Esce formalmente rafforzata (ma giuridicamente più fragile) la discrezionalità aziendale nel riconoscimento della qualifica di dirigente del credito, per effetto del nuovo ccnl del 1 dicembre 2000

 

 

 

 

G. Favretto - Dopo il bagno (1884)

Sommario:

1.      Premessa

2.      Conferimento della qualifica su investitura aziendale

3.      Identificazione, per requisiti obiettivi, del dirigente

4.      Critiche dottrinali e giurisprudenziali alla valorizzazione del “riconoscimento formale” aziendale

5.      L’orientamento della Cassazione e gli equivoci nel giudicare la pregressa clausola del settore del credito

6.      La situazione attuale

 

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1.     Premessa

In data 1 dicembre 2000 è stato firmato tra l’ABI, in rappresentanza delle aziende di credito, e le OO.SS del settore bancario, in rappresentanza dei dirigenti, l’Accordo di rinnovo del ccnl per i dirigenti del settore bancario (dirigenti di istituti di credito e delle Casse di risparmio indistintamente).

Questo contratto  può definirsi il primo contratto “autonomo” per i dirigenti del credito perché segna l’autonomia dei dirigenti dal resto delle altre categorie di personale (inquadrate nelle  4 tradizionali aree professionali ed in una nuova quinta  categoria raggruppante i c.d.  “quadri direttivi”, comprensiva degli ex funzionari un tempo regolati dallo stesso ccnl dei dirigenti, articolata in 4 livelli retributivi), tutte quante regolate ora dall’unitario ccnl dell’11 luglio 1999.

Con il nuovo contratto dei dirigenti del credito (i cui minimi tabellari nazionali, ad anzianità senza scatti, dal 1.1.2001 sono stati fissati nell’importo di lorde  £. 7. 843.365 mensili per 13 mensilità più il premio  aziendale diverso da banca a banca),  l’ABI si è sostanzialmente allineata alla struttura ed alle disposizioni degli omologhi ccnl dei dirigenti d’industria e del commercio, abolendo, significativamente, la pregressa distinzione tra dirigenti apicali e restanti dirigenti e prevedendo per tutti indistintamente la risolubilità del rapporto – oltrechè per giusta causa ex art. 2119 c.c. -  ad nutum (ex art. 2118 c.c.) con “giustificata motivazione”, cioè per un “giustificato motivo convenzionale”, non necessariamente coincidente con quello individuato dall’art. 3 della L. n. 604/’66, al cui mancato riscontro da parte del Collegio arbitrale (o giudizialmente) consegue (non già il reintegro nel rapporto ma) la corresponsione di significative mensilità risarcitorie. Le parti si sono tuttavia discostate dai precitati ccnl dei dirigenti delle altre categorie sul tema, qualificante e gravido di contenzioso, del “conferimento della categoria o qualifica” dirigenziale che  è rimasto tra le prerogative discrezionali dell’azienda, attraverso la oscurantista previsione del c.d. “riconoscimento o investitura formale” aziendale, in congiunzione con i requisiti obbiettivi di responsabilità e professionalità delineati dal ccnl. Recita la nuova norma dell’art. 2 (Inquadramento) del ccnl 1 dicembre 2000 che: “Ai fini del presente contratto sono dirigenti coloro ai quali – sussistendo le condizioni di subordinazione di cui all’art. 2094 c.c. ed in quanto ricoprano nell’azienda un ruolo caratterizzato da un elevato grado di professionalità, di autonomia e di potere decisionale ed esplichino le loro funzioni di promozione, coordinamento e gestione generale al fine di realizzare gli obiettivi dell’azienda – siano dalle rispettive aziende cui appartengono come tali qualificati”.

Essa ripete quella vigente fino al 1975 nel settore industriale, dizione poi abbandonata nel rinnovo del 4 aprile 1975 anche a seguito di sanzioni di nullità circa il c.d. “riconoscimento formale” condizionante l’attribuzione della qualifica da parte della Cassazione.

L’essere, invece, da parte delle aziende di credito rimasti indietro di 25 anni rispetto alla “svolta” operata – in tema classificatorio/inquadramentale – dal ccnl dei dirigenti d’industria del 1975, ove l’inquadramento consegue esclusivamente per effetto del possesso dei requisiti oggettivi di responsabilità e professionalità contrattualmente codificati (e quindi indipendentemente dalla condizionante “investitura formale” aziendale) evidenzia emblematicamente come nel settore bancario si perda, ad ogni rinnovo, l’occasione  per disfarsi compiutamente di quella patina di vetustà che affligge da tempo il costrutto e l’assetto normativo dei contratti di settore, improntati, dal lato imprenditoriale, da una concezione sostanzialmente autoritaria, solo formalmente mascherata (ma nient’affatto scalfita nel concreto) da mere dichiarazioni di tenore “partecipativo” fra azienda, personale e strutture sindacali, quali sono quelle reperibili nella definizione programmatica del ruolo  delle rappresentanze sindacali (art. 7 ccnl secondo il quale “Le parti ritengono che  il rapporto con i dirigenti si deve ispirare ad un modello partecipativo e che gli interventi degli organismi sindacali …dovranno essere effettuati coerentemente al ruolo e alla funzione in azienda del personale destinatario del presente contratto”).

 

2.     Conferimento della qualifica su investitura aziendale

La dizione contemplante il condizionante requisito del “riconoscimento formale” della qualifica di dirigente è una dizione d’epoca, dei primordi della contrattazione collettiva, tralatiziamente ripropostasi nel settore creditizio senza significative innovazioni di filosofia inquadramentale nei vari rinnovi contrattuali.  Essa è ispirata al superato (oltrechè illegittimo, se esclusivo o condizionante il diritto alla qualifica, secondo la Cassazione) criterio del “riconoscimento formale” aziendale ai fini dell’appartenenza alla categoria giuridica (o qualifica contrattuale) in questione.  

Giustamente, quindi, in un datato articolo di dottrina (1) il consigliere di Cassazione Panzarani notava come “...con riferimento agli istituti di credito ed alle clausole del contratto collettivo nazionale per il personale direttivo di dette aziende che del dirigente forniscono ancora (riferendo formule che risalgono al 1951) una nozione ‘nominalistica’ (è dirigente chi riceva un’investitura formale) è chiara la diversa ed assai esauriente definizione che del dirigente stesso è offerta da altri contratti collettivi, in particolare da quello per i dirigenti delle aziende industriali...E’ comprensibile pertanto che i dirigenti bancari siano animati dall’intento di acquisire un’identità più contenutistica, al che solo la contrattazione collettiva può adeguatamente provvedere”.

 

3.     Identificazione, per requisiti obiettivi, del dirigente

Un esame comparativo con altri settori evidenzia come, mentre nel settore commerciale sin dal 1957 (ccnl 2.5.1957, recepito in d.p.r. 15.10.1960, n. 1448, e quindi reso erga omnes) la qualifica di dirigente è stata ancorata evolutivamente a requisiti obiettivi (mandato in forza del quale poter disporre della direttiva da imprimere agli affari aziendali, ecc.) una rilevanza al “riconoscimento formale” - simile a quella a tutt’oggi  reperibile nell’art.2 ccnl 1 dicembre 2000 per i dirigenti del credito (e nel precedente art. 83 e 4, comma 4°, ccnl 22.6.1995) - era conferita nei ccnl dei dirigenti d’industria, a  partire da quello del 5.12.1966 (e fino al 1975), sebbene tale contratto non trascurasse affatto l’aspetto delle mansioni, attraverso esemplificazioni di disimpegno di funzioni.

Disponeva appunto l’art. 1 del ccnl 5.12.1966 per i dirigenti di aziende industriali,  che erano tali “...gli institori, i direttori e condirettori tecnici e amministrativi, i capi di importanti servizi e uffici che esercitano ampi poteri direttivi, i procuratori ai quali la procura conferisca in modo continuativo detti poteri o la rappresentanza di tutta o di una notevole parte dell’azienda...sempreché...concorra il riconoscimento formale della qualifica  di dirigente da parte delle aziende associate...”.

Tale formula, ad ogni buon conto, venne pattiziamente abbandonata  - anche a seguito delle reiterate dichiarazioni di illegittimità della Suprema corte (2) - nella stesura del ccnl 4.4.1975 per il settore industriale, ove il “riconoscimento formale” venne incisivamente sostituito dalla dizione affermante che “l’esistenza di fatto delle condizioni (cioè dei requisiti di cui al 1° comma dell’art. 1, pattiziamente delineanti i tratti caratterizzanti del dirigente, n.d.r.) comporta l’attribuzione della qualifica e quindi l’applicabilità del presente contratto”.

La Suprema corte giunse a dichiarare la nullità, ex art. 1419 c.c., per contrarietà a norme imperative, della clausola di “riconoscimento formale” del vecchio ccnl dei dirigenti d’industria, per un evidente contrasto  con  gli artt. 2095  e 2103 c.c. In effetti, la ratio, oltreché la lettera, dell’art. 2103 c.c. è tesa a strutturare, in via generale la soluzione di acquisizione delle categorie o qualifiche per esercizio di mansioni verificabili  e sindacabili nella loro scala di valore (da inferiori a superiori). E l’art. 2095 c.c., comma 2°, c.c. in congiunzione con l’art. 96 disp. att. del cod. civ., esplicitamente conferisce in esclusiva al legislatore o all’autonomia collettiva il compito di definire i requisiti per l’appartenenza alle categorie legali ed alle loro specificazioni contrattuali, estrinsecantesi nelle qualifiche tramite cui si articolano in concreto, a secondo delle realtà settoriali o di singola impresa. Nell’intento, da un lato, di sottrarre alla discrezionalità unilaterale aziendale la fissazione dei presupposti per l’inquadramento dei lavoratori, in quanto secondo Cass. n. 1497/1975, “va escluso che la contrattazione collettiva possa rimettere alla volontà del datore di lavoro...la determinazione di un elemento rilevante agli effetti dell’inquadramento nella categoria...che la legge demanda invece all’autonomia collettiva”, atteso che il comma 2° dell’art. 2095 c.c. dispone che “le leggi speciali e le norme corporative (ora collettive, n.d.r.), in relazione a ciascun ramo di produzione ed alla particolare struttura dell’impresa, determinano i requisiti di appartenenza alle indicate categorie”. Dall’altro, per evitare che il “potere-dovere” del giudice di determinare (a richiesta)  la qualifica spettante, in caso di contenzioso, al lavoratore sulla base dell’accertamento delle mansioni disimpegnate “venga sostituito da un sistema classificatorio fondato su un atto unilaterale ed, eventualmente, arbitrario del datore di lavoro” (così, ancora, Cass. n. 1497/’75).

 

4.     Critiche dottrinali e giurisprudenziali alla valorizzazione del “riconoscimento formale” aziendale

L’art. 2 del ccnl 1 dicembre 2000 per i dirigenti del credito, invece, conferisce ancora all’investitura formale carattere di sacralità e solo l’allegato n. 4 (ora soppresso) al precedente ccnl 22.6.1995 (ove erano indicati i gradi in cui autonomamente le aziende articolavano il ventaglio della categoria  o qualifica dirigenziale) offriva in passato, mediante correlazione - peraltro in casi sporadici - alla funzione di “direzione di specifiche sedi regionali” o di “uffici o servizi” (ad es. ragioneria, fidi, finanziamenti, ecc.) qualche esiguo segnale di obiettività definitoria, relegata a marginale eccezione quando invece dovrebbe atteggiarsi a regola per l’individuazione della qualifica.

La scarsa dottrina che – in vigenza del vecchio testo del ccnl dirigenti del credito, ora peggiorato dal nuovo art. 2 ccnl 1 dicembre 2000 (ove non si fa più cenno ad un allegato condiviso, in qualche modo, dalle Rappresentanze sindacali e quindi riconducibile ad atto di autonomia collettiva) -  si è occupata della questione nell’ambito di trattazioni più generali (3) non ha potuto non sottolineare quanto in precedenza da noi rilevato. E cioè che, mentre nel settore commerciale la definizione del dirigente si viene a modellare quasi istantaneamente sulle formule giurisprudenziali (tese a dare rilevanza all’effettività e qualità delle funzioni o mansioni), mentre anche nel settore industriale il processo si compie, quantunque più tardi e su sollecitazione giurisprudenziale, il ccnl dei direttivi del credito “contiene la formula più elastica” (4), cioè a dire, eufemismi a parte, la più oscurantista.

La clausola di “riconoscimento formale”, giudicata dalla dottrina - invero peccando nel sottovalutare il ruolo e la responsabilità delle  resistenze ed ostruzionismi all’innovazione da parte delle associazioni imprenditoriali - come “l’aspetto più appariscente, esemplare, di un generale quadro di riferimento caratterizzato dall’abdicazione, da parte dei sindacati dirigenziali, della loro stessa funzione di autodisciplina e di autorganizzazione che le attuali strutture dell’ordinamento sindacale assegnano loro...”(5), non solo è stata abbandonata su basi di forza contrattuale nel settore industriale ma altresì dichiarata illegittima dall’oramai consolidata giurisprudenza della Cassazione, se intesa come attributiva di un’esclusiva e condizionante rilevanza alla volontà unilaterale del datore di lavoro agli effetti di far rivestire al lavoratore la qualifica direttiva (o dirigenziale), a prescindere dall’effettività, consistenza, adeguatezza  e autonomia delle mansioni. Oltre alle decisioni in precedenza citate per il settore industriale, in senso conforme - nel settore assicurativo contenente analoga clausola di “riconoscimento formale” -  si sono pronunciate Cass. n. 5806/1985 e Cass n. 3773/1985, secondo cui “è nulla per violazione dell’art. 2103 c.c. la norma del contratto collettivo che subordini il diritto del lavoratore ad ottenere la qualifica superiore...ad un espresso riconoscimento - e quindi ad un discrezionale apprezzamento - da parte del datore di lavoro, della sussistenza del presupposto per l’avanzamento stesso, rappresentato dall’espletamento, ad opera del dipendente, di mansioni superiori”.

 

5.     L’orientamento della Cassazione e gli equivoci nel giudicare la pregressa clausola del settore creditizio

La Cassazione, nel dichiarare nulle ex art. 1419 c.c. - per contrasto con le prescrizioni di cui agli artt. 2095 e 2103 c.c. - le clausole contrattuali di “riconoscimento formale” della qualifica nel senso sopraindicato, ebbe a  rilevare come l’art. 2095 c.c. rinvii alla contrattazione collettiva la fissazione dei requisiti costitutivi della qualifica (cioè a dire ad un atto di volontà negoziale, non unilaterale del datore di lavoro) e come tali requisiti debbano essere di natura sostanziale (in tal senso, specificatamente, Cass. n. 47/1983, in Dir. lav. 1983, II, 187 con nota di Vallebona), atteso che il 2° comma del predetto articolo specifica che essi vanno fissati “in relazione a ciascun ramo di produzione ed alla particolare natura dell’impresa”.

Queste caratteristiche non erano affatto presenti nella precedente definizione del “funzionario” - quale risultante dal 4° comma dell’art. 4 del ccnl 22.6.1995 - e del “dirigente”, quale risultante dalla formulazione dell’art. 83  stesso ccnl  del credito, anche se va detto che la Suprema corte in alcune decisioni (6), giunse a non ritenere nulla la clausola di “riconoscimento formale” nel settore del credito sull’erroneo convincimento - a nostro avviso - che l’all. 4 (in precedenza 7) al ccnl 22.6.1995 (cui l’art. 83 rinvia per l’individuazione dei gradi in cui autonomamente e non già pattiziamente, ciascuna azienda ha articolato la qualifica dirigenziale) costituisse “atto di autonomia collettiva” e, come tale, non collidente con la prescrizione contenuta nell’art. 2095, comma 2°, c.c.

La Corte di Cassazione cadde all’epoca nell’equivoco di attribuire valore “negoziale” ad un allegato (n.4)  che invero costituiva una  mera presa d’atto - sindacalmente improvvida - di autonome iniziative o determinazioni aziendali, la cui natura non negoziale risultava pacificamente confermata dal 3° comma dello stesso art. 83 (già art. 79) che riconosceva alle aziende di credito la facoltà di apportare (unilaterali) variazioni ai gradi di dirigente ivi elencati in relazione ad esigenze organizzative che abbiano implicato mutamenti nell’inquadramento e struttura delle filiali o stabilimenti, senza accordare alcun ruolo di intervento negoziale alle Delegazioni sindacali aziendali al riguardo.

D’altra parte anche se andava riconosciuta all’organizzazione imprenditoriale un’indubbia  abilità nel senso di far atteggiare a “graficamente” pattizio l’allegato in questione - sia per il tramite dell’inclusione nel corpo del vecchio ccnl sia attraverso comunicazioni di aggiornamento dei gradi alle OO.SS. stipulanti - tanto da ingenerare nell’organo giurisdizionale l’equivoco in precedenza sottolineato, ritenemmo, a suo tempo, non scusabile l’addizionale fatto che la Cassazione avesse potuto considerare correttamente adempiuta la sostanzialistica  prescrizione del 2° comma dell’art. 2095 c.c., afferente alla predeterminazione dei requisiti identificativi della categoria o qualifica in questione. Invero l’allegato n. 4 conteneva pressoché esclusivamente la sequenza nominalistica dei gradi di “dirigente” in atto presso ogni azienda imprenditorialmente associata. Giungendo a rifluire nella concretizzazione di vere e proprie tautologie, laddove si perveniva a desumere - ex art. 83 in congiunzione con le dizione dell’all.4 - che “sono dirigenti presso la banca x, il direttore generale, i vice direttori generali, i direttori centrali, i condirettori centrali e cosi via”. Senza che fossero in alcun modo esplicitati i requisiti alla cui stregua i predetti gradi acquisivano contenuto effettivo e concreto (sia di per se, sia in termini differenzianti l’uno dall’altro), per (invero non delineata) autonomia, responsabilità, ampiezza di supervisione o di coordinamento ad es.   di servizi o uffici di Direzione Generale o centrale  ovvero di Sedi periferiche o filiali di determinate piazze (o con giro di affari oltre x Mld.) e  simili, in carenza della cui specificazione risultava inibito alla stessa funzione giurisdizionale  l’esercizio di quello che la Suprema corte ha qualificato “potere-dovere” del magistrato di accertamento  della qualifica e  di definizione delle eventuali controversie al riguardo.

Comunque all’epoca sarebbe risultata risolutiva - in carenza di una verificata indisponibilità aziendale al conferimento del ruolo  per le DSA di concorrere alla strutturazione dell’elenco dei gradi di dirigente, corredati opportunamente dalla specificazione dei distinti requisiti costitutivi,  compendiati nel tautologico all. n. 4  del vecchi ccnl - l’assunzione di una corrispondente indisponibilità delle OO.SS. del personale direttivo ad avallare  (ricusandone la ricezione) l’allegato dei gradi di dirigente approntato dall’associazione imprenditoriale tramite la mera collazione delle unilaterali comunicazioni rappresentative delle situazioni o determinazioni autonome delle aziende associate. Ciò al fine di non perpetuare nella Cassazione l’equivoco sulla “natura contrattuale” e cioè pattizia dell’allegato in questione. Addizionalmente esprimemmo, a suo tempo, l’avviso che sarebbe stata comunque  auspicabile una più meditata valutazione e presa di coscienza, da parte dei magistrati, dell’insufficienza dell’allegato in questione a garantire il rispetto del disposto dell’art. 2095 c.c., comma 2°, c.c., in considerazione del suo intrinseco contenuto nominalistico e tautologico.

Nel concordare con la nostra opinione circa l’illegittimità dell’ancoraggio della qualifica al c.d. ”riconoscimento formale” ( opinione già espressa con riferimento al ccnl credito del 1987) oltrechè circa il carattere tautologico del contenuto dell’all.4 afferente alla (unilaterale) definizione dei gradi di dirigente,  cadeva poi in errore chi - come Ioele (7)  - asserì che “l’opinione deve essere oggi rivista in relazione all’art. 79 del ccnl del 1990 (e art. 83 del ccnl del 1995, ora art. 2 ccnl 1.12.2000 nd.r.) per il personale direttivo delle aziende di credito Assicredito. Tale nuova clausola  contrattuale...ha parzialmente modificato il contenuto della precedente nozione di dirigente, rendendo più incisivi e meno sfumati i requisiti sostanziali, poiché nel nuovo testo viene fatto riferimento ad un ruolo caratterizzato da un elevato grado di autonomia, professionalità e potere decisionale, nonché a funzioni di promozione, coordinamento e gestione generale al fine della realizzazione degli obiettivi dell’azienda”.

Chi scrive ritenne – in relazione al vecchio assetto del ccnl dei direttivi del 1995, ora rinnovato - invece di mantenere inalterata l’opinione espressa a suo tempo,  perchè alla recezione contrattuale di taluni tratti caratterizzanti la qualifica di dirigente - di derivazione giurisprudenziale - non si era accompagnata nel testo del vecchio articolo 83 la scomparsa di quell’elemento condizionante compendiato nella (riconfermata) dizione per cui, pur svolgendo i predetti ruoli ed incombenze, gli aspiranti dirigenti potevano diventarlo effettivamente solo se “siano dalle rispettive aziende cui appartengono come tali qualificati”.

Con il nuovo art. 2 del cnnl 1 dicembre 2000 (in tema di inquadramento nella qualifica) scompare l’allegato n. 4 (contenente i gradi e le articolazioni delle posizioni che danno titolo, in ciascuna azienda, alla dirigenza) e permane la sola specificazione contrattuale dei requisiti del dirigente in aderenza alle reiterate enunciazioni giurisprudenziali. Tuttavia tale enunciazione ha la sola valenza di circoscrivere l’ampiezza della discrezionalità aziendale nella scelta di  designare il dirigente, ma esso comunque non lo risulterà -  anche secondo il nuovo contratto - se l’azienda non si determina, per le più varie motivazioni, a “qualificarlo come tale”, attraverso espressa comunicazione formale.

Insomma, mentre in precedenza (vigente il ccnl del 1987) era la sola volontà aziendale a determinare l’attribuzione della qualifica, con la nuova dizione del 1990 (ripetuta nell’art. 83 del ccnl del 1995 e nell’art. 2 del ccnl del 1 dicembre 2000) tale volontà (o discrezionalità) non subisce scalfitture, ma si è solo dotata di parametri di orientamento - quelli di origine giurisprudenziale - per non fare, come Caligola, “senatore il proprio cavallo”.

E che risulti riaffermato, immutato  e non scalfito il diritto aziendale all’investitura formale, consegue anche dalla considerazione per cui - anche in assenza della ricezione contrattuale dei requisiti caratterizzanti la figura del dirigente - la magistratura, in caso di contenzioso, sempre ad essi si sarebbe richiamata, costituendo gli stessi autonomo patrimonio del suo consolidato orientamento in materia.  Cosicchè la ricezione di tali requisiti in sede contrattuale  non è neppure di aiuto  per colui il quale, pur svolgendo di fatto le funzioni,  non sia stato, ciononostante, mai qualificato dirigente dall’azienda. Semmai la dizione contrattuale potrà essere di un qualche freno alla nutrita serie di arbitri o clientelismi usuali nel settore,  in ragione della facoltà sindacale di pubblica denuncia in caso di promozioni a dirigente di soggetti che tali ruoli o compiti non si sono mai sognati di rivestire o disimpegnare.

 

6.     La situazione attuale

Va tuttavia detto, per giustificare la nostra affermazione iniziale secondo cui l’attuale formulazione  per il conferimento della qualifica di dirigente è da un lato più autoritaria ma per contro è più fragile giuridicamente, che a seguito della mancata  previsione della riproduzione di quell’allegato (riepilogativo delle posizioni dirigenziali nelle varie aziende associate) che aveva ingenerato nella Cassazione l’equivoco di essere espressione di un “atto pattizio, cioè frutto dell’autonomia collettiva” richiesta dall’art. 2095 c.c., il diniego del “riconoscimento formale” della qualifica dirigenziale perde il suo pregnante significato e sarà soggetto alla valutazione giudiziaria che non può che reiterare – come già avvenuto nel settore industriale ed assicurativo – la sanzione di nullità ex art. 1419 c.c.

Con ciò si vuol dire che nello specifico settore del credito si sono aperti molti più spazi del passato per ottenere giudizialmente il riconoscimento della qualifica, in base  ai requisiti oggettivi giurisprudenzialmente elaborati in termini di responsabilità gestionale, coordinamento, professionalità e simili (contrattualmente recepiti nell’art. 2 del ccnl 1 dicembre 2000 e nel precedente del 22.6.1995), in quanto è stato rimosso  in sede negoziale quell’elemento (l’allegato n. 4) che costituiva la fonte dell’equivoco in cui in precedenza  era caduta la Cassazione per dichiarare “legittima”  la previsione del riconoscimento formale esercitato in relazione a posizioni o funzioni aziendali considerate “pattiziamente” individuate.

Ora, secondo il nuovo ccnl, le Aziende hanno la totale libertà di definire unilateralmente le funzioni e posizioni  aziendali implicanti  il conferimento della qualifica di dirigente ma proprio per questo, in mancanza di una “individuazione pattizia” ex art. 2095 c.c., non si sottraggono più al sindacato giudiziario in ordine alla rispondenza delle posizioni ai requisiti di autonomia  e potere decisionale,  promozione, coordinamento e gestione generale ai fini del conseguimento degli obiettivi aziendali, talchè il mancato “riconoscimento formale” non ha più funzione preclusiva del diritto di acquisizione della qualifica dirigenziale. Non costituirà più una eccezione – semprechè  i destinatari di tale categoria   abbiano  il coraggio di attivare una verifica in contenzioso –l’intervento della magistratura di merito e quello della Cassazione che, anche nel pregresso assetto, potè eccezionalmente discostarsi dall’orientamento prevalente (secondo cui ai criteri giurisprudenziali si potrebbe accedere solo quando manchi o sia carente una specifica previsione contrattuale collettiva (8) e  potè considerare il “riconoscimento formale” aziendale quale sola alternativa non preclusiva dell’accertamento giudiziale effettivo, statuendo in relazione al Capo Ufficio Studi del Monte dei Paschi di Siena (9)  che:“l’appartenenza alla categoria dei dirigenti - nella specie è stato riconosciuto  tale il capo dell’Ufficio studi, mantenuto dalla banca nella qualifica di funzionario - può derivare tanto dall’investitura formale operata dalla banca in virtù del potere discrezionale ad essa attribuito dalla contrattazione collettiva, quanto dalla natura e modalità di espletamento delle funzioni attribuite al dipendente, allorché esse implicano un particolare tipo di collaborazione con il vertice dell’azienda”.

Ciò detto in termini di valutazione strettamente giuridica,  non possiamo non esprimere un’opinione personale e cioè che una valutazione tutta politica dei “titolari della categoria dirigenziale” ci porta a dire che forse è giusto che il destino e le condizioni dei dirigenti  (del credito e non), siano rimesse  alla discrezionalità ed al beneplacito dei loro ”proprietari”...d’azienda.

Ci ritorna infatti alla mente l’iniziativa della più grintosa (ed è tutto dire!) consorella dirigenza sindacale delle aziende industriali di pubblicare, nel marzo/aprile 1997, a pagamento sui principali quotidiani una lettera d’appello - e “con il cappello in mano”, come si suol dire - agli imprenditori indisponibili, tramite Confindustria, a rinnovare eminentemente la parte economica dello scaduto ccnl dell’epoca. Nella lettera (che abbiamo impressa nella memoria) si ricordava piagnucolosamente il loro ruolo di “partner” degli imprenditori, la condivisione degli stessi valori e sembrava ci si scusasse dell’essere  stati indotti - attraverso un’eventuale radicalizzazione delle posizioni conseguente allo “schiaffo” confindustriale - a ”perdere la serenità necessaria per concentrarsi meglio nell’espletamento delle proprie funzioni: collaborare con l’imprenditore per il successo dell’azienda ...”.

Nessun accenno di ricorso al primario strumento di contrapposizione costituzionalmente garantito a tutti i lavoratori subordinati (ex art. 2094 c.c., contrattualmente richiamato) per la difesa dei propri interessi, qual’è il  (proletario, evidentemente) diritto di sciopero, al quale invero in un’intervista del giorno dopo (16 aprile 1997) la dirigenza sindacale industriale ammetteva di aver fatto un pensierino,  in quanto “incoraggiata” dalla contingente discesa “in piazza telematica” degli industriali stessi a difesa dei loro interessi suppostamente colpiti dalla manovrina dell’allora governo Prodi. Protesta imprenditoriale verso il Governo che avrebbe allineato le due iniziative di contrapposizione e avrebbe pertanto  privato quella dei dirigenti d’azienda del sospetto di “sgarbo” e della carica di conflittualità “offensiva” verso i loro padroni.

 

Roma, 30 dicembre 2000

(pubblicato in Lavoro e previdenza Oggi, n.1-2/2001, p. 1 e ss.)

Mario Meucci

NOTE

 

(1) Panzarani, Il dirigente d’azienda: crisi d’identità, con particolare riferimento al settore bancario, in Dir. lav. 1982, I, 298.

(2) Cass. sez. un. 15 ottobre 1985, n.  5031, in Giust. civ. Mass.  1985, p. 1532; Cass. 21 gennaio 1984, n. 530, in Foro it. 1984, I, 2564;  Cass. 5 gennaio 1983, n. 47, in Dir. lav. 1983, II, 187 con nota di Vallebona ("Sui criteri per la identificazione del dirigente"); Cass. 14 luglio 1976, n. 2738, in Not. giurisp. lav. 1976, 241; Cass. 18 aprile 1975, n. 1497, in Foro it. 1976, I, 435; Cass. n. 2125/1973; Cass. n. 1006/1973; Cass. n. 2454/1972, ecc.

(3) Tosi, Il dirigente d’azienda, Milano 1974.

(4) Così Tosi, op.cit., 59.

(5) Così, Tosi, op.cit., 64.

(6) V. in particolare Cass. 15.10.1988 n. 5620, in Not. giurisp. lav. 1989, 17; Cass. 25.6.1988 n. 4314, ibidem 1988, 676; Cass. 8.8.1983 n. 5295, ibidem 1983, 351 e Cass. 14.7.1976 n. 2738, ibidem 1976, 241.

(7) Ioele, in  Dirigenti e funzionari nelle aziende di credito, Napoli 1995, 120.

(8) Così Cass. 5 gennaio 1983, n. 47, in Foro it. 1983, I, 31; Cass. 8 agosto 1983, n. 5295, in Not. giurisp. lav. 1983, 351.

(9) Cfr. Cass. n 530 del 21 gennaio 1984, in Foro it. 1984, I, 2564. V. anche nello stesso senso di considerare il canale “investitorio formale” come  esclusiva alternativa, concorrente con quella professionale e funzionale, Cass. n. 5620/1988, cit.

 

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