Autotutela contro il demansionamento parziale: illegittimità del rifiuto della prestazione integrale
 
Cass., sez. lav., 22 febbraio 2008, n. 4673 – Pres. Ciciretti – Est. Monaci -  A. e T. di Fiuggi SpA c. L. A.
 
Dequalificazione e sospensione dell’attività lavorativa - Licenziamento per giusta causa - Rifiuto della prestazione e abbandono del servizio per asserita dequalificazione – Condizioni di legittimità del rifiuto ex art. 1460 c.c.
 
Il rifiuto del lavoratore di adempiere alla propria prestazione può ritenersi giustificato soltanto di fronte ad un inadempimento altrettanto grave, di carattere totale, da parte del datore di lavoro; un inadempimento parziale, come quello relativo ad una illegittima assegnazione di mansioni non proprie, non può, invece, giustificare un rifiuto totale della prestazione lavorativa, perché, come pure ritenuto da questa Corte, "a seguito di una ritenuta dequalificazione di mansioni, non può il lavoratore rendersi totalmente inadempiente sospendendo ogni attività lavorativa, se il datore di lavoro assolve a tutti gli altri propri obblighi (pagamento della retribuzione, copertura previdenziale e assicurativa, assicurazione del posto di lavoro), potendo una parte rendersi totalmente inadempiente e invocare l'art 1460 c.c.. soltanto se è totalmente inadempiente l'altra parte, non quando vi sia controversia, eventualmente già sub iudice, solo su di una delle obbligazioni facenti capo ad una delle parti, obbligazione peraltro non incidente sulle immediate esigenze vitali del lavoratore." (Cass.civ., 7 febbraio 1998, n.1307; nello stesso senso, 23 dicembre 2003, n. 19689).
 
Svolgimento del processo
 
L'oggetto della controversia è costituito dal licenziamento intimato con lettera del 24 maggio 1995 dalla società A. e T. di Fiuggi s.p.a. al dottor L. Antonio. Il giudice di primo grado respingeva le domande del L., ma, in secondo grado, la Corte d'Appello di Roma andava in contrario avviso, e, con sentenza n.5104/05, in data 20 giugno/4 novembre 2005, dichiarava l'illegittimità del recesso intimato con lettera del 24 maggio 1995 e condannava l'A. e T. di Fiuggi s.p.a., in concordato preventivo, al pagamento di una somma per l'anticipato recesso e di un'altra somma, minore, a titolo di dequalificazione professionale, oltre agli accessori. Avverso la sentenza d'appello, notificata il 7 dicembre 2005, la società A. e T. di Fiuggi s.p.a., in liquidazione e concordato preventivo, ha proposto ricorso per cassazione, con quattro motivi di impugnazione, notificato a mano, in termine, lunedì 6 febbraio 2006, ed a mezzo del servizio postale con plico spedito il 7 febbraio 2006.
Resiste l'intimato dottor L. con controricorso notificato, in termine, il 9 marzo 2006, proponendo contestualmente ricorso incidentale condizionato, non articolato in motivi. La ricorrente ha depositato una memoria difensiva.
 
Motivi della decisione
 
1. E' opportuno chiarire preliminarmente i presupposti di fatto della controversia.
Come risulta dalia sentenza impugnata, secondo l'esposizione in fatto contenuta nel ricorso introduttivo del giudizio, e non smentito dalla controparte, il dr. L. Antonio era stato assunto dalla ASTIF (Azienda speciale per la Gestione delle T. e dello stabilimento di imbottigliamento del Comune di Fiuggi) con la qualifica di Direttore Generale con contratto a tempo determinato con scadenza al 31 dicembre 1993, successivamente prorogato al 31 dicembre 1996; come Direttore Generale aveva la rappresentanza legale dell'Azienda, ed era responsabile della gestione di essa:
- nel mese di agosto del 1994 il Consiglio di Amministrazione era stato interamente rinnovato con nomina di un Presidente, ed erano state introdotte modificazioni nello Statuto aziendale, in base alle quali il Direttore Generale era stato privato della rappresentanza legale attribuita al Presidente;
- il dr.L. aveva ritenuto che questa modifica ed alcuni comportamenti aziendali avessero comportato dequalificazione in suo danno e si era rifiutato di rendere la prestazione dequalificata;
- con lettera del 24 maggio 1995 l’azienda gli aveva intimato il licenziamento per giusta causa contestandogli il rifiuto della prestazione e l'abbandono del servizio. Come pure risulta dalla sentenza impugnata, successivamente in corso di causa la società A. e T. di Fiuggi s.p.a., sorta dalla trasformazione dell'azienda speciale, era stata ammessa al concordato preventivo, che poi era stato omologato.
La sentenza della Corte d'Appello di Roma ha ritenuto, in sintesi, che il comportamento del datore di lavoro fosse stato illegittimo ed avesse comportato l'assegnazione al dirigente di mansioni inferiori a quelle corrispondenti alla sua qualifica, che questo avesse giustificato il rifiuto della prestazione lavorativa, e che il recesso dell'azienda prima del termine dal rapporto di lavoro non fosse stato legittimo.
2. Nel primo motivo di impugnazione la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt.437 c.p.c., 1460, 2103, 2119 c.c., dello Statuto del Lavoratori, e l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi. Critica la sentenza per avere ritenuto che il resistente avesse diritto di rifiutare la prestazione esigibile dal datore di lavoro. Il requisito della buona fede per la legittima proposizione dell'eccezione di inadempimento non sussisteva quando l’eccezione stessa aveva ad oggetto un inadempimento non grave.
Secondo la ricorrente di fronte ad una ritenuta dequalificazione il dr. L. non poteva sospendere la prestazione lavorativa, né rifiutarsi di eseguirla secondo le nuove modalità, che, peraltro, erano state imposte alla ricorrente dalla legge.
L'eventuale adibizione a mansioni non rispondenti alla qualifica rivestita gli avrebbe consentito, piuttosto, di richiedere in giudizio che la prestazione venisse ricondotta nell'ambito della qualifica di appartenenza.
Né era vero che il Direttore Generale non facesse più nulla, perché l'istruttoria aveva dimostrato che aveva mantenuto un proprio ambito di mansioni ed attribuzioni effettivamente svolte.
Poteva, eventualmente, ricusare singole prestazioni che non rientravano nelle proprie mansioni, ma non certo tutte.
Era legittima perciò la risoluzione del rapporto deliberata nel rispetto delle procedure contrattuali e di legge.
3. Nel secondo motivo la società denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt.115, 116 e 437 c.p.c, e 2697 c.c., e l'omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su punti decisivi.
Lamenta che la sentenza abbia dato una lettura parziale delle risultanze istruttorie, e ribadisce che il Direttore Generale continuava a svolgere funzioni rilevanti all'interno dell'azienda,
4. Con il terzo motivo la A. e T. di Fiuggi deduce la violazione e falsa applicazione degli artt.2043, 2087, 2103, 2697 c.c., e 114, 115 e 437 c.p.c, nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi. Lamenta che la sentenza abbia determinato in via equitativa il danno derivante dalla dequalificazione anche sotto il profilo della lesione dell'immagine, e sostiene che il danno poteva essere risarcito, anche in via equitativa, solo se il lavoratore forniva la prova della effettiva sussistenza di esso.
5. Infine, con il quarto motivo la società in liquidazione denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt.2099, 2109, 2120 c.c., e 416 c.p.c, e l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi.
Afferma di avere contestato fin dal primo atto difensivo le somme richieste dal dr.L. a titolo di differenze per di 13°, 14° e TFR, e lamenta che la sentenza abbia fatto proprie, senza motivare, le richieste del dipendente.
6. Nel ricorso incidentale condizionato - proposto, "ove occorra", per l'ipotesi, cioè, che non fosse sufficiente la richiesta di correzione della motivazione - il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 36 Cost, 2103, 2099, 1219, 1206, 1207, 1223, 1460, c.c., per avere erroneamente qualificato in termini di eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 c.c., l'autotutela posta in essere dal lavoratore dequalificato, il quale non aveva rifiutato una prestazione dovuta affermando l'inadempimento dell'altra parte, bensì si era limitata a rifiutare l'esecuzione di una prestazione non dovuta.
7. Il ricorso principale della società A. e T. di Fiuggi è fondato, e deve essere accolto.
I primi due motivi, strettamente connessi, debbono essere esaminati congiuntamente. Le censure sono fondate.
Come sottolineato da questa Corte, con riferimento ad un caso anch'esso di rifiuto della prestazione lavorativa come reazione all'inadempimento del datore, "nei contratti con prestazioni corrispettive, qualora una delle parti adduca, a giustificazione dei proprio rifiuto di adempiere, l'inadempimento o la mancata offerta di adempimento dell'altra, il giudice deve procedere alla valutazione comparativa dei comportamenti, tenendo conto non solo dell'elemento cronologico, ma anche di quello logico, essendo necessario stabilire se vi sia relazione causale ed adeguatezza, nel senso della proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto, tra l'inadempimento dell'uno e il precedente inadempimento dell'altro. Peraltro, il rifiuto di adempiere, come reazione al primo inadempimento, oltre a non contrastare con i principi generali della correttezza e della lealtà, deve risultare ragionevole e logico in senso oggettivo, trovando concreta giustificazione nella gravità della prestazione ineseguita, alla quale si correla la prestazione rifiutata" (Cass. civ., 2 aprile 2004, n.6564). Alla luce di questi criteri il rifiuto del lavoratore di adempiere alla propria prestazione può ritenersi giustificato soltanto di fronte ad un inadempimento altrettanto grave, di carattere totale, da parte del datore di lavoro; un inadempimento parziale, come quello relativo ad una illegittima assegnazione di mansioni non proprie, non può, invece, giustificare un rifiuto totale della prestazione lavorativa, perché, come pure ritenuto da questa Corte, "a seguito di una ritenuta dequalificazione di mansioni, non può il lavoratore rendersi totalmente inadempiente sospendendo ogni attività lavorativa, se il datore di lavoro assolve a tutti gli altri propri obblighi (pagamento della retribuzione, copertura previdenziale e assicurativa, assicurazione del posto di lavoro), potendo una parte rendersi totalmente inadempiente e invocare l'art 1460 c.c.. soltanto se è totalmente inadempiente l'altra parte, non quando vi sia controversia, eventualmente già sub iudice, solo su di una delle obbligazioni facenti capo ad una delle parti, obbligazione peraltro non incidente sulle immediate esigenze vitali del lavoratore." (Cass.civ., 7 febbraio 1998, n.1307; nello stesso senso, 23 dicembre 2003, n. 19689).
Ciò significa che il rifiuto della prestazione è ancor più difficilmente giustificabile, quando - come nel caso di specie -le mansioni cui è addetto il lavoratore non comportino lo svolgimento di un'unica incombenza di carattere ripetitivo, ma consistano in una attività complessa, comportante una molteplicità di operazioni, ed una pluralità di compiti; in queste ipotesi in particolare il lavoratore cui siano state assegnate mansioni non conformi alla sua qualifica può rifiutare lo svolgimento di singole prestazioni lavorative che non siano conformi alla propria qualifica, ma non può rifiutare lo svolgimento di qualsiasi prestazione lavorativa.
8. In ogni caso, come si è detto, deve essere dimostrata la proporzionalità tra l'inadempimento del datore e quello del prestatore, e la rispondenza di quest'ultimo a correttezza e buona fede, perché "il giudice, ove venga proposta dalla parte l'eccezione "inadimplenti non est adimplendum", deve procedere ad una valutazione comparativa degli opposti adempimenti avuto riguardo anche allo loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull'equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse, per cui qualora rilevi che l'inadempimento della parte nei cui confronti è opposta l'eccezione non è grave ovvero ha scarsa importanza, in relazione all'interesse dell'altra parte a norma dell'art. 1455 cod. civ., deve ritenersi che il rifiuto di quest'ultima di adempiere la propria obbligazione non sia in buona fede e, quindi, non sia giustificato ai sensi dell'art 1460, secondo comma, cod. civ. Tale valutazione rientra nei compiti del giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria." (Cass. civ., 16 maggio 2006, n.11430).
La sentenza, invece, non è adeguatamente motivata sul punto relativo al fatto che fossero giustificati, sotto il profilo dell'eccezione di inadempimento all'inadempimento altrui ai sensi dell'art.1460 c.c., la completa mancanza di qualsiasi prestazione lavorativa e l'abbandono del servizio da parte del dr. L. (e non solamente il diniego di singole prestazioni che, in ipotesi, non fossero adeguate alle mansioni ricoperte, ma non di tutte le prestazioni), né sul punto, connesso al precedente, della corrispondenza, o meno, ad un criterio di buona fede, tenuto conto delle circostanze della fattispecie specifica, del rifiuto, appunto da parte del dr. L., di qualsiasi prestazione lavorativa, e non di singole prestazioni, che, in ipotesi, fossero state motivatamente rifiutate, volta per volta, perché non corrispondenti alle mansioni previste per la qualifica di Direttore Generale.
9. Inoltre, la sentenza non chiarisce se per valutare la corrispondenza, o meno, delle prestazioni richieste dalla società al dr. L. alla sua qualifica di Direttore Generale abbia tenuto conto delle mansioni assegnate a questa figura dal nuovo statuto aziendale (quello che - come riferisce la sentenza impugnata a pag.6 - era stato approvato nel settembre del 1994), oppure, invece, a quelle previste per il Direttore Generale nell'ambito del precedente assetto dell'azienda.
Rientra, d'altra parte, nell'ambito della discrezionalità dell'azienda (o, più esattamente, nel caso in esame dell'amministrazione comunale da cui l'azienda dipendeva) deciderne l'assetto organizzativo, e anche l'entità dei compiti e dei poteri da attribuire al Direttore Generale (così come quelli del Presidente, oppure a coloro che ricoprano altre cariche), né il ricorrente allega che avesse modificato appositamente il proprio Statuto per ridurre i suoi compiti ed i suoi poteri, perché era lui, L., a ricoprire in quel momento il ruolo di Direttore Generale, e non per dare una diversa struttura all'organizzazione aziendale.
Di conseguenza per i fatti successivi all'agosto del 1994, quando è stato approvato il nuovo statuto aziendale, si deve fare riferimento all'ordinamento aziendale in vigore in quel momento, appunto al nuovo statuto aziendale ed ai compiti previsti in esso per il Direttore Generale.
10. Il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale rimangono assorbiti.
11. Il ricorso incidentale è inammissibile, per difetto assoluto di interesse.
La parte non può impugnare quando, come appunto nel caso di specie il dr. L., sia risultata totalmente vittoriosa nella precedente fase di giudizio.
Il diritto di impugnazione (così il diritto quello di azione) è previsto a tutela di un interesse pratico ritenuto meritevole di tutela secondo l'ordinamento, ma non per il riconoscimento di una specifica motivazione di carattere giuridico posta (o non posta) alla base dell'accoglimento di quella tutela. Come, infatti, sottolineato da questa Corte, "va dichiarato inammissibile per difetto di interesse all'impugnazione il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa in appello e diretto a far modificare la motivazione della sentenza. " (Cass. civ., 20 febbraio 2006, n.3654).
La richiesta sostanziale di modificazione della motivazione (di accoglimento della domanda dello stesso dr. L.) rimane assorbita dall'accoglimento del ricorso principale avversario.
12. In conclusione, il ricorso principale deve essere accolto, mentre quello incidentale deve essere dichiarato inammissibile. La sentenza deve essere cassata in relazione al ricorso accolto, e la causa rimessa per un nuovo esame, da compiersi alla luce dei principi di diritto affermati in questa motivazione, alla stessa Corte d'Appello di Roma, ma in diversa composizione, che provvedere anche alla liquidazione delle spese di questa fase di legittimità.
 
P.Q.M.
 
Accoglie il ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto, e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione.

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