Gli indennizzi per
"perdita di chance" sono fiscalmente esenti in quanto risarcitori di
danno emergente
Cass., sez.
trib., 29 dicembre 2011, n. 29579
Somme
giudizialmente liquidate a titolo di “perdita di chance”- Imponibilità
fiscale - Non sussiste
Svolgimento
del processo
La
contribuente impugnava in sede giurisdizionale il silenzio rifiuto, opposto
dall'Amministrazione Finanziaria, sulla domanda di rimborso delle somme
versate dal datore di lavoro a titolo di ritenuta IRPEF su quanto
corrisposto in esecuzione di sentenza del
Giudice del Lavoro.
Sosteneva
che la ritenuta operata era da ritenersi illegittima, in quanto la somma
corrisposta non era fiscalmente rilevante, essendo stata liquidata per
riparare al pregiudizio patito e "costituito dalla lesione del diritto
del dipendente al rispetto della regolarità dell'iter concorsuale" e non
già a titolo di risarcimento danni per perdita di reddito.
L'adita CTP
di Parma rigettava il ricorso, ritenendo e dichiarando che le somme
liquidate, avevano natura reddituale e come tali soggiacevano ad
imposizione.
Pronunciando sull'appello della contribuente, la CTR lo accoglieva,
affermando che le somme percepite dalla contribuente andavano qualificate
come "ristoro della lesione subita dal proprio patrimonio giuridico e non
come reintegrazione del reddito di lavoro dipendente non percepito".
Con ricorso
3/5 dicembre 2007 l'Agenzia Entrate, ha chiesto l'annullamento della
decisione di appello.
Con
controricorso, notificato il 15 gennaio 2008, la contribuente ha chiesto che
l'impugnazione venga dichiarata inammissibile e, comunque, rigettata.
Entrambe le
parti hanno presentato memoria.
Motivi
della decisione
La
ricorrente Agenzia, censura l'impugnata decisione per violazione e falsa
applicazione degli 46 del dpr n.917/1986, deducendo l'erroneo operato del
Giudice di appello, per non avere considerato che, nel caso, le modalità di
determinazione dell'indennizzo, dovevano ritenersi emblematiche, essendo
stato lo stesso determinato, sulla base del presunto maggior reddito che la
contribuente, in ipotesi, avrebbe percepito.
Resiste la
contribuente, ribadendo la natura non reddituale della somma percepita ed
evidenziando l'irrilevanza giuridica del criterio seguito per la
determinazione del quantum.
Il Collegio
ritiene che il ricorso debba essere
rigettato, per infondatezza.
In vero, la
sentenza non contiene alcuna affermazione che si ponga in contrasto con la
norma di legge denunciata e la relativa elaborazione giurisprudenziale; la
decisione, fondata, come è, sul presupposto, desunto dall'esame della
sentenza del Tribunale di Parma, che il titolo al risarcimento del danno
riconosciuto alla B. era connesso
alla "perdita di chance" e quindi non avesse natura reddituale,
appare coerente al condiviso principio secondo cui “La perdita di chance,
consistente nella privazione
della possibilità di sviluppi o progressioni nell’attività lavorativa,
costituisce un danno patrimoniale risarcibile, qualora sussista un
pregiudizio certo (anche se non nel suo ammontare) consiste non in un lucro
cessante, bensì nel danno emergente da perdita di una possibilità
attuale; ne consegue che la chance è anch’essa una entità patrimoniale
giuridicamente ed economicamente valutabile, la cui perdita produce un danno
attuale e risarcibile, qualora si accerti, anche utilizzando elementi
presuntivi, la ragionevole probabilità della esistenza di detta chance
intesa come attitudine attuale” (Cass. n. 11322/2003).
Rileva,
altresì, il Collegio che il quesito formulato a conclusione del mezzo, non
può ritenersi conferente, tenuto conto che la sentenza impugnata ha
evidenziato che nella determinazione del quantum il Tribunale aveva fatto,
espressamente, ricorso al criterio di valutazione equitativa, e che il
riferimento al maggior stipendio non conseguito, rilevando ai limitati fini
della determinazione del quantum, non era,quindi, idoneo a mutare il titolo
di attribuzione.
Le spese
seguono la soccombenza e vanno liquidate in complessivi Euro millecento, di
cui Euro mille per onorario ed Euro cento per spese vive, oltre spese
generali ed accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna l'Agenzia Entrate al pagamento
delle spese del giudizio, in ragione di complessivi Euro millecento, oltre
spese generali ed accessori di legge.