Il Consiglio di Stato conferma che il mobbing non rientra tra le malattie
professionali: l'inclusione spetta al legislatore
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione sesta, 17 marzo 2009 n.
1576 – Pres. Barbagallo – Est. Barra Caracciolo
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello proposto da Istituto nazionale per l’assicurazione
contro gli infortuni sul lavoro- INAIL in persona del Presidente p.t.
rappresentato e difeso dal prof. Avv. Mario Sanino e dagli avv.ti Luigi La
Peccerella e Luciana Romeo ed elettivamente domiciliato in Roma via IV
Novembre 144, presso lo studio dell’ultima;
contro
Confederazione generale dell’industria italiana (Confindustria),
Associazione bancaria italiana- ABI, Nortel Networks s.p.a. in persona dei
rispettivi legali rappresentanti rappresentati e difesi dall’avv. prof.
Luciano Spagnuolo Vigorita ed elettivamente domiciliati presso l’avv.
Claudio Lucisano in Roma via Crescenzio 91;
Confederazione generale dell’agricoltura italiana, Banca nazionale del
lavoro s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti, sig. Carlo
Siciliani, tutti non costituiti;
e nei confronti
del Ministero del lavoro e delle politiche sociali in persona del Ministro
pro-tempore, non costituito;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Sez.III ter,
n.5454 del 4 luglio 2005;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio delle parti sopraindicate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 27 gennaio 2009 relatore il Consigliere Luciano
Barra Caracciolo.
Uditi l’avv. Sanino, La Peccerella e l’avv. Terracciano per delega dell’avv.
Spagnuolo Vigorita;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza in epigrafe il Tar del Lazio, previa riunione, ha: 1)
accolto in parte il ricorso n.2532\2004, proposto un gruppo di associazioni
imprenditoriali e di imprenditori, tra cui le attuali appellanti, avverso la
circolare INAIL n.71 del 17 dicembre 2003, riguardante i disturbi psichici
da costrittività organizzativa sul lavoro, il relativo rischio e la diagnosi
di malattia professionale, nonché le modalità di trattamento delle relative
pratiche; 2) respinto il ricorso n.9497\2004 proposto dai medesimi soggetti
per l’annullamento del DM 27 aprile 2004, recante l’elenco della malattie
per cui è obbligatoria la denuncia ex art. 139 del DPR 30 giugno 1965,
n.1124, nella parte in cui inserisce nella lista II, il gruppo 7), "malattie
psichiche e psicosomatiche da disfunzioni dell’organizzazione del lavoro".
Il Tribunale riteneva che la circolare avesse seguito, rispetto alle vicende
di accertamento della malattia psichica da costrittività organizzativa, la
struttura logica seguita per l’accertamento delle malattie c.d. "tabellate",
per le quali vige la presunzione relativa di derivazione della patologia
dall’attività lavorativa, in pratica eludendo l’accertamento del nesso di
causalità, ed approfondendo solo le questioni di accertamento della
sussistenza dei fattori di nocività e la diagnostica della patologie, con
ciò tralasciando di dimostrare l’origine lavorativa di alcune patologie ad
origine multifattoriale, concentrarsi sui soli comportamenti la cui capacità
di produrre malattie psichiche sia, con alta probabilità, oggettivamente
univoca e quindi facilmente deducibile in presunzione. Da ciò la violazione
dell’art. 10, co.1, D. lgs.32 febbraio 2000, n. 38, integrandosi
surrettiziamente il complesso delle malattie c.d. tabellate, senza
l’accertamento da parte della Commissione scientifica per l’elaborazione e
la revisione periodica delle tabelle ex artt.3 e 211 del DPR 1124\1965,
senza l’espressa volizione dei Ministeri a ciò competenti, ma ad opera di un
comitato interno all’ente e senza le garanzie partecipative recate dal
D.lg.38\2000. Inoltre la circolare aveva pure disatteso le direttive del
Consiglio di indirizzo e vigilanza (CIV) in data 20\26.11.2001, laddove
incaricò gli organi di gestione di integrare il comitato interno dell’ente
con medici di fiducia della parti sociali e di svolgere uno studio sugli
orientamenti della giurisprudenza in tema di "mobbing". Disattesi altri
profili di censura, veniva condiviso il motivo che contestava pure il
contenuto dell’interpretazione evolutiva propugnata nella circolare, basata
su un’erronea lettura del sistema misto della tutela degli infortuni sul
lavoro e sulle malattie professionali. Era anche accolta la censura relativa
all’irrigidimento della definizione di costrittività organizzativa, quale
pratica morbigena indennizzabile, in assenza non solo di un’esatta
definizione normativa e di univoci indirizzi della giurisprudenza, ma anche
del doveroso approfondimento scientifico medico al riguardo. La circolare
tendeva a confondere il mobbing quale fonte di risarcimento con vicende
illecite che già l’ordinamento reprime a favore della dignità del
lavoratore, in particolare in base all’art. 2078 c.c. ed all’art. 9 S.d.L.
nonché al successivo art.15, co.1, lett. b), contro le condotte
discriminatorie. Il Tar riteneva pure contraddittoria, in assenza di
mutamenti del quadro normativo e scientifico, la trattazione a livello
locale anziché accentrata delle vicende di costrittività organizzativa.
Veniva invece respinta l’impugnazione del DM 27 aprile 2004, conforme
all’art. 10, co.3, del D. lgs. 38\2000, per cui l’elenco ex art. 130 DPR
1124\1965 poteva contenere anche liste di malattie di probabile o possibile
origine lavorativa, da tenere sotto osservazione ai fini della revisione
della tabelle di cui agli artt. 3 e 211 stesso DPR. Inserendo le malattie da
costrittività organizzativa tra quelle a limitata probabilità di origine
lavorativa di cui alla lista II, attuando il principio di precauzione nella
materia, il DM legittimava a posteriori la circolare INAIL, non consentendo
l’indennizzo automatico, e aveva la funzione della raccolta del dato
epidemiologico, per verificare l’eventuale modificazione o integrazione
delle tabelle.
Appella l’INAIL deducendo i seguenti motivi:
I.1.2. Si lamenta il mancato esame dell’eccezione di inammissibilità del
ricorso per carenza di interesse avendo il Tar apoditticamente ed
erroneamente affermato che la circolare tendeva alla modificazione delle
malattie indennizzabili e non avesse rilevanza meramente interna. Non è
precisato quale sia la lesione concreta ed attuale della sfera giuridica dei
ricorrenti né quale possa essere il contenuto prescrittivo della circolare
direttamente operativo nei confronti delle imprese.
L’oggetto della circolare attiene alle modalità di trattazione delle denunce
di malattia professionale non tabellata, e quand’anche le disposizioni della
circolare avessero rilevanza esterna al più inciderebbero sulla sfera
giuridica dei lavoratori. Anche C. d. S 9 maggio 2002, n. 2542 ha affermato
la non attualità ed assenza di concretezza dell’interesse che il datore di
lavoro prospetti in relazione al procedimento amministrativo volto ad
accertare l'esistenza di una malattia professionale derivante da una causa
di lavoro. Anche la Cassazione ha affermato il principio dell’autonomia del
diritto alle prestazioni previdenziali rispetto agli interessi
giuridicamente rilevanti che il datore potrebbe vantare in relazione
all’intervenuto riconoscimento del suddetto diritto in favore del proprio
dipendente.
Né potrebbe affermarsi che il contenuto precettivo della circolare sia
ravvisabile nella elencazione delle situazioni di "costrittività
organizzativa" che finirebbe per incidere sull’autonomia organizzativa delle
imprese., essendo tali situazioni elencate solo quali possibili cause di
malattia professionale che non si ricollega ex se a colpa o responsabilità
del datore.
Va escluso valor precettivo nei confronti delle imprese, perché gli obblighi
di tutela dell’integrità psicofisica dei lavoratori hanno fonte in norme di
rango primario, considerando la cui portata neppure è ipotizzabile che
l’elencazione della circolare introduca elementi di novità estendendo detti
obblighi all’organizzazione del lavoro. Alla luce di tali norme
costituzionali e primarie, non è fondata la prospettazione che l’autonomia
delle imprese sarebbe limitata dal fatto che avvertirebbero una sorta di
indiretta imposizione ad adottare scelte organizzative idonee a prevenire
l’insorgenza delle patologie in questione.
II. Il Tar ha travisato il contenuto della circolare ove ha ritenuto che con
la circolare l’INAIL abbia fornito alle sedi periferiche indicazioni tali da
indurre a trattare, in via di fatto, dette malattie come se fossero
tabellate, senza seguire l’articolato iter procedimentale che si conclude
con l’emanazione di un decreto interministeriale di aggiornamento della
suddetta tabella. L’elencazione delle situazioni di costrittività
organizzativa e delle patologie che dalle stesse potrebbero essere causate,
costituisce l’individuazione di quegli elementi, cui fa riferimento la
Cassazione, in assenza dei quali viene esclusa, in sede di trattazione
amministrativa, la stessa configurabilità della malattia professionale. La
circolare non amplia, ma semmai circoscrive l’ambito della tutela, indicando
requisiti minimi in assenza dei quali si esclude ogni ulteriore valutazione
in ordine al possibile nesso di causalità. Contro l’assunto del Tar circa la
presunzione di sussistenza del nesso di causalità, la circolare specifica
che alla verifica dell’esistenza dei suddetti requisiti minimi non si fa
luogo quando il medico legale, esaminato il caso specifico, escluda "in
limine" la natura professionale della patologia, criterio del tutto diverso
da quello usato nel caso di malattia tabellata, ove il nesso di causalità
non sarebbe oggetto di valutazione medico legale. Anche le precedenti
circolari cui rinvia quella impugnata hanno sempre ribadito che il nesso
causale con il lavoro deve essere concretamente accertato nel singolo caso,
con onere della prova a carico del lavoratore.
III.1.2. Circa la presunta inversione dell’onere della prova ravvisata nella
circolare dal Tar, l’Istituto, stante il ruolo non privatistico assicurativo
svolto dall’INAIL, quale ente pubblico, in base all’evoluzione normativa
dell’assetto della tutela, è tenuto ad un’attività istruttoria finalizzata
all’accertamento di ogni elemento di fatto e di diritto necessario a
garantire la legittimità dell’atto amministrativo conclusivo del
procedimento, avendo un potere-dovere di verificare l’esistenza dei
presupposti dell’asserito diritto, nell’esercizio di attività amministrativa
vincolata cui corrisponde un diritto costituzionalmente garantito, sicchè il
procedimento amministrativo è caratterizzato da rilevanti elementi di
officiosità.
Essendo l’ambito elettivo di applicazione del principio dell’onere della
prova la sede giudiziale, la distribuzione dell’onere è governata dalla
legge e non è nella disponibilità dell’INAIL, onde l’indicazione della
circolare circa il carattere sempre necessario dell’indagine ispettiva per
le patologie in questione non si traduce nell’attribuzione agli uffici di
poteri diversi ed ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge art. 19
DPR 1124\1965.
IV.1.2. Il Tar erra pure laddove afferma che la malattie professionali non
tabellate possono essere indennizzate solo se causalmente ricollegate
all’esposizione al rischio specifico di una delle lavorazioni elencate ai
fini dell’individuazione dei soggetti tutelabili. Il Tar disconosce le
conseguenze del passaggio dal sistema tabellare chiuso al sistema aperto o
misto di tutela operato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 179
del 1998, per effetto della quale è tutelabile qualsiasi malattia di cui sia
provata la derivazione eziologica dal lavoro, inteso nella sua più ampia
accezione, fermo rimanendo il riferimento al rischio specifico di una
determinata lavorazione solo per la malattie tabellate, per le quali vale la
presunzione semplice di origine professionale. La Cassazione,
sent.15.2.2005, n.4005, ha ribadito che, per effetto dell’introduzione del
sistema misto, e quindi della tutelabilità di malattie atipiche, purché
eziologicamente riconducibili al lavoro, è venuta meno la differenza con
l’istituto della causa di servizio.
V. 1.2. Tutto l’impianto argomentativo della sentenza è viziato dalla
confusione tra funzione di indennizzo sociale e funzione risarcitoria e da
una conseguente assimilazione tra mobbing e malattie non tabellate da
costrittività organizzativa. Nessuna interferenza può ravvisarsi tra la
circolare, che disciplina le modalità di trattazione delle denunce di
malattie professionali psichiche da costrittività organizzativa, ai fini
dell’eventuale riconoscimento del diritto all’indennizzo sociale, e le
problematiche attenenti al diritto al risarcimento da mobbing.
VI. 1.2. Erra il Tar circa la presunta contraddittorietà della previsione di
decentramento della trattazione delle denunce, pienamente conforme al
modello organizzativo dell’ente, interferendo la pronuncia sulle scelte
organizzative rimesse alla discrezionalità dell’ente, che, conclusa una fase
di accentramento finalizzata alla definizione di criteri istruttori
uniformi, ha ricondotto alla modalità ordinaria di trattazione anche le
denunce delle patologie in questione.
VII.1.2. Dunque la circolare non ha effetto modificativo del regime legale
delle malattie professionali, contiene esclusivamente istruzioni operative
alle unità territoriali e, nell’ambito delle norme vigenti, ne assicura la
corretta applicazione senza incidere sulla loro portata.
Erra il Tar anche laddove assume apoditticamente la violazione di talune
indicazioni del Consiglio di indirizzo e vigilanza, essendo la circolare
espressione di mera attività di gestione, senza interferire sull’attività di
indirizzo politico-amministrativo che compete al CIV. Comunque la circolare
è stata preceduta dai lavori di un comitato scientifico istituito, allo
scopo, dal Consiglio di amministrazione con delibera 608\2001.
VIII.1.2. Il Tar nel rigettare il ricorso proposto avverso il DM 27 aprile
2004, ha confermato la legittimità dell’inserimento delle malattie psichiche
e psicosomatiche da disfunzioni dell’organizzazione del lavoro nella lista
II, al gruppo 7, quali malattie attualmente non tabellate, da osservare ai
fini dell’eventuale inserimento nell’elenco della tabellate. Tali patologie,
nonostante alcune differenze terminologiche, coincidono con quelle oggetto
della circolare. L’affermazione che una patologia, per poter essere
indennizzata come malattia professionale non tabellata, debba essere
riconducibile al rischio specifico di una determinata lavorazione, che
costituisce il presupposto logico dell’annullamento della circolare, oltre
che infondata, è in insanabile contrasto con la statuizione circa la
legittimità del DM. e pregiudica l’interesse dei lavoratori alla tempestiva
trattazione della pratica relativa alla domanda di indennizzo.
Si sono costituiti parte dei ricorrenti in primo grado, quali indicati in
epigrafe, deducendo l’infondatezza dell’appello e proponendo appello
incidentale sulla decisione di reiezione del gravame proposto avverso il DM
27 aprile 2004, nella parte in cui inserisce il gruppo 7 "malattie psichiche
e psicosomatiche da disfunzioni dell’organizzazione del lavoro", deducendo i
seguenti motivi:
I. Erra il Tar nel ritenere che la finalità di studio epidemiologico del DM
legittimerebbe l’inclusione in esso di malattie che, mai, quand’anche
dimostrata la loro eziologia professionale, potranno essere incluse
nell’elenco delle malattie indennizzabili. La disposizione dell’art. 10 D.
lgs.38\2000, fondante il DM, stabilisce che l’inclusione tra le malattie "tabellate"
debba conseguire a studi finalizzati ad individuare nuove malattie ad
origine certamente professionale; la finalità di studio di realizza mediante
attività di raccolta di dati che discende dall’obbligo di segnalazione a
carico dei medici dell’ASL e dell’INAIL; le malattie in questione, inerendo
all’organizzazione del lavoro, e non allo svolgimento delle lavorazioni
protette, non sono a priori suscettibili di dare luogo ad indennizzo alcuno
ad opera dell’INAIL; non v’è indennizzo, come pure affermato dal Tar, se non
per il rischio lavorativo specifico, cioè per la derivazione dall’esercizio
di una delle lavorazioni di cui all’art. 1 del DPR 30 giugno 1965, n. 1124,
e ciò, anche nel sistema misto, cioè indipendentemente dalla inclusione
della malattia nelle tabelle allegate allo stesso DPR. Nulla osta che in
adempimento dell’art.10 del D.lgs.38\2000, l’INAIL disponga modalità
tecniche di accertamento dell’eziologia professionale di malattie diverse
dal mobbing, causate dallo svolgimento delle lavorazioni protette ex art.1
T.U.. Attuale risulta le lesione degli interessi della aziende ricorrenti.
II. Erra il Tar nell’affermare che il DM attua il principio di precauzione,
poiché esso determina un oneroso sistema di controllo, imponendo obblighi di
segnalazione ai medici per il semplice sospetto di uno stato di disagio
psichico a violazione del dovere di sicurezza del datore di lavoro, pur
nella totale assenza di elementi di fatto che consentano di ritenere
giustificato o ragionevole il nesso causale tra malessere e lavoro.
III. Si lamenta l’omesso esame della censura di incompetenza assoluta del
Ministero del lavoro a proposito della definizione di malattie
professionali, rientrando tale attività in riserva assoluta di legge, avendo
il Ministero, sebbene sia ancora necessaria un’attività di studio, affermato
che se occorrono certe forme morbose e si accerta ad esempio un
demansionamento, i due fatti sono tra loro causalmente connessi, sicchè la
prescrizione amministrativa individua situazioni di danno riconducibili a
responsabilità civile del datore, facoltà che esula dalla potestà di organi
diversi dal legislatore nazionale.
La causa è stata discussa alla pubblica udienza del 27 gennaio 2009 onde è
stata trattenuta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Va anzitutto disatteso il primo motivo di appello principale dell’INAIL
con cui si reitera l’eccezione di inammissibilità del ricorso avverso la
circolare n. 71 del 17 dicembre 2003, sotto il profilo della carenza di
interesse delle associazioni e soggetti imprenditoriali ricorrenti in primo
grado.
Il Tar non ha, invero, omesso di pronunziarsi sul punto, come dedotto nella
prima parte del motivo in esame, ma ha in sostanza ritenuto che la circolare
recava nel suo contenuto, contrariamente alla sua natura, delle
"statuizioni", nel senso di tendere alla modificazione dell’assetto delle
malattie indennizzabili.
La doglianza appellatoria aggiunge peraltro che ciò comunque non rende conto
di quale sia la lesione concreta ed attuale della sfera giuridica dei
ricorrenti- qui (per una parte di essi) resistenti ed appellanti
incidentali- attenendo l’oggetto della circolare alle modalità di
trattazione delle denunce di malattia professionale non tabellata, con ciò
incidendo al più sulla sfera giuridica dei lavoratori e quindi sul
riconoscimento del diritto di questi ultimi alle prestazioni previdenziali.
1.1. Tuttavia, tale deduzione non appare tenere conto degli integrali
riflessi dell’atto impugnato, che, comunque, modifica, (come pure concede lo
stesso Istituto appellante), "l’assetto delle malattie indennizzabili",
sicché la statuizione sul punto del Tar appare in linea di principio
condivisibile, sebbene vada meglio specificata e connotata.
Gli originari ricorrenti, infatti, già nel ricorso introduttivo, avevano
precisato che la circolare, con i suoi contenuti prescrittivi, "introduce de
facto una nuova categoria di malattia professionale non prevista nella fonte
sovraordinata e ciò ha fatto ledendo le prerogative partecipative
all’attività dell’INAIL della associazioni datoriali". In ogni modo, secondo
gli originari ricorrenti, prevedere, come fa la circolare, la
indennizzabilità degli stati patologici derivanti dalla "costrittività
organizzativa", fa assurgere al rango di malattia professionale tipizzata il
c.d. "mobbing", esulando dalla natura meramente ricognitiva ed esplicativa
propria della circolare.
Prospettate in questi termini, deve ritenersi sussistente l’interesse ad
agire dei soggetti ricorrenti in primo grado, posto che la lesione lamentata
consiste appunto nell’ampliamento, allegato come illegittimo, dell’ambito
delle malattie professionali indennizzabili e ciò, in luce delle complessive
censure dedotte, anche al di là della loro assimilazione alle patologie "tabellate".
1.2. In proposito soccorre la pronuncia di questa Sezione 9 maggio 2002, n.
2542, (citata per la verità dall’INAIL a proprio sostegno), che ha
evidenziato la ipotizzabilità di un danno patrimoniale riveniente alle
imprese proprio in connessione all’aumento del tasso di premio conseguente
alla ridefinizione del rischio professionale. La stessa decisione ha
sottolineato che tale premio, gravante sulle imprese, si determina in base a
dati statistici circa il rischio medio su di esse gravante, e quindi, da un
lato, tale interesse patrimoniale potrebbe essere fatto valere da tutti i
datori di lavoro esposti allo stesso rischio, dall’altro, va aggiunto, è
evidente che detto rischio avrebbe una immediata consistenza maggiore ove
fosse ampliato, in modo obiettivamente rilevante, il novero delle malattie
professionali indennizzabili.
Su tale ordine di argomentazioni si attesta d’altra parte, anche il ricorso
di primo grado laddove (pag.26) fa presente che la contribuzione, (ovvero i
premi dovuti dai datori di lavoro dall’INAIL), sono calcolati sulla base del
rischio medio nazionale per ogni singola lavorazione pericolosa, corretto
dal c.d. rischio ponderato, cioè dalla pericolosità della lavorazione in
ogni singola azienda".
1.3. L’interesse così definito, dunque, non è escluso dal principio di
autonomia del diritto alle prestazioni previdenziali, che impedisce
soltanto, secondo le stesse pronunce della Cassazione richiamate in appello,
che il singolo datore abbia interesse ad impugnare il capo di sentenza in
cui viene affermato il diritto del dipendente alla prestazione
previdenziale, essendo certo condivisibile che non possa ipotizzarsi un
effetto dell’eventuale giudicato, in ordine alla pretesa del lavoratore,
sull’autonomo rapporto obbligatorio intercorrente tra l’INAIL ed il singolo
datore di lavoro (aspetto di carattere processuale che, evidentemente, si
colloca a valle rispetto ai riflessi sul rischio professionale e sul
corrispondente premio della determinazione in via generale, sostanzialmente
normativa, delle malattie indennizzabili).
2. Nell’ordine logico delle questioni da affrontare va poi esaminato il
quarto motivo di appello, censurante l’affermazione principale del capo di
sentenza di accoglimento in primo grado (e che in verità già in quella sede
avrebbe avuto carattere assorbente), implicante cioè autonomamente
l’annullamento della circolare impugnata; si ha riguardo alla statuizione
che ha stabilito che anche le malattie professionali "non tabellate" possono
essere indennizzate soltanto se causalmente ricollegate all’esposizione al
"rischio specifico" di una delle lavorazioni elencate dalla legge ai fini
dell’individuazione dei soggetti tutelabili o, più precisamente,
dell’oggetto (ambito dell’attività lavorativa protetta) della stessa
assicurazione. Ed infatti, l’individuazione delle lavorazioni in questione
più che determinare i soggetti da assicurare, che sono comunque, in linea di
principio, i lavoratori dipendenti, conduce a circoscrivere le situazioni di
fatto "lavorative" considerate in sé rischiose e dunque definisce l’oggetto
naturale del rapporto assicurativo di natura pubblicistica.
2.1. Il punto da trattare attiene quindi all’accoglimento relativo al quarto
motivo di ricorso di primo grado, in cui si deduceva che la soluzione
apprestata dalla circolare in ordine alla possibilità di intervento in
materia di patologie psichiche determinate dalle condizioni
organizzativo\ambientali, non troverebbe supporto nella sentenza della Corte
costituzionale 18 febbraio 1988, n. 179, richiamata dalla circolare
impugnata come fondamento di un interpretazione aderente all’evoluzione
delle forme di organizzazione dei processi produttivi.
La statuizione del Tar sul punto deve essere confermata.
2.2.
Sostiene l’appello che tale pronuncia del giudice delle leggi avrebbe
introdotto un sistema c.d. "misto", che superando il sistema tabellare
chiuso, renderebbe tutelabile qualsiasi malattia di cui sia provata la
derivazione eziologica dal lavoro, fermo rimanendo il riferimento al rischio
specifico di una determinata lavorazione soltanto per le malattie "tabellate",
cioè incluse nell’elenco previsto dall’art. 3 del DPR 30
giugno 1965, n. 1124 , per la
quali vige la presunzione semplice di origine professionale.
Tale assunto è in realtà infondato, dovendo condividersi l’affermazione del
Tar per cui, contrariamente ad esso, il sistema misto opera nel senso che la
malattia professionale è indennizzata, indipendentemente dalla sua
inclusione nelle tabelle allegate al DPR 30 giugno 1965, n. 1124, se trova
la sua derivazione causale nell’esercizio di una delle lavorazioni di cui al
precedente art.1 dello stesso DPR, come appunto dedotto nel menzionato
quarto motivo del ricorso di primo grado.
2.3. Va cioè condivisa la censura dedotta in prime cure, per cui l’art. 1
del cit. DPR n.1124\1965 ha condizionato l’intervento dell’assicurazione
obbligatoria per le malattie professionali, anche non tabellate, alla
sussistenza di un "rischio specifico" (e non già comune), cui è esposto il
lavoratore addetto a determinare lavorazioni, presuntivamente e
preventivamente valutate pericolose dal legislatore stesso, mediante,
appunto, l’espressa previsione delle "attività protette" di cui allo stesso
art.1.
Al riguardo va notato che l’affermazione giurisprudenziale, richiamata
dall’Istituto appellante, della progressiva assimilabilità alla "causa di
servizio", cioè al sistema di tutela delle patologie professionali
insorgenti nell’ambito del pubblico impiego, dell’attuale indennizzabilità
delle malattie professionali non tabellate, (conseguente al predetto sistema
misto), è una logica implicazione, con riguardo al profilo della non più
sussistente tipicità delle conseguenze sanitarie (lesione dell’integrità
psico-fisica) rilevanti nel sistema assicurativo in discorso; ma detto
indirizzo giurisprudenziale non risulta aver del pari espressamente
affermato il superamento del sistema legale di determinazione dell’oggetto
del rapporto assicurativo derivante dalla individuazione delle lavorazioni
"a rischio", operata, d’altra parte, mediante una clausola aperta, riferita
cioè ad attività complementari e sussidiarie a quelle elencate dallo stesso
art.1 del DPR n.1124\1965 (cfr; Cass, Sez Lav, 25 febbraio 2005, n.4005, che
pur riconoscendo una certa connessione sotto il profilo del nesso causale,
ribadisce espressamente la "autonomia dei due istituti" e, comunque, non
affronta, neppure per implicito, il problema qui in rilievo della
predeterminazione legale dell’oggetto del rapporto).
Dunque, il criterio determinativo del rischio rimane pur sempre connesso
alla enucleabilità di un segmento del ciclo produttivo e non anche ad una
fase dell’iniziativa imprenditoriale che costituisce il presupposto
immanente e generale dell’intera attività produttiva, qual è
l’organizzazione del lavoro, la quale, quindi, rimane concettualmente
disomogenea rispetto all’attuale criterio legale di determinazione del
rischio e, dunque, al di fuori della possibilità di integrazione analogica
consentita dal criterio di cui al citato art.1, pur assunto nell’interezza
delle sue previsioni.
La conclusione ora riferita obiettivamente esclude, in quanto non rientrante
nell’elencazione di cui all’art.1 DPR n.1124\1965, la generalizzata
rilevanza delle malattie psichiche "riconducibili all’organizzazione
aziendale delle attività lavorative", quale categoria di rischio assunta
nella sua globalità, prevista dalla impugnata circolare; ciò trova peraltro
conferma nella stessa invocata sentenza n.179 del 1988 della Corte
costituzionale. Questa ha bensì postulato, in adeguamento al precetto di cui
all’art.38 Cost., "l’aggiornamento con adeguata frequenza degli elenchi
delle malattie tipiche" nonché "anche e soprattutto il riconoscimento che il
sistema tabellare ora in vigore si pone in contrasto con lo stesso precetto
costituzionale…, in quanto, in aggiunta alla previsione tabellare non
consente (nell’ambito delle attività protette industriali e agricole di cui
rispettivamente agli artt. 1, 206, 207 e 208 del DPR n. 1124 del 1965)
l’indagine sull’eziologia professionale delle malattie indipendentemente
dagli elenchi stabiliti e dai tempi della manifestazione morbosa richiesti
dalla legge" (cfr; punto 7, par.1 sent.cit.; sottolineatura aggiunta).
2.4. L’inciso così esplicitato dalla Corte rende conto di come il sistema
"misto", introdotto per via di decisione manipolatrice (caducante "nella
parte in cui…") del distinto art.3 del DPR n.1124 del 1965, non sia il
risultato di un’immutazione coinvolgente l’art.1, per quanto qui interessa,
di cui ha invece serbato la capacità delimitatrice dell’oggetto del sistema
assicurativo, avendo cioè il decisum costituzionale riguardato solo la
caducazione del principio della tipicità tabellare.
La Corte non ha perciò intaccato il presupposto normativo per cui la
malattia professionale indennizzabile risulta collegata ad un obbligo di
assicurazione che si giustifica in ragione dell’esecuzione, da parte dei
lavoratori "addetti", degli specifici "lavori" previsti dall’elenco di cui
allo stesso art.1 comma 3, (e dai successivi commi relativi ai lavori
"complementari e sussidiari"), previsione che definisce il "rischio
specifico" oggetto dell’assicurazione, dal quale esula la generica categoria
della "costrittività organizzativa" prevista dalla circolare impugnata.
La possibilità di estendere l’ambito del rischio assicurato, e quindi la
stessa ascrivibilità alle prestazioni previdenziali delle malattie
professionali collegate alla generale "organizzazione aziendale delle
attività lavorative", richiamata dalla circolare medesima, richiede allo
stato l’intervento del legislatore, che riformuli in senso ampliativo lo
stesso art.1, ma non può essere compiuto mediante una circolare
interpretativa dissonante, tra l’altro, dalla stessa sentenza della Corte
costituzionale che la circolare assume a proprio fondamento.
2.5. La reiezione dell’appello sul punto ora trattato, determinante la
conferma dell’accoglimento del quarto motivo del ricorso di primo grado,
comporta la caducazione della circolare impugnata nella sua interezza e fa
ritenere assorbibili gli ulteriori motivi di appello, atteso che, anche in
caso di loro positiva delibazione, la circolare medesima non potrebbe
rivivere, difettando perciò un concreto interesse al loro accoglimento.
3. Alla stregua delle considerazioni che precedono va invece accolto
l’appello incidentale, proposto dagli attuali resistenti, relativo al capo
di sentenza con cui è stato respinto il ricorso avente ad oggetto la
richiesta di annullamento del decreto del Ministero del lavoro 27 aprile
2004, relativo all’individuazione delle "malattie per le quali è
obbligatoria la denuncia ai sensi e per gli effetti dell’art.139 del DPR 30
giugno 1965, n.1124", nella parte in cui, approvando la lista II, contenente
"le malattie la cui origine lavorativa è di limitata probabilità", vi ha
inserito il gruppo 7 "malattie psicosomatiche da disfunzioni
dell’organizzazione del lavoro".
In effetti, come dedotto nel primo motivo di appello incidentale, tali
malattie, inerendo per definizione alla "organizzazione del lavoro", e non
connettendosi al presupposto legale del "rischio specifico", costituito
dall’essere addetti alle "lavorazioni protette", elencate nel già citato
art.1 del DPR n.1124\1965, per gli stessi motivi dianzi illustrati, non
risultano a priori suscettibili di dare luogo ad indennizzo.
Ne discende, come appunto dedotto nel motivo di gravame incidentale in
esame, che le stesse patologie, in quanto caratterizzate da tale eziologia
legata non all’esecuzione della lavorazioni protette ma al fattore "ambientale-organizzativo",
non sono legittimamente inseribili, neppure in prospettiva, allo stato della
legislazione vigente, tra le malattie di cui alla tabella costantemente
aggiornata ai sensi dell’art.3 del citato DPR, aggiornamento a cui è volto
il potere esercitato con il DM impugnato ai sensi dell’art. 10 del D. lgs. 23
febbraio 2000, n. 38.
In conclusione, l’appello principale va respinto, nei sensi di cui alla
motivazione che precede, mentre va accolto l’appello incidentale,
annullandosi "in parte qua" il decreto impugnato con il ricorso di primo
grado n.9497\2004 RG.
L’incertezza normativa della materia giustifica l’integrale compensazione
delle spese per entrambi i gradi di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il
ricorso in appello indicato in epigrafe, accoglie l’appello incidentale,
riformando in parte, per l’effetto, la sentenza impugnata.
Compensa le spese di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 27.1.2009 dal Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento
dei Signori:
Giuseppe Barbagallo Presidente
Luciano Barra Caracciolo Consigliere est.
Domenico Cafini Consigliere
Maurizio Meschino Consigliere
Roberto Chieppa Consigliere
Presidente
Giuseppe Barbagallo
Consigliere Segretario
Luciano Barra Caracciolo Vittorio Zoffoli
Depositata in Segreteria il 17 marzo 2009
************
Malattie e condizioni di lavoro, contrasto tra Consiglio di Stato e
Cassazione
Roma 26 marzo
2009. Palazzo Spada rigetta il ricorso dell'INAIL contro la sentenza del Tar
che annullava la delibera dell'Istituto in materia. Ma, così facendo, entra
in contrapposizione con trent'anni di orientamento giuridico espresso dalla
Suprema Corte.
E' ancora
querelle riguardo la circolare n. 71/2003 dell'INAIL in materia di malattie
riconducibili alle condizioni organizzative e ambientali del lavoro. Il
Consiglio di Stato, con la recente sentenza n. 1576/2009 ha, infatti,
rigettato il ricorso avanzato dall'Istituto contro il Tar Lazio (sentenza n.
5454/2005) che ha annullato il provvedimento. L'espressione di Palazzo Spada
- pur non avendo risvolti giudiziari diretti - rischia, adesso, di
determinare nuove incertezze in una materia delicata e già oggetto di una
lunga elaborazione giurisprudenziale da parte della Corte di Cassazione.
Vediamo, in sintesi, il percorso storico di questo dibattimento.
La
circolare dell'INAIL.
La circolare n. 71 emanata dall'INAIL il 17 dicembre 2003 ha emanato le
istruzioni operative per la trattazione delle denunce di disturbi psichici
determinati dalle condizioni organizzativo/ambientali. A parere
dell'Istituto tutte le situazioni di "costrittività organizzativa" - per
esempio: lo svuotamento di mansioni o la mancata assegnazione degli
strumenti di lavoro - così come quelle di "mobbing strategico" (gli
atteggiamenti strategicamente ostili delle aziende per promuovere
l'allontanamento di soggetti in qualche modo scomodi), purché ricollegabili
a finalità professionali, devono rientrare nel rischio tutelato (restano,
invece, esclusi fattori organizzativo/gestionali legati al normale
svolgimento del rapporto quali trasferimento, licenziamento,etc).
L'ostilità
del mondo delle imprese.
Contro questa circolare un fronte compatto rappresentato da Confindustria,
Confagricoltura e Abi ha presentato ricorso al Tar. Oltre al provvedimento
dell'INAIL, le associazioni datoriali hanno chiesto anche l'annullamento del
decreto ministeriale del 27 aprile 2004, nella parte in cui le malattie
"psichiche e psicosomatiche da disfunzioni dell'organizzazione del lavoro" -
la cui origine lavorativa viene ritenuta di limitata probabilità - sono
state comunque inserite nella lista delle patologie professionali per le
quali è obbligatoria la denuncia all'organo di vigilanza (la Ausl di
competenza). In entrambi i casi la controversia giuridica si è incentrata
sull'opposizione al principio che il mobbing potesse assurgere a malattia
tipizzata indennizzabile in assenza di definizioni scientifiche certe.
Il Tar
annulla la circolare.
Il Tribunale del Lazio, con la sentenza n. 5454 del 4 luglio 2005, ha dato
parzialmente ragione al fronte imprenditoriale, annullando la circolare
dell'INAIL, ma non il dm. "Il mobbing non può essere considerato in via
automatica come una malattia professionale e in quanto tale indennizzabile
dall'INAIL, dovendo sempre essere provata l'esistenza della causa di
lavoro", recitava la motivazione del Tribunale regionale. Un approccio che è
stato contestato dall'Istituto mediante un ricorso al Consiglio di Stato con
relativa richiesta di annullamento della sentenza.
L'INAIL:
"Il Tribunale ha travisato". A parere dell'INAIL il Tar avrebbe travisato i
punti fondamentali della circolare, affermando che l'Ente avrebbe
trasformato le patologie psichiche determinate da costrittività
organizzativa sul lavoro in malattie tabellate. Altra obiezione dell'INAIL:
il Tar del Lazio avrebbe fondamentalmente assimilato le patologie oggetto
della circolare al mobbing, confondendo due ambiti radicalmente diversi tra
di loro. "La tutela delle malattie professionali causate da disfunzioni
organizzative del lavoro costituisce attuazione di diritti
costituzionalmente protetti indipendentemente da qualsiasi responsabilità
del datore di lavoro", ha motivato l'Avvocatura dell'Istituto. "Il mobbing
invece - che come è noto si manifesta con un ripetuto comportamento
persecutorio - determina l'obbligo di risarcire il danno ingiustamente
causato al lavoratore anche se quest'ultimo non abbia contratto alcuna
malattia per effetto del mobbing".
Il rigetto
del Consiglio di Stato.
La recente sentenza (n. 1576/2009) di Palazzo Spada ha, dunque, rigettato il
ricorso dell'INAIL contro il Tar. Secondo il Consiglio di Stato, infatti, le
patologie oggetto della circolare non possono essere considerate come
malattie professionali. A suo giudizio, infatti, - dopo l'introduzione del
sistema misto da parte della sentenza 179/88 della Corte Costituzionale (che
rende indennizzabili, da parte dell'INAIL, oltre alle malattie professionali
tabellate, anche tutte quelle causate o concausate dall'attività lavorativa
del soggetto colpito dalla malattia stessa) - possono essere comunque
riconosciute come "non tabellate" solo quelle patologie causate dal rischio
specifico delle lavorazioni indicate negli articoli 1 e 4 del decreto n.
1124 del 30 giugno 1965 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione
obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali).
La sentenza del Consiglio di Stato, dunque, sembrerebbe "annullare" anche il
già citato decreto ministeriale, avendo una valenza non limitata solo alle
malattie riconducibili alle condizioni organizzative e ambientali del lavoro
(oggetto della circolare INAIL) ma a tutte malattie "non tabellate".
Gli effetti
della decisione.
La decisione del Consiglio di Stato Consiglio non potrà avere effetti
diretti per quanto riguarda il riconoscimento della malattia professionale:
valutazione che è rimessa alla competenza del giudice ordinario, in
particolare quello del lavoro. Resta da osservare, tuttavia, come il giudice
ordinario sia tenuto a rispettare i principi di diritto enunciati dalla
Corte di Cassazione che - in materia di occasioni di lavoro e nesso di
causalità - ha manifestato nel corso degli anni un orientamento decisamente
diverso rispetto a quanto stabilito adesso da Palazzo Spada. La Suprema
Corte, infatti, nel corso di questi ultimi anni, ha invece progressivamente
allargato il concetto di "occasione di lavoro e nesso di causalità",
riconducendo questo rapporto non solo ai rischi specifici di alcune
lavorazioni, ma a tutti i rischi del lavoro considerato in sé e per sé. Non
è escluso, pertanto che questa sentenza del Consiglio di Stato possa
riaprire un nuovo dibattito in materia e ingenerare future incertezze
interpretative