Per risarcire il
demansionamento va provato, anche presuntivamente, il danno sofferto
Cass., sez. lav., 30 settembre
2009 n. 20980 – Pres. Mattone – Rel. Di Nubila - AXA ASSICURAZIONI S.P.A.
(avv. Marazza, Cardillo) c. M.G. (avv. Bosio, Mittiga Zandri)
Demansionamento per sottrazione di
ruolo gestionale/operativo (di line) e assegnazione a compiti di studio e
consulenza (di staff) - Sussiste - Ma va provato il danno alla professionalità,
anche in base a criteri presuntivi.
Nel caso di specie il
demansionamento consiste nel fatto che, pur mantenendo la qualifica di
dirigente, il datore di lavoro ha sostanzialmente deprivato le mansioni
dell'attore del contenuto corrispondente alla professionalità acquisita,
"relegandolo" per così dire da compiti operativi di responsabilità a compiti di
studio e consulenza, la cui importanza è sostenuta dalla ricorrente datrice di
lavoro, ma viene invece esclusa dalla Corte di Appello con motivazione adeguata,
esauriente, immune da vizi o lacune logiche, talché essa motivazione si sottrae
ad ogni censura in sede di legittimità. Tuttavia in tema di demansionamento e
dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento
del danno non patrimoniale che asseritamente ne deriva - danno che non è in re
ipsa - non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso
introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio
medesimo. Mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all'esistenza
di una lesione all'integrità psico fisica medicalmente accertabile, il danno
esistenziale va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti
dall'ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni.In altri termini, il giudice, in caso di accertato demansionamento, deve
procedere alla liquidazione del danno sulla base di una ricostruzione in fatto
della vicenda, dell'accertamento anche presuntivo in dell'esistenza di un danno
risarcibile e del nesso di causalità (Cass. 26.6.2006 n. 14729).Va comunque
tenuto presente che "il danno esistenziale, non costituendo una categoria
autonoma di pregiudizio, ma rientrando nel danno non patrimoniale, non può
essere liquidato separatamente solo perché diversamente denominato,
richiedendosi, nei casi in cui sia risarcibile come danno non patrimoniale, che
sussista da parte del richiedente l'allegazione di elementi di fatto dai quali
desumere l'esistenza e l'entità del pregiudizio" (Cass. 16.2.2009 n. 3677).
Svolgimento del processo
1. Con ricorso depositato in
data 19.12.2001, la spa Axa Assicurazioni proponeva appello avverso la
sentenza 29.6.2001 del Tribunale di Genova, con la quale la convenuta era
stata condannata a pagare al dr. M.G. le somme rispettivamente di L.
23.100.000 e 200.000.000, a titolo di risarcimento del danno biologico e del
danno alla professionalità, conseguenti a dequalificazione professionale a
partire dal 15.1.1975 e fino alla risoluzione del rapporto di lavoro.
L'appellante contestava "in toto" la sentenza di primo grado, sia in punto
di "an" sia in punto di liquidazione del "quantum". Contestava in
particolare la sussistenza di una dequalificazione professionale, posto che
al M., dirigente, erano sempre stati attribuiti compiti importanti e
delicati, a prescindere dalla operatività gestionale.
2. Si costituiva l'attore M. e
proponeva appello incidentale.
La Corte di Appello di Genova
rinnovava la consulenza tecnica di ufficio di carattere medico-legale ed
all'esito confermava la sentenza di primo grado.
Questa in sintesi la
motivazione della sentenza di appello:
- il M., assunto come
dirigente di secondo grado, aveva compiti di capo del personale e capo
contabile, con sessanta lavoratori alle proprie dipendenze; nel (OMISSIS)
dette mansioni venivano estese alla società UAP, appartenente al medesimo
gruppo;
- con ordine di servizio del
(OMISSIS), all'attore veniva affidata la funzione di studio di investimenti
finanziari e di problemi fiscali; anche a seguito della promozione formale a
direttore, avvenuta nel (OMISSIS), nessun sostanziale mutamento avveniva in
ordine alle mansioni predette;
- nel (OMISSIS) il M. veniva
incaricato di studi finanziari e di consulenza fiscale, ma quest'ultima
mansione gli veniva poi sottratta perché i problemi fiscali venivano
affidati ad un consulente esterno;
- nel frattempo l'attore
cessava di essere alle dirette dipendenze del direttore generale e passava
alle dipendenze di altro dirigente;
- in sostanza, il M. perdeva
ogni potere decisionale e la di lui attività consultiva si riduceva alla
redazione di dichiarazioni fiscali nonché ad uno studio di fattibilità di
una SIM;
- non è quindi a dubitarsi
della sussistenza del demansionamento;
- il danno biologico è stato
correttamente valutato nel 10% da parte del consulente tecnico; essendo tale
percentuale di invalidità ricollegabile con nesso causale al demansionamento,
mentre altre affezioni vanno ascritte a cause naturali ed a predisposizione
personale, non è possibile attribuire una somma maggiore;
- non vi è dubbio circa la
dequalificazione, la quale ha comportato lesione del "diritto fondamentale
del lavoratore alla libera esplicazione della sua personalità nel luogo di
lavoro, menomato dalla lesione della sua immagine professionale e della sua
dignità personale, diritto fondamentale che trova la sua fonte nell'art. 2
Cost.; quale logico corollario di tale assunto il danno alla
professionalità, quale danno non patrimoniale, si affianca al possibile
danno biologico (inteso quale lesione all'integrità psicofisica) e comporta
necessariamente la sua valutazione equitativa. Il danno risarcibile,
pertanto, è ravvisato nella stessa lesione del diritto fondamentale, senza
necessità di indagare l'eventuale ulteriore danno conseguenza";
- tenuto conto della durata
del demansionamento, del suo progressivo aggravamento, dell'immagine
professionale e della dignità personale del M., quanto meno nell'ambiente
lavorativo; della frustrazione di aspettative di carriera, di perdita di
chances, si liquida una somma pari al 10% delle retribuzioni fruite.
3. Ha proposto ricorso per
Cassazione la spa Axa Assicurazioni, deducendo tre motivi. Resiste con
controricorso M.G., il quale propone ricorso incidentale affidato a due
motivi. La ricorrente ha proposto controricorso al ricorso incidentale. Le
parti hanno presentato memorie integrative.
Motivi della decisione
4. Il ricorso principale ed il
ricorso incidentale, essendo stati proposti contro la medesima sentenza,
vanno riuniti. Con il primo motivo del ricorso, la ricorrente deduce omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione in fatto circa un punto decisivo
della controversia, a sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5: la Corte di Appello
ha fatto malgoverno delle risultanze documentali e testimoniali, che
trascrive, trascurando di considerare che la qualità delle mansioni non
dipende dal numero delle persone sottoposte, ma dal contenuto dei compiti
affidati al lavoratore. Nella specie, la mansione di studio di strategie
finanziarie e di studio del sistema fiscale italiano implicava
responsabilità in ordine ad un settore di vitale e crescente importanza. Non
vi è dubbio che il M. è stato promosso ed ha avuto la responsabilità di
strutture di coordinamento, in relazione anche alle dimensioni crescenti del
gruppo, ha continuato a far parte del comitato di direzione ed è rimasto
attivo finché non si è ammalato.
5. Il motivo è infondato.
Esso, sotto l'aspetto del vizio di motivazione, chiede alla Corte di
Cassazione il riesame nel merito del materiale probatorio, al fine di
escludere la dequalificazione ed il demansionamento, che la Corte di Appello
di Genova ha invece ravvisato, esaminando il contenuto delle mansioni via
via affidate al M., a prescindere dalla qualifica dirigenziale che egli
indubbiamente ha rivestito. Il giudice di merito ha ravvisato il
demansionamento nel fatto che, pur mantenendo la qualifica, il datore di
lavoro ha sostanzialmente deprivato le mansioni dell'attore del contenuto
corrispondente alla professionalità acquisita, "relegandolo" per così dire
da compiti operativi di responsabilità a compiti di studio e consulenza, la
cui importanza è sostenuta dalla ricorrente, ma viene invece esclusa dalla
Corte di Appello con motivazione adeguata, esauriente, immune da vizi o
lacune logiche, talché essa motivazione si sottrae ad ogni censura in sede
di legittimità.
6. Con il secondo motivo del
ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi
dell'art. 360 c.p.c., n. 3, dell'art. 2103 c.c., per non avere la Corte di
Appello tenuto conto che l'asserita modificazione delle mansioni del M. non
ha comportato dequalificazione, essendo stato il medesimo incaricato di
missioni speciali e di rappresentanza presso altre società del gruppo, tanto
che la SIM da lui studiata venne attuata.
7. Il motivo è infondato.
Valgono le considerazioni svolte a proposito del motivo che precede: si
richiede alla Corte di Cassazione un riesame del fatto, onde verificare la
sussistenza di una equivalenza di mansioni che la Corte di Appello ha
escluso con adeguata motivazione, avendo posto in evidenza, come detto, il
sostanziale svuotamento delle mansioni dirigenziali acquisite dal M.. Nel
ragionamento della Corte di Appello non si ravvisa alcuna contraddizione o
lacuna logica, talché l'impianto fattuale della sentenza di merito rimane
fermo.
8. Con il terzo motivo del
ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi
dell'art. 360 c.p.c., n. 3, dell'art. 2697 c.c. nonché omessa, insufficiente
o contraddittoria motivazione in fatto circa un punto decisivo della
controversia, a sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5: la Corte di Appello ha
riconosciuto il danno da demansionamento senza che il M. abbia fornito la
prova della sussistenza del danno stesso, che è stato erroneamente
considerato "in re ipsa". Il presunto danno alla professionalità non può
considerarsi un "danno evento"; vige quindi la regola secondo la quale chi
allega di avere subito un danno deve provarne l'esistenza ed il nesso di
causalità. Evidenzia ancora la ricorrente che il M. ha atteso 18 anni
prima di azionare la presunta dequalificazione, laddove il suo silenzio
doveva essere apprezzato anche sotto il profilo dell'acquiescenza. In
ogni caso è ingiustificata l'attribuzione della somma di L. 200 milioni. Si
contesta poi l'accertamento operato dal consulente tecnico, il quale ha
ricollegato una percentuale dell'invalidità dell'attore - 10% su 80%
complessivo - ad un presunto "mobbing verticale" che per vero il M. non ha
mai denunciato.
9. Il motivo è fondato e va
accolto nei limiti di cui "infra". Non è dubbio che si sia verificato un
sostanziale demansionamento a danno dell'attore ed il fatto di avere egli
atteso 18 anni per azionare le proprie pretese non può essere introdotto in
questa sede come motivo di acquiescenza, circostanza questa esclusa
dalla sentenza di merito. Ma, una volta affermato che il demansionamento
sussiste e si è protratto nel tempo, rimane il problema della prova
dell'esistenza di un danno risarcibile e del nesso causale.
10. La Corte di Appello ha
liquidato un danno da demansionamento, del quale ha debitamente illustrato
le caratteristiche, quale lesione di un diritto fondamentale dell'individuo
e quindi risarcibile anche sotto il profilo non patrimoniale, ed ha nel
contempo affermato che tale danno è risarcibile "ex se". Tale affermazione
non può essere condivisa: Cass. 19.12.2008 n. 29832 afferma che in tema di
demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento del diritto del
lavoratore al risarcimento del danno non patrimoniale che asseritamente ne
deriva, non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso
introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del
pregiudizio medesimo. Mentre il risarcimento del danno biologico è
subordinato all'esistenza di una lesione all'integrità psico fisica
medicalmente accertabile, il danno esistenziale va dimostrato in giudizio
con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, assumendo peraltro precipuo
rilievo la prova per presunzioni. Nella specie, la Corte di Appello liquida
il danno da demansionamento, inteso non come danno esistenziale ma come
lesione della professionalità e della dignità del lavoratore, dando per
scontato che i presupposti in fatto sussistano, laddove era necessario un
accertamento in fatto circa l'esistenza di un pregiudizio e del nesso
causale. Il danno non patrimoniale è risarcibile nei casi previsti dalla
legge, vale a dire in caso di fatto-reato, di lesione per la quale la norma
positiva prevede il risarcimento del danno, ed infine in caso di lesione di
diritti fondamentali (è il caso di specie): Cass. SU 11.11.2008 n. 26972. Ma
rimane il problema della prova dell'esistenza del danno e del nesso causale,
prova che non può essere presupposta. Non è ammissibile la categoria del
"danno esistenziale" (ibidem) ed il danno non patrimoniale, nella cui
categoria viene ricondotto il danno biologico, deve essere derivato da una
lesione di un diritto costituzionalmente riconosciuto, deve essere grave e
non futile (ancora Cass. n. 26972.08). In altri termini, il giudice, in caso
di accertato demansionamento, deve procedere alla liquidazione del danno
sulla base di una ricostruzione in fatto della vicenda, dell'accertamento
anche presuntivo in dell'esistenza di un danno risarcibile e del nesso di
causalità (Cass. 26.6.2006 n. 14729).
Poiché la sentenza impugnata
non motiva in ordine a quanto precede, limitandosi a formulare affermazioni
di principio e ravvisando il danno "in re ipsa", essa va cassata "in parte
qua" ed il processo va rimesso ad altra Corte di Appello la quale procederà
a nuovo esame della fattispecie, attenendosi al seguente principio:
"accertato un demansionamento professionale, la liquidazione del danno alla
professionalità richiesto dal lavoratore non può prescindere dalla
dimostrazione in fatto dell'esistenza del danno e del nesso causale tra di
esso e il demansionamento; va tenuto conto che trattasi di danno non
patrimoniale, onde va evitata ogni duplicazione con altre voci di danno non
patrimoniale che abbiano la stessa fonte causale".
11. Con il primo motivo del
ricorso incidentale, M.G. denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione in fatto circa un punto decisivo della controversia, a sensi
dell'art. 360 c.p.c., n. 5, con particolare riguardo alla liquidazione del
danno biologico. Erroneamente la Corte di Appello ha condiviso la consulenza
tecnica di ufficio del dott. C., la quale ha riconosciuto un danno biologico
pari ad appena il 10%, senza considerare che tutto il danno riscontrato
all'integrità psicofisica dell'attore andava ascritto alla pregressa
dequalificazione, quanto meno sotto il profilo del nesso concausale.
12. Poiché la sentenza di
appello viene cassata in relazione all'accertamento ed alla liquidazione del
danno, il motivo può considerarsi assorbito: infatti spetterà al giudice di
rinvio, una volta ricostruito il nesso causale ed accertato il danno
risarcibile, procedere anche alla quantificazione dell'eventuale danno
biologico, inteso quale danno all'integrità psico-fisica accertabile con
indagine medico-legale. Con l'avvertenza che, nell'ambito del danno non
patrimoniale, va evitata ogni duplicazione ingiustificata di voci o tipi di
danno: che il danno biologico sia da ricondurre a danno non patrimoniale
appare ormai acquisito, stante Cass. SU n. 26972 cit.).
Nell'effettuare tale riesame,
il giudice del rinvio potrà anche stabilire un danno biologico inferiore o
superiore al 10%.
13. Con il secondo motivo del
ricorso incidentale, il M. deduce violazione e falsa applicazione, a sensi
dell'art. 360 c.p.c., n. 3, dell'art. 1226 c.c., nonché omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione in fatto circa un punto decisivo
della controversia, a sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5: la Corte di Appello,
accertato il danno alla professionalità, ha proceduto alla relativa
liquidazione con riferimento al 10% della retribuzione storicamente
percepita, tenendo conto dell'inerzia del lavoratore per 18 anni e dei
periodi di assenza per malattia. Sottoposto a critica il ragionamento della
Corte di Appello, il ricorrente si duole della insufficiente liquidazione
del danno in questione, del quale chiede un aumento inclusa la componente
"danno esistenziale".
14. Il motivo è assorbito,
dato che il giudice del rinvio dovrà procedere a nuova liquidazione del
danno, una volta accertati i presupposti. Va comunque tenuto presente che
"il danno esistenziale, non costituendo una categoria autonoma di
pregiudizio, ma rientrando nel danno non patrimoniale, non può essere
liquidato separatamente solo perché diversamente denominato, richiedendosi,
nei casi in cui sia risarcibile come danno non patrimoniale, che sussista da
parte del richiedente l'allegazione di elementi di fatto dai quali desumere
l'esistenza e l'entità del pregiudizio" (Cass. 16.2.2009 n. 3677).
15. Per i suesposti motivi,
rigettati il primo e secondo motivo del ricorso principale, va accolto il
terzo motivo e la sentenza di appello deve essere cassata in relazione al
motivo accolto. Ciò determina l'assorbimento dei due motivi del ricorso
incidentale. La causa deve essere rinviata alla Corte di Appello di Torino,
la quale provvederà anche sulle spese del grado di legittimità.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
riunisce i ricorsi; rigetta i primi due motivi del ricorso principale,
accoglie il terzo motivo, assorbito il ricorso incidentale; cassa la
sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le
spese, alla Corte di Appello di Torino.
Così deciso in Roma, nella
Camera di consiglio, il 7 luglio 2009.