L'anno nero
del diritto del lavoro: bilancio consuntivo e preventivo*
di Giovanni Cannella
Uno dei tentativi più pericolosi ed evidenti di
smantellamento dello Stato sociale, ma direi anche dello Stato di diritto, si è
manifestata nell'ultimo anno, da quando si è insediato il governo Berlusconi,
con l'attacco senza precedenti ai diritti dei lavoratori.
Esaminerò nella mia
relazione, per sommi capi, la normativa realizzata e progettata in materia di
lavoro, per poi valutare le prospettive, una sorta di bilancio preventivo per
il prossimo anno, dopo il pessimo bilancio consuntivo di quest'anno.
Con riguardo alla
normativa realizzata, la legge più importante è il d.lgs. n. 368/2001, che ha
portato al limite estremo il processo di "liberalizzazione" dei
contratti a termine, già cominciato con i governi di centro-sinistra.
Il provvedimento abolisce
i limiti specifici predeterminati per legge, inserendo l'unico generico limite
delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo;
non prevede la conversione del rapporto in assenza di tali ragioni oggettive
ovvero in caso di adibizione a mansioni diverse da quelle specificate
all'origine, né in caso di contratti ripetuti intervallati da 10 o 20 giorni;
elimina il limite massimo dei lavoratori a termine che possono essere assunti
per le imprese di nuova costituzione, per le lavorazioni stagionali, per le
punte di attività, per i contratti non superiori a sette mesi, per determinate aree
geografiche.
Il governo ha affermato
che il provvedimento era necessitato, perché in attuazione di una direttiva
comunitaria: ma si tratta di un inganno.
La direttiva 1999/70/CEE,
infatti, prevede espressamente (clausola 8) che gli stati membri possono
mantenere o introdurre disposizioni più favorevoli per i lavoratori: quindi non
è vero che il governo era costretto ad attuare la direttiva se meno favorevole
alla disciplina precedente. Al contrario la direttiva vieta modificazioni
peggiorative, stabilendo che "l'applicazione del presente accordo non
costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto
ai lavoratori nell'ambito coperto dall'accordo stesso" (clausola 8, punto
3). E non vi è dubbio che la legge sia peggiorativa della precedente normativa
italiana sui contratti a termine, sia con riguardo alle singole clausole che
con riferimento all'istituto nel suo complesso, per le ragioni già dette.
Per di più la legge viola
la stessa direttiva non prevedendo ad esempio la durata massima dei contratti a
termine e il numero massimo dei rinnovi consentiti (clausola 5) e soprattutto
smentendo con la specifica disciplina adottata il principio, confermato nella
direttiva, secondo cui il rapporto a tempo indeterminato rimane la regola,
mentre il rapporto a termine è l'eccezione (vedi il preambolo: "…i
contratti a tempo indeterminato sono e continueranno ad essere la forma comune
dei rapporti di lavoro…"). Deve ritenersi, inoltre, che la direttiva
impegnava gli stati membri ad indicare specificamente le ragioni oggettive che
potessero giustificare il ricorso ai contratti a termine e che non sia quindi
legittimo il generico riferimento a "ragioni di carattere tecnico,
produttivo, organizzativo o sostitutivo".
Vi sono quindi elementi
che potrebbero consentire di annullare o disapplicare giudizialmente le nuove
disposizioni, ma certamente la legge segna la strada per un ulteriore generale
precarizzazione del mondo del lavoro.
Tra le altre riforme
realizzate dal governo Berlusconi va segnalato l'art. 3 Legge 23 aprile 2002,
n. 73, che è passato quasi inosservato e che ha l'effetto, nel caso di
riemersione dal lavoro "nero", di dimezzare lo Statuto dei
lavoratori, escludendo per un triennio i lavoratori "emersi" dal
computo dei limiti numerici di unità di personale previsti da leggi e contratti
collettivi di lavoro ai fini dell’applicazione di specifiche normative ed
istituti, ad eccezione delle disposizioni in materia di licenziamenti
individuali e collettivi. Ciò può comportare ad esempio l'esclusione di alcuni
diritti, come il diritto di assemblea, di permessi sindacali, di costituire
rappresentanze sindacali, ecc.
Ma il bilancio
dell'ultimo anno è negativo soprattutto per le riforme progettate, che
rimettono in discussione l'intera struttura del diritto del lavoro.
Come è noto il governo
nell'ottobre scorso ha presentato il famoso Libro bianco e il 15 novembre il
Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge sul mercato del lavoro,
che realizza in più punti, ma non integralmente, il progetto contenuto nel
Libro bianco, e che è stato al centro dell'attenzione negli ultimi mesi
soprattutto per l'attacco diretto all'art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Il
disegno di legge, che conteneva ben undici deleghe, è stato presentato al
Senato (S/848) e il suo esame presso la XI Commissione lavoro sta finendo
proprio in questi giorni. Proprio la settimana scorsa l'Aula, a seguito del
noto accordo tra Governo e Cisl e Uil, ha deciso lo stralcio degli artt. 2, 3,
10 e 12, e cioè le deleghe in materia di incentivi all'occupazione,
ammortizzatori sociali, art. 18 ed arbitrato. Si tratta, peraltro, di uno
stralcio provvisorio fino al 31 luglio, termine finale previsto per le
trattative con i sindacati, scaduto il quale il governo, in assenza di accordo,
ripresenterà le stesse norme in un separato disegno di legge (peraltro, a
quanto pare, non più in forma di "delega" e quindi con la conseguente
anticipazione dei suoi possibili effetti).
Del disegno di legge
delega sul mercato del lavoro si è parlato molto in questi mesi e quindi mi
limiterò ad una rapida sintesi degli aspetti più negativi e pericolosi,
soffermandomi poi sulla disciplina prevista per il lavoro autonomo e per i c.d.
cococo (collaboratori coordinati e continuativi), sia perché se ne è parlato
poco, sia perché ciò mi consente di collegarmi alla parte finale della mia
relazione e cioè alle prospettive del diritto del lavoro (al bilancio
preventivo), rivolte alla tutela anche dei lavori solo economicamente
subordinati.
La delega che ha prodotto
maggiori reazioni è ovviamente quella relativa ai licenziamenti, che prevede in
via sperimentale, per quattro anni prorogabili, la deroga alla sanzione della
reintegrazione nel posto di lavoro nel caso di licenziamento privo di giusta
causa o di giustificato motivo nei casi di riemersione dal "lavoro
nero", trasformazione del rapporto da tempo determinato a tempo
indeterminato limitatamente alle regioni del mezzogiorno, crescita dimensionale
delle imprese minori.
Sulla questione si è
detto e scritto molto ed è inutile ripetersi. La contrarietà alla proposta può
riassumersi così: senza lo scudo dell'art. 18 di fatto il lavoratore non fa
valere i propri diritti, né individuali nè collettivi, nel corso del rapporto
per paura di essere licenziato ed è quindi soggetto a qualsiasi abuso da parte
del datore di lavoro, come avviene per tutti i rapporti precari o a termine.
Il disegno di legge
tende, poi, ad attuare una sempre maggiore "privatizzazione" del sistema
del collocamento, secondo il principio che ciò che è privato è positivo mentre
l'intervento statale è deleterio, e non solo in tema di mediazione tra domanda
e offerta, ma anche di "attività di servizio", e quindi di politiche
attive e preventive, "in un regime di competizione e concorrenza tra i
servizi pubblici e gli operatori privati autorizzati" (relaz. pag. 6),
relegando in realtà l'intervento pubblico a compiti di mera registrazione (va
rilevato che, sulla base di tali principi, l'11.4.2002 il Cdm ha già approvato
un disegno di legge in materia, anticipando in sostanza l'iter del disegno di
legge delega).
Si prevede poi
l'abrogazione della legge n. 1369/60 in tema di divieto di intermediazione di
mano d'opera, ammettendo quindi, con il ritorno al vecchio
"caporalato", l'appalto di mere prestazioni di lavoro, quando
sussista una ragione tecnica, organizzativa o produttiva, individuata dalla
legge o dai contratti collettivi nazionali o territoriali, con il sostanziale
svuotamento del divieto, aprendo, fra l'altro, la strada ad una
diversificazione territoriale della disciplina dell'intermediazione.
In ordine all'art. 2112
c.c. (trasferimento d'azienda) si propone l'eliminazione del requisito
dell'autonomia funzionale del ramo d'azienda preesistente al trasferimento. La
previsione è davvero poco chiara, perché l'eliminazione del requisito rende la
fattispecie estranea al concetto di ramo d'azienda, mentre è molto chiara
l'intenzione, e cioè di consentire il trasferimento di singoli lavoratori da
un'azienda all'altra senza alcun limite e senza il loro consenso (relaz. pag.
10).
Sono previsti incentivi
all'occupazione anche finanziari, ma "senza oneri aggiuntivi per il
bilancio dello Stato": è evidente quindi che gli esborsi necessari
andranno sottratti ad altre voci di bilancio, presumibilmente soprattutto CIG, lavori
socialmente utili e indennità di mobilità. Ciò non sembra comportare un
complessivo aumento delle tutele neppure nel mercato, tanto sbandierato nel
Libro bianco (il Governo ha promesso, tuttavia, di rivedere la proposta,
prevedendo "oneri aggiuntivi"). Si prevedono interventi finanziari ma
anche di altra natura in caso di nuova assunzione con graduazioni in rapporto
alle caratteristiche soggettive e al grado di svantaggio occupazionale delle
diverse aree territoriali: in sostanza deroghe a norme generali, in materia
retributiva e normativa, in certe aree territoriali "svantaggiate".
In ordine agli ammortizzatori
sociali (anche essi "senza oneri aggiuntivi per il bilancio dello
Stato") si prevede la ridefinizione delle condizioni soggettive per la
continuità nel godimento delle prestazioni erogate, legandola alla ricerca
attiva del lavoro e alla disponibilità ad accettare offerte o partecipare a
interventi formativi. Al riguardo, se in astratto può essere accettabile l'idea
di creare incentivi alla formazione e all'occupazione effettiva e non puramente
assistita, va osservato che le condizioni indicate si prestano ad abusi per la
difficile valutazione del comportamento del singolo lavoratore.
Si consente inoltre
qualsiasi forma flessibile ed elastica del part-time verticale o misto, e cioè
modifiche della ripartizione settimanale e giornaliera dell'orario di lavoro
anche comunicate dal datore di lavoro giorno per giorno o addirittura
"attimo per attimo" come nel caso del "lavoro intermittente",
di cui si dirà, anche solo con il consenso del lavoratore in caso di assenza
dei contratti collettivi e a fronte di una maggiorazione retributiva. In questa
corsa all'eliminazione di ogni vincolo la delega consente l'esclusione di
limiti al lavoro supplementare per il part-time orizzontale anche per casi e
modalità fissate dai sindacati, ma anche qui con il semplice consenso del
lavoratore in carenza dei contratti collettivi. E' prevista inoltre
l'estensione di forme flessibili ed elastiche al part-time nei rapporti a
termine e l'integrale estensione del part-time al settore agricolo.
Discorso a parte meritano
le disposizioni del disegno di legge delega che incidono sulla giurisdizione.
Proprio in materia di
Stato sociale, l'indipendenza e l'autonomia dei magistrati, sia rispetto
all'esecutivo che ai vertici della magistratura, ha consentito un'opera di
stimolo per la realizzazione di normative più eque e conformi ai principi
costituzionali. In campo previdenziale ed assistenziale ad esempio si è potuta
realizzare un'accettabile rete di tutele anche grazie alle innumerevoli
eccezioni di incostituzionalità sollevate dai pretori, spesso in contrasto con
orientamenti consolidati della Cassazione. Ciò non fu possibile prima del pieno
funzionamento del Csm e delle riforme della carriera dei magistrati degli anni
'60, che eliminarono i concorsi interni, pesantemente condizionati dai vertici
della magistratura ed indirettamente dall'esecutivo. Ciò non sarebbe più
possibile con la riforma progettata che reintroduce sostanzialmente quel
controllo e quel condizionamento e che ha indotto i magistrati a proclamare lo
sciopero.
L'intenzione è di mettere
in qualche modo "sotto controllo" la magistratura, peraltro in
contrasto con l'assetto costituzionale di equilibrio tra i poteri dello Stato,
attribuendo alla Corte di Cassazione la funzione di vertice della magistratura
idoneo ad incidere profondamente sugli sviluppi di carriera di ogni singolo
magistrato, con un ritorno in tal modo al sistema degli anni '50, quando la
magistratura era completamente asservita al potere politico.
In questo quadro si pone
la volontà del Governo di marginalizzare l'intervento del giudice del lavoro
(già espressa nel Libro bianco), con interventi idonei a ridurne la funzione di
tutela dei lavoratori differente e più incisiva, allo scopo di riequilibrare lo
svantaggio di partenza del lavoratore rispetto al datore di lavoro.
Ciò si vuole realizzare
nel disegno di legge delega soprattutto con la proposta di un libero ricorso
all'arbitrato (norma attualmente stralciata) senza i vincoli attualmente
previsti a tutela dei lavoratori per evitare gli abusi che potrebbero derivare
dalla rinunciabilità di diritti inderogabili. Sarebbe consentito l'arbitrato
anche se non previsto dai contratti collettivi e con giudizio secondo equità,
anche in violazione di norme inderogabili di legge e degli accordi sindacali,
impugnabile solo per vizi procedimentali. E' evidente che la proposta mette in
grave pericolo l'intera struttura di garanzia del rapporto di lavoro,
nonostante la formale "volontarietà" del ricorso agli arbitri: il
lavoratore, pur di essere assunto, sarà portato a sottoscrivere clausole
compromissorie ad uso e consumo del datore di lavoro, senza alcuna garanzia,
che potrebbe derivare dall'intervento dei sindacati ad esempio in ordine alla
composizione genuina e davvero "terza" del collegio.
Nella stessa direzione va
la delega relativa alla "certificazione", e cioè l'accertamento
assistito all'inizio del rapporto della sua natura, autonoma o subordinata.
Proprio in questi giorni la Commissione lavoro del Senato ha apportato alla
proposta modifiche peggiorative (passate senza alcuna discussione neanche da
parte dell'opposizione), attribuendo "piena forza legale al contratto
certificato", escludendo addirittura la possibilità di ricorso in giudizio
se non in caso di difformità tra "programma realizzato" e
"programma concordato" e quindi non nell'ipotesi di errore iniziale
della qualificazione (si tratta di una disposizione palesemente incostituzionale,
essendo sottratta al legislatore e quindi a maggior ragione alle parti la
possibilità di qualificare come autonomo un rapporto sostanzialmente
subordinato), prevedendo come condizione di procedibilità giudiziale il
preventivo esame della controversia da parte dell'organo preposto alla
certificazione, sancendo non la semplice possibilità, ma l'obbligo del giudice
di accertare anche le dichiarazioni e il comportamento tenuto dalle parti in
sede di certificazione.
E' facile quindi
immaginare cosa succederà con l'approvazione di tale disposizione: il
lavoratore difficilmente potrà sottrarsi alla "certificazione"
all'inizio del rapporto (per lavorare spesso si accetta qualsiasi condizione),
mentre la formula della procedura ed anche lo stesso termine usato "certificazione",
che dà un connotato quasi legale all'accertamento effettuato,
costituiscono un notevole freno anche psicologico alla contestazione
successiva, sia con riferimento alla correttezza della definizione data,
peraltro preclusa dall'ultima modifica, sia nell'ipotesi in cui le concrete
modalità del rapporto si siano poi svolte in maniera difforme da quelle
indicate nella "certificazione".
La delega sulla
"certificazione" introduce il tema del lavoro autonomo coordinato e
continuativo, perché è evidente che la disposizione rischia di far aumentare
notevolmente i rapporti sostanzialmente subordinati, ma formalmente coordinati
e continuativi, con cui possono facilmente confondersi, con conseguente aumento
anche sotto questo profilo della precarizzazione del mondo del lavoro.
Del lavoro autonomo il
disegno di legge se ne occupa direttamente nell'art. 8 in tema di lavoro a
chiamata, temporaneo, coordinato e continuativo, occasionale, accessorio o a
prestazione ripartita.
Si è già accennato al lavoro
a chiamata o intermittente, che consentirebbe al committente o al datore di
lavoro di chiamare il lavoratore solo in caso di necessità di volta in volta in
modo discontinuo in cambio di un'indennità di disponibilità, non meglio
precisata, oltre alla retribuzione proporzionale all'attività svolta, indennità
peraltro esclusa nell'ipotesi di previsione dell'assenza di un obbligo a
rispondere alla chiamata. La delega non indica alcun limite, né in ordine al
preavviso di chiamata né in ordine alla durata della disponibilità nella
giornata, nella settimana, nel mese, nell'anno. L'unico limite indicato
riguarda la "individuazione" della fattispecie da parte della
contrattazione collettiva, ma prevedendo l'intervento "in via
provvisoriamente sostitutiva" del ministro del lavoro e comunque la
sperimentazione, indipendentemente dalla previsione della contrattazione
collettiva, per i disoccupati con meno di 25 anni o più di 45. Così come
genericamente configurato tale rapporto impedirebbe al lavoratore qualsiasi
organizzazione dei propri tempi, essendo continuamente "esposto" alle
chiamate dal datore di lavoro con una pesantissima disgregazione delle normali
condizioni di vita.
La delega non specifica
se il rapporto in questione debba essere configurato come lavoro autonomo o
subordinato. Tuttavia la relazione di accompagnamento precisa che l'intervento
legislativo tende ad "…inquadrare questo fenomeno non tanto come
sottospecie del part time, bensì come ideale sviluppo del lavoro
temporaneo tramite agenzie, da inquadrarsi non necessariamente nello schema del
lavoro subordinato". Il cerchio quindi si chiude: prima si tende a rendere
il rapporto part time sempre più "libero", sottraendolo ai
vincoli attualmente esistenti e autorizzando sempre più "clausole
elastiche e flessibili", poi si isola l'ipotesi più estrema del part
time, nella quale la durata, la dislocazione temporale e la frequenza della
prestazione è rimessa alla scelta unilaterale del datore di lavoro, trasformandola
in un tipo di rapporto distinto, infine si ipotizza che un rapporto così
configurato può anche essere autonomo (evidentemente non solo nell'ipotesi in
cui non vi sia l'obbligo di rispondere alla chiamata), esponendo in tal modo il
lavoratore al rischio di perdere anche le altre tutele del lavoratore subordinato,
magari mediante lo strumento della "certificazione".
La delega si occupa del lavoro
temporaneo solo per provvedere ad un'ulteriore estensione delle ipotesi di
lavoro atipico, con ulteriore aumento quindi della precarietà (in sede di
commissione è stata aggiunta la previsione della forma scritta). Si prevede,
infatti, la possibilità di soddisfare le quote obbligatorie di assunzione dei
disabili ed assimilati anche con contratto a termine o con rapporto temporaneo,
rendendo precarie ed incerte le prospettive lavorative di una categoria di
lavoratori particolarmente sensibile ed esposta anche sotto il profilo
psicologico. Si stabilisce inoltre la completa estensione al settore agricolo
del lavoro temporaneo tramite agenzia.
La delega si occupa brevemente
delle collaborazioni coordinate e continuative con poche indicazioni, che
creano però dubbi interpretativi ed impressioni contraddittorie. Da un lato,
infatti, la delega sembra prevedere lodevolmente delle tutele a favore dei
collaboratori (e si tratterebbe forse dell'unico settore nel quale le tutele
del rapporto verrebbero aumentate invece che diminuite), dall'altro le
previsioni sembrano riferirsi ad ipotesi limitate e si intravede un'ulteriore
operazione di spostamento di fattispecie dal lavoro subordinato a quello
autonomo.
Ma andiamo con ordine. La
delega si prefigge in primo luogo di identificare dei "criteri temporali
di durata della prestazione e/o economici di ammontare del corrispettivo"
al fine di distinguere i collaboratori coordinati e continuativi dalle
collaborazioni meramente occasionali. La relazione di accompagnamento chiarisce
che si vuole "…ricondurre nell'alveo delle collaborazioni coordinate e
continuative tutte quelle forme di collaborazione che sono caratterizzate da
una lunga durata e/o da compensi di un certo rilievo".
L'intenzione è quindi
chiara: si intende modificare l'attuale assetto normativo dei collaboratori
continuativi, che potranno essere considerati tali solo se il contratto prevede
una "lunga durata" o almeno un compenso di un "certo
rilievo", posto quale requisito alternativo e non aggiuntivo
("e/o"). Quindi sarebbero esclusi da questa categoria gli attuali
collaboratori coordinati che svolgono attività continuativa, ma non abbastanza
"lunga" o con compensi non troppo alti. Questi collaboratori
diventerebbero "occasionali" per legge e sarebbero esclusi da
qualsiasi tutela, sia quelle attualmente esistenti (previdenza, infortuni,
malattia, maternità), sia quelle "nuove" previste dal disegno di legge
delega. La disposizione è davvero "sorprendente" soprattutto con
riferimento al compenso di un "certo rilievo", perché potrebbe
determinare da un lato l'attribuzione di tutele proprio a quei collaboratori
che meno ne hanno bisogno, perché dotati di un sufficiente potere contrattuale
idoneo ad ottenere compensi di un "certo rilievo", come ad esempio
gli amministratori di società, dall'altro l'esclusione di qualsiasi tutela,
anche quelle attuali e compresa la tutela processuale esclusa per i lavoratori
occasionali, per quei collaboratori che più ne hanno bisogno, perché costretti
a compensi insufficienti.
La seconda disposizione
(art. 8 lett. c2) riguarda la "riconduzione della fattispecie ad uno o più
progetti o programmi di lavoro o fasi di esso". La norma, se esaminata
alla lettera, potrebbe creare due equivoci. Il primo è che tutte le
collaborazioni coordinate e continuative vadano ricondotte "ad uno o più
progetti o programmi di lavoro o fasi di esso". Pertanto, a contrario,
quelle prestazioni che non possono per loro natura essere configurate con
riferimento ad un programma o ad un progetto predeterminato all'inizio del
rapporto o di ogni fase dovrebbero essere escluse dalla categoria dei
collaboratori coordinati e continuativi ed esclusi quindi dalle attuali (e
future) tutele. Si tratterebbe della maggior parte degli attuali collaboratori,
dai pony express agli addetti ai call center, dagli
amministratori di condominio ai collaboratori dei giornali, ecc. (si spera
davvero che sia solo un equivoco!). Il secondo è che tutte le prestazioni a
progetto o a programma debbano essere considerate autonome per legge (anche a
prescindere dalla "certificazione"), con una norma ancora una volta
in contrasto con il principio costituzionale di indisponibilità anche da parte
del legislatore della qualificazione del rapporto, di cui si è detto.
La terza disposizione
prevede opportunamente "tutele fondamentali a presidio della dignità e
della sicurezza dei collaboratori". Va osservato, peraltro, in primo luogo
che, sulla base del combinato disposto delle disposizione esaminate, il campo
di applicazione di tali nuove tutele appare molto limitato. Si riferisce,
infatti, solo ai collaboratori a progetto o a programma e tra questi solo a
quelli con prestazioni non occasionali, nel senso estensivo che si è visto
sopra. Va considerato poi che proprio il lavoro relativo ad un singolo progetto
può essere considerato occasionale, o comunque escluso dal concetto di
prestazione coordinata e continuativa, per difetto del requisito della
continuità. Inoltre le ipotesi tradizionali dei lavori a progetto riguardano le
attività svolte da professionisti iscritti ad albi o ordini professionali
(architetti, ingegneri, ecc.), che non sono compresi tra i "cococo".
Considerando quindi
congiuntamente le varie disposizioni sembra che rimanga ben poco degli attuali
"cococo": non i pony express o gli addetti ai call center,
perché il loro compenso è di ben scarso rilievo, ma neppure gli amministratori
di società perché la loro attività è difficilmente riferibile ad un progetto o
ad un programma. Ed allora chi rimane? Forse gli attuali "cococo"
saranno sostituiti, con il sistema della "certificazione", da attuali
dipendenti sospinti verso l'autonomia. Se le cose stanno così, l'esame delle
tutele previste nella delega ha ad oggetto non tanto più diritti per i
collaboratori, bensì per esclusione meno diritti per gli ex dipendenti
diventati autonomi.
Vediamo in ogni caso
quali sono queste "nuove" tutele. La norma originaria (art. 8 lett.
c3) non le indicava, limitandosi a parlare di "tutela fondamentale a
presidio della dignità e della sicurezza dei collaboratori, anche nel quadro di
intese collettive", ma in commissione è stata aggiunta la frase "con
particolare riferimento alla maternità, malattia o infortunio", senza
peraltro chiarire se si intende incrementare la tutela già prevista per tali
eventi. I lavori preparatori chiariscono, d'altra parte, che non si intende
prevedere un intervento legislativo "pesante", ma che anzi la
tipizzazione della forma contrattuale è "finalizzata ad assicurare il
conveniente esercizio dell'autonomia contrattuale delle parti". La legge
dovrebbe limitarsi a chiarire alcuni diritti fondamentali: i lavori preparatori
ne indicano alcuni, e cioè il compenso proporzionato alla quantità e qualità
del lavoro, la previsione di pause settimanali ed annuali (non si parla di
pause giornaliere si spera solo per una dimenticanza), oltre alle già citate
garanzie in caso di malattia, gravidanza e infortunio.
La delega tipizza il lavoro
occasionale ed accessorio, con particolare riferimento a opportunità di
assistenza sociale, rese a favore di famiglie e di enti "senza fine di
lucro" (modifica in commissione), da disoccupati di lungo periodo, altri
soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel
mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscirne, ma anche come generale
fattispecie. Il rapporto verrebbe "regolarizzato" attraverso la
tecnica di buoni corrispondenti a un certo ammontare di attività lavorativa. A
parte il carattere "grottesco" del ricorso a buoni lavoro "da
comprare dal tabaccaio" (Alleva), va osservato che la previsione
esaminata, integrata dall'ampliamento a dismisura del concetto di "lavoro
occasionale", di cui si è detto sopra, e dal solito rinvio alla
"certificazione" del tipo di rapporto, comporta non solo la
possibilità per i datori di lavoro di sottrarsi, per un buon numero di rapporti
attualmente subordinati o quantomeno coordinati o continuativi, agli obblighi
propri del rapporto subordinato o alle poche tutele concesse ai collaboratori,
ma addirittura di liberarsi dell'obbligo del normale compenso spettante al
lavoratore occasionale con il rilascio di un semplice "buono".
L'art. 8 prevede, infine,
l'ammissibilità di prestazioni ripartite fra due o più lavoratori (c.d. job
sharing), obbligati in solido nei confronti di un datore di lavoro, per
l'esecuzione di un'unica prestazione lavorativa. La norma sembra mantenere la
fattispecie nell'ambito del rapporto subordinato, anche se il venir meno del
carattere strettamente personale della prestazione rischia di far evolvere tale
rapporto verso forme di autonomia. D'altra parte un'analoga disposizione è
contenuta nel disegno di legge Smuraglia (art. 3), che riguarda i lavoratori
"atipici" non subordinati. Non vi è dubbio in ogni caso che la
previsione è analoga al lavoro a chiamata sotto il profilo dell'incertezza del
singolo lavoratore sulla durata della prestazione settimanale o giornaliera e
quindi nella vita di relazione, essendo sempre esposto alla necessità di
sostituire l'altro lavoratore.
Complessivamente quindi
la riforma proposta produce un'ulteriore riduzione delle tutele, spostando
alcune categorie di lavoratori subordinati verso il lavoro autonomo, limitando
il campo di applicazione delle tutele attualmente esistenti per i cococo,
riservando pochi nuovi diritti a categorie limitate di autonomi, forse a chi ne
ha meno bisogno.
La proposta non risolve
certo, quindi, il problema della tutela dei "nuovi lavori", che
costituisce la nuova frontiera del diritto del lavoro e che esaminerò
nell'ultima parte della mia relazione.
Una parte della dottrina
ha ritenuto e ritiene che le trasformazioni in atto comportano la necessità di
ripensare completamente l'attuale diritto del lavoro, riscrivendo in
particolare la relazione esistente tra rapporto autonomo e subordinato. In
sostanza, sul presupposto da molti condiviso, che ormai ampi settori di lavoro
autonomo si trovano in condizioni analoghe al rapporto dipendente, a causa
della sostanziale subordinazione dal punto di vista economico e funzionale,
occorre in qualche modo rendere più omogenee le tutele, rendendo meno
esasperato il confine tra le due figure. Si è cominciato a parlare quindi da
alcuni anni di "Statuto dei lavori", intendendo con ciò la
prospettiva di fissare delle tutele comune per tutti i lavori, autonomi o
subordinati, a cui aggiungere poi specifiche tutele per i lavori "più
vincolati". D'altra parte verso questa prospettiva spinge l'art. 35 della
Costituzione, che tutela il lavoro "in tutte le sue forme e applicazioni",
con ciò implicando la necessità di uno "zoccolo duro" di diritti
fondamentali per tutti i lavoratori.
Non è possibile
ripercorrere in questa sede la storia dell'evoluzione dottrinaria in materia
(dagli studi della Confindustria del '96 agli scritti di Ichino, D'Antona e
Alleva, ecc.). Mi limiterò, pertanto, ad esaminare i più importanti progetti
attualmente all'attenzione dei giuristi, partendo dal noto Libro bianco, che è
certamente il più importante, essendo proposto dal governo in carica che ha i
numeri per realizzarlo. Si esamineranno poi, negli aspetti essenziali, i
progetti alternativi più importanti, e cioè Smuraglia (che, dopo alcune
modifiche, lo ha poi ripudiato), Alleva e Amato-Treu.
Il Libro bianco del
ministro Maroni critica il "progetto Smuraglia", affermando che non
può essere condiviso l'approccio di "estendere rigidamente l'area delle
tutele senza prevedere alcuna forma di rimodulazione all'interno del lavoro
dipendente". Viene proposto quindi lo "Statuto dei lavori", e
cioè un nucleo essenziale di norme e di principi inderogabili comuni a tutti i
rapporti di esecuzione di attività lavorativa in qualunque forma prestata,
richiamando i diritti fondamentali contenuti nella dichiarazione della
Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) e la Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione europea di Nizza. Le ulteriori tutele dovrebbero,
invece, essere graduate e diversificate in base alle materie e non ai tipi
contrattuali, lasciando ampio spazio all'autonomia collettiva e individuale. I
diritti inderogabili comuni dovrebbero essere: tutela delle condizioni di
salute e sicurezza, tutela della dignità e libertà del prestatore di lavoro,
abolizione del lavoro minorile, eliminazione di ogni forma di discriminazione
nell'accesso al lavoro, diritto ad un compenso equo, diritto alla protezione
dei dati sensibili, diritto di libertà sindacale. Può notarsi che i diritti
indicati solo alcuni di quelli contenuti nella Carta di Nizza e quindi il
riferimento alla Carta è contraddittorio: si tratta peraltro di diritti già in
gran parte riconosciuti al lavoro "parasubordinato" e quindi il
vantaggio per tali lavori, se così individuato, appare molto limitato.
Il disegno di legge
Smuraglia, approvato nel febbraio 1999 dal Senato nella passata legislatura, è
stato riproposto nella legislatura attuale al Senato, in due distinti disegni
di legge, il n. 629 (primo firmatario Ripamonti dei Verdi) e il n. 869 (primo
firmatario Montagnino della Margherita), peraltro pressocchè identici. Il
disegno di legge nell'ultima versione riguarda i collaboratori continuativi con
"prestazione personale", a cui vengono estesi alcuni diritti del
lavoratore subordinato, come la libertà di opinione, il diritto alla
riservatezza, il diritto alla parità di trattamento per sesso, il diritto ad un
equo compenso, il diritto alla sicurezza e all'igiene, il diritto di
associazione sindacale e di partecipare alle assemblee delle RSU, ecc. Il
contratto deve essere stipulato in forma scritta a pena di sanzioni pecuniarie.
Il progetto Amato-Treu
prevede tre cerchi concentrici: 1) lo statuto generale dei lavoratori, che
riguarda tutti i prestatori d'opera con apporto prevalentemente personale,
comprese particolari figure di prestatori come i soci d'opera, chi frequenta
corsi di formazione o addestramento, ecc. e che attribuisce alcuni diritti
generali, come il diritto alla libera manifestazione del pensiero, alla
riservatezza, alla non discriminazione, alla cura delle esigenze familiari,
alla salute e alla sicurezza, ad un equo trattamento pensionistico; 2) lo
statuto dei lavoratori economicamente dipendenti, che riguarda in sostanza i
collaboratori coordinati e continuativi, ma in una definizione più estensiva
rispetto al progetto precedente e cioè con prestazione "prevalentemente
personale", che attribuisce ulteriori diritti, come il compenso equo e
proporzionato, il diritto ad astenersi dal lavoro in caso di malattia e
gravidanza, percependo il compenso o un'indennità previdenziale, il diritto ad
un'indennità in caso di recesso ingiustificato, la previsione dell'inefficacia
del recesso verbale, il diritto di partecipare ad assemblee sindacali, il
diritto di sciopero, ecc. 3) lo statuto dei lavoratori subordinati, che
mantengono sostanzialmente gli attuali diritti, aggiungendo, ma con disposizioni
essenzialmente programmatiche, alcune tutele in tema di informazione,
apprendimento e reddito in caso di disoccupazione.
Il progetto Alleva
rovescia invece l'impostazione, abolendo sostanzialmente l'attuale differenza
tra lavoro autonomo e subordinato, con un'operazione rivoluzionaria degli
attuali assetti civilistici. In base a tale progetto non esisterebbe più il
rapporto subordinato, ma il "rapporto per conto terzi", a cui
verrebbero applicate tutte le attuali disposizioni relative al rapporto
subordinato, a meno che le parti non sottoscrivano un patto, che preveda come
oggetto della prestazione "uno o più progetti di attività…funzionalmente
coordinati all'organizzazione datoriale, da realizzarsi secondo modalità
esecutive determinate dallo stesso lavoratore o, comunque, non modificabili
senza il suo consenso". In tal caso, per sottrazione, verrebbero esclusi
alcuni diritti incompatibili con le modalità "autonome" della
prestazione, come quelli relativi all'orario di lavoro, alle sanzioni
disciplinari, alle tecniche di retribuzione a tempo, ecc.
Non è possibile per
ragioni di spazio una compiuta valutazione dei tre progetti e ci si limiterà
quindi ad alcune osservazioni.
Il progetto Smuraglia è
stato da più parti criticato o per l'eccessivo rinvio alle previsioni della
contrattazione collettiva o per la limitata estensione delle tutele accordata
ai collaboratori, in effetti poco più ampie rispetto al progetto governativo
del Libro bianco. E' stato inoltre osservato che la previsione della forma
scritta del contratto senza la previsione della conversione del rapporto in
rapporto subordinato in caso di violazione (è prevista solo una sanzione
pecuniaria) limita notevolmente i vantaggi per i collaboratori. E' prevista
inoltre la certificazione della natura del rapporto, seppur senza le
disposizioni incostituzionali di cui si è detto.
Più interessante il
progetto Amato-Treu, fatto proprio dall'Ulivo, che ha un'impostazione analoga
allo "Statuto dei lavori" governativi, ma se ne differenzia tuttavia
decisamente per la più ampia tutela riservata ai lavoratori autonomi e
soprattutto perché mantiene l'attuale disciplina inderogabile del lavoro
subordinato.
Rispetto al progetto
Smuraglia la tutela è sicuramente più ampia, riguardando anche gli autonomi non
coordinati e prevedendo tutele specifiche anche per i coordinati con apporto
anche prevalentemente personale e non necessariamente esclusivo (si pensi, ad
esempio, alla previsione anche per questi lavoratori dell'equo compenso o la
previsione dell'inefficacia del recesso verbale). Non essendo prevista la forma
scritta rimane impregiudicata la questione della distinzione tra rapporto
autonomo e subordinato a fini probatori. Anche in questo progetto tuttavia è
prevista la certificazione del rapporto seppure con la precisazione che la
stessa non può avere alcun valore in caso di mancata corrispondenza tra quanto
dichiarato e quanto di fatto realizzato.
Il progetto Alleva,
seppure con i dubbi che verranno esaminati, appare complessivamente il progetto
più convincente. In primo luogo per l'ampiezza delle tutele accordate al
collaboratore: in sostanza l'intera disciplina prevista attualmente per il
lavoratore subordinato, ad eccezione di alcune norme incompatibili con gli
elementi di autonomia previsti nel patto (orario di lavoro, disposizioni
specifiche del datore di lavoro, sanzioni disciplinari, tecniche di
retribuzione a tempo, ecc.). Si può discutere sulla necessità di escludere
ulteriori norme incompatibili con le caratteristiche della prestazione, ma
rimane la bontà di una soluzione che unifica il più possibile la disciplina
prevista per lavori ormai molto simili sul piano della necessità di tutela. In
secondo luogo il progetto prevede un'inversione dell'onere della prova con
riguardo al lavoro "nero" o comunque non disciplinato per iscritto.
Attualmente in questi casi spetta al lavoratore dimostrare l'esistenza del
rapporto subordinato: con questo progetto il rapporto si presume subordinato (o
meglio "per conto terzi") e si applicano quindi tutte le normali
tutele, salvo che il committente non dimostri l'esistenza di un patto scritto
in deroga. La previsione del patto scritto ha tuttavia una controindicazione,
non essendo prevista l'ipotesi di prestazioni di fatto difforme dagli accordi
scritti, con la conseguenza che il lavoratore potrebbe essere
"costretto" a sottoscrivere il patto in deroga in modo difforme dalla
realtà. Per ovviare a tale problema andrebbe chiarito nel progetto che la forma
scritta è ad probationem e non ad substantiam, lasciando quindi
la possibilità al lavoratore di provare giudizialmente la difformità di fatto.
Altro vantaggio della proposta è che la tutela sindacale sarebbe unica per
tutti i lavoratori.
Il progetto quindi è interessante
anche se va esaminato con estrema attenzione, perché a differenza degli altri
progetti, rivoluziona completamente l'attuale assetto civilistico del rapporto
di lavoro quasi centenario e può creare notevoli problemi di diritto
transitorio e di coordinamento tra nuova e vecchia disciplina (si pensi al
settore previdenziale, degli ammortizzatori sociali, ecc.). Al riguardo
andrebbe inserita nel progetto una norma di chiusura che estenda ai contratti
di lavoro per conto terzi l'attuale disciplina prevista da tutte le leggi
speciali nei confronti dei lavoratori subordinati e andrebbe poi esaminato
attentamente il problema della compatibilità di tutta la disciplina speciale
con i tratti di autonomia in deroga.
Per concludere l'esame
delle prospettive future non può non accennarsi al referendum estensivo
dell'art. 18. Non vi è dubbio che i lavoratori dipendenti in aziende con meno
di 16 dipendenti a causa della mancata applicazione dell'art. 18 vivono in una
condizione di precarietà analoga a quella dei lavoratori a termine o dei
"cococo" con minore autonomia contrattuale e si pone quindi per loro
la necessità di una maggiore tutela.
Fra l'altro le
modificazioni intervenute nel mondo del lavoro hanno fatto venir meno in
diversi casi le ragioni della limitazione, che si basano soprattutto sul
rapporto strettamente fiduciario e sul contatto diretto che si crea tra datore
di lavoro e lavoratori in imprese di piccole dimensioni con conseguente
difficoltà a considerare possibile una "coabitazione" in caso di reintegra
nel posto di lavoro. Ormai, infatti, molte imprese con pochi dipendenti, per
effetto dell'automazione, del decentramento produttivo, degli appalti, del
telelavoro, ecc. hanno strutture complesse e non possono considerarsi piccole
aziende quasi familiari. Una diversa tutela è quindi auspicabile, seppure
graduata in rapporto alle diverse dimensioni e alle diverse caratteristiche
imprenditoriali.
Il referendum
estensivo dell'art. 18, parte quindi da una giusta esigenza, anche se ha
provocato una divisione nella sinistra in ordine allo strumento e al momento
nel quale è stato proposto e cioè nel momento di massima lotta sindacale contro
l'attacco all'attuale normativa sui licenziamenti.
Si è detto che la
migliore difesa è l'attacco: mi auguro che sia vero e che il referendum non
abbia il solo risultato di dividere la sinistra in un momento in cui sarebbe
necessaria la massima unità di opposizione allo smantellamento del diritto del
lavoro.
Roma, 19.6.2002
*Relazione
tenuta al Seminario sullo Stato sociale del 19.6.2002 organizzato dal Forum
diritti e giustizia (Roma Social Forum)
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