Corte costituzionale e Cassazione ancora “restrittive” in tema di “benefici per esposizione ad amianto”, tramite la prova del superamento di limiti di soglia - Contrariamente Trib. Pisa 4.12. 2002

I

Corte costituzionale 22 aprile 2002, n. 127 (ud. 11 aprile 2002) – Pres. Ruperto – Red. Vari -  G. Andreazza ed altri (avv. Miscione) c. Ferrovie delle Stato SpA (avv. Pessi), Inps (avv. De Angelis), Pres. Consiglio dei Ministri (avv. Stipo).

 

Benefici previdenziali per esposizione ad amianto – Questione di costituzionalità per l’eventuale inapplicabilità della l. n. 257/92 ai dipendenti delle Ferrovie dello Stato,  suppostamente carente del requisito di impresa privata – Infondatezza – Applicabilità della l. n. 257/92 ai lavoratori delle FF.SS., in presenza di esposizione ultradecennale e di rischio morbigeno, definito, in termini di prevenzione, ai sensi e secondo i criteri fissati dal d.lgs. n. 277/1991 (e successive modificazioni).

 

Con la sentenza n. 5 del 2000 questa Corte ha evidenziato, che la norma ora  nuovamente censurata (art. 13, 8 comma, l. n. 257/92) nel testo risultante dalla soppressione (operata in sede di conversione nella legge n. 271/1993 del decreto-legge n. 169/1993) della locuzione "dipendenti dalle imprese che estraggono amianto o utilizzano amianto come materia prima, anche se in corso di dismissione o sottoposte a procedure fallimentari o fallite o dismesse"  conferisce essenziale rilievo, "ai fini dell’applicazione del beneficio previdenziale, all’assoggettamento dei lavoratori all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’amianto, escludendo, al tempo stesso, ogni selezione che possa derivare dal riferimento alla tipologia dell’attività produttiva del datore di lavoro".

Coerentemente con tale conclusione, che trova conferma proprio nelle vicende normative che hanno preceduto l'approvazione del testo attuale del comma 8 dell'art. 13, lo scopo della disposizione medesima è stato rinvenuto "nella finalità di offrire, ai lavoratori esposti all’amianto per un apprezzabile periodo di tempo (almeno 10 anni), un beneficio correlato alla possibile incidenza invalidante di lavorazioni che, in qualche modo, presentano potenzialità morbigene". Scopo che risiede quindi nell’esigenza che la  legge n. 271 del 1993 ha individuato nella tutela del bene-salute, tenuto conto della capacità dell'amianto di produrre danni sull'organismo in relazione al tempo di esposizione, sì da attribuire il beneficio della maggiorazione dell'anzianità contributiva in funzione compensativa dell'obiettiva pericolosità dell'attività lavorativa svolta, e non già con l’intento di risarcire dall’evento disoccupazione i lavoratori costretti a perdere il posto per dismissione da parte delle aziende della lavorazione vietata.

E ciò attraverso un precetto ritenuto da questa Corte "adeguatamente definito negli elementi costitutivi della fattispecie che ne è oggetto e congruamente correlato allo scopo che il legislatore si è prefisso", ove si consideri il rapporto che, nell'ambito della stessa disposizione, è dato rinvenire tra il dato di riferimento temporale e la nozione di rischio morbigeno, caratterizzante il sistema della assicurazione obbligatoria gestita dall'INAIL. Un rischio che, in materia di prevenzione da esposizione all'amianto, il legislatore ha individuato in forza dei criteri posti dal decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277 (e successive modificazioni).

Alla luce delle motivazioni che precedono, la disposizione denunciata si presta, dunque, ad essere interpretata in modo diverso da quello prospettato dal rimettente, consentendo in particolare di ricomprendere nel previsto beneficio previdenziale anche i lavoratori delle Ferrovie dello Stato, beninteso, in presenza dei richiesti presupposti, attinenti, segnatamente, all'esposizione ultradecennale all'amianto, alla soggezione all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto e al rischio morbigeno, secondo quanto innanzi già evidenziato. Donde l'insussistenza del prospettato vulnus all'art. 3 della Costituzione.

 

Ritenuto in fatto

1.¾ Nel corso di un giudizio promosso da taluni dipendenti delle Ferrovie dello Stato S.p.A., al fine di ottenere, nei confronti del proprio datore di lavoro e dell'INPS, l'accertamento del diritto al beneficio previdenziale previsto dall'art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257 (Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto), il Tribunale di Treviso, con ordinanza del 10 novembre 2000, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del menzionato art. 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992, come modificato dall’art. 1, comma 1, del decreto-legge 5 giugno 1993, n. 169 (Disposizioni urgenti per i lavoratori del settore dell’amianto), convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 1993, n. 271.

La norma censurata stabilisce, in favore dei lavoratori esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni, che "l'intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti da esposizione all'amianto, gestita dall'Inail, è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente 1,5".

Secondo il rimettente, la "interpretazione letterale" della disposizione induce a ritenere che detto beneficio sia riservato "ai lavoratori dipendenti da aziende private" e "non sia estensibile ai dipendenti delle FF.SS. S.p.A." e ciò "quanto meno per il periodo antecedente al primo gennaio 1996, data in cui la gestione dell'assicurazione contro le malattie per i dipendenti delle FF.SS. passò all'INAIL".

In tal senso depone, ad avviso del giudice a quo, non solo il riferimento al periodo di lavoro soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie da amianto gestita dall'INAIL, "ma anche l'intero contesto dell'articolo in esame", considerato, in particolare, che il successivo comma 10 "impone alle imprese (private) l'obbligo di versare all'INPS (gestione di cui all'art. 37 della legge 9 marzo 1989, n. 88 ...) un contributo per ogni dipendente che abbia fruito del pensionamento anticipato".

È da ritenere, pertanto, che la disposizione censurata riguardi esclusivamente i lavoratori iscritti all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti gestita dall'INPS "e non anche i lavoratori iscritti ad altri fondi pensione e, in particolare, al fondo pensione istituito con legge n. 418 del 1908 per i ferrovieri cui i ricorrenti erano iscritti alla data di entrata in vigore della legge n. 257 del 1992".

In virtù di "tale necessaria interpretazione dell'art. 13, comma 8", il giudice a quo reputa vulnerato l'art. 3 della Costituzione, per la "irragionevole disparità di trattamento tra lavoratori dipendenti di imprese private e lavoratori dipendenti di imprese non private a fronte di una identica situazione di prolungata esposizione all'amianto".

Quanto alla rilevanza della questione, essa emerge, secondo l'ordinanza, "dal fatto che la interpretazione letterale e sistematica" della disposizione denunciata "comporta la esclusione dei ricorrenti dal godimento dei benefici contributivi ivi previsti per l'intero periodo lavorativo soggetto all'esposizione all'amianto o, quanto meno, per la gran parte di esso".

2.¾ Si sono costituiti, fuori termine, Andreazza Giancarlo ed altri, ricorrenti del giudizio a quo.

3.¾ Si sono, inoltre, costituite le altre parti del giudizio principale e cioè le Ferrovie dello Stato S.p.A. - Società di trasporti e Servizi per Azioni, nonchè l'INPS.

3.1.¾ Le Ferrovie dello Stato S.p.A. hanno concluso, in via pregiudiziale, per "la restituzione degli atti al giudice rimettente perché verifichi nuovamente e motivi sulla rilevanza della questione", e, in via subordinata, per "la dichiarazione di inammissibilità o di manifesta infondatezza della questione" medesima.

Quanto al merito, la memoria sostiene l'inapplicabilità, già in base al dato letterale, della disposizione ai dipendenti delle Ferrovie dello Stato S.p.A., essendo (come, peraltro, ritenuto in una nota del Ministro del tesoro del 23 gennaio 1996) i benefici previsti dalla legge n. 257 del 1992 riservati ai lavoratori dell'amianto del settore privato, iscritti all'assicurazione generale obbligatoria gestita dall'INPS.

Ad avviso della parte, si tratta di una interpretazione coerente con la ratio della disposizione denunciata, da ravvisarsi nell'intenzione del legislatore di beneficiare il settore privatistico, "maggiormente esposto al problema amianto proprio per la soppressione di molteplici lavorazioni con gravi conseguenze sui lavoratori"; rischio estraneo al "personale appartenente al settore pubblico, o comunque ad esso connesso in qualche modo", come il personale delle Ferrovie dello Stato, godendo questo di una "maggiore tutela di ricollocazione nel caso di soppressione dell'attività a cui era addetto".

Nel rammentare, poi, che il personale dipendente dalle FF.SS. è assicurato all'INAIL soltanto dal 1° gennaio 1996 ed iscritto al Fondo speciale gestito dall'INPS a decorrere dall'aprile 2000, la parte costituita ribadisce l'inapplicabilità dell'art. 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992 al predetto personale anche in forza di una "esegesi sistematica e complessiva" della medesima norma, il cui comma 10 "fa riferimento ad un meccanismo che coinvolge esclusivamente le imprese del settore privatistico"; sicché, per l'"inequivocabile ed espresso il richiamo all'INPS quale soggetto passivo delle prestazioni pensionistiche erogate ai lavoratori che siano ammessi al pensionamento anticipato", è giocoforza "ritenere che la disciplina non si applichi ai dipendenti delle FF.SS. (e a tutti quelli all'epoca iscritti ad altri fondi di previdenza diversi dall'INPS)".

Ciò, peraltro, in armonia con la già evidenziata ratio della legge n. 257 del 1992, confortata, altresì, dalla circostanza che gli effettivi destinatari del beneficio "erano stati quantificati in circa 1200 in fase di discussione parlamentare e per tale numero era stata reperita la copertura finanziaria ex art. 81 Cost.", laddove una diversa ed estensiva interpretazione "consentirebbe di attribuire il beneficio ad una platea anche centinaia di volte più grande".

Nel sostenere, poi, che "nessun argomento in senso contrario" alle precedenti considerazioni può trarsi dalla sentenza n. 5 del 2000 della Corte costituzionale, la parte costituita esclude, in definitiva, che possa ravvisarsi il prospettato contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in quanto la disposizione censurata individua "una precisa e definita categoria di imprese e di lavoratori addetti alle medesime", secondo la finalità di favorire detta categoria di lavoratori, "in ragione della particolare situazione occupazionale determinata dal divieto di utilizzazione dell'amianto che ha interessato le imprese cui appartenevano i lavoratori stessi".

3.2.¾ L'INPS, nel concludere per l'inammissibilità o, in subordine, per l'infondatezza della questione, sostiene, anzitutto, che l'ordinanza di rimessione è generica, giacchè "non precisa, per ogni lavoratore, il periodo di esposizione all'amianto ... né se il lavoratore era pensionato o meno all'entrata in vigore della legge n. 257 del 1992".

Nel merito, la memoria rileva, da un lato, che, nel censurato art. 13, sussiste "una stretta correlazione tra lavoratori esposti all'amianto e l'assoggettamento per il periodo di esposizione all'assicurazione gestita dall'INAIL di cui al comma 8", e, dall'altro, che lo stesso INAIL gestisce l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali dei dipendenti delle Ferrovie dello Stato soltanto dal 1° gennaio 1996.

Non può, dunque, ritenersi, ad avviso della parte, costituzionalmente illegittima la disposizione denunciata "per detto collegamento operato dal legislatore, essendo rimessa l'individuazione dei beneficiari della normativa alla sua discrezionalità". Peraltro, la circostanza che il beneficio sia stato limitato "soltanto a particolari categorie" si giustifica in quanto trattasi di norma eccezionale, che comporta oneri a carico del bilancio dello Stato (come si evince dal comma 12 dello stesso art. 13).

4.¾ E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile, come da ordinanza n. 7 del 2000 della Corte costituzionale, e, comunque, infondata.

5.¾ In prossimità dell'udienza hanno depositato memorie illustrative le Ferrovie dello Stato S.p.A. e l'INPS, nonché l'intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri.

5.1.¾ Le Ferrovie dello Stato S.p.A., a conferma delle conclusioni già rassegnate, ribadiscono che il denunciato art. 13, comma 8, "ben può essere interpretato come una norma che partecipa della medesima ratio del provvedimento che la contiene: ossia il massimo contenimento del c.d. danno occupazionale discendente dall'eliminazione dal ciclo produttivo dell'amianto e, dunque, dalla chiusura ovvero riconversione delle aziende che lo estraevano e lo trattavano direttamente".

Ove, invece, si volesse individuare la ratio della norma censurata e dell'intera legge n. 257 del 1992 non già nella volontà di impedire un danno occupazionale correlato alla imposta dismissione dell'amianto, bensì "nell'intento di risarcire un danno alla salute", la memoria sostiene che "si delineerebbero scenari piuttosto vasti di irrazionalità del complessivo impianto normativo della stessa legge n. 257 del 1992". Peraltro, nel supporre l'immanenza nella legge in parola di una finalità risarcitoria, si "accrediterebbe un singolare schema di assicurazione sociale, che interverrebbe non già a copertura di un danno, bensì della sua mera potenzialità".

Ed ancora, si rileva nella memoria, detta interpretazione creerebbe una intollerabile disparità di trattamento "in materia di salute" in danno di coloro che, pur esposti all'amianto per oltre un decennio, siano andati in pensione con il massimo della contribuzione e, quindi, "impossibilitati a fruire della supervalutazione prevista dal comma 8 dell'art. 13"; non senza tacere, poi, che l'attribuzione di una finalità risarcitoria alla disposizione denunciata "comporterebbe gravi implicazioni in punto di (insufficiente) copertura finanziaria" per l'attuazione della norma medesima.

Ad avviso della parte costituita, il censurato art. 13, comma 8, appartiene, dunque, "al campo della previdenza", avendo come presupposto l'art. 38, secondo comma, della Costituzione, e non può ad esso attribuirsi un contenuto "risarcitorio (del danno alla salute)"; la norma tutela, infatti, il "danno all'occupazione" ed il suo destinatario può essere considerato "solo chi è stato espulso dal mercato del lavoro a causa della dismissione dell'amianto".

Sotto diverso profilo, la memoria assume che il tertium comparationis individuato dal rimettente appare "assolutamente inidoneo" a fondare la prospettata incostituzionalità, giacché "i settori lavorativi «privato» e «non privato» costituiscono situazioni soggettivamente ed oggettivamente diversificate".

5.2.¾ L'INPS, reiterando, preliminarmente, l'eccezione di inammissibilità della questione e, in ogni caso, insistendo per la sua infondatezza, sostiene che le disposizioni contenute nell'art. 13 della legge n. 257 del 1992, e successive modificazioni, rispondono "allo scopo precipuo di accelerare il pensionamento dei lavoratori esposti al rischio" dell'amianto e che, segnatamente, il comma 8 del citato art. 13 è finalizzato "al più rapido conseguimento del trattamento economico previdenziale sostitutivo della retribuzione", la quale "difficilmente potrebbe essere mantenuta  attraverso utile reimpiego" dei lavoratori esposti all'amianto.

Tanto premesso, la parte costituita assume che i lavoratori delle Ferrovie dello Stato, "fintanto che erano tutelati con rapporto di pubblico impiego, avevano la garanzia della stabilità del posto di lavoro in quanto sostanzialmente pubblici dipendenti" e ciò "spiega perché i benefici di cui al citato art. 13 riguardano i lavoratori del settore privato ed iscritti all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, che avrebbero potuto subire conseguenze negative sotto il profilo occupazionale dall'entrata in vigore della legislazione che ha vietato l'uso dell'amianto".

Peraltro, anche se si intendesse applicare la norma denunciata al dipendenti delle Ferrovie dello Stato "con retroattività dall'avvenuta privatizzazione, nessun lavoratore potrebbe rientrare nell'esposizione ultradecennale", giacché il divieto di utilizzo dell'amianto è reso operativo, a mente dell'art. 1, comma 2, della legge n. 257 del 1992, a decorrere da 365 giorni dalla data di entrata in vigore della legge medesima.

5.3.¾ Il Presidente del Consiglio dei ministri, nel concludere per la manifesta infondatezza della sollevata questione, rileva che "il differente regime previdenziale dei ferrovieri (iscritti al fondo pensioni con onere a carico delle FF.SS. e dello Stato) e dei dipendenti privati (iscritti all'INPS) non legittima il dubbio di costituzionalità", non potendo ravvisarsi violazione del principio di eguaglianza nel raffronto tra regimi previdenziali diversi, né potendosi estendere "a favore dell'una le provvidenze dettate per l'altra" categoria.

Sostiene, ancora, la difesa erariale che in presenza di un tertium comparationis che ha natura di norma eccezionale, derogatoria alla regola generale desumibile dal complesso sistema normativo, non può utilmente invocarsi il principio di eguaglianza, risultando così "inammissibile la estensione ad altre ipotesi", ove, peraltro, "la mancata estensione di un beneficio non può di per sé costituire offesa al dettato costituzionale".

Considerato in diritto

1.¾ Il Tribunale di Treviso ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257 (Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto), come modificato dall’art. 1, comma 1, del decreto-legge 5 giugno 1993, n. 169 (Disposizioni urgenti per i lavoratori del settore dell’amianto), convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 1993, n. 271.

La disposizione stabilisce che, "per i lavoratori che siano stati esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni, l'intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti da esposizione all'amianto gestita dall'INAIL, è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente 1,5".

Ad avviso del rimettente, la norma censurata, "nella parte in cui non prevede l'applicabilità del beneficio pensionistico ivi contemplato ai lavoratori dipendenti delle FF.SS. S.p.A.", violerebbe l'art. 3 della Costituzione, introducendo "una irragionevole disparità di trattamento tra lavoratori dipendenti di imprese private e lavoratori dipendenti di imprese non private a fronte di una identica situazione di prolungata esposizione all'amianto".

2.¾ In via preliminare deve essere rilevata la tardività e, perciò, l'inammissibilità della costituzione di Andreazza Giancarlo ed altri, ricorrenti del giudizio a quo, effettuata con memoria depositata oltre il termine stabilito dagli artt. 25, secondo comma, della legge n. 87 del 1953, e 3 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

3.¾ Sempre in via preliminare, vanno esaminate le eccezioni di inammissibilità sollevate dalle parti costituite, le quali adducono un difetto di motivazione dell'ordinanza di rimessione in punto di rilevanza: mentre, secondo l'INPS, sarebbe assente ogni riferimento specifico alle singole posizioni dei lavoratori interessati al beneficio previsto dalla disposizione censurata, ad avviso delle Ferrovie dello Stato non sarebbe possibile la verifica sulla "necessaria pregiudizialità logico-giuridica della questione sollevata rispetto alle domande svolte dai lavoratori" nel giudizio principale.

Le eccezioni non possono trovare accoglimento.

Infatti, come si rileva dall'ordinanza di rimessione, il giudice a quo non solo ha fornito, sia pure sinteticamente, i necessari elementi di descrizione della fattispecie sottoposta alla sua cognizione, precisando che i ricorrenti sono tutti dipendenti delle Ferrovie dello Stato S.p.A., assegnati a vari impianti e mansioni, ma ha anche plausibilmente motivato sull'applicabilità, nel giudizio principale, della norma denunciata, che ha per oggetto l'accertamento del diritto dei ricorrenti stessi al beneficio previsto dalla norma medesima. Il che consente, perciò, di apprezzare adeguatamente la sussistenza del nesso di pregiudizialità tra il proposto incidente di costituzionalità e il giudizio a quo.

4.¾ Nel merito la questione non è fondata.

Questa Corte, con la sentenza n. 5 del 2000, ha già avuto modo di affrontare, sebbene sotto profili diversi da quello attualmente all'esame, lo scrutinio di costituzionalità dell'art. 13, comma 8, anche ora denunciato, dichiarando non fondate le censure allora sollevate, le quali prospettavano il contrasto della menzionata disposizione con gli artt. 3 e 81, quarto comma, della Costituzione, a motivo della asserita indeterminatezza, oggettiva e soggettiva, della fattispecie legale attributiva del beneficio della rivalutazione dei periodi assicurativi.

In quell'occasione si è evidenziato, che la norma censurata ¾ nel testo risultante dalla soppressione (operata in sede di conversione in legge del decreto-legge n. 169 del 1993) della locuzione "dipendenti dalle imprese che estraggono amianto o utilizzano amianto come materia prima, anche se in corso di dismissione o sottoposte a procedure fallimentari o fallite o dismesse" ¾ conferisce essenziale rilievo, "ai fini dell’applicazione del beneficio previdenziale, all’assoggettamento dei lavoratori all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’amianto, escludendo, al tempo stesso, ogni selezione che possa derivare dal riferimento alla tipologia dell’attività produttiva del datore di lavoro".

Coerentemente con tale conclusione, che trova conferma proprio nelle vicende normative che hanno preceduto l'approvazione del testo attuale del comma 8 dell'art. 13, lo scopo della disposizione medesima è stato rinvenuto "nella finalità di offrire, ai lavoratori esposti all’amianto per un apprezzabile periodo di tempo (almeno 10 anni), un beneficio correlato alla possibile incidenza invalidante di lavorazioni che, in qualche modo, presentano potenzialità morbigene".

E ciò attraverso un precetto ritenuto da questa Corte "adeguatamente definito negli elementi costitutivi della fattispecie che ne è oggetto e congruamente correlato allo scopo che il legislatore si è prefisso", ove si consideri il rapporto che, nell'ambito della stessa disposizione, è dato rinvenire tra il dato di riferimento temporale e la nozione di rischio morbigeno, caratterizzante il sistema della assicurazione obbligatoria gestita dall'INAIL.

Un rischio che, in materia di prevenzione da esposizione all'amianto, il legislatore ha individuato in forza dei criteri posti dal decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277 (e successive modificazioni).

5.¾ Così definite portata e finalità del precetto sospettato di incostituzionalità, va osservato che il rimettente, nel sollevare la questione, muove dal presupposto che la norma denunciata riservi il beneficio pensionistico della rivalutazione dei periodi assicurativi "ai lavoratori dipendenti da aziende private", senza possibilità di estensione ai dipendenti delle Ferrovie dello Stato; e ciò "quanto meno per il periodo antecedente al primo gennaio 1996", data in cui la gestione dell'assicurazione infortuni, per detti dipendenti, passò all'INAIL.

In tal senso deporrebbe, secondo il giudice a quo, non solo il riferimento al periodo di lavoro soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie da amianto gestita dall'INAIL, "ma anche l'intero contesto dell'articolo in esame", e, segnatamente, il successivo comma 10 che "impone alle imprese (private) l'obbligo di versare all'INPS (gestione di cui all'art. 37 della legge 9 marzo 1989, n. 88 ...) un contributo per ogni dipendente che abbia fruito del pensionamento anticipato". Donde la conclusione, trattane dal giudice a quo, dell'esclusiva pertinenza del beneficio previdenziale in esame ai lavoratori iscritti all'assicurazione generale obbligatoria gestita dall'INPS e non già, anche, ai "lavoratori iscritti ad altri fondi pensione e, in particolare, al fondo pensione istituito con legge n. 418 del 1908 per i ferrovieri", soppresso  soltanto dal 1° aprile 2000, in forza dell'art. 43 della legge n. 488 del 1999.

Detto assunto va considerato, però, tutt'altro che pacifico, essendo frutto di una non adeguata indagine sulla ratio della disposizione denunciata.

Indagine tanto più necessaria ove si consideri non solo l'assenza, nel caso specifico, di diritto vivente, ma anche l'esigenza, evidenziata dalla costante giurisprudenza di questa Corte, di una doverosa ricerca, tra più soluzioni interpretative possibili, di quella costituzionalmente adeguata, posto che l'incostituzionalità di una disposizione può dichiararsi soltanto ove sia impossibile darne una interpretazione costituzionale e non già perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali.

6.¾ In questa prospettiva, occorre rilevare che l'interpretazione adottata dal giudice a quo non risulta essere l'unica possibile, militando per una diversa lettura della disposizione censurata plurimi elementi esegetici, i quali portano a ritenere che essa sia volta a tutelare, in linea generale, tutti i lavoratori esposti all'amianto, in presenza, beninteso, dei presupposti fissati dalla disposizione stessa, secondo quanto evidenziato dalla già ricordata sentenza di questa Corte n. 5 del 2000. Presupposti richiesti proprio perché la legge n. 271 del 1993 ha voluto tener conto della capacità dell'amianto di produrre danni sull'organismo in relazione al tempo di esposizione, sì da attribuire il beneficio della maggiorazione dell'anzianità contributiva in funzione compensativa dell'obiettiva pericolosità dell'attività lavorativa svolta.

Obiettiva pericolosità che indubbiamente non manca anche nell'ambito del servizio ferroviario, ove l'eliminazione e lo smaltimento del materiale rotabile contenente amianto, già esplicitamente incluso tra i prodotti la cui produzione e commercializzazione erano destinate, sia pure gradualmente, a cessare (lettera d) della tabella allegata alla legge n. 257 del 1992), si pone, tuttora, come problema di non secondaria importanza (cfr. il "Secondo addendum al contratto di programma tra Ministro dei trasporti e le Ferrovie dello Stato S.p.a. 1994-2000", di cui alla deliberazione 22 giugno 2000 del CIPE).

7.¾ Così individuata la causa giustificativa della norma denunciata, non corretta appare, anzitutto, la qualificazione, da parte del giudice a quo, dei lavoratori delle Ferrovie dello Stato come dipendenti di "imprese non private", senza, con ciò, avvedersi che, alla data di entrata in vigore della disposizione denunciata (frutto della modifica apportata, all'art. 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992, dalla legge 4 agosto 1993, n. 271, di conversione del decreto-legge n. 169 del 1993), l'Ente cui essi appartenevano (istituito dalla legge n. 210 del 1985, in luogo della già Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato) era stato trasformato in società per azioni, in virtù della delibera CIPE del 12 agosto 1992: trasformazione che, come anche rilevato da questa Corte (sentenza n. 179 del 1996), ha dato luogo ad un "organismo societario privatistico (sia pure a configurazione speciale)".

Inoltre, anche se, come ricorda il rimettente, il personale ferroviario è stato assicurato presso l'INAIL soltanto dal 1° gennaio 1996, in forza dell'art. 2, comma 13, del decreto-legge n. 510 del 1996, convertito nella legge n. 608 del 1996, non può ignorarsi che la stessa disposizione ha posto a carico dell'INAIL, a decorrere sempre dal 1° gennaio 1996, tutte le prestazioni, comprese quelle relative agli eventi infortunistici e alle manifestazioni di malattie professionali verificatisi entro il 31 dicembre 1995 e non ancora definiti, essendo all'uopo contemplato, dal successivo comma 15, l'obbligo delle Ferrovie dello Stato S.p.A. di versare all'INAIL una riserva matematica per il pagamento di tutte le predette prestazioni.

Un'ipotesi, questa, di rapporto successorio ex lege, che ha avuto come esito, da un lato, il venir meno della posizione delle Ferrovie dello Stato quale ente assicuratore contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali del personale dipendente, e, dall'altro, la concentrazione in capo all'INAIL della relativa gestione assicurativa, essendo a suo carico, a partire dal 1° gennaio 1996, non soltanto le prestazioni dovute per gli eventi insorti dopo detta data, ma anche quelle relative ad eventi pregressi, se non definiti entro il 31 dicembre 1995.

E ciò senza trascurare che anche in precedenza il personale ferroviario, benché escluso, per effetto dell'art. 127 del d.P.R. n. 1124 del 1965 (ora abrogato dall'art. 53, comma 7, della legge n. 449 del 1997), dalla gestione assicurativa INAIL, fruiva, con erogazione a diretto carico delle Ferrovie dello Stato, di una tutela assicurativa contro gli infortuni corrispondente a quella contemplata dallo stesso decreto.

Non può, infine, convenirsi sul peso che il rimettente tende ad annettere, sul piano sistematico, al disposto del comma 10 dell'art. 13 della legge in esame, che imponendo l'obbligo di versare all'INPS uno specifico contributo per ogni dipendente che abbia fruito del pensionamento anticipato, conforterebbe la tesi che il beneficio di cui al comma 8 denunciato riguardi i lavoratori iscritti all'assicurazione generale obbligatoria gestita dall'INPS.

A tacer del fatto che, dal 1° aprile 2000, la gestione pensionistica del personale delle Ferrovie dello Stato è stata affidata all'INPS, presso il quale ente è istituito un apposito Fondo, con contestuale soppressione di quello istituito con legge n. 418 del 1908 (art. 43 della legge n. 488 del 1999), l'argomento addotto dal giudice a quo, pretermettendo, ancora una volta, la dovuta considerazione della ratio della norma censurata, non tiene adeguatamente conto del fatto che ¾ come rilevato, del resto, dalla stessa giurisprudenza ordinaria ¾ non può essere certo la diversità dell'onere contributivo per le imprese e finanziario per gli istituti previdenziali, risultante dal menzionato comma 10 dell'art. 13, a costituire, di per sé, un elemento interpretativo per escludere la spettanza del beneficio stesso anche in favore di lavoratori iscritti a gestioni previdenziali diverse dall'INPS.

8.¾ Alla luce delle motivazioni che precedono, la disposizione denunciata si presta, dunque, ad essere interpretata in modo diverso da quello prospettato dal rimettente, consentendo in particolare di ricomprendere nel previsto beneficio previdenziale anche i lavoratori delle Ferrovie dello Stato, beninteso, in presenza dei richiesti presupposti, attinenti, segnatamente, all'esposizione ultradecennale all'amianto, alla soggezione all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto e al rischio morbigeno, secondo quanto innanzi già evidenziato.

Donde l'insussistenza del prospettato vulnus all'art. 3 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257 (Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto), come modificato dall’art. 1, comma 1, del decreto-legge 5 giugno 1993, n. 169 (Disposizioni urgenti per i lavoratori del settore dell’amianto), convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 1993, n. 271, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Treviso, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11  aprile 2002.

 

II

Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 15 maggio 2002, n. 7084

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

Con due distinti ricorsi, depositati rispettivamente il 2 ed il 29 dicembre 1997, Mario Corradini e Riccardo Cattolica, premesso di avere lavorato alle dipendenze della società Gestioni Industriali S.p.A. con sede in Civitanova Marche e di essere stati esposti all'amianto a causa ed in occasione dello svolgimento delle prestazioni lavorative, chiedevano che il Pretore di Fermo, accertata tale situazione, dichiarasse il loro diritto ai benefici pensionistici di cui all'art. 13, comma 8, l. 257/1992 e, conseguentemente, dichiarasse l'INAIL e l'INPS, convenuti in giudizio, tenuti agli adempimenti di rispettiva competenza, con condanna del secondo alla erogazione del relativo trattamento pensionistico.

Entrambi gli Istituti si costituivano, contestando le domande di cui chiedevano il rigetto.

Con sentenza n. 110/98 il Pretore, riuniti i giudizi, all'esito della espletata prova per testi ed alla acquisizione di documentazione, condannava l'INPS ad applicare ad entrambi i ricorrenti il richiesto beneficio, mentre rigettava la domanda avanzata nei confronti dell'INAIL.

Avverso tale decisione proponeva appello l'INPS, con ricorso depositato il 30 luglio 1998, deducendo che per il riconoscimento del beneficio pensionistico invocato non era sufficiente la esposizione all'amianto per oltre dieci anni, come ritenuto dal Pretore, ma era necessario altresì accertare l'entità della esposizione subita e, cioè, verificare che la esposizione all'amianto avesse determinato concretamente la insorgenza di un rischio indennizzabile dall'INAIL (nella specie, rischio dell'asbestosi).

I lavoratori si costituivano, riportandosi a quanto esposto nel corso del giudizio di primo grado e chiedendo la conferma della sentenza impugnata.

Si costituiva anche l'INAIL, dolendosi della formula, adottata dal Pretore, di rigetto, anche nei propri confronti, della domanda dei ricorrenti, avanzata, in effetti, solo nei confronti dell'INPS.

Con sentenza del 28 maggio-12 agosto 1999, l'adito Tribunale di Fermo confermava la sentenza di primo grado, ritenendo sufficiente, ai fini del riconoscimento dei richiesti benefici, la sola esposizione all'amianto per oltre dieci anni. Dichiarava, inoltre, l'inammissibilità della richiesta dell'INAIL perché non proposta nelle forme dell'appello incidentale.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre l'INPS con un unico motivo.

L'INAIL resiste con controricorso, proponendo, a sua volta, ricorso incidentale condizionato.

Resistono anche Mario Corradini e Riccardo Cattolica con controricorso.

L'INAIL ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

Va preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).

Con l'unico motivo di ricorso, l'INPS, denunciando violazione dell'art. 13, comma 8, della l. n. 257 del 1992, come modificato con d.l. n. 169 del 1993, convertito in l. n. 271 del 1993, e vizi di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver erroneamente interpretato la disposizione del comma 8, nel senso che per il riconoscimento del beneficio pensionistico invocato sarebbe sufficiente la esposizione all'amianto per oltre dieci anni, mentre era necessario, altresì, accertare l'entità dell'esposizione a rischio e, cioè, verificare che la esposizione all'amianto avesse determinato concretamente la insorgenza di un rischio indennizzabile dall'INAIL (nella specie, rischio di asbestosi).

Secondo l'Istituto, infatti, il legislatore avrebbe previsto la concessione del beneficio, rivendicato nella presente controversia, per un numero limitato di lavoratori interessati (circa 2000 per il biennio 1994-95), che effettivamente avevano subito rischi per la salute a causa di una particolare esposizione all'amianto, non avendo invece mai ipotizzato la concessione del suddetto beneficio a tutti i lavoratori che in qualche modo lavorano in luoghi di esposizione all'amianto.

Ne discende che non sarebbe sufficiente affermare - come affermato dal Tribunale - che "i sigg.ri Corradini e Cattolica hanno prestato attività lavorativa consistente nella riparazione e manutenzione di vagoni ferroviari e quindi di manutenzione nei quali l'amianto era presente (quale materiale isolante)...", per farne scaturire la conseguenza che tutti i dipendenti della stessa ditta avevano corso, per tutto il periodo lavorativo ed in qualunque posto in cui avevano svolto la propria attività, un rischio per la propria salute, essendo necessario invece dimostrare la concentrazione minima di tollerabilità, i vari e singoli posti di lavoro (ubicazione o semplice frequentazione occasione) succedutisi negli anni, nonché il periodo di effettiva esposizione all'amianto. 

Ribadisce anche il ricorrente Istituto che la legge non prevede il beneficio della rivalutazione contributiva per la semplice esposizione all'amianto, ma piuttosto per una esposizione tale da dovere essere assicurata dall'INAIL, dovendosi così fare riferimento quantomeno alla concentrazione media annuale superiore a 0,1 fibre per cm. buco su otto ore al giorno, sulla base di criteri di giudizio mutuati dall'art. 24, comma 3, d.lgs. n. 277 del 1991.

Il motivo è fondato.

Come è noto, la norma dell'art. 13, comma 8, della l. 27 marzo 1992, n. 257, come sostituito dall'art. 1 del d.l. 5 giugno 1993, n. 169, a sua volta modificato dalla legge di conversione 4 agosto 1993, n. 271, su cui si fonda il diritto azionato, finalizza il beneficio da essa assicurato ai lavoratori che siano stati esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni, a una più rapida acquisizione dei requisiti contributivi utili per il conseguimento delle prestazioni pensionistiche attraverso il meccanismo della moltiplicazione per il coefficiente 1,5 dell'intero periodo lavorativo soggetto ad assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto, gestita dall'INAIL.

In ordine alla sua interpretazione, questa Corte ha avuto modo di chiarire, attraverso decisioni adottate in epoca successiva alla pronuncia 12 gennaio 2000, n. 5 della Corte costituzionale, dichiarativa della non fondatezza delle questioni di costituzionalità della norma in oggetto, sollevate in riferimento agli art. 3 e 81 Cost., che la eliminazione, ad opera della legge di conversione n. 271 del 1993, del riferimento - contenuto sia nel testo originario del comma 8 dell'art. 13, sia in quello sostituito dal d.l. n. 169 del 1993 - ai "dipendenti delle imprese che estraggono amianto o utilizzano amianto come materia prima, anche se in corso di dismissione o sottoposte a procedure fallimentari o fallite o dismesse" sia significativa dell'intento del legislatore di evitare ogni selezione soggettiva che possa derivare dal riferimento alla tipologia dell'attività produttiva del datore di lavoro e di attribuire, piuttosto, centralità all'avvenuta ultradecennale adibizione del lavoratore ad attività soggette all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'amianto, per la presenza, nel circolo produttivo o, comunque, nell'ambiente di lavoro, di valori di rischio superiori a quelli consentiti dagli artt. 24 e 31 del d.lgs. 15 agosto 1991, n. 277; così riconoscendo il diritto alla ultravalutazione del periodo lavorativo - ai fini delle prestazioni pensionistiche - a tutti coloro che, per essere stati a contatto con polveri di amianto in una concentrazione significativa (in quanto superiore alla soglia minima indicata dalla legislazione prevenzionale), siano stati soggetti, in relazione alle mansioni svolte ed al tempo di esposizione, al rischio (effettivo e non meramente ipotetico) di contrarre le malattie che la sostanza è capace di generare.

Destinatari della disposizione in esame non sono, dunque, i lavoratori che abbiano perso - o siano esposti al rischio di perdere - il posto di lavoro di conseguenza della soppressione delle lavorazioni dell'amianto, bensì, come si è detto, i lavoratori, quale che sia l'attività produttiva dell'Impresa datrice di lavoro, che abbiano subito una esposizione "qualificata" (nei sopra precisati) all'amianto, intendendo la legge assicurare anche a questi soggetti la possibilità di abbandonare anticipatamente il lavoro attribuendo loro un trattamento di favore analogo a quello accordato ai lavoratori di cave e miniere (art. 13, comma 6) e ai lavoratori già riscontrati affetti da tecnopatia imputabile all'amianto (art. 13, comma 7) (cfr., in particolare, Cass. 3 aprile 2001, n. 4913).

Né può fondatamente sostenersi - come pur si è sostenuto in dottrina - che una simile lettura finirebbe per neutralizzare la portata precettiva delle norme sull'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, le quali (a partire dal d.P.R. 20 marzo 1956, n. 618, recante norme modificatrici della l. 12 aprile 1943, n. 455, istitutiva dell'assicurazione obbligatoria contro la silicosi e l'asbestosi) individuano le lavorazioni a rischio come quelle che "... comunque espongono alla inalazione di fibre di amianto" e alla cui stregua, dunque, il beneficio della rivalutazione contributiva dovrebbe riconoscersi a tutti i lavoratori inseriti in realtà produttive nelle quali si verifichi in qualche modo una dispersione di fibre di amianto.

Tali rilievi, infatti, non tengono conto che la l. n. 257/92 stabilisce essa stessa con specifica disposizione (art. 3) - che richiama, e in parte modifica, i valori limite indicati nel d.lgs. n. 277/91 - quale sia la concentrazione massima di fibre di amianto "respirabili" nell'ambiente di lavoro, mostrando così di ritenere insufficiente, agli effetti delle misure di tutela apprestate nelle sue varie disposizioni per il caso di "esposizione all'amianto", la presenza della sostanza in quantità tale da non dar luogo all'obbligo di adottare misure protettive specifiche. Inserita e letta in tale contesto, la norma del comma 8 dell'art. 13, nella parte in cui prevede che la concessa rivalutazione interessi l'"intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto, gestita dall'INAIL", non può essere intesa altrimenti che nel senso di presupporre lo svolgimento di una delle attività soggette ad assicurazione obbligatoria all'INAIL (in base al combinato disposto degli artt. 1, 3 e 144 del d.P.R. n. 1124 del 1965) ma con valori di esposizione pari (o superiori) a quelli che la l. n. 257/92 considera a rischio, senza per questo porsi in contraddizione con le regole del sistema assicurativo, le quali rispondono alla esigenza - propria di tale sistema e non comparabile con quella sottesa all'attribuzione dell'eccezionale trattamento previdenziale di cui si discute - di tutelare il lavoratore al verificarsi di una malattia professionale.

E' anche da aggiungere che, nelle sue più recenti decisioni (in particolare, nella sentenza 3 aprile 2001, n. 4913, cit.), questa Corte ha chiarito che l'accertamento della sussistenza della esposizione a rischio per il periodo prescritto dalla legge deve essere compiuto dal giudice di merito avendo riguardo alla singola collocazione lavorativa, verificando cioè - nel rispetto del criterio di ripartizione dell'onere probatorio ex art. 2697 cod. civ. (o, se del caso, avvalendosi dei poteri di ufficio ad esso riconosciuti nel rito del lavoro) - se colui che ha fatto richiesta del beneficio di cui all'art. 13, comma 8, dopo aver indicato e provato sia la specifica lavorazione praticata, sia l'ambiente dove ha svolto per più di dieci anni detta lavorazione, abbia anche dimostrato che tale ambiente presentava una esposizione al rischio delle polveri di amianto superiore ai valori limite indicati nel ricordato d.lgs. n. 277/91 (come modificato dall'art. 3 della l. n. 257/92). Il lavoratore, inoltre, sempre nell'ottica della necessaria personalizzazione del rischio, dovrà dimostrare la sussistenza dell'ulteriore requisito prescritto dalla legge, vale a dire di essere stato esposto a quel rischio "qualificato" per un periodo superiore a dieci anni; con l'avvertenza che, nel periodo in questione, dovranno essere computate le pause "fisiologiche" di attività (riposi, ferire, festività) che rientrano nella normale evoluzione del rapporto di lavoro.

L'accertamento in questione non risulta compiuto dalla impugnata sentenza, avendo ritenuto sufficiente per il riconoscimento del beneficio invocato la esposizione all'amianto per oltre dieci anni, indipendentemente dall'entità dell'esposizione.

Non può, invece, trovare accoglimento per difetto d'interesse il ricorso incidentale con cui l'INAIL, denunciando violazione del principio della corrispondenza tra dispositivo e motivazione (artt. 132 nn. 4 e 5 c.p.c., 118 disp. att. stesso codice e 429 c.p.c.), nonché motivazione errata e contraddittoria, si duole che il Tribunale abbia dichiarato inammissibile la domanda articolata dall'Istituto nella memoria di costituzione, in grado di appello, senza l'adozione della forma dell'appello incidentale.

 

Invero, così statuendo, il Giudice a quo ha sostanzialmente confermato la statuizione del Pretore, la quale, con l'adottata formula di "rigetto", ha, comunque, escluso ogni responsabilità dell'INAIL nella vicenda oggetto di giudizio, facendo venir meno ogni interesse ad una diversa declaratoria.

Va, pertanto, accolto il solo ricorso principale, con conseguente cassazione della impugnata sentenza, restando affidato al giudice di rinvio, che si designa nella Corte d'appello di Ancora, il compito di esaminare nuovamente la controversia, attenendosi al seguente principio di diritto: "Il disposto del comma 8 dell'art. 13 della l. 27 marzo 1992, n. 257 ("Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto"), va interpretato, in ragione dei criteri ermeneutici letterale, sistematico e teleologico, nel senso che il beneficio stesso va attribuito unicamente agli addetti a lavorazioni che presentano valori di rischio per esposizione a polveri d'amianto superiori a quelli consentiti dal d.lgs. 15 agosto 1991 n. 277 (come modificato dall'art. 3 della l. n. 257/92). Nell'esame della fondatezza della domanda di detto beneficio il giudice di merito deve accertare - nel rispetto dei criteri di ripartizione dell'onere probatorio ex art. 2697 c.c. - se colui che ha avanzato domanda del beneficio in esame, dopo aver provato la specifica lavorazione praticata e l'ambiente dove ha svolto per più di dieci anni (periodo in cui vanno valutate anche le pause "fisiologiche" proprie di tutti i lavoratori, quali riposi, ferie e festività) detta lavorazione, abbia anche dimostrato che tale ambiente ha presentato una concreta esposizione al rischio alle polveri di amianto con valori limite superiore a quelli indicati nel suddetto decreto n. 277 del 1991 (come modificato dall'art. 3 della l. n. 257/92)".

Al giudice di rinvio va rimessa la statuizione anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso principale e rigetta quello incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d'appello di Ancona.

********

III

Tribunale di Pisa  (sez. lav., giudice unico di 1° grado) – 4 dicembre 2002 – Est. Nisticò – Iacuissi ed altri (avv. Paoletti), Michelotti (avv. Aglioti), Tinucci ed altri (avv. Cerrai, Bartalena) c. INPS (avv. Pinto, Perani)

 

Benefici previdenziali da esposizione ad amianto – Inesistenza nel testo di legge di limiti di soglia – In conseguenza delle conoscenza scientifica di patologie oncologiche da inalazione di fibre di amainto, dose-indipendenti – Sufficienza per il beneficio della ipervalutazione contributiva, della esposizione di durata ultradecennale come previsto dalla legge 257/92.

 

La legge per i benefici da esposizione ad amianto  non prevede alcuna “soglia di rischio”; al legislatore non poteva essere sfuggita l’opinione – assolutamente uniforme nella comunità scientifica – secondo la quale in oncologia professionale non vi è soglia di rischio; si tratta…di patologie – quelle indotte da inalazione di fibre di amianto aerodisperse -  per le quali non è individuabile una dose-soglia, cioè che non sono dose dipendenti. Anche per il mesotelioma è stata accertata l’esistenza di una correlazione  con la dose di fibre inalate apparentemente senza soglia. E’  proprio per questa ragione, unanimemente affermata in letteratura medico-legale, che il legislatore – al fine di individuare un parametro che qualificasse  la condizione dell’avente diritto – ha evitato di utilizzare il criterio della  quantità di esposizione ed  ha, invece, optato per quello della sua  durata, sul presupposto, scientificamente corretto, che una esposizione anche minima ma di lunga durata esprimesse la potenzialità lesiva della condizione lavorativa. Utilizzando il dato scientifico del quale si è detto unitamente all’elemento – durata, si ha che l’esposizione ai fini del benefici in questione  deve ritenersi sussistente  anche ove si tratti di mera esposizione ambientale e quando il lavoratore non sia stato direttamente a contatto con l’amianto ma abbia reso la sua prestazione in ambiente lavorativo comunque presumibilmente inquinato.

  SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
    Con  distinti ricorsi poi riuniti,  Salvatore Iacuissi ed altri sette  dipendenti od ex dipendenti della vetreria  S. Gobain di Pisa reclamavano dall’Inps i benefici di cui  alla legge 4 agosto 1993 n. 271 negati dall’Istituto previdenziale in ragione della  insussistenza della esposizione al rischio.
  Resisteva in giudizio l’Inps negando la prestazione sul rilievo della mancata attestazione del rischio da parte dell’Inail.
  Dato ingresso ad una CTU ambientale, all’udienza del 4.12.2002 la causa veniva discussa e decisa come da dispositivo del quale veniva data pubblica lettura.
  MOTIVI DELLA DECISIONE
  1) Questa   controversia (come non poche altre) ci dà la misura di come il nostro ordinamento  continui a coltivare il convincimento che sia  comunque il giudice (la giurisdizione) a doversi assumere la responsabilità di dare applicazioni alla legge, benché  questa sia chiara e benché , come nel caso di specie, sia del tutto pacifico che i ricorrenti  si trovino nelle condizioni per ottenere il beneficio. Vezzo antichissimo, supportato da inespugnabili incrostazioni burocratiche, che affidano al giudice un compito non suo e che non tengono conto del prezzo che la collettività è costretta ad affrontare al solo scopo di consentire alla pubblica amministrazione di “pallegiarsi” le responsabilità od addirittura di fare “melina”( se ci si consente il termine sportivo), magari in attesa che provvedimenti normativi futuri finiscano per elidere le legittime aspettative degli aventi diritto. La vicenda delle c.d. “integrazioni al minimo”, in questo senso, rappresenta un precedente autorevole nella parte in cui  ha legittimato questi atteggiamenti processuali dilatori: gli operatori del diritto, infatti, sanno che, nonostante alcune prerogative economiche fossero state affermate dalla giurisprudenza di legittimità e da due sentenza della Corte Costituzionale, gli Enti previdenziali hanno coltivato fino allo stremo le controversie  per ottenere il risultato sperato: e cioè il provvedimento normativo che, come è noto, ha cancellato le controversie, estinguendole e dichiarando la compensazione delle spese. Il tutto in linea con un diffuso malcostume istituzionale, ai limiti della prevaricazione .
    La gestione assolutamente burocratica della faccenda, poi,  ha fatto perdere di vista i termini essenziali del problema : e cioè che qui si discute fra un lavoratore e l’Inps del diritto ad alcuni benefici  al cui riconoscimento è tenuto  quest’ultimo e che quindi  ogni valutazione sulla sussistenza del rischio e della durata dell’esposizione è affidata, nel giudizio, ai protagonisti del processo e non a terzi (come è sicuramente l’Inail), secondo le regole dell’onere della prova. E che in queste controversie l’Inail non abbia alcun ruolo processuale e sostanziale, a parte questo giudice in analoghe vertenze, lo ha affermato di recente la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza  28 giugno 2001, n. 8859.
   D’altro canto non può far specie che l’Inail abbia – nella fase istruttoria della domanda – negato il c.d. attestato di rischio, posto che tale atteggiamento assolutamente acritico ( e contrario ai principi che dovrebbero governare l’attività di un Ente Pubblico preposto alla tutela dei suoi assicurati) si è reiterato anche nel giudizio, essendo rimaste inevase le richieste di informazioni disposte da questo Tribunale per il tramite del Consulente Tecnico. L’Inail , in sostanza, non si è curato di dare neppure una risposta alla richiesta di conoscere i casi di malattie professionali da amianto indennizzate. La risposta, ovviamente, avrebbe consentito l’acquisizione di un dato epidemiologico di estrema rilevanza .
  Dovremmo, in definitiva, chiederci se la sede Inail di Pisa sia o meno a conoscenza (dato che è preposto ad indennizzare le conseguenze delle malattie professionali e dato che, notoriamente, la vetreria S. Gobian ha rappresentato dai primi del secolo scorso una delle maggiori realtà industriali della città)  dei dati contenuti nelle relazioni della U.O. Igiene e Salute (in atti) e dei quali si dirà appresso o se non consti al medesimo Istituto (pubblico) che il Dipartimento prevenzione della USL 5 di Pisa  abbia interessato nel luglio del 1997 (v. allegati alla CTU) la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pisa  di un caso di morte per mesotelioma pleurico riguardante un dipendente della vetreria S.Gobain (da notizie di stampa si apprende oggi che è anche intervenuta sentenza di condanna per omicidio colposo); o dell’incidenza pari al moltiplicatore 3 rispetto al tasso della popolazione generale  della morte per tumore dei dipendenti di quella fabbrica, o pari al moltiplicatore 5 per i casi di tumore polmonare (v. relazione  USL  3.7.1997 in atti); o che all’Inail non consti che , trattandosi di una vetreria di dimensioni rilevanti e che utilizza un ciclo continuo di forni a temperature elevatissime, negli anni fino al 1990 l’amianto sia stato utilizzato sia per la coibentazione sia per la confezione di protezioni personali (guanti, tute, scudi, ecc.); o se ancora non risulti che nel 1996 una ditta specializzata (Cecchi Massimo di Livorno) abbia ricevuto incarico della S. Gobain di rimuovere materiali contenenti l’amianto (pani, dispositivi di protezione individuale, ecc.).
  O se tutto questo non constasse alla sede provinciale di Pisa che, in luogo di accertare la effettività delle condizioni di lavoro in quella fabbrica ed in quegli anni, si è trincerato dietro la mancanza dell’attestato di rischio – commissionato all’Inail , ma del tutto estraneo allo schema normativo della fattispecie – per negare che presso quella realtà lavorativa venisse utilizzato l’amianto (come in tutte le vetrerie, v. fra l’altro  C’era una volta..l’amianto, attività di censimento e controllo del rischio lavorativo in Toscana, Regione Toscana, 1995) sul solo presupposto burocratico della mancata attestazione dell’Inail.
  A dispetto delle consuete proclamazioni di terzietà che l’Inps utilizza a corredo delle sue memorie di costituzione (per affermare che l’Istituto è ente pubblico senza interessi privatistici da tutelare e che agisce nell’esclusivo interesse della collettività) vi è qui che, ancora una volta, l’Inps   ha chiuso gli occhi di fronte al dato effettivo (ed addirittura notorio) per sposare  acriticamente le risultanze della mancata attestazione. Né deve sfuggire come analogo atteggiamento sia stato tenuto dall’Inps nelle controversie che riguardavano i dipendenti della struttura geotermica di Larderello (v. Tribunale di Pisa  17.4.2002, Signorini ed altri c. Inps ) già ricompresa come azienda a rischio certo in  un atto di indirizzo ministeriale e dove l’amianto ha fatto vittime non solo fra i lavoratori ma anche fra la popolazione residente nella zona (basta dire che vi erano circa 240 km di tubature coibentate in amianto). Qui, poi, come si è avuto modo di apprendere, avendo lavorato in  quella struttura dipendenti provenienti da varie province toscane, si è avuto che per le stesse lavorazioni una sede provinciale (Livorno) abbia ricevuto dall’Inail l’attestato di rischio ed un'altra (Pisa) no, solo perché una sede Inail ha ritenuto una cosa ed un’altra l’opposto.
 Ma contentiamoci.
 
  2)Il dato normativo al quale parametrare  la fattispecie in esame è quello del comma 13 dell’art. 8  della legge n. 257/92, secondo cui “per i lavoratori  che siano stati esposti ad amianto per un periodo superiore a dieci anni, l’intero periodo lavorativo, soggetto all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto, gestita dall’Inail, è moltiplicato, ai fini della prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5”.
All’evidenza, i presupposti perché  il lavoratore abbia diritto ai benefici pensionistici sono l’aver lavorato per più di dieci anni in condizione di esposizione al rischio derivante dalla presenza di amianto e che il periodo (soggetto al moltiplicatore 1,5) sia tutto coperto dall’assicurazione obbligatoria . Lo scopo – come tutti sanno – è quello di allontanare i lavoratori  che siano stati esposti al rischio derivante dalla inalazione di fibre di amianto, qui la legge prevedendo una serie di differenziate tutele concorrenti.
  E’  oggi a tutti noto che l’amianto sia una pericoloso cancerogeno e  la inalazione delle  fibre possa comportare  gravi patologie polmonari. In particolare è noto come dalla inalazione di amianto possa derivare l’insorgere del mesotelioma della pleura, quale conseguenza diretta e non secondaria ad un preesistente stato infiammatorio provocato dalla inalazioni di polveri diverse. Fra l’inalazione di amianto ed il mesotelioma pleurico  o l’asbestosi vi è, dunque, un nesso diretto e specifico.
  E’ anche noto come l’amianto  abbia trovato larghissimo impiego in diversi settori industriali  sia  per la  sua duttilità sia per il suo basso costo di produzione ( v. intervento alla Camera dell’on Muzio nel corso dei lavori parlamentari, 12-14 luglio 1993) , e come, ancorché la sua pericolosità fosse nota sin dagli anni ‘50/’60 , solo nel 1983 la Comunità Europea ne abbia  ufficializzato la pericolosità, imponendo agli stati membri interventi di bonifica e sostanzialmente la sua eliminazione del ciclo produttivo (CEE/83/477). La direttiva europea è stata attuata in Italia solo nel 1991 (d.lgs. n. 277/1991), di tal che  per oltre dieci anni il nostro sistema industriale ha continuato ad utilizzare il prodotto  con la piena consapevolezza della sua elevata nocività.
   In tale contesto, la normativa che ci occupa e dunque l’istituzione del diritto al moltiplicatore contributivo assume un duplice significato, poiché non solo il legislatore ha inteso accelerare il percorso verso il trattamento pensionistico di chi sia stato esposto al rischio,  ma ha anche voluto responsabilizzare la collettività sul sacrificio imposto ai lavoratori del settore ( od a quegli altri che comunque abbiano partecipato a cicli prodottivi dove l’amianto era stato impiegato), così realizzando , mediante la valorizzazione pensionistica del periodo di esposizione,  una sorta di risarcimento generalizzato in favore di chi – per la colpevole inerzia del nostro ordinamento – sia stato costretto a lavorazioni certamente pericolose.
   3) Come accennato la legge non prevede alcuna “soglia di rischio” e per questa ragione se ne è fatta una questione di legittimità costituzionale, rigettata dal Giudice delle leggi con la pronuncia n. 5 del 2000, cui ha fatto seguito un indirizzo sostanzialmente uniforme della S. C. secondo il quale tale soglia dovrebbe coincidere con quella dei livelli di pericolosità di cui al d.lgs. n. 277/1991 ( da ultimo v.  Cass. 11.7.2002, n. 10114).
   I livelli di pericolosità di cui al d.lgs. n. 277/1991 sono dettati, come è noto, ai fini degli interventi preventivi e tuttavia la giurisprudenza di legittimità li ha mutuati  utilizzandoli come parametri per la attribuzione dei benefici di cui si discute, ancorché sia pacifico – secondo lo stesso indirizzo della S.C. (v. per esempio  Cass. 7.4.1998, n. 03582 in tema di soglia per le ipoacusie ex d.lgs. n. 277 cit.) – che il mancato superamento dei limiti di esposizione secondo i parametri dettati per la prevenzione non escluda che vi sia nesso di causa per il  riconoscimento delle malattie professionali.
  Non vi è dubbio, ora, che una cosa è la malattia professionale eventualmente contratta ed altra è il beneficio che ci occupa, ma è  ragionevole dedurre che la valutazione della potenzialità nociva non possa essere che identica, posto che il beneficio pensionistico non può essere ricollegato che al medesimo rischio, benché il sistema indennitario della malattia operi nella concreta evenienza e quello pensionistico abbia riguardo alla generica potenzialità lesiva. Ma non si può affermare – quantomeno per ragioni sistematiche – che vi sia nesso fra una esposizione inferiore allo soglia di cui al d. lgs. n.  277/91 e la malattia professionale contratta e non vi sia  potenzialità di contrarla se c’è la medesima quantità di esposizione.  A maggior ragione questo vale, ove si consideri che l’eventuale gap fra l’una e l’altra ipotesi (ove si accedesse alla tesi della maggiore intensità  di esposizione per l’attribuzione del beneficio previdenziale) è annullato dal requisito della durata, che è elemento costitutivo della fattispecie in esame, posto che, come è noto, l’esposizione diventa irrilevante ai fini del trattamento pensionistico per il caso in cui sia durata per meno di dieci anni.
  Né deve sfuggire l’inconsistenza  scientifica della tesi sostenuta dall’Inps – sulla base delle pronunce della S.C. – secondo la quale occorrerebbe una esposizione per dieci anni a soglie di rischio superiori a quelle che costituiscono il minimo per gli interventi di prevenzione, che finirebbe per limitare l’attribuzione del moltiplicatore a lavoratori  sottoposti ad una esposizione di tale intensità e durata da risultare praticamente incompatibile con la stessa loro sopravvivenza.
  In realtà al legislatore non poteva essere sfuggita l’opinione – assolutamente uniforme nella comunità scientifica – secondo la quale in oncologia professionale non vi è soglia di rischio. Sul punto osserva il CTU che “ si tratta…di patologie per le quali non è individuabile una dose-soglia, cioè che non sono dose dipendenti. Anche per il mesotelioma è stata accertata l’esistenza di una correlazione  con la dose di fibre inalate apparentemente senza soglia. I mesoteliomi sono stati osservati, infatti, anche in casi di esposizione ritenuta molto bassa o anche a esposizioni non professionali come quelle descritti di familiari di lavoratori esposti o in abitanti in zone prossime ad insediamenti industriali per l’estrazione o la lavorazione dell’amianto”.
  E’  proprio per questa ragione, unanimemente affermata in letteratura medico-legale, che il legislatore – al fine di individuare un parametro che qualificasse  la condizione dell’avente diritto – ha evitato di utilizzare il criterio della  quantità di esposizione ed  ha, invece, optato per quello della sua  durata, sul presupposto, scientificamente corretto, che una esposizione anche minima ma di lunga durata esprimesse la potenzialità lesiva della condizione lavorativa .
  Sul punto, per altro, appare illuminante l’affermazione del CTU secondo cui “il rischio…aumenta con l’aumento del periodo di esposizione. Una volta penetrato nell’organismo…l’amianto resta in loco e quindi anche se la dose di esposizione può essere contenuta  è necessaria moltiplicarla per tutto il periodo di esposizione. Pertanto la dose di esposizione all’amianto  complessiva nel tempo, anche per piccola dose, va considerata dose alta, proprio perché l’amianto sta nell’organismo  per tempi lunghissime ed a modo di esercitare la sua azione nociva a lungo”.
  E questa affermazione, per completezza, non è affatto contraddetta dal dato normativo che fa riferimento ai periodi lavorativi soggetti “all’assicurazione obbligatoria per le malattie professionali derivanti dalla esposizione all’amianto”, poiché la norma fa riferimento all’assicurazione Inail “generale” e non certamente alla sussistenza dei presupposti per il pagamento del c.d. premio supplementare ( da ultimo in tal senso v.  Cass. 10114/2002 cit. secondo cui “ in tema di benefici per i lavoratori del settore amianto, il disposto dell’art. 13, ottavo comma della legge n. 257 del 1992 va interpretato nel senso che il beneficio pensionistico ivi previsto deve essere attribuito, indipendentemente dall’eventuale obbligo del datore di lavoro di corrispondere all’Inail il premio supplementare per asbestosi di cui all’art. 153 del d.p.r. 1124/1965…”.
 
 4) Utilizzando il dato scientifico del quale si è detto unitamente all’elemento –durata si ha che l’esposizione ai fini del benefici in questione  deve ritenersi sussistente  anche ove si tratti di mera esposizione ambientale e quando il lavoratore non sia stato direttamente a contatto con l’amianto ma abbia reso la sua prestazione in ambiente lavorativo comunque presumibilmente inquinato. Qui si tratta di ricorrere allo stesso schema che consente di affermare la indennizzabilità della malattia professionale anche nel caso di mera esposizione ambientale. Ne dovrebbero rimanere esclusi solo quei lavoratori che, in ragione delle loro mansioni, non abbiano avuto contatti frequenti con l’ambiente inquinato.
  Fatta questa premessa può passarsi ad esaminare se in concreto S. Gobain abbia utilizzato l’amianto, anche se la natura della produzione esimerebbe questo Tribunale da una indagine particolareggiata ( infatti è notorio che uno dei settori dove l’amianto  è stato impiegato sia quello della produzione del vetro).
  S. Gobain produce da decenni vetro anche per impieghi speciali. Il vetro si produce utilizzando il quarzo fuso ad altissime temperature. Il cuore della fabbrica è dato, notoriamente, dai forni a ciclo continuo. La stessa direzione aziendale, rispondendo alle richieste del CTU, con nota 19.5.2000 ed avuto riguardo agli attuali ricorrenti   non nega l’esposizione all’amianto (“per quanto attiene l’eventuale presenza di amianto negli ambienti in cui hanno soggiornato i summenzionati nostri ex dipendenti, non si può escludere che le persone indicate siano state in contatto con materiali caratterizzati dalla presenza anche di amianto, con particolare riferimento agli strumenti all’epoca adoperati come protezione negli ambienti ad alte temperature”).
  Ove questo non  fosse sufficiente  basterà  leggere la relazione del Dipartimento di Prevenzione della USL 5 di Pisa al Procuratore della Repubblica in data 20.01.1997 allegata alla relazione di CTU dalla quale si deduce che negli anni 1991 e 1992 erano stati effettuati dei sopralluoghi  in esito ai quali era stata accertata la presenza di amianto ed in particolare nel reparto “vetri accoppiati auto” : a) di calzette, cioè tessuto di amianto  (c.d. amianto blu in forma fisica molto più pericolosa di altri prodotti);  b) di coibentazione dei forni con amianto  “treccia o corda”, con la parte esterna usurata dal tempo ed in grado di rilasciare fibre aerodisperse; nel reparto “ vetri stratificati per l’edilizia” : a) di rulli di scorrimento contenenti amianto , b) di guanti protettivi e nastro di tessuto in amianto , c) di pani in amianto da coibentazione, d) di una lastra pana contenente amianto in buono stato di conservazione. E’ inoltre risultato che  nel 1993 si stava procedendo alla rimozione di una copertura  in cemento amianto  nel primo reparto e che nel 1996 una azienda specializzata di Livorno stava procedendo ad operazioni di bonifica su materiali di protezione ed altro nel secondo reparto.
  Si ha dunque che non solo ancora nei primi anni ’90 ancora in quella fabbrica si utilizzava l’amianto come sistema di isolante termico , ma come ancora nel 1996 ( e dunque sedici anni dopo l’ufficializzazione in sede europea della sua pericolosità) l’amianto fosse  stoccato nei suoi  magazzini. Presumere che negli anni antecedenti ci sia stato un largo e diffuso impiego  di quel materiale – nonostante la normativa protezionistica e  l’obbligo  datoriale ex art. 2087 c.c. – è cosa agevole e ragionevolissima. 
  Se non bastasse vale la pena considerare quanto ancora è risultato in analoga controversia ( Tribunale di Pisa  5.11.2002, n. 1044, Est. Schiavone, Rossi c. Inps, in atti) nella quale il diritto dei ricorrenti è stato riconosciuto senza neppure ricorrere all’ausilio di una CTU e sulle informazioni fornite al giudice dalla Unità Operativa della USL n. 5, secondo cui “ nell’azienda S. Gobain si è verificata una esposizione ad  amianto specialmente in alcuni settori”…”il materiale contenente asbesto è stato molto diffuso in alcuni reparti fino agli ultimi anni”…”le scoibentazioni dei forni contenenti amianto si sono infatti verificate recentemente”. Risulta ancora da tali informative che “ la maggior parte di esposizione ad amianto  riferita dai lavoratori era costituita dal lavoro presso vari tipi di forni dove tale sostanza era diffusamente utilizzata come coibente, sia sotto forme di amianto in fiocco, che sotto forme di manufatti (corde, cordami, cartoni) utilizzato nelle frequenti operazioni di manutenzione del forno  o come protezione in prossimità del forno…i pannelli venivano tagliati e sagomati manualmente.” Risulta ancora come del materiale ne venisse fatto un uso improprio, come pianali per la doccia ovvero per riscaldare i pasti.
  Risulta ancora che “le informazioni fornite dagli ex lavoratori, oltre ad essere coerenti e concordanti fra di loro, erano sovrapponibili a quelle in possesso a questo Servizio. Si è notata solo una certa discrepanza con le notizie di fonte aziendale, in quanto questa ha generalmente sottostimato questa esposizione in quanto l’amianto non entrava direttamente nel ciclo produttivo”.
  Se ne può dedurre che sostanzialmente tutti i lavoratori  che abbiano operato nei settori  produttivi ( o di stoccaggio di materiali) della S. Gobian sono stati esposti, per l’uso diretto o per l’incidenza meramente ambientale, al rischio derivante dall’amianto in misura sicuramente differenziato rispetto alla popolazione generale e comunque apprezzabile ai fini della attribuzione dei benefici di cui si discute, ciò potendosi desumere dal largo impiego (coibentazione dei forni, mezzi di protezione individuale, strutture in eternit) del prodotto nocivo, dal suo uso improprio  e dalla condizioni di facile aerodispersione derivante dal tipo di lavorazione ( o dalla stessa disinvoltura  con il quale veniva manipolato in difetto della conoscenza della sua nocività).
  Per completezza questo giudice si vuol dare carico delle osservazioni del CT di parte convenuta il quale fa leva sulla mancata valutazione della soglia di rischio di cui al d.lgs. n. 277/1991, pur dando atto al CTU di “aver fatto un buon lavoro”, ancorché – a suo personale giudizio – non corretto sul piano medico legale. Qui si tratta solo di ribadire i principi già affermati sul tema ed in ordine ai quali è stata data ampia giustificazione. D’altro canto il Consulente dell’Ufficio muove da un presupposto medico legale del tutto diverso – ed unanimemente condiviso dalla letteratura – secondo il quale in oncologia professionale non ha senso individuare soglie di rischio. E ciò basterebbe.
  Il consulente dell’Inps, tuttavia, si cimenta anche in  argomentazioni  asseritamente giuridiche in ordine alle quali basterà   la singolarità della tesi  ( in realtà, originalissima)  secondo la quale  il periodo che può essere preso in considerazione sarebbe quello dalla data di pubblicazione (sic!) del T.U. Inail del 1965 fino al 1992 (data di entrata in vigore della legge sui benefici). Ovviamente l’argomento , del tutto privo di supporti normativi ( e che giustamente il procuratore dell’Inps non ha speso nel processo), non ha alcun pregio e denota semplicemente il convincimento di chi lo propone di una acritica esigenza di favorire le interpretazioni più restrittive possibili.
 
  5) Le mansioni svolte dai ricorrenti non sono in contestazione e per alcuni di essi risultano accertate e valutate anche in sede di CTU. Tutti , in definitiva, sono  stati impegnati per i periodi esposti in mansioni operative all’interno della struttura industriale, certamente esposti, secondo i criteri sopra indicati, alla nocività dell’amianto (quantomeno a causa del rischio ambientale). I  ricorrenti  che ancora non fruiscono del trattamento pensionistico avranno, pertanto, diritto al moltiplicatore, mentre quanti altri avessero proposto la domanda prima di maturare il diritto a pensione avranno diritto al risarcimento del danno da quantificarsi nei ratei di pensione non percepiti dalla domanda amministrativa e nella indispensabile ricostruzione del trattamento pensionistico conseguente ( Trib. Pisa  5.11.2002, cit.)
 
  6) Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, devono essere poste a carico dell’istituto soccombente.
  P.Q.M.
  Il giudice accoglie tutte le domande e per l’effetto dichiara che   sottoindicati ricorrenti hanno diritto al beneficio del moltplicatore 1,5 di cui alla legge 257/1992:
 
        -IACUISSI SALVATORE per il periodo  dal 1962 al 1983;
        -MICHELOTTI RINALDO per il periodo 1959 al 1981;
        -BRINI LUIGI dal 1973;
        -GNERI MARIO  dal 1962;
  Dichiara che i sottoindicati ricorrenti hanno lavorato in condizioni di esposizione ai sensi della legge n.257 del 1992.
        -TINUCCI CARLO dal 16.3.1961 al 31.12.1996;
        -MELA FRANCESCO dal 2.4.63 al 31.12.1996;
        -GRIGIONI ENNIO dal 12.11.1962 al 30.0.1996;
  -GALLETTI MARCELLO  dal 12.10.62 al 31.3.1998.
  Condanna l’Inps a risarcire il danno  derivante dal mancato accoglimento della domanda avanzata da  TINUCCI CARLO, MELA FRANCESCO , GRIGIONI ENNIO e GALLETTI MARCELLO , nella misura dei ratei di pensione omessi dalla data della domanda amministrativa a quella di effettiva maturazione del diritto a pensione ed alle differenze pensionistiche derivante dalla ricostruzione del trattamento.
  Condanna l’Inps al pagamento delle spese di lite che liquida nella somma di €  2000 oltre Iva e Cap in favore di ciascuno dei ricorrenti ( € 1000 per onorari, € 990 per diritti ed € 10 per spese).

 

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