Condanna del direttore di stabilimento e del medico competente per omissioni a fronte di malattia psichica di origine professionale

 

Cassazione III sez. pen. 13 giugno 2006, n. 20220 – Pres.Postiglione - Rel.Teresi – Impp. O. (direttore di stabilimento) e P. (medico competente)

 

Affidamento di incarichi senza previa attività formativa - Induzione di patologia psichica da stress acclarata da strutture pubbliche specialistiche - Omissioni da parte del direttore di stabilimento circa la formazione e da parte del medico competente, non spcialista, rifiutatosi, nonostante le probanti certificazioni, di effettuare gli accertamenti ex art. 17 d.lgs.n.626/94 - Responsabilità penali per entrambi.

 

Sono penalmente responsabili sia il direttore di stabilimento, il quale non si assicuri che un dipendente abbia acquisito una sufficiente e adeguata formazione in materia di sicurezza e salute relativa al proprio posto di lavoro e alla propria mansione, sia il medico competente che non richieda al datore di lavoro la visita medica specialistica del lavoratore al fine di salvaguardare l’integrità psicofisica del lavoratore stesso.

 

SENTENZA

sul ricorso proposto da O. G., nato a Napoli il xx. xx.1945, e da P. F. S., nato a Santa Maria Capua Vetere il xx.xx.1957, avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di Nola in data 23.04.2004 con cui sono stati condannati alla pena dell'ammenda per i reati di cui agli art. 22 [O. direttore] e 17 [P. medico] decreto legislativo n. 626/1994;

Visti gli atti, la sentenza denunziata e il ricorso;

Udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere dott. Alfredo Teresi;

Sentito il PM nella persona del PG dott. Guglielmo Passacantando, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso di O. e l'annullamento senza rinvio della sentenza nei confronti di P. perché il fhtto non sussiste;

Sentita il difensore della parte civile, avv. Antonino Crea, il quale ha chiesto la conferma della sentenza nei confronti di P. con la rifusione in suo favore delle spese del grado;

Sentito il difensore dei ricorrenti, avv. Giuseppe Fusco, il quale ha chiesto 1'accoglimento del ricorso;

osserva

Con sentenza 23.04.2004 fl Tribunale Nola condannava O. G. e P. F. S. alla pena dell’ammenda per non essersi assicurato , O. quale datore di lavoro, che il lavoratore Gennaro Assunto Allocca, dipendente dello stabilimento Alenia s.p.a di  Nola, avesse acquisito una sufficiente e adeguata formazione in materia di sicurezza e salute relativa al proprio posto di lavoro e alla propria mansione, nonché, P., per non avere, quale medico competente presso il suddetto stabilimento, richiesto al datore di lavoro la visita medica specialistica sul lavoratore Allocca, affetto da psicosi dissociativa, al fine di fidare l'integrità psicofisica del suddetto.

Il Tribunale, premesso un breve excursus delle vicende concernenti la vita professionale della persona offesa, rilevava che l'O., quale datore di lavoro perché direttore dello stabilimento Alenia di Nola, a fronte di un mutamento di mansioni di specialista in ingegneria della manutenzione stabilito nei confronti dell'Allocca, trasferito a Nola il 29.05.2000, non aveva curato di assicurargli un'adeguata formazione professionale.

Il primo e unico corso di formazione, [necessario per la complessità del profilo assegnato al lavoratore], era stato effettuato nel gennaio 2002 a seguito di una specifica prescrizione impartita dagli ispettori del lavoro e in modo inadeguato, come riferito da costoro in dibattimento.

Quanto al P., il giudice di merito, costatata la gravità incalzante della patologia di cui risultava affetto l'Allocca [risultando dai certificati medici prodotti “sindrome depressivo ansiosa a genesi reattiva”, “psicosindrome marginale a genesi reattiva”, “disturbo d'adattamento con stato di conflitto nell'ambiente di lavoro”, “scompenso psicoemotivo con  spinte deliranti... reattivo a situazione di grave stress socio-ambientale”, “psicosi delirante”, “psicosi dissociativa”] riteneva che l'imputato, in presenza di certificazioni provenienti da strutture sanitarie pubbliche, avrebbe dovuto prescrivere una visita specialistica, donde un'ingiustificata condotta omissiva del medico dello stabilimento considerato che la richiesta del lavoratore era correlata al rischio professionale e che lo stato ansioso era determinato da una presunta sua inadeguatezza [giudicata fondata dagli ispettori del lavoro] rispetto alle mansioni assegnategli con possibile danno a se stesso, agli altri e alle strutture aziendali.

Proponevano ricorso per cassazione gli imputati denunciando violazione di legge in ordine all'affermazione di responsabilità.

Deduceva O. che

- egli non poteva essere qualificato “datore di lavoro” sia per l'assenza di documentazione e/o di procura rilasciata dal legale rappresentante della società sia per essere rimasto estraneo al trasferimento del lavoratore e alle contestazioni disciplinari allo stesso indirizzate;

- che la funzione assegnata allo stesso [ingegneria della manutenzione] non richiedeva l'accesso ai reparti produttivi e ai macchinari, ma solo attività d'ufficio da svolgere sulla base delle richieste e delle relazioni tecniche provenienti dal reparto di produzione e di manutenzione sulla base di documentazione in suo possesso e di sicura sua conoscenza.

Deduceva P. che

- il medico competente ex art.17 del d. lgs. citato non ha l'obbligo di disporre accertamenti specialistici anche in presenza diagnosi di medici esterni, se non  ne reputa la necessità;

- che egli aveva reiteratamente visitato l'Allocca e l'aveva ritenuto idoneo alla specifica attività cui era destinato essendo in “suo potere discrezionale....accedere o meno alla richiesta di visita specialistica avanzata dal lavoratore così come era nella sua competenza professionale e  funzionale valutare se la patologia psichiatrica lamentata incidesse sulla sicurezza del lavoro cui doveva essere addetto l'Allocca”, donde l'insussistenza del reato.

Entrambi i ricorrenti denunciavano mancanza di motivazione sul contenuto della documentazione prodotta dalla parte civile a riprova del cambiamento delle mansioni e della maggiore pericolosità di quelle attribuitegli con ii trasferimento allo stabilimento di Nola, nonché su quanto dichiarato dai testi a discarico.

Chiedevano l'annullamento della sentenza.

Va, anzitutto, rilevato che, in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, il decreto legislativo 19.09.1994 n. 626, che ha dato attuazione a varie direttive comunitarie, integra e coordina la normativa, dello stesso tenore, dei decreti presidenziali di portata generale che sono il d.P.R. 27.04. 1955 n. 547 [norme per la prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro] e il d.P.R. 19.03.1956 n.303 [norme generali per l'igiene del lavoro], 1a cui violazione è contestata all'imputato.

Ha, quindi, affannato questa Corte [Sezione lII, sentenza n.904/2001, udienza 2.03.2001, R.V.219010] che il decreto n. 626/1994, come modificato dal decreto n. 242/1996, se, da una parte, non abroga espressamente le singole prescrizioni previgenti, dall'altra, introduce categorie e istituti generali che sostituiscono, modificano e accrescono quelli definiti dai precedenti decreti 547/1955 e 303/1956, precisando, per quel che interessa, la nozione di datore di lavoro nel senso che “per le violazioni delle norme di sicurezza e d'igiene stabilite nei decreti 547/1955 e 303/1956 si deve fare riferimento alla nozione di datone di lavoro definita dall’art. 2, lett. b) del d. lgs. 626/1994, nonché al contenuto degli obblighi prevenzionali che lo stesso decreto stabilisce per i singoli soggetti obbligati”.

Pertanto, il soggetto destinatario delle norme contestate all'imputato è il datore di lavoro titolare delle obbligazioni prevenzionali più importanti in materia di sicurezza del lavoro, cui sono rivolte le prescrizioni di assicurare al lavoratore un'adeguata formazione nella materia de qua.

Sussiste, quindi, responsabilità penale, quanto meno per colpa, se il datore di lavoro non adotti le misure atte a conseguire il segnalato obiettivo.

Tanto premesso, va rilevato che "datore di lavoro" è chi ha la responsabilità dell'impresa o dell'unità produttiva, cui spetta il controllo su tutta l'organizzazione amministrativa e gestionale dell'ente cui egli è preposto; il che comporta anche l'obbligo di assicurare ai lavoratori un'adeguata formazione in materia di sicurezza del lavoro.

Quindi, il direttore di uno stabilimento, specie se non abbia preposto alla direzione dei lavori altra persona, ha sempre l'obbligo, quale soggetto apicale dell'unità produttiva [essendo tale, nella specie, lo stabilimento dell’Alenia di Nola] nell'ambito delle proprie competenze e attribuzioni, di accertarsi che il lavoro degli operai si svolga in condizioni di sicurezza.

Invece, solo nel caso in cui l'impresa abbia carattere di società e non sia possibile individuare gli organi tenuti a garantire la sicurezza del lavoro, la relativa responsabilità grava anche penalmente sui legali rappresentanti della società, perché costoro, ancorché non svolgono mansioni tecniche, sono pur sempre preposti alla gestione della società e s'identificano quindi con i soggetti primari destinatari delle norme antinfortunistiche.

Corretta, quindi, è la qualificazione operata dal Tribunale anche alla luce di quanto emerso dall'istruttoria dibattimenentale [dichiarazioni dei testi della difesa] secondo cui O. ebbe ad occuparsi personalmente della problematica relativa alla gestione del lavoratore e del fatto che furono rivolte direttamente a lui, che sottoscrisse  il relativo verbale, le prescrizioni degli ispettori del lavoro [teste Bartiromo], sicché il direttore dello stabilimento è tenuto a rispondere, quanto meno a titolo di colpa, delle violazione delle prescrizioni in tema d'igiene e di sicurezza del lavoro, in quanto destinatario delle relative norme.

Nel caso in esame la responsabilità è stata, quindi, correttamente affermata sia per il ruolo rivestito dall'imputato, direttore generale e, quindi, organo apicale dell'ente, nonché datore di lavoro ed unico titolare del potere di spesa, sia per l'omesso rilascio di valida delega nelle materie in questione ad altri dirigenti.

Non è puntuale l'altro motivo secondo cui la funzione assegnata al lavoratore [ingegneria della manutenzione] non richiedeva l'accesso ai reparti produttivi e ai macchinari, ma solo attività d'ufficio da svolgere sulla base delle richieste e delle relazioni tecniche provenienti dal reparto di produzione e di manutenzione, sicché non occorreva alcun aggiornamento formativo.

E' stato, infatti, accertato, con congrua motivazione, che l'omissione ascritta a1 direttore dello stabilimento è stata rilevata dagli ispettori del lavoro all'esito di una complessa valutazione effettuata in azienda, culminata nell'imposizione di specifiche prescrizioni allo stesso direttore, e che la formazione professionale era imposta dalla complessità del profilo professionale riguardante il lavoratore cui venivano assegnate attività che richiedono cognizioni tecniche elevate, acquisibili mediante una formazione specifica che non è surrogabile con l'esperienza maturata in un settore del tutto diverso né con il mero possesso di un incongruo titolo di studio.

Inoltre, l'asserzione del teste della difesa Salzano, secondo cui l'Allocca avrebbe dovuto gestire solo gli aspetti economici dei problemi tecnici affrontati da altri, è smentita dal documento che elenca le nuove mansioni, dato che tale funzione, indicata al punto 2 del profilo professionale, non è l'unica.

Non é, infine, censurabile la ritenuta ininfluenza del fatto che Allocca non avesse in concreto svolto le funzioni assegnategli dovendo la formazione precedere tale svolgimento.

Poiché “il primo e unico corso di formazione fu effettuato nel gennaio 2002 a seguito di specifica prescrizione in tal senso degli ispettori del  lavoro e in modo comunque inadeguato” (f. 15 della sentenza impugnata), il reato non è prescritto.

Anche il ricorso del P. è infondato perché propone doglianze su questioni che i giudici di merito hanno deciso con congrua motivazione, ritenendo che il medico aziendale, preso atto delle molteplici certificazioni provenienti da strutture sanitarie pubbliche, che attestavano una patologia psichiatrica grave a carico dell'Allocca, avrebbe dovuto necessariamente disporre gli accertamenti specialistici richiesti dal lavoratore per accertare la compatibilità dello stato di salute con le mansioni da esercitare.

Sia l'ispettore del lavoro sia il medico ASL, incaricato dell'accertamento, avevano condivisa l'assunto del lavoratore tanto da imporre prestazioni specifiche nei confronti dell'azienda con l'assegnazione di un preciso termine, rimasto inosservato, per la regolarizzazione.

Circa la configurabilità del reato contestato, va puntualizzato che l'art. 17 del d. lgs. n. 626/1994 lettera i) prevede che il medico competerete “fatti salvi i controlli di cui alla lettera h), effettui le visite mediche richieste dal lavoratore qualora tale richiesta sia correlata ai rischi professionali”, sicché, nella specie, ricorrevano le condizioni per sottoporre a visita il dipendente che aveva documentato la persistenza di una patologia psichiatrica grave ricollegabile alle attività lavorative assegnategli.

Tuttavia, ia condotta dell'imputato non è stata idonea a soddisfare il precetto normativo perché egli ha eseguito le visite mediche senza essere in possesso di specializzazione in malattie psichiatriche e senza il supporto di esami clinici e biologici che erano necessari per rendere effettiva la protezione dal rischio e che rientravano nei controlli che egli poteva disporre nell'esercizio delle funzioni tipiche riconosciutegli dall’art.16 del decreto citato in terna di sorveglianza sanitaria.

E' quindi, corretta l'affermazione di responsabilità basata su tali rilevanti elementi probatori, che le poco incisive dichiarazioni dei testi della difesa [puntualmente prese in considerazione dal Tribunale, unitamente alla documentazione acquisita agli atti] non sono valse a smentire.

Non possono, infatti, avere rilevanza in questa sede le valutazioni del fatto, diverse da quella adottata dal giudice di merito, proposte dalla difesa perché il controllo di legittimità. non può investire l'intrinseca adeguatezza della valutazione dei risultati probatori, riservata al giudizio di merito, né la loro rispondenza alle effettive acquisizioni processuali.

Il rigetto del ricorso comporta condanna al pagamento delle spese processuali, nonché per il  P., alla rifusione delle spese del grado sostenute dalla parte civile liquidate come da dispositivo

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.

Condanna, altresì, P. alla rifusione delle spese del grado sostenute dalla parte civile che liquida in complessivi £. 2.500, di cui euro 300 per spese vive, oltre gli accessori di legge.

Così deciso in Roma nella pubblica udienza del 25.05.2006 (depositata il 13 giugno 2006).

 

(Torna alla Sezione Mobbing)