DANNO ALLA PROFESSIONALITA' E' DANNO NON PATRIMONIALE (CIOE', ESISTENZIALE)
Corte
di cassazione, sez. lav. 26 maggio 2004 (ud. 10.11.2003), n. 10157 – Pres. Senese –
Rel. D’Agostino – Giuseppe M. (avv. Della Sciucca, Trioni) c. Autogrill
S.p.A. (avv. Biamonti, Prisco)
Danno
da demansionamento professionale – Costituisce, secondo il nuovo indirizzo
giurisprudenziale, danno non patrimoniale – Conseguente risarcimento
giudiziale mediante valutazione equitativa.
Il
danno alla professionalità attiene alla lesione di un interesse
costituzionalmente protetto dall'art. 2 della Costituzione, avente ad oggetto il
diritto fondamentale del lavoratore alla libera esplicazione della sua
personalità nel luogo di lavoro secondo le mansioni e con la qualifica
spettategli per legge o per contratto, con la conseguenza che i provvedimenti
del datore di lavoro che illegittimamente ledono tale diritto vengono
immancabilmente a ledere l'immagine professionale la dignità personale e la
vita di relazione del lavoratore, sia in termini di autostima e di eterostima
nell'ambiente di lavoro ed in quello socio familiare, sia in termini di perdita
di chances per futuri lavori di pari livello, determinando danni riconducibili
nell’ambito del danno non patrimoniale.
Secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte,
infatti, in forza di una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059
cod.civ., il danno non patrimoniale è comprensivo del danno biologico (inteso
come lesione dell'integrità psico fisica della persona secondo i canoni fissati
dalla scienza medica), del danno morale (tradizionalmente inteso come sofferenza
psichica e patema d'animo sopportati dal soggetto passivo dell'illecito) e della
lesione di interessi costituzionalmente protetti; infatti, secondo tale
giurisprudenza, nel vigente assetto dell'ordinamento, nel quale assume posizione
preminente la Costituzione, che all'art. 2 riconosce i diritti inviolabili
dell'uomo, il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia,
comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso una valore inerente alla persona,
che non si esaurisca nel danno morale e che non sia correlato alla qualifica di
reato del fatto illecito ex art. 185 c.p.; unica possibile forma di liquidazione
del danno privo delle caratteristiche della patrimonialità, ha ulteriormente
precisato la Corte, è quella equitativa, sicché la ragione del ricorso a tale
criterio è insita nella natura di tale danno e nella funzione del risarcimento
realizzato mediante la dazione di una somma di danaro che non è reintegratrice
di una diminuzione patrimoniale, ma compensativa di una pregiudizio non
economico (cfr., Cass. N. 8827 del 2003, Cass. N. 8828 del 2003).
Orbene,
secondo la richiamata giurisprudenza di questa Corte, la valutazione di siffatto
pregiudizio, per sua natura privo delle caratteristiche della patrimonialità,
non può che essere effettuata dal giudice che alla stregua di un parametro
equitativo, essendo difficilmente utilizzabili parametri economici o reddituali
(Cass. N. 8827 del 2003).
A
questi principi non si è attenuto il Tribunale di Milano, avendo quel giudice
negato il ricorso al criterio equitativo e preteso dal danneggiato la prova
specifica della diminuzione patrimoniale sofferta. Sotto questo profilo le
censure del ricorrente si mostrano fondate e devono essere accolte.
Svolgimento
del processo
Con
ricorso depositato l'8 settembre 1998 G.M. conveniva in giudizio avanti al
Pretore di Milano la soc. Autogrill s.p.a. ed esponeva:
-
che fino all'ottobre 1991 era stato direttore del negozio Motta Duomo di Milano
con qualifica di Quadro A;
-
che il 28 ottobre di quell'anno la società, adducendo una inesistente
incompatibilità ambientale derivante da un procedimento disciplinare in corso,
lo aveva trasferito al più piccolo esercizio Alemagna di via Manzoni, con
mansioni inferiori a quelle precedentemente svolte;
-
che aveva impugnato in sede giudiziaria sia il provvedimento disciplinare che il
trasferimento, e che tali atti erano stati dichiarati illegittimi con sentenza
passata in giudicato (sentenza del Tribunale di Milano n. 5638 del 1995
confermata dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 3207 del 1998);
-
che per le particolari condizioni di disagio in cui era stato costretto
dalla società, si era dimesso il 1 ottobre 1993 con effetto dal 31 dicembre
successivo;
-
che la situazione venutasi a creare a seguito dell'ingiusta dequalificazione
aveva avuto pesanti ripercussioni sulla sua salute (ipertensione, gastrite,
colite, depressione).
Tutto
ciò premesso il M. chiedeva la
condanna della società convenuta al risarcimento di tutti i danni subiti.
La
società si costituiva e si opponeva alla domanda.
Il
Pretore, disposta una consulenza tecnica medico legale, con sentenza n. 1685 del
1999 respingeva il ricorso.
L'appello
proposto dal lavoratore veniva respinto dal Tribunale di Milano con sentenza
depositata il 16 settembre 2000.
In
motivazione il Tribunale osservava che la consulenza tecnica disposta dal
Pretore era stata depositata in ritardo ma che tale ritardo non aveva comportato
alcuna nullità della sentenza di primo grado, in quanto la CTU non era un atto
di parte ma uno strumento di ausilio per il giudice; né il ritardo aveva
altrimenti inciso sui diritti di difesa, avendo il Pretore differito l'udienza
di discussione proprio per garantire al ricorrente la possibilità di esaminare
la relazione peritale e di controdedurre.
Rilevava
altresì che dalla relazione del CTU, ampiamente motivata, non risultava che il
M. avesse subito alcun danno biologico permanente, peraltro non comprovato da
alcuna certificazione medica, né avesse subito alcun danno biologico
temporaneo, essendosi il lavoratore assentato per soli 18 giorni per malattie
che non potevano essere messe in relazione con la lamentata dequalificazione.
Quanto
all'asserito danno alla professionalità ed alla asserita perdita di chances, il
Tribunale riteneva che il M. non avesse provato di aver subito un pregiudizio
patrimoniale dal trasferimento, non avendo dimostrato di aver ricercato
inutilmente, dopo le dimissioni, un posto di lavoro adeguato alla sua
professionalità e di non averlo trovato a causa della perdita di
immagine.
Per
la cassazione di tale sentenza G.M. ha proposto ricorso con tre motivi. La soc.
Autogrill s.p.a. resiste
con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Con
il primo motivo, denunciando violazione degli artt. 424, 154 e 159 c.p.c., il
ricorrente sostiene che il deposito della relazione peritale dopo la scadenza
del termine fissato dal Pretore, e non prorogato, comporta la nullità della CTU,
che si estende inevitabilmente anche alla sentenza che ne abbia tenuto conto.
Rileva che, a seguito della eccezione tempestivamente sollevata alla prima
udienza successiva alla scadenza del termine, il Pretore avrebbe dovuto
dichiarare la nullità della perizia e avrebbe dovuto disporne il rinnovo.
Con
il secondo motivo, denunciando violazione dell'art. 2103 cod. civ. nonché
omessa insufficiente e contraddittoria motivazione, il ricorrente lamenta che il
Tribunale ha escluso ogni voce di danno senza alcuna adeguata motivazione; in
particolare osserva che a seguito della dequalificazione professionale al
dipendente andava certamente riconosciuto sia il danno alla professionalità in
senso soggettivo, avendo l'illegittimo trasferimento leso il suo diritto
fondamentale alla libera esplicazione della personalità nel luogo di lavoro,
sia il danno alla professionalità in senso oggettivo, per la minore dimensione
e la minore importanza dell'unità produttiva di destinazione rispetto a quelle
dell'unità di provenienza e per l'irrimediabile impoverimento del
patrimonio professionale conseguente. Lamenta altresì il mancato riconoscimento
del danno all'immagine ed alla dignità del lavoratore, per le modalità
gravemente umilianti del trasferimento e per la perdita di autostima ed
eterostima, nonché il danno conseguente alla perdita di chances professionali,
sia nell'ambito della società, atteso che la direzione del negozio Motta Duomo
lo avrebbe proiettato ai vertici dell'azienda, sia sul mercato del lavoro,
attesa l'età ormai non più giovane del dirigente e la perdita di immagine
nell'ambiente professionale.
Con
il terzo motivo, denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione, il ricorrente lamenta che il Tribunale ha escluso il risarcimento
del danno biologico senza alcuna congrua motivazione ed ignorando i rilievi
critici mossi dall'appellante alla consulenza tecnica d'ufficio anche a mezzo di
una consulenza tecnica di parte.
In
controricorso la società ha eccepito la inammissibilità del ricorso sia perché
notificato a società inesistente (la Finanziaria Autogrill s.p.a. con sede a
Napoli, incorporata dalla Autogrill s.p.a. con sede in Novara con atto del 27
giugno 1997), sia perché l'impugnazione era stata notificata in Napoli alla
inesistente Finanziaria Autogrill e quindi consegnata a persone che non avevano
alcun riferimento con la Autogrill s.p.a., effettiva parte nel processo.
Dette
eccezioni, che vanno esaminate con precedenza per il loro carattere
pregiudiziale, sono infondate.
Questa
Corte ha di recente affermato che la citazione in giudizio di una società
incorporata in altra è nulla ai sensi degli artt. 163 terzo comma n. 2 e 164
c.p.c. per inesistenza della parte convenuta, poiché tale società, a seguito
della fusione per incorporazione, ai sensi dell'art. 2504 bis cod.civ, si
estingue e la società incorporante ne assume i diritti e gli obblighi;
tuttavia, ha soggiunto la Corte, la nullità resta sanata a seguito della
costituzione in giudizio della società incorporante, atteso che la "vocatio
in ius" di un soggetto non più esistente, ma nei cui rapporti, è pur
sempre succeduto un altro soggetto, non può considerarsi affetta da un vizio più
grave di quello cui è affetta la "vocatio" addirittura mancante della
indicazione della parte processuale convenuta, che è comunque sanabile con la
costituzione in giudizio di chi, malgrado il vizio, si è riconosciuto come
convenuto (Cass. N. 5716 del 2003; in senso conforme Cass. N. 1918 del 2000,
Cass. N. 7254 del 1999, Cass. N. 3967 del 1999).
A
non diverse conclusioni deve pervenirsi per quanto concerne la dedotta
irregolarità della notifica, perché effettuata a mani di persona non
riferibile alla società incorporante, atteso che anche in questo caso la
dedotta irregolarità comporta non già l'inesistenza, bensì la nullità della
notificazione, che resta sanata dalla costituzione in giudizio della parte (art.
160 e 156 comma 3 c.p.c.)( cfr. Cass. N. 1184 del 2001).
Passando
all'esame dei motivi del ricorso, devono essere disattese le censure proposte
con il primo motivo. Questa Corte ha già avuto modo di affermare che nel rito
del lavoro l'inosservanza da parte del consulente tecnico d'ufficio del termine
assegnatogli dal giudice per la presentazione della relazione scritta (termine
definito dalla norma non già "perentorio" bensì "non
prorogabile") non comporta alcuna nullità, quando il deposito avvenga
almeno dieci giorni prima della nuova udienza di discussione, conformemente al
disposto del terzo comma dell'art. 424 c.p.c., e comunque senza pregiudizio
del diritto di difesa (Cass. N. 3747 del 1995, nello stesso senso Cass. N. 3647
del 1989). Nella specie, come ha rilevato il Tribunale, non è configurabile
alcuna lesione del diritto di difesa comportante nullità degli atti, atteso che
il Pretore ha differito l'udienza di discussione proprio al fine di consentire
alle parti di esaminare la relazione peritale depositata in ritardo e dedurre in
merito.
I
restanti due motivi, che per la loro connessione è opportuno esaminare
congiuntamente, sono fondati solo in parte.
E'
pacifico tra le parti che il trasferimento del M.
dall'esercizio Motta Duomo al meno prestigioso e più piccolo Alemagna di
via Manzoni è stato dichiarato illegittimo per violazione dell'art. 2103
cod.civ. con sentenza .passata in giudicato. Nel presente giudizio si discute
quindi solo dei danni che il M. afferma
di aver subito in conseguenza di tale illecito.
Questa
Corte ha più volte affermato che l'allontanamento del lavoratore dal posto di
lavoro in precedenza attribuitogli e la sua assegnazione a mansioni diverse e di
minor qualificazione rispetto a quelle anteriori, se disposto per esigenze
estranee ad aspetti tecnici ed organizzativi o ricollegabili alle prestazioni e
qualità professionali del dipendente, non solo viola lo specifico divieto
dell'art. 2103 cod.civ., ma si traduce in lesione di un diritto fondamentale del
lavoratore avente ad oggetto la libera esplicazione -garantita dagli artt. 1 e 2
della Costituzione - della sua personalità anche nel luogo del lavoro, con la
conseguenza che il pregiudizio correlato a siffatta lesione, spiegandosi nella
vita professionale e di relazione dell'interessato, ha una indubbia dimensione
patrimoniale che lo rende suscettibile di risarcimento, per la cui
determinazione e liquidazione da parte del giudice, può trovare applicazione il
criterio equitativo ex art. 1226 cod.civ. (Cass. N. 13299 del 1992, Cass. N.
11727 del 1999).
Alla
stregua della suesposta giurisprudenza, pienamente condivisa dal Collegio,
spetta certamente al M., in
relazione all'accertato demansionamento professionale, il risarcimento dei danni
patrimoniali e non patrimoniali subiti.
Le
voci di danno prospettate dal M. quali
risultano dalle conclusioni riportate nella sentenza del Tribunale di Milano, si
riferiscono al danno da dequalificazione professionale (nel quale possono essere
ricompresi come specifici aspetti sia la perdita di chances che il danno
all'immagine) ed al danno biologico. Entrambe queste voci vanno ricondotte al
c.d. danno non patrimoniale.
Secondo
la più recente giurisprudenza di questa Corte, infatti, in forza di una lettura
costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cod.civ., il danno non patrimoniale
è comprensivo del danno biologico (inteso come lesione dell'integrità psico
fisica della persona secondo i canoni fissati dalla scienza medica), del danno
morale (tradizionalmente inteso come sofferenza psichica e patema d'animo
sopportati dal soggetto passivo dell'illecito) e della lesione di interessi
costituzionalmente protetti; infatti, secondo tale giurisprudenza, nel vigente
assetto dell'ordinamento, nel quale assume posizione preminente la Costituzione,
che all'art. 2 riconosce i diritti inviolabili
dell'uomo, il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia,
comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso una valore inerente alla persona,
che non si esaurisca nel danno morale e che non sia correlato alla qualifica di
reato del fatto illecito ex art. 185 c.p.; unica possibile forma di liquidazione
del danno privo delle caratteristiche della patrimonialità, ha ulteriormente
precisato la Corte, è quella equitativa, sicché la ragione del ricorso a tale
criterio è insita nella natura di tale danno e nella funzione del risarcimento
realizzato mediante la dazione di una somma di danaro che non è reintegratrice
di una diminuzione patrimoniale, ma compensativa di una pregiudizio non
economico (cfr., Cass. N. 8827 del 2003, Cass. N. 8828 del 2003).
Questi
principi, affermati dalla Corte in tema di responsabilità extracontrattuale
possono essere agevolmente applicati anche in tema di inadempimento
contrattuale, per la liquidazione dei danni conseguenti alla accertata
responsabilità contrattuale del datore di lavoro.
Ciò
premesso, va rilevato che nel caso di specie non sono fondate le censure che il
ricorrente, con il terzo motivo, muove alla sentenza impugnata per il mancato
riconoscimento del danno biologico. Il Tribunale di Milano, infatti, ha negato
al lavoratore il risarcimento chiesto a tale titolo sulla base delle conclusioni
della relazione del CTU nominato in primo grado che, per quanto riguarda il
danno biologico permanente, ha escluso nel periziato la presenza di lesioni
permanenti della integrità psicofisica direttamente riconducibili al lamentato
demansionamento, mentre, per quanto riguarda il danno biologico temporaneo, ha
rilevato che i 18 giorni di malattia documentati nel periodo 1991/1993
riguardavano infermità che nulla avevano a che fare con il trasferimento. Il
Tribunale, che non ha mancato di rilevare anche la mancata produzione da parte
dell'appellante di idonea documentazione medica risalente all'epoca dei fatti,
con riferimento ai danni permanenti, ha ritenuto dunque non provato
l'evento-danno, mentre con riguardo al danno biologico temporaneo ha ritenuto
che le malattie riscontrate all'appellante non erano in rapporto di derivazione
causale con l'inadempimento del datore di lavoro.
Queste
valutazioni del Tribunale costituiscono apprezzamenti di fatto che, per essere
congruamente motivati, si sottraggono ad ogni censura in sede di legittimità.
E' noto infatti che questa Corte, da un lato, ha ripetutamente affermato il principio
secondo cui il giudice di appello, il quale intenda aderire alle conclusioni del
consulente tecnico d'ufficio nominato dal Pretore, non ha l'obbligo di precisare
in modo specifico le ragioni di tale adesione, dato che in tal caso l'obbligo
della motivazione è assolto con l'indicazione della fonte dell'apprezzamento
espresso; dall'altro ha ritenuto che la deduzione con il ricorso per cassazione
di un vizio di motivazione della sentenza impugnata, per omessa errata o
insufficiente valutazione delle prove, non conferisce al giudice di legittimità
il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al
suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della
correttezza giuridica e della coerenza logica, delle argomentazioni svolte dal
giudice di merito (cfr. tra le tante S.U.
n. 13045 del 1997, Cass. n. 9716 del 2000, Cass. n. 6023 del 2000, Cass. n.
12422 del 2000, Cass. n. 5231 del 2001).
Sono
invece fondate le censure proposte con il secondo motivo di ricorso in ordine al
mancato apprezzamento da parte del Tribunale del danno da dequalificazione
professionale.
Come
si è già rilevato in precedenza tale danno attiene alla lesione di un
interesse costituzionalmente protetto dall'art. 2 della Costituzione, avente ad
oggetto il diritto fondamentale del lavoratore alla libera esplicazione della
sua personalità nel luogo di lavoro secondo le mansioni e con la qualifica
spettategli per legge o per contratto, con la conseguenza che i provvedimenti
del datore di lavoro che illegittimamente ledono tale diritto vengono
immancabilmente a ledere l'immagine professionale la dignità personale e la
vita di relazione del lavoratore, sia in termini di autostima e di eterostima
nell'ambiente di lavoro ed in quello socio familiare, sia in termini di perdita
di chances per futuri lavori di pari livello.
Orbene,
secondo la richiamata giurisprudenza di questa Corte, la valutazione di siffatto
pregiudizio, per sua natura privo delle caratteristiche della patrimonialità,
non può che essere effettuata dal giudice che alla stregua di un parametro
equitativo, essendo difficilmente utilizzabili parametri economici o reddituali
(Cass. N. 8827 del 2003).
A
questi principi non si è attenuto il Tribunale di Milano, avendo quel giudice
negato il ricorso al criterio equitativo e preteso dal danneggiato la prova
specifica della diminuzione patrimoniale sofferta. Sotto questo profilo le
censure del ricorrente si mostrano fondate e devono essere accolte.
In
definitiva deve essere accolto il secondo motivo di ricorso nei termini sopra
evidenziati, mentre vanno respinti il primo ed il terzo motivo di ricorso. La
sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa
rinviata per un nuovo esame ad altro giudice, designato in dispositivo, che
provvedere anche al regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La
Corte accoglie per quanto di ragione il secondo motivo del ricorso e rigetta gli
altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia,
anche per il regolamento delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte di
Appello di Torino.
Cosi
deciso in Roma il 10 novembre 2003 (depositata il 26.5.2004)
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