I controlli a
distanza dell'attività dei lavoratori
Sommario:
1. L'art. 4 dello Statuto dei lavoratori
2. Nozione di «controllo a distanza»
3. Controlli potenziali, conseguenti ad
apparecchiature installate per esigenze organizzativo-produttive o di sicurezza
4. L'accordo con tutte le R.s.a. per
l'installazione delle apparecchiature di controllo indiretto
5.
Casistica delle possibili apparecchiature suscettibili di
incorrere nel divieto legale
*******
1.
L'art. 4 dello Statuto dei lavoratori
La norma
dell'art. 4 dello Statuto dei lavoratori (rubricata «Impianti audiovisivi») si articola essenzialmente in due tipi di
disposizioni, quella del comma 1° e quella del comma 2° che, rispettivamente,
dispongono:
«E’ vietato l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di
controllo a distanza dell'attività dei
lavoratori» (c. 1°).
«Gli impianti e le apparecchiatura di controllo che siano richiesti da esigenze
organizzative e produttive ovvero dalla
sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi
anche la possibilità di controllo a
distanza dell'attività dei
lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali...
In difetto di accordo, su istanza del
datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l'uso di tali impianti» (c. 2°).
Il comma 1°, in
omaggio ai valori di cui è portatrice la persona del prestatore di lavoro,
dispone per le aziende il divieto assoluto di installazione, per effettivo
uso, di impianti audiovisivi e di
altre apparecchiature (similari quanto agli effetti indesiderati), destinate
allo scopo precipuo e diretto del controllo «a distanza» dell'attività dei
lavoratori (controllo odioso e riprovevole in quanto «a distanza», cioè al di
fuori della percezione o cognizione diretta del controllato e, quindi, a sua
insaputa).
L'«attività»,
oggetto del controllo vessatorio, va intesa in termini più ampi della vera e
propria «attività lavorativa» (di cui al precedente articolo 3, legge n.
300/1970) ed è, quindi, riferibile al complessivo comportamento tenuto dal
lavoratore in azienda, nel tempo in cui è impegnato ad adempiere
all'obbligazione lavorativa come durante le pause di lavoro idonee a favorire i
contatti con i colleghi sia per iniziative di proselitismo sindacale sia per
iniziative di libera manifestazione del pensiero ex art. 1, Stat. lav., ecc.
Alla luce delle
surriferite precisazioni sono stati (e debbono essere) considerati estranei
alla fattispecie del divieto assoluto - in quanto non finalizzati
(eminentemente) al controllo vessatorio sul lavoratore - gli orologi marcatempo
o i più moderni lettori di badges posti
agli ingressi delle unità produttive allo scopo di registrare i dati temporali
necessari per la gestione aziendale (1) e la remunerazione della prestazione
(orari di accesso e uscita, rilevazione degli straordinari, evidenziazione
della presenza a mensa in correlazione con gli intervalli contrattuali e nel
rispetto dei turni aziendalmente stabiliti, rilevazione della presenza in
assemblea, ex art. 20, Stat. lav., ai soli
fini del computo delle ore di fatto utilizzate nell'ambito e fino alla
concorrenza del tetto massimo individuale delle 10 ore annue retribuite pro-capite). Pari liceità è stata riconosciuta alle telecamere a circuito
chiuso, installate all'interno delle unità produttive con accesso di clientela,
onde controllare la loro affluenza ed individuare i responsabili esterni di
eventuali furti o rapine.
Tuttavia tali
impianti audiovisivi o apparecchiature di registrazione, quantunque non
riconducibili - per assenza della diretta finalità di controllo sul
lavoratore e per oggettiva rispondenza ad esigenze organizzativo/produttive e
di sicurezza - al novero di quelle vietate in assoluto, beneficiano della
legittimazione alla messa in opera ed
all'uso (ai sensi del comma 2° dell'art. 4) «soltanto» nel caso in cui le
R.s.a. (o, sussidiariamente, l'Ispettorato del lavoro) diano atto all'azienda
che tali strumentazioni sono carenti in assoluto dei requisiti per un potenziale, indiretto ed accidentale
controllo a distanza dell'attività e del comportamento, in generale, dei
lavoratori.
2. Nozione di «controllo a distanza»
Per controllo a
distanza deve pacificamente intendersi sia quello effettuato in ambito topografico lontano dal lavoratore sia
quello conseguibile in tempi non
sincronici (e cioè differiti) con quelli dell'adempimento della
prestazione. La dizione è comprensiva,
quindi, di una nozione spaziale e di
un'alternativa o concorrente nozione temporale. Talché, a quest'ultima stregua, risulta
oggettivamente riconducibile alla fattispecie vietata (o condizionata
all'accordo preclusivo delle R.s.a.) l'installazione di apparecchiature che, tramite
la registrazione e memorizzazione di dati suscettibili di analisi o
assemblaggio in tempi successivi, consentano al datore di lavoro un controllo
«a posteriori» in ordine all'attività ed al comportamento dei lavoratori (2).
3. Controlli potenziali,
conseguenti ad apparecchiature installate per esigenze organizzativo/produttive
o di sicurezza
Il comma 2°
dell'articolo in esame attiene - come abbiamo succintamente anticipato -
all'ipotesi in cui le apparecchiature e gli impianti siano resi oggettivamente
indispensabili da esigenze organizzativo-produttive o di sicurezza del
lavoro. Esigenze che, seppur meritevoli
di salvaguardia, comportano l'onere datoriale di contrattare, con le istanze rappresentative
dei lavoratori dell'unità produttiva interessata, la loro installazione in
quanto la specifica strumentazione fornisce, al tempo stesso e come
sottoprodotto, la possibilità astratta (cioè la potenzialità) di conseguire un indiretto controllo sull'attività
dei prestatori di lavoro.
E’ pacifico che
l'onere datoriale di ricercare - previamente alla loro installazione -
l'accordo con le R.s.a. costituite nell'unità produttiva, sorge non solo per quegli impianti di cui il datore si riproponga l'uso
suscettibile di facoltizzarlo, indirettamente ed accidentalmente, al controllo,
ma anche per quelle strumentazioni
che siano intrinsecamente strutturate e provviste delle caratteristiche di
«idoneità al controllo» (o «potenzialità» allo scopo) anche se di fatto
inattuato (ma attuabile).
In tal senso
depone sia la locuzione legislativa usata «(impianti... dai quali derivi anche
la possibilità del controllo a
distanza») sia l'autorevole interpretazione fornita alla norma dalla Cassazione
(3) secondo cui: «l'art. 4 della L. 20.5.1970 n. 300 ... vieta il controllo a
distanza dell'attività dei lavoratori, anche
come mera possibilità di controllo ad
insaputa ovviamente del prestatore d'opera ... prescindendo peraltro dalla
finalità propostasi dall'impresa».
In ragione del diritto delle R.s.a. all'accordo, sussiste - in
maniera propedeutica e strumentale - in capo ad esse un analogo diritto a
pretendere dall'azienda di ispezionare le apparecchiature «sospette», già in
atto, specificatamente nel corso del loro funzionamento (e cioè eminentemente,
se non esclusivamente, nel corso dell'orario di lavoro), con la conseguenza che
l'eventuale rifiuto (o ostruzionismo inequivoco) frapposto alla richiesta in
questione, concreta una limitazione dell'attività sindacale, indubbiamente
suscettibile di integrare gli estremi per il ricorso alla tutela approntata
dall'art. 28 Stat. lav.
Va inoltre
evidenziato come il fatto che determinate strumentazioni o apparecchiature
siano in atto da tempo in azienda, con l'acquiescenza dei lavoratori e delle
R.s.a. sin dall'epoca della loro installazione, non è idoneo a porre l'azienda
nella condizione giuridica di «trovarsi in regola». Infatti la persistente potenzialità o effettività di un
ambivalente utilizzo (a fini tecnici e, preterintenzionalmente, a fini di
controllo) obbliga l'azienda, in modo permanente, a ricercare un'intesa con le
R.s.a. che ne legittimi inequivocabilmente il comportamento (poiché tale
accordo, come ha correttamente ritenuto il Tribunale di Milano (4) non può
ritenersi scontato e sussistente per l'avvenuta installazione di strumentazioni
a causa «dell'uso pacifico e non
contestato... per un certo periodo di
tempo» sia dalle R.s.a. sia dai lavoratori).
4. L'accordo con tutte le R.s.a. per l'installazione delle
apparecchiatura di controllo indiretto
Il comma 2°
dell'art. 4 individua nelle R.s.a. (e, in subordine, nelle tramontate
Commissioni interne) i titolari del diritto a riscontrare nelle strumentazioni
le caratteristiche (o meno) di idoneità lesiva della dignità dei lavoratori,
per potenzialità di controllo a
distanza, conseguibile dal datore di lavoro che delle suddette tecnologie o
impianti audiovisivi intende avvalersi.
Convenendosi tra
le parti, da un lato, sull'effettiva rispondenza delle apparecchiature ad
esigenze tecnico-produttive o di sicurezza e, dall'altro, disciplinandone
concordemente modalità e condizioni d'uso, l'imprenditore viene liberato
dall'aprioristico impedimento alla loro installazione. L'accordo, per poter facoltizzare il datore
di lavoro all'installazione delle apparecchiatura, deve essere raggiunto -
secondo prevalente e pressoché unanime dottrina - con tutte le R.s.a. esistenti nella specifica unità produttiva (5). Le
R.s.a. in questione sono, pertanto, tutte
quante quelle esistenti nell'unità produttiva
(in rappresentanza, quindi, del personale ausiliario, impiegatizio, dei
quadri nonché dei dirigenti), senza
esclusioni di sorta.
La facoltà di
rimuovere la preclusione per l'azienda all'installazione delle predette
apparecchiatura viene conferita, dal legislatore, all'istanza sindacale introaziendale
di base, rappresentativa dei lavoratori suscettibili di essere pregiudicati
nella loro dignità o privacy. Cioè a dire alla R.s.a. che - sebbene
debba essere ritenuta un'appendice organica del sindacato, a livello aziendale
- sorge
«imprescindibilmente dall'iniziativa volontaria dei lavoratori» (6) per essere poi omologata e ratificata, a fini di effettiva
operatività, dall'Organizzazione sindacale nel cui ambito aspira a
collocarsi. Pertanto tale facoltà non
può essere deferita ad altri organismi, quali strutture sindacali di secondo
grado (sindacati provinciali, ecc.) o al sindacato nazionale.
La mancanza di
unanimità tra le R.s.a. in ordine all'opportunità (o al concreto contenuto)
dell'accordo, determina di fatto una situazione di impedimento per l'azienda,
rimuovibile tramite richiesta d'intervento dell'Ispettorato dei lavoro, cui -
in qualità di organo pubblicistico e con presunzione di comportamento
imparziale - spetterà di valutare la tipologia delle attrezzature da
installare, la loro eventualità ad implicare forme di controllo a distanza
nonché di prescrivere condizioni e modalità di utilizzo, attraverso una disattivazione
di tale potenzialità lesiva della privacy
dei lavoratori.
Per completezza
va precisato che la facoltà di azionare l'intervento dell'Organo amministrativo
è attribuita dalla legge al solo datore di lavoro poiché trovandosi, in carenza
di accordo, nella pratica impossibilità di dar corso alle proprie iniziative di
installazione, è il solo (o il maggior) interessato alla messa in opera delle
apparecchiature «sospette» di ambivalente uso.
E’ pacifico,
peraltro, che le R.s.a. e/o i lavoratori singoli possono richiedere
l'intervento dell'Ispettorato del lavoro per la loro rimozione e perché lo
stesso disponga a carico dell'azienda le sanzioni di legge, unitamente
all'obbligo di dar corso alle propedeutiche intese negoziali, in carenza delle
quali sarà altresì abilitato ad intervenire con poteri e compiti autoritativi.
5. Casistica delle possibili
apparecchiature suscettibili di incorrere nel divieto legale
Conclusivamente
riteniamo - prima di addentrarci in un sommario esame di talune fattispecie di strumentazioni
ed apparecchiature di ambivalente utilizzo - che l'art. 4, Stat. lav.,
quantunque concepito in epoca carente delle attuali sofisticate innovazioni
informatiche o audiovisive, si sottragga alla necessità di una sua revisione
legislativa. Esso, infatti, possiede
una ratio suscettibile di implicarne il rispetto sostanziale da parte di
qualsiasi innovazione, tramite operazioni, non eccessivamente difficili, di
adattamento a monte delle
strumentazioni ovvero soluzioni contrattuali a valle, delimitatrici e
neutralizzanti l'ingerenza datoriale nella privacy
del prestatore di lavoro.
Ad esempio, in tema di cineprese
e telecamere aziendalmente necessarie per tenere sotto controllo essenziali
procedimenti produttivi o per disincentivare - tramite la pubblicità
dell'installazione - il compimento di atti criminosi nelle aziende aperte al
pubblico (supermarkets, agenzie bancarie e simili), il connaturato controllo
delle operazioni lavorative può essere tutelato tramite soluzioni contrattuali
attinenti alla visionatura «bilaterale» delle riprese, ai tempi di
conservazione ed alle modalità di distruzione delle bobine e simili.
Si versa nella
fattispecie del controllo vietato in assoluto (giacché all’insaputa e
vessatorio) di cui al 1° co., dell’art. 4, nel caso delle pratiche datoriali (o
dei capi diretti) consistenti nel “controllo in cuffia”, effettuato
eminentemente nei confronti e a danno
dei centralinisti ed addetti ai call center o a mansioni di operatore commerciale telefonico (teleseller)
e simili. Già nel lontano 1972 – prima
ancora quindi dell’entrata in vigore della L. n. 675/’96 sulla tutela della
riservatezza individuale – il Pretore di Milano (7) ebbe a stabilire che:” A
norma dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, deve ritenersi illegittimo il
sistema dei ‘controlli in cuffia’ effettuati nei confronti dei centralinisti
telefonici, perché vessatori e contrari al diritto alla ‘privacy’ che deve
ritenersi uno degli interessi primari della collettività”.
Circa
l'installazione di centralini elettronici ad elaboratore (con memorizzazione
della telefonata, del numero esterno chiamato, del giorno e ora delle
telefonate, del relativo numero di scatti e del costo) appare indubbia,
giuridicamente, l'esigenza di neutralizzare le funzioni di registrazione sia
del contenuto della telefonata sia dei meccanismi di individuazione del
soggetto chiamante e chiamato, in quanto consentendo l'attivazione di tali
funzioni si incorre congiuntamente nella violazione dell'art. 8, Stat. lav.,
che vieta l'indagine sulle opinioni e su fatti del lavoratore non rilevanti
professionalmente (8).
E’ noto come la
«registrazione», a fini di cognizione del contenuto delle telefonate, è vietata
- salvo i casi previsti dalla legge - concretizzando reato ai sensi dell'art.
617 e 617-bis, c.p. Né si ritiene che costituisca esimente, al riguardo, la
previsione secondo cui l'eventuale ascolto del contenuto delle telefonate
avvenga in presenza del lavoratore interessato. Gli eventuali inconvenienti per l'azienda (o per gli stessi
lavoratori) derivanti da disposizioni od ordini impartiti a terzi per telefono
- come la difficoltosa ricerca «a posteriori» di responsabilità circa la
corretta esecuzione di determinati ordini verbali per operazioni finanziarie
(emblematico il caso del «black friday» che vide protagonista attivo
l'Eni e passivo il San Paolo di Torino) - possono essere ovviati con l'uso del
fax o strumenti similari, non essendo, a nostro avviso, l'esigenza della
prevenzione dei suddetti (eventuali) inconvenienti idonea a superare il valore
etico del divieto di violazione della privacy
del lavoratore. Una volta infranto, sia
pure per un'ipotesi razionalmente fondata, il ricorso all'analogia
implicherebbe l'estensione della deroga ad un'indefinita serie di operazioni,
attività, servizi e settori aziendali.
Parimenti neutralizzabile riteniamo debba essere il meccanismo che
consente che sul display dei telefoni
(normalmente degli alti managers e loro segretarie) risulti visualizzato il
numero (interno, esterno urbano o interurbano) del chiamante. Il meccanismo consente all'azienda una
surrettizia appropriazione di dati interdetti alla cognizione (9) ed, ad es.,
un conseguente controllo della sede o località dalla quale il chiamante
comunica lo stato di malattia, la richiesta improvvisa di un permesso o di un
giorno di ferie, ecc. Tra l'altro
l'apparizione (e registrazione) del numero chiamante sul display, non
risponde ad alcuna esigenza organizzativo-produttiva o di sicurezza, ma si
rivela dettata dall'impulso di soddisfare aspirazioni di innovazione sfrenata o
di luddismo dei costruttori e/o degli utenti. Talora poi l'evidenziazione
automatica del numero chiamante viene, poco civilmente, utilizzata dall'alto
manager chiamato per «selezionare» aprioristicamente (rispondendo o non
rispondendo) coloro con i quali intende colloquiare da coloro che, conoscendone
il numero, preferisce ricusare.
Senz'altro collidente con l'art. 2087 c.c. (salvaguardante anche la
‘personalità morale’ del lavoratore), e con l’art. 8, Stat. lav. (in
congiunzione con il divieto di cui all'art. 617-bis, c.p.) il dispositivo - a
c.d. citofono parlante o a «viva voce» in dotazione di norma nei telefoni dei
Capi, finalizzato all'amplificazione delle telefonate con i loro
subordinati. Molto spesso, infatti, il
sistema viene attivato «subdolamente» - o comunque è potenzialmente idoneo -
per la divulgazione a terzi, presenti nella stanza del manager, del contenuto
di una spontanea (o sollecitata) telefonata intercorrente con un dipendente
ignaro di essere ascoltato anche da altri, sui quali può accadere gli venga
naturale (o richiesto, a trappola) di esprimere opinioni e considerazioni.
Illegittima è
stata ritenuta in giurisprudenza (10) l’installazione al centro dell’officina
di un locale rialzato con pareti di vetro (destinato ad ufficio del Capo
officina), in quanto – anche se a ciò non adibito espressamente – acquisiva di fatto e nella pratica la funzione di
“torre di controllo” dalla quale il Capo officina poteva agevolmente
controllare a distanza l’attività dei lavoratori. La stessa installazione di tachigrafi sugli automezzi in dotazione di autisti, viaggiatori o piazzisti
è stata ritenuta, correttamente, ricadente nella fattispecie del comma 2°
dell’art. 4, necessitante perciò la neutralizzazione delle potenzialità per il
controllo a distanza, nel caso “a posteriori”, anche dell’attività dei
lavoratori, neutralizzazione da
realizzare ad opera di accordi con le
Rsa o per effetto di specifiche prescrizioni dell’Ispettorato del lavoro. Il
Ministero del lavoro e della previdenza sociale, con risoluzione del 15
dicembre 1971 (11) dispose che:”ove la ditta abbia effettuato
l’installazione dei tachigrafi sugli automezzi dei piazzisti, con possibilità
di utilizzazione secondaria di tali apparecchiature, quali mezzi tecnici per il
controllo della costanza dell’impegno lavorativo del personale dipendente,
l’Ispettorato del lavoro è tenuto a provvedere, ai sensi dell’art. 4, 3° co.,
dello Statuto, alle appropriate
eventuali prescrizioni per l’adeguamento e le modalità d’uso degli impianti
suddetti, per evitare che essi possano essere utilizzati per controlli a
distanza dell’attività dei lavoratori e che la ditta possa trarre dalle
registrazioni relative indicazioni per eventuali provvedimenti a carico dei
piazzisti”.
L’applicazione delle sofisticate tecnologie informatiche
(videoterminali, computers, ecc.) – la cui diffusione in azienda ha di recente
suscitato interrogativi circa la presunta vetustà dell’art. 4 e l’esigenza di
una sua revisione, verso la quale noi esprimiamo apertamente indisponibilità a
causa del timore che venga accordata preferenza, nell’operazione riformistica,
alle esigenze di innovazione tecnologica, quantunque potenzialmente comprensive
dei fondamentali diritti della personalità – induce a ulteriori riflessioni e
cautele.
Spesso il software
è strutturato (dall’uomo) in modo tale da consentire non solo la
ricostruzione di tutti i passaggi, fasi e transazioni compiute per realizzare
un certo programma o prodotto, ma anche per risalire all’identità di colui che
ha compiuto le varie operazioni, il momento esatto del loro compimento, i tempi
spesi per la realizzazione del lavoro nel suo complesso e nelle singole fasi
intermedie e strutturalmente costitutive. E’ di poco tempo fa la notizia che a
seguito dell’accesso ad Internet tramite i computer aziendali le aziende stanno
acquistando da una società produttrice uno specifico software da
installare nei pc dei dipendenti o nel calcolatore centrale tramite il quale
monitorare gli accessi (indirizzi, url, siti visionati, ecc.) effettuati dal
singolo lavoratore e verificare se ciò sia avvenuto per esigenze di lavoro
ovvero per uso privato, aziendalmente non consentito e sanzionabile
disciplinarmente. E’ ancora di poco fa
(13 aprile 2000) la notizia della
decisione dell’Ufficio del Garante per la privacy di “aver avviato
accertamenti in relazione alla questione dei controlli sui lavoratori
attraverso un software che consentirebbe alle aziende di monitorare l’accesso
alle reti telematiche e di aver chiesto alla società distributrice del software
e alle aziende che ne farebbero uso, ogni notizia ed informazione utile per una
piena valutazione del caso”.
Si versa, a
fronte di tale potenzialità - se non
ricorrono le esigenze produttive - nella ipotesi vietata dal co. 1° dell’art. 4
e - qualora esse ricorrano - indubitabilmente nell’ipotesi del comma 2° dello
stesso articolo. Trovandosi in
quest’ultima ipotesi è necessario che, a livello aziendale, si raggiungano
accordi tramite cui si stabilisca che il software, i tabulati ed i
programmi attivati dai lettori di badges (tesserine magnetiche) o da password,
debbano – in linea di principio – escludere la facoltà aziendale di “occhiuta”
individuazione dell’operatore che effettua le transazioni routinarie (o
gli accessi ad Internet) e limitarsi a rilevare, ad es. , soltanto la di
lui appartenenza al “gruppo” abilitato alle transazioni o agli accessi alla rete ed, in tal modo, finire per
realizzare uno stemperamento dell’altrimenti personalizzato controllo
dell’attività del singolo operatore. Ciò normalmente avviene attraverso la
sostituzione del codice individuale (nei badges abilitanti alle
transazioni) con il “codice di “gruppo” o di reparto (e per l’accesso ad Internet, consentendolo con la password “collettiva”
o, meglio, senza password). La
soluzione del “codice di gruppo” è stata convenuta ad es. nell’Accordo IBM Spa
– R.s.a del 23.2.1983, accordandosi esclusiva deroga a programmi e transazioni
“concordemente”ritenute attinenti a dati particolarmente riservati o critici “per
la tutela delle informazioni relative al personale o al patrimonio aziendale”(così,
ancora, il citato accordo IBM-R.s.a.).
Infine – prima
dell’applicazione della L. 31.12.1996, n. 675 nota come legge sulla “privacy”)
– va sottolineato come non fosse infrequente imbattersi nell’auspicio acché lo
Stato adeguasse il proprio comportamento verso il cittadino (inconsapevolmente
schedato per più versi e da più branche della P. A.) agli stessi principi di
rispetto della privacy che lo Statuto dei lavoratori accorda ai
prestatori d’opera subordinati e che la legge sopravvenuta non solo ha
mantenuto ma ha indiscutibilmente potenziato.
Altrimenti si
sarebbe stati indotti, paradossalmente, a preferire di trascorrere
integralmente la propria esistenza in azienda piuttosto che nella più ampia e,
astrattamente, più libertaria società civile.
M.Meucci
(pubblicato,
senza gli attuali aggiornamenti, in Notiziario del lavoro e previdenza,
n.32/1997, de lillo ed. p. 2625)
NOTE
(1) Conf. per la
legittimità della rilevazione delle presenze e dei dati gestionali a mezzo
tesserina magnetica o badge, Pret. Napoli 15 marzo 1990, in Not.
giurisp. lav. 1990, 226; in precedenza, nello stesso senso, Pret. Milano 12
luglio 1988, in Or. giur. lav. 1988, 936.
(2) Conforme, in
giurisprudenza, Pret. pen. Milano
5.12.1984, relativa alla Soc. Ibm, in Foro
it., 1985, I, 286, con nota di Rossi.
(3) Cass. 18.2.1983, n.
1236, in Giust. civ. 1983, I, 1755 con nota di Mammone (Impianti di
controllo dell’attività dei lavoratori richiesti da esigenze produttive) ed
in Foro it. 1985, I, 207 con nota di Rossi. Cass. 6 marzo 1986, n. 1490
(in Giur. it. 1987, I, 1, 1102) ha stabilito che il divieto di cui
all’art. 4 opera anche nel caso in cui le apparecchiature per il controllo
siano state installate ma non ancora funzionanti (ed anche qualora il controllo
sarebbe stato solo discontinuo in quanto destinate ad operare in locali in cui
i lavoratori possono trovarsi solo saltuariamente).
(4) Trib. Milano 7.7.1977, in Or. giur. lav.
1977, 718.
(5) Conf. App.
Firenze 14.2.1973, in Foro it., 1973,1,
1565.
(6) Così, ex
plurimis, Cass. 13.1.1984, n. 306.
(7) Pret. Milano
12 maggio 1972, Cgil e Uil c. Azienda di Stato per i Servizi Telefonici, in Or.
giur. lav. 1972, 260 e in Foro it.
1972, I, 2710.
(8) Conf.
Pret. pen. Milano 9.11.1984,
in Riv, giur. lav., 1984,II, 255, a
proposito del centralino a calcolatore Ibm 1750 della Soc. Foster Wheeler. Per
la necessità di subordinarne l’installazione all’accordo con le Rsa (o, in
mancanza di intesa, alle prescrizioni dell’Ispettorato del lavoro) si è
espressa, in un caso analogo, Pret. Roma 13 gennaio 1988, in Riv. it. dir.
lav. 1988, I, 682. Conf. Pret. Milano 4 ottobre 1988, in Not. giurisp.
lav. 1989, 436.
(9) In senso
conforme si è espressa Pret. Roma 22 dicembre 1988 (in Foro it. 1988, I,
1309) a proposito di un marchingegno con effetti analoghi – l’apparecchio
elettronico I.M.I (inviatore messaggi d’identità) – che consente all’utente,
telefonando, di conoscere la sigla dell’operatore che gli risponderà. Il
magistrato ha, pertanto, ricondotto la fattispecie sotto l’ipotesi del comma 2°
dell’art. 4 ed ha preteso l’accordo con le Rsa per legittimarne l’uso e, in
mancanza, le prescrizioni disattivanti e garantistiche dell’Ispettorato del
lavoro.
(10) Pret. Pen. Roma 3 ottobre 1973, in Or. giur. lav. 1973, 753, confermata da Trib. Pen. Roma 10 luglio 1974, ibidem 1975, 289.
(11) La
risoluzione trovasi in Or. giur. lav.
1972, 28, adesiva all’orientamento già in precedenza espresso – nei
confronti della ditta Sitia-Yomo srl – dall’Ispettorato del lavoro di Milano in
data 26 luglio 1971, ibidem 1971, 623. Conf. per i c.d. congegni Kienzle,
Pret. Milano 4 ottobre 198, in Not. giurisp. lav. 1989, 436.