenza bancaria esterna all’Istituto (es. Vincenzo Menichella, nipote dell’ex Governatore della Banca d’Italia), così come la politica; meno numerosi, ma presenti, i legami con l’alta magistratura, i militari, il mondo industriale e armatoriale” (f.b.).”  

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Leggo a distanza di tempo una recensione al libro "Comandare è fottere" di Luigi Celli (ex direttore generale Rai) -  comparsa su la Repubblica  del 24 ottobre 2008, p. 56 - che si intrattiene su quella che viene definita una "iattura aziendale", costituita dai «figli dei ricchi e dei potenti che sono venuti storti o deboli o 'coglioni', ma che hanno una casella da occupare per diritto di nascita». Dice Celli: «Ci sarà sempre modo di piazzarli in un consiglio di amministrazione» "badando che non prendano mai una decisione influente. E che gli resti sempre il tempo di occuparsi delle prossime vacanze al Sestriere, a Capri o a Portofino".
L'IMI - come si desume da quanto soprariprodotto -  può dirsi essere stato antesignano nell'adozione della tecnica del collocamento familista, che ha avuto larga diffusione, con affinamenti degenerativi, nelle più deteriori strutture istituzionali della nostra società (Università ed enti pubblici, in primis) debordanti  a tutt'oggi di vergognosi esempi di clientele e parentele.

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E il vizio continua:

Il posto in banca per diritto ereditario

di TITO BOERI (da La Repubblica del 22 ottobre 2010)

 

Siamo passati dalla dittatura proletaria alla ingessatura della prole bancaria. In tutto il mondo i figli degli ex-dipendenti Unicredit saranno uniti nel postulare per la banca unica. L´accordo appena siglato sugli esuberi nel grande gruppo bancario li chiama a raccolta: i figli degli ex dipendenti riceveranno “a parità di valutazione in sede di selezione, una priorità nell´assunzione”. È un precedente per il settore privato, non per il pubblico. Basti pensare che ai tempi delle banche di interesse nazionale, il Banco di Napoli aveva introdotto dei veri e propri automatismi: via il padre, il posto veniva assegnato al figlio, lo sportello bancario era, di fatto, intestato alla famiglia. Si narra anche di clausole ereditarie, con posti tramandati dai genitori ai figli, anche in vecchi contratti dell´Eni e di altre aziende partecipate. Negli archivi del Cnel sarà possibile trovare tracce di questo feudalismo dei giorni nostri. A quanto pare, le cattive idee non muoiono mai. La voglia di creare dinastie di bancari ha poi radici lontane. Ne narrava anche Giovanni Verga, “da che il mondo era mondo, di padre in figlio avevano sempre avuto delle banche sull´acqua (e delle tegole al sole)”.

È davvero sorprendente che un sindacato che ha storicamente fatto dell´egualitarismo la propria bandiera, ritrovi la propria unità imponendo una clausola di questo tipo in un accordo collettivo e si sia spinto fino a chiedere che non ci fosse condizione alcuna per la successione da padre e figlio (l´accordo poi raggiunto prevede che i figli privilegiati nelle assunzioni siano laureati e parlino la lingua inglese). Il sindacato familista vuole perpetrare le disuguaglianze, chiudendo a priori la porta in faccia a chi ha magari titoli, vocazioni e motivazioni ben più forti per entrare in banca. Chi ha il genitore bancario, anche se è capra, campa, mentre senza bancario in famiglia, anche chi non è capra crepa.

Oltre all´eredità della casa (o del terreno) di proprietà, anche il trasferimento intergenerazionale del posto di lavoro è in Italia un potente fattore di immobilità sociale. Come documenta un volume fresco di stampa, curato da Daniele Checchi per Il Mulino (Immobilità Diffusa. Perché la Mobilità Intergenerazionale è cosi bassa in Italia), l´Italia è, dopo il Brasile, il paese in cui i divari di reddito fra genitori sono maggiormente persistenti anche fra i figli. In cui il titolo di studio dei genitori predetermina quello dei figli. Da noi chi ha problemi ad arrivare alla fine del mese difficilmente riesce a permettere ai propri figli di continuare gli studi. Non ci pensano oggi certo le banche, e non ci penseranno ancor di più istituti di credito che pullulano di dinastie di bancari, a offrire loro prestiti d´onore. Non ci pensa oggi il settore pubblico che non garantisce certo il diritto allo studio su tutto il territorio nazionale. Le regioni del Sud, con il primato negativo di Puglia e Molise, offrono borse di studio a meno del 50 per cento degli aventi diritto. Insomma da noi chi ha vinto una borsa di studio rischia di scoprire poi che è vuota mentre chi ha avuto ha avuto e continuerà ad avere. Il merito viene da tutti invocato solo per non essere mai applicato.

È sorprendente che un management che dichiara di voler fare dell´internazionalizzazione il proprio cavallo di battaglia accetti di sostituire una selezione basata sul merito con la successione forzata del genitore al posto di combattimento. Non so come la prenderanno agli azionisti. Non è certo una trovata per ridurre i costi della buonuscita (70 per cento netto dell´ultima retribuzione fino alla pensione). Non servirà neanche a ridurre i costi fiscali degli esuberi (anche gli azionisti pagano le tasse), dato che di prepensionamenti in gran parte si tratta. Forse la clausola verrà presentata in assemblea come una forma di ritorno al territorio. Ci immaginiamo già la campagna pubblicitaria: offriamo ai nostri clienti l´opportunità di respirare in banca un´aria familiare, casalinga. Controlleranno allora, più che il titolo di studio, che genitori e figli si assomiglino? Certo la condivisione dei tratti somatici è più facile da valutare che il pezzo di carta, la laurea in qualsiasi disciplina e in qualsiasi università che viene richiesta nella clausola contrattuale come condizione per accordare la priorità. Peccato, per i clienti allo sportello, che le banche dei dati ci dicano che raramente i geni si trasferiscono attraverso le generazioni. Un nipote di Darwin era noto per essere la contraddizione vivente della teoria dell´evoluzione della specie. Speriamo solo che tra i bancari le cose vadano diversamente.

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La notizia che l'accordo sugli esuberi Unicredit contiene una postilla che attribuisce ai figli degli ex-dipendenti una priorità nell'assunzione suscita giustamente la sorpresa di Tito Boeri ("Il posto in banca per diritto ereditario", 22 ottobre). È sicuramente un ostacolo alla mobilità del mercato del lavoro italiano, che però sia in contrasto con una strategia d'internazionalizzazione del gruppo non è così sicuro. Nel suo principale stabilimento mondiale, a Betim in Brasile, la Fiat assume soltanto chi è presentato da un dipendente, con una preferenza implicita per i figli di questi. Tanto che si ironizza che il QI per lavorare in Fiat non sia il banale Quoziente d'Intelligenza, ma Quem Indica (chi raccomanda)! Questo non impedisce ovviamente alla società di Torino di fare lì tutti i suoi profitti. (agoldstein@club-internet.fr)

 

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