L’evoluzione della tutela normativa dei lavoratori esposti all’amianto
 
L’amianto, chiamato anche asbesto, è un minerale naturale a struttura fibrosa, con proprietà fonoassorbenti e termoisolanti, che ha avuto estese e svariate applicazioni industriali, laddove, appunto, vi fossero esigenze di assorbimento acustico e/o di isolamento termico, considerato il suo basso costo di mercato.
Peraltro, proprio tale sua consistenza fibrosa è alla base della solo recente riscontrata ed accertata sua pericolosità per la salute umana, considerato che i materiali di amianto hanno la caratteristica di rilasciare fibre aerodisperse nell’ambiente circostante, potenzialmente inalabili attraverso la bocca ed il naso, che possono essere causa di gravi patologie, a carico prevalentemente dell’apparato respiratorio, quali: — l’asbestosi (malattia respiratoria cronica);— il mesotelioma asbesto-correlato (tumore che colpisce la pleura, il peritoneo ed il pericardio); — il carcinoma polmonare asbesto-correlato (tumore che colpisce i polmoni).
Ma se oggi può dirsi con tutta certezza che la nocività dell’amianto è ormai definitivamente accertata, non sono invece tuttora appieno conosciuti le modalità ed i tempi con i quali le fibre di amianto producono dette gravi patologie ad esse riconducibili.
Per quanto innanzitutto attiene l’aspetto della sicurezza ed igiene sul lavoro, e dunque per quanto attiene l’aspetto della prevenzione, una specifica tutela normativa dei lavoratori avverso i rischi dell’esposizione all’amianto è intervenuta solo con il d.lgs. 15 agosto 1991, n. 277, emanato sulla base dell’art. 7 della legge delega 30 luglio 1990, n. 212, in attuazione, tra le altre, della direttiva Cee 19 settembre 1983, n. 83/477 in materia, appunto, di protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con un’esposizione all’amianto durante il lavoro, predisposta per tale particolare problematica sulla scorta delle previsioni contenute nella direttiva Cee 27 novembre 1980, n. 80/1107 in materia di generale protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro.
Prima dell’entrata in vigore di tale d.lgs. 15 agosto 1991, n. 277, le disposizioni a cui fare riferimento erano quelle contenute nel d.p.r. 19 marzo 1956, n. 303 recante le norme generali per l’igiene del lavoro, ed in particolare l’art. 21 in materia di generica difesa dei lavoratori contro la diffusione delle polveri nell’ambiente di lavoro, ergo anche delle polveri di amianto; nonché quelle contenute nel d.p.r. 30 giugno 1965, n. 1124 recante le norme generali per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, ed in particolare gli artt. da 140 a 176 in materia di prevenzione sanitaria della silicosi e della asbestosi.
Mentre, con il d.lgs. 15 agosto 1991, n. 277, in specie con il suo capo terzo (artt. da 22 a 37), si è finalmente predisposta una specifica regolamentazione per la protezione dei lavoratori nell’ambito di tutte le attività lavorative nelle quali vi è un rischio di esposizione alla polvere proveniente dall’amianto o dai materiali contenenti l’amianto. Innanzitutto, nell’ambito di tutte tali attività lavorative, è stato imposto al datore di lavoro di effettuare una valutazione del rischio dovuto, appunto, alla polvere proveniente dall’amianto o dai materiali contenenti l’amianto, determinando in particolare il livello di esposizione personale dei lavoratori a tale polvere espresso come numero di fibre per centimetro cubo in rapporto ad un periodo di riferimento di otto ore, al fine di stabilire le misure preventive e protettive da attuare, anche a seconda del livello più o meno elevato di tale esposizione, in specie laddove superi i livelli di 0,1 fibre per centimetro cubo oppure di 0,5 giorni fibra per centimetro cubo (art. 24). In tal caso, operando a carico del datore di lavoro anche un obbligo di notifica all’organo di vigilanza a ciò deputato (art. 25). Inoltre, nell’ambito di tutte tali attività lavorative, è stato imposto al datore di lavoro di fornire una periodica informazione ai lavoratori ed ai loro rappresentanti in merito a: a) i rischi per la salute dovuti all’esposizione alla polvere proveniente dall’amianto o dai materiali contenenti l’amianto; b) le specifiche norme igieniche da osservare; c) le modalità di uso e pulizia degli indumenti e mezzi protettivi da utilizzare; d) le misure precauzionali particolari da prendere per ridurre al minimo detta esposizione (art. 26). Sempre nell’ambito di tutte tali attività lavorative, è stato imposto al datore di lavoro di adottare tutta una serie di misure tecniche, organizzative, procedurali e di misure igieniche, atte ad eliminare o attenuare il più possibile l’emissione di polvere di amianto nell’aria, limitando altresì al minimo il numero dei lavoratori esposti o che possono essere esposti a tale polvere, dotandoli peraltro di adeguati indumenti di lavoro e mezzi di protezione (artt. 27 e 28).
Ancora, il datore di lavoro è tenuto a realizzare un attento controllo sanitario sui suoi dipendenti per il tramite del medico competente, che è a sua volta tenuto a fornire ai dipendenti medesimi adeguate informazioni sul contenuto delle visite a cui essi sono sottoposti; il datore di lavoro, inoltre, è tenuto, se necessario, ad adottare altresì le misure preventive e protettive per i singoli lavoratori sulla base dei risultati degli esami effettuati, compreso l’allontanamento temporaneo o definitivo del lavoratore interessato da qualsiasi esposizione all’amianto (art. 29). Laddove poi l’esposizione all’amianto superi i livelli di 0,1 fibre per centimetro cubo oppure di 0,5 giorni fibra per centimetro cubo, il datore di lavoro è tenuto ad effettuare anche un controllo periodico della reale esposizione giornaliera dei singoli lavoratori alla polvere di amianto, attraverso la misurazione delle fibre di esso presenti nell’aria, sulla base di predeterminati specifici metodi di prelievo ed analisi, informandone in merito a relativi esiti i lavoratori (art. 30); nonché, il datore di lavoro è tenuto a predisporre un registro, ove devono essere iscritti i lavoratori esposti all’amianto, i relativi dati di esposizione e gli esiti dei loro controlli sanitari, che deve essere trasmesso in copia alle autorità sanitarie competenti Ispel e Usl (art. 35).
Il d.lgs. 15 agosto 1991, n. 277, in specie all’art. 31, fissa poi i valori limite di esposizione alla polvere di amianto nell’aria, espressi come media ponderata in funzione del tempo su un periodo di riferimento di otto ore, prevedendo in proposito che tali limiti sono: a) di 0,6 fibre per centimetro cubo, per il crisotilo, e b) di 0,2 fibre per centimetro cubo, per tutte le altre varietà di amianto; in caso di superamento di tali valori limite, al datore di lavoro è imposto di identificare e rimuovere le cause di ciò, adottando quanto prima le misure d’emergenza appropriate in merito, informandone in proposito sia l’organo di vigilanza competente, sia i lavoratori interessati; fintanto poi che la situazione non risulti normalizzata, con il ritorno al rispetto dei valori limite, il lavoro non può proseguire, se non eccezionalmente ovvero se non per particolari operazioni lavorative, ma comunque sempre con particolari accorgimenti protettivi (artt. 31, 32 e 33). Infine, la l. 27 marzo 1992, n. 257 ha dettato in generale le norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto sul nostro territorio nazionale.
Essa in particolare, fermi i valori limite di concentrazione di fibre di amianto respirabili nei luoghi di lavoro ove si utilizza o si trasforma o si smaltisce amianto di cui al sopra citato art. 31 del d.lgs. 15 agosto 1991, n. 277, detta norme per la dismissione dalla produzione e dal commercio, per la cessazione dell’estrazione, dell’importazione, dell’esportazione e dell’utilizzazione dell’amianto e dei prodotti che lo contengono, per la realizzazione di misure di decontaminazione e di bonifica delle aree interessate dall’inquinamento da amianto, per la ricerca finalizzata all’individuazione di materiali sostitutiva alla riconversione produttiva e per il controllo sull’inquinamento da amianto. Per quanto invece attiene l’aspetto previdenziale, una specifica tutela normativa dei lavoratori che hanno contratto malattie professionali conseguenti dell’esposizione all’amianto, in particolare l’asbestosi, è intervenuta con il d.p.r. 30 giugno 1965, n. 1124, recante le norme generali per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali presso l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail), ed in particolare con gli artt. da 140 a 176 di esso, contenenti appunto disposizioni speciali per la silicosi e la asbestosi.
Peraltro, i benefici previdenziali previsti in tali disposizioni, e cioè l’indennità giornaliera per l’inabilità temporanea, la rendita per l’inabilità permanente, l’assegno per l’assistenza personale continuativa, la rendita ai superstiti e l’assegno una tantum in caso di morte, le cure mediche e chirurgiche, compresi gli accertamenti clinici e la fornitura di eventuali protesi di cui all’art. 66 del d.p.r. 30 giugno 1965, n. 1124, operano a favore dei lavoratori o dei loro parenti soltanto in caso di accertata sussistenza di una vera e propria malattia professionale, tra le quali è appunto compresa l’asbestosi, eventualmente associata ad altre forme morbose dell’apparato respiratorio, per la quale è oltretutto prevista una ulteriore particolare rendita c.d. di passaggio ad una nuova occupazione per il periodo di un anno a norma dell’art. 150 del d.p.r. 30 giugno 1965, n. 1124 medesimo. In aggiunta a tale generale tutela previdenziale operante in caso di vere e proprie malattie professionali conseguenti dell’esposizione all’amianto, in forza dell’art. 13 della citata l. 27 marzo 1992, n. 257, che detta anche misure di sostegno per i lavoratori entrate in vigore in data 28 aprile 1992, è poi intervenuta un’ulteriore specifica tutela anche per particolari ipotesi ove risulti accertata anche solo una prolungata esposizione del lavoratore all’amianto, sul presupposto che chi è stato per un lungo tempo esposto all’amianto è comunque in una condi-zione di grave rischio patologico, che è di per sé da valutare immediatamente come un danno, anche se potrebbe poi non evolversi successivamente in una malattia professionale, per il solo fatto che tale evento è altamente prevedibile.
Tale art. 13, ai suoi primi cinque commi ed al co. 9, prevede innanzitutto il trattamento straordinario di integrazione salariale e pensionamenti anticipati a certe condizioni di anzianità assicurativa e contributiva, a favore dei lavoratori occupati in imprese che utilizzano ovvero estraggano amianto, impegnate in processi di ristrutturazione e riconversione produttiva.
Inoltre, il medesimo art. 13, ai suoi successivi co. 6, 7 ed 8, prevede il beneficio di una maggiorazione contributiva ai fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche, sia in termini di diritto alla pensione, che di misura di essa, per certe determinate categorie di lavoratori esposti all’amianto, in presenza di specifici presupposti.
In particolare, il co. 6 prevede in primo luogo che per i lavoratori delle miniere o delle cave di amianto, il numero di settimane coperto da contribuzione obbligatoria relativa ai periodi di prestazione lavorativa ai fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche sia moltiplicato per il coefficiente di 1,5. Il co. 7, così come modificato dall’art. 1 bis del d.l. 5 giugno 1993, n. 169 convertito con modifiche in l. 4 agosto 1993, n. 271, prevede in secondo luogo che per i lavoratori che abbiano contratto malattie professionali a causa dell’esposizione all’amianto documentate dall’Inail, il numero di settimane coperto da contribuzione obbligatoria relativa ai periodi di prestazione lavorativa per il periodo di provata esposizione all’amianto ai fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche sia del pari moltiplicato per il coefficiente di 1,5.
Infine, il co. 8 dell’art. 13 in esame, così come modificato dall’art. 1 del d.l. 5 giugno 1993, n. 169 convertito con modifiche in l. 4 agosto 1993, n. 271, prevedeva in terzo luogo che per i lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo superiore a dieci anni (a prescindere dunque da ogni riferimento alla tipologia di attività produttiva del datore di lavoro), il periodo di lavoro soggetto all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto gestita dall’Inail fosse del pari moltiplicato per il coefficiente di 1,5; tale coefficiente attualmente è stato ridotto alla misura di 1,25, con decorrenza dalla data del 1° ottobre 2003, in forza dell’art. 47 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 convertito con modifiche in l. 24 no­vembre 2003, n. 326. Prima però di soffermarsi anche sulle ulteriori rilevanti modifiche introdotte in materia, con decorrenza dalla data del 2 ottobre 2003, dall’appena citato art. 47 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 convertito con modifiche in l. 24 novembre 2003, n. 326, risulta opportuno dare conto dei ripetuti interventi della Corte costituzionale e della Corte di Cassazione in merito al co. 8 dell’art. 13 della l. 27 marzo 1992, n. 257, che evidentemente contiene il beneficio previdenziale di maggiore rilievo ed impatto per i lavoratori e per gli enti previdenziali, rispetto alle altre norme contenute nello stesso articolo. La Corte costituzionale è intervenuta una prima volta per esprimere il suo giudizio di legittimità costituzionale rispetto agli artt. 3 e 81, co. 4, della Costituzione, in merito al co. 8 dell’art. 13 della l. 27 marzo 1992, n. 257, con la sentenza 12 gennaio 2000, n. 5, con la quale ha avuto modo di fornire la propria interpretazione circa la ratio della norma, individuata nella finalità legislativa di fornire ai lavoratori esposti all’amianto per un apprezzabile periodo di tempo, e cioè almeno dieci anni, un beneficio correlato alla possibile incidenza invalidante di lavorazioni che, in qualche modo, presentano potenzialità di rischio morbigeno, rispetto alle patologie che l’amianto è capace di generare per la sua semplice presenza nell’ambiente di lavoro. Con ordinanza 12 gennaio 2000, n. 7, la Corte costituzionale ha poi dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sempre rispetto all’art. 3 della Costituzione, in merito al co. 8 dell’art. 13 della l. 27 marzo 1992, n. 257, con la sentenza 22 aprile 2002, n. 127.
Ancora, la Corte costituzionale è intervenuta una seconda volta per esprimere il suo giudizio di legittimità costituzionale sempre rispetto all’art. 3 della Costituzione, in merito al co. 8 dell’art. 13 della l. 27 marzo 1992, n. 257, con la sentenza 22 aprile 2002, n. 127, con la quale ha avuto modo di fornire la propria ulteriore interpretazione circa la ratio della norma, evidenziando come il beneficio della maggiorazione dell’anzianità contributiva assume una funzione compensativa rispetto all’obiettiva pericolosità dell’attività lavorativa svolta, stante la capacità dell’amianto di produrre danni sull’organismo in relazione al tempo ultradecennale di esposizione ad esso.
Inoltre, una terza volta la Corte costituzionale è intervenuta per esprimere il suo giudizio di legittimità costituzionale rispetto agli artt. 3, co. 1, e 38, co. 2, della Costituzione, in merito al co. 8 dell’art. 13 della l. 27 marzo 1992, n. 257, con la sentenza 31 ottobre 2002, n. 434, con la quale ha avuto modo di fornire la propria ulteriore interpretazione circa la norma in questione, rilevando in particolare che essa esclude dal beneficio contributivo coloro che alla data della sua entrata in vigore, cioè alla data del 28 aprile 1992, erano già titolari di una pensione di anzianità o di vecchiaia, atteso che opera in materia il principio generale secondo cui le prestazioni previdenziali si devono liquidare sulla base della legge vigente alla data della liquidazione stessa; anche la Corte di Cassazione è intervenuta in proposito, sempre rilevando che sono esclusi dall’applicazione dei benefici contributivi di cui al co. 8 dell’art. 13 della l. 27 marzo 1992, n. 257, in armonia con la sentenza 31 ottobre 2002, n. 434 della Corte cost., non solo coloro che alla data della sua entrata in vigore, cioè alla data del 28 aprile 1992, erano già titolari di una pensione di anzianità o di vecchiaia, ma anche coloro che erano già titolari di una pensione di inabilità, ma non invece coloro che erano già titolari di una pensione di invalidità, in particolare, tra le altre, con le sue sentenze 19 aprile 2001, n. 5764; 25 ottobre 2001, n. 13195; 1° febbraio 2002, n. 1319; 9 dicembre 2002, n. 17528; 21 dicembre 2002, n. 18243; 26 febbraio 2003, n. 2932; 29 ottobre 2003, n. 16256; 13 febbraio 2004, n. 2849; 27 febbraio 2004, n. 4063 e 28 aprile 2004, n. 8182. Infine, con ordinanza 19 dicembre 2003, n. 369, la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale rispetto agli artt. 3, 32 e 38 della Costituzione, sempre in merito al co. 8 dell’art. 13 della l. 27 marzo 1992, n. 257, con la sentenza 22 aprile 2002, n. 127. La Corte di Cassazione è del pari intervenuta in merito al co. 8 dell’art. 13 della l. 27 marzo 1992, n. 257 fornendo a sua volta dei propri criteri interpretativi della norma, in particolare, tra le altre, con le sue sentenze 3 aprile 2001, n. 4913, 28 giugno 2001, n. 8859, 27 febbraio 2002, n. 2926, 15 maggio 2002, n. 7048, 11 luglio 2002, n. 10114, 23 gennaio 2003, n. 997, 29 ottobre 2003, n. 16256 e 19 ottobre 2004, n. 20467, sottolineando come il riferimento all’esposizione pluridecennale all’amianto ivi contenuto debba intendersi come un’esposizione ad una concentrazione di fibre di amianto superiore ai valori limite fissati dal sopra esaminato art. 31 del d.lgs. 15 agosto 1991, n. 277, e ribaditi peraltro anche dall’art. 3 della stessa l. 27 marzo 1992, n. 257, cioè un’esposizione c.d. qualificata; così rilevando in definitiva come i destinatari della disposizione in esame siano da intendere i lavoratori che, quale che sia stata l’attività produttiva del loro datore di lavoro, abbiano comunque subito una esposizione qualificata (nei sopra precisati termini) all’amianto per oltre dieci anni (compresi i periodi di pausa fisiologica dell’attività lavorativa, quali le ferie, i riposi, le festività), volendo il legislatore assicurare ad essi la possibilità di abbandonare anticipatamente il lavoro attribuendo loro un trattamento di favore, analogo a quello accordato ai lavoratori addetti a cave e miniere di amianto ed ai lavoratori già riscontrati affetti da malattie professionali imputabili all’amianto. L’incarico dell’accertamento del rischio di esposizione all’amianto, nonché del rilascio dell’attestazione del periodo di esposizione, per ogni lavoratore che ne faccia richiesta, è stato affidato all’Inail, sulla base degli atti di indirizzo emanati in materia da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Sempre per quanto attiene l’aspetto dei benefici previdenziali a favore dei lavoratori esposti all’amianto, è intervenuto in ultimo nel nostro ordinamento l’art. 47 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 convertito con modifiche in l. 24 novembre 2003, n. 326.
Innanzitutto, come già anticipato, tale norma, al co. 1, ha previsto a decorrere dalla data del 1° ottobre 2003 che il coefficiente stabilito dal co. 8 dell’art. 13 della l. 27 marzo 1992, n. 257 sia ridotto dalla misura di 1,5 a 1,25, e cioè del 50%. Inoltre, tale norma, al co. 1, ha altresì oltretutto previsto a decorrere dal la data del 1° ottobre 2003 che tale coefficiente moltiplicatore si applichi soltanto ai limitati fini della determinazione dell’importo delle prestazioni pensionistiche e non più invece anche ai fini della maturazione del diritto di accesso alle medesime come in precedenza. Con il che, dal 1° ottobre 2003 in avanti, il diritto al conseguimento della pensione dei soggetti esposti all’amianto è soggetto alle norme generali, valevoli per tutti i lavoratori, senza particolari benefici di anticipazione, come invece è accaduto per il precedente periodo dal 28 aprile 1992 al 30 settembre 2003. L’art. 47 in esame, al co. 3, ha poi precisato che con decorrenza dal 1° ottobre 2003 i benefici previdenziali competano ai lavoratori che per un periodo superiore a dieci anni siano stati esposti all’amianto in una concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio su otto ore al giorno. Dal 1° ottobre 2003 in avanti, l’esposizione all’amianto che ha rilievo ai fini dei benefici previdenziali in questione è qualificata per legge nella misura predetta. Inoltre, dal 1° ottobre 2003 in avanti, i benefici previdenziali conseguenti a tale determinata esposizione all’amianto operano indifferentemente per tutti i lavoratori, a prescindere dal regime previdenziale di appartenenza, e dunque anche per quelli non coperti dall’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali gestita dell’Inail, diversamente che dal passato, fermo che, come previsto dal successivo co. 6 ter, i soggetti cui sono stati estesi i benefici previdenziali medesimi, qualora siano destinatari di benefici previdenziali che comportino, rispetto ai regimi pensionistici di appartenenza, l’anticipazione all’accesso al pensionamento ovvero l’aumento dell’anzianità contributiva, hanno l’onere di optare tra i due diversi benefici ed in ogni caso ad essi non si applicano i benefici previdenziali in questione, qualora abbiano già usufruito dei predetti aumenti o anticipazioni alla data del 1° ottobre 2003. Tale limite minimo non si applica però, in forza del medesimo co. 3, ai lavoratori per i quali sia stata accertata una malattia professionale a causa dell’amianto.
La sussistenza e la durata dell’esposizione sono accertate e certificate da parte dell’Inail, come previsto dal successivo co. 4.
A norma del co. 5 dell’art. 47 i lavoratori che intendano ottenere il riconoscimento dei benefici previdenziali in esame, compresi coloro ai quali era già stata rilasciata la certificazione relativa all’esposizione all’amianto prima del 1° ottobre 2003, devono presentare apposita domanda alla sede dell’Inail di residenza, a pena di decadenza del relativo diritto, entro 180 giorni dalla data di pubblicazione del decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, che deve stabilire le modalità di attuazione della normativa in esame. Sono invece fatte salve le previgenti disposizioni, secondo quanto precisato dal co. 6 bis del medesimo art. 47, per coloro che alla data del 1° ottobre 2003 abbiano già maturato il trattamento pensionistico anche in forza dei benefici previdenziali di cui al co. 8 dell’art. 13 della l. 27 marzo 1992, n. 257, nonché per coloro che sempre alla data del 1° ottobre 2003 abbiano fruito di trattamenti di mobilità ovvero abbiano già definito la risoluzione del loro rapporto di lavoro in relazione alla propria domanda di pensionamento. In proposito, l’art. 3, co. 132, della l. 24 dicembre 2003, n. 350 ha avuto modo ulteriormente di ribadire che in favore dei lavoratori che alla data del 2 ottobre 2003 abbiano già maturato il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui al co. 8 dell’art. 13 della l. 27 marzo 1992, n. 257, sono fatte salve le disposizioni previgenti a tale data; e che ciò vale anche per coloro che entro la stessa data del 2 ottobre 2003 hanno avanzato domanda di riconoscimento all’Inail o che ottengono sentenze favorevoli per cause già avviate entro la data medesima. Finalmente, in data 27 ottobre 2004 è stato emanato il decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, che ha stabilito le modalità di attuazione della normativa contenuta nell’art. 47 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 convertito con modifiche in l. 24 novembre 2003, n. 326. In primo luogo, per quanto attiene coloro che alla data del 2 ottobre 2003 sono stati esposti all’amianto per periodi lavorativi soggetti all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali gestita dell’Inail ed abbiano già maturato il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui al co. 8 dell’art. 13 della l. 27 marzo 1992, n. 257, è previsto che si applichi la disciplina previgente a tale data, fermo restando l’obbligo per essi di presentare la relativa domanda, qualora non vi abbiano già provveduto, entro il termine di 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto medesimo, e cioè entro e non oltre il 15 giugno 2005, a pena di decadenza.
In secondo luogo, per quanto attiene invece coloro che alla data del 2 ottobre 2003 sono stati esposti all’amianto per periodi lavorativi anche non soggetti all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali gestita dell’Inail, ed in particolare sono stati occupati per un periodo non inferiore a dieci anni in attività lavorative comportanti un’esposizione all’amianto in una concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio su otto ore al giorno, e comunque sulla normale durata oraria giornaliera prevista dai c.c.n.l., l’intero periodo di esposizione all’amianto è moltiplicato per il coefficiente di 1,25, ai fini della determinazione dell’importo della prestazione pensionistica. Intendendosi per attività lavorative comportanti un’esposizione all’amianto, le seguenti: a) la coltivazione, l’estrazione od il trattamento di minerali amiantiferi; b) la produzione di manufatti contenenti l’amianto; c) la fornitura a misura, la preparazione, la posa in opera o l’installazione di isolamenti o manufatti contenenti amianto; d) la coibentazione con amianto, la decoibentazione o bonifica da amianto, di strutture, impianti, edifici o macchinari; e) la demolizione, la manutenzione, la riparazione, la revisione, il collaudo di strutture, impianti, edifici o macchinari contenenti amianto; f) la movimentazione, la manipolazione e l’utilizzo di amianto o di manufatti contenenti amianto; la distruzione, la sagomatura e il taglio di manufatti contenenti amianto; g) la raccolta, il trasporto, lo stoccaggio e la messa a discarica di rifiuti contenenti amianto.
Intendendosi poi per periodo di esposizione all’amianto, il periodo di attività lavorativa effettivamente svolta.
La sussistenza e la durata dell’esposizione all’amianto sono accertate e certificate dall’Inail, così come in passato.
La domanda di accertamento e di certificazione dell’esposizione all’a­mianto deve dunque essere presentata alla sede Inail competente, entro il termine di 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto medesimo, e cioè entro e non oltre il 15 giugno 2005, a pena di decadenza dal diritto ai benefici previdenziali. Tale domanda deve essere ripresentata anche da parte di coloro che avevano eventualmente già presentato domanda di certificazione dell’esposizione all’amianto per periodi lavorativi anche non soggetti all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali gestita dell’ Inail alla data del 2 ottobre 2003.
L’avvio del procedimento di accertamento dell’Inail è subordinato all’onere di presentazione da parte del lavoratore interessato del suo curriculum lavorativo, rilasciato dal datore di lavoro, dal quale risulti la sua adibizione in modo diretto ed abituale ad una delle attività lavorative comportanti un’esposizione all’amianto sopra dette.
Le controversie relative al rilascio ed al contenuto dei curricula lavorativi sono di competenza delle direzioni provinciale del lavoro. Ai fini dell’accertamento dell’esposizione all’amianto, il datore di lavoro è tenuto a fornire all’ Inail tutte le notizie ed i documenti ritenuti utili. Nel corso di tale accertamento, l’ Inail esegue i sopralluoghi ed effettua gli incontri tecnici che ritiene necessari.
Nel caso in cui il datore di lavoro risulti irreperibile, anche per fallimento o cessazione dell’azienda, il curriculum lavorativo è rilasciato, sulla base delle sue risultanze ed indagini, dalla Direzione provinciale del lavoro.
Per lo svolgimento dei suoi compiti, l’Inail si avvale dei dati delle indagini mirate di igiene industriale, di quelli della letteratura scientifica, delle informazioni tecniche ricavabili da situazioni di lavoro analoghe, nonché di ogni altra documentazione e conoscenza utile a formulare un giudizio sull’esposizione all’amianto fondato su criteri di ragionevole verosimiglianza.
La certificazione della sussistenza e della durata dell’esposizione all’amianto deve essere rilasciata dall’Inail entro un anno dalla conclusione dell’accertamento tecnico. Infine, il lavoratore in possesso della certificazione rilasciata dall’Inail, deve presentare domanda di pensione all’ente previdenziale di sua appartenenza, che provvede a liquidare il trattamento pensionistico con i benefici previdenziali in esame.
Fermo che l’anzianità complessiva utile ai fini pensionistici, conseguita con l’attribuzione dei benefici previdenziali derivanti dall’esposizione all’amianto, non può in ogni caso superare i quaranta anni ovvero il corrispondente limite massimo previsto dai regimi pensionistici di rispettiva appartenenza ove inferiore. L’Inail ha dettato le indicazioni operative necessarie alla presentazione delle domande di certificazione con la circolare 29 dicembre 2004, n. 90.
In particolare, con tale circolare, l’Inail ha avuto modo di precisare in definitiva che in base alle attuali previsioni normative la data ultima di esposizione all’amianto utile per la maturazione del diritto ai benefici previdenziali valevole indistintamente per tutti i lavoratori è quella del 2 ottobre 2003. Ferma tale data finale, sono previsti due diversi regimi, a seconda che il periodo lavorativo di esposizione all’amianto fosse o meno soggetto all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali gestita dell’ Inail. Il primo regime è quello relativo ai lavoratori che sono stati esposti all’amianto per periodi lavorativi soggetti all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali gestita dell’ Inail, per i quali si applica la disciplina previgente al 2 ottobre 2003, laddove a tale data essi abbiano già maturato il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui al co. 8 dell’art. 13 della l. 27 marzo 1992, n. 257, e cioè del coefficiente moltiplicativo del 1,5 del periodo di esposizione all’amianto ai fini sia della determinazione delle prestazioni pensionistiche e sia soprattutto della maturazione del diritto di accesso alle medesime.
Laddove non vi abbiano già provveduto in precedenza, anche per essi è peraltro fatto obbligo di presentare all’Inail la domanda di certificazione di esposizione ultradecennale all’amianto verificatasi entro il 2 ottobre 2003, entro il termine del 15 giugno 2005, a pena di decadenza dal diritto ai benefici previdenziali in questione.
Il secondo regime è quello relativo ai lavoratori che sono stati esposti all’amianto per periodi lavorativi non soggetti invece all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali gestita dell’Inail, e cioè vigili del fuoco, personale di volo, marittimi, dipendenti civili e militari dello Stato e per un certo periodo ferrovieri e postali (si veda l’art. 127 del d.p.r. 30 giugno 1965, n. 1124), per i quali si applica la disciplina successiva al 2 ottobre 2003 di cui all’art. 47 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 convertito con modifiche in l. 24 novembre 2003, n. 326. Anche laddove vi abbiano già provveduto in precedenza, per essi è fatto in ogni caso obbligo di presentare all’ Inail la domanda di certificazione di occupazione ultradecennale in una delle individuate attività lavorative e comportanti un’esposizione all’amianto in una concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio su otto ore al giorno verificatasi entro il 2 ottobre 2003, entro il termine del 15 giugno 2005, a pena di decadenza dal diritto ai benefici previdenziali in questione, e cioè del coefficiente moltiplicativo del 1,25 del periodo di esposizione all’amianto ai fini però della sola determinazione dell’importo delle prestazioni pensionistiche e non già della maturazione del diritto di accesso alle medesime.
LUCA TARTAGLIONE
Docente della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Siena
 
(fonte: Massimario di giurisprudenza del lavoro n. 8-9, agosto/settembre 2005, p. 636)
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