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Louise Labé (1515/24-1566 ca.):

la "Saffo di Lione[1].
 
di: Maria G. Di Rienzo

Louise Labé in un ritratto coevo

 
"Non havria Ulisse o qualunq’altro mai
piu accorto fù, da quel divino aspetto,
pien di gratie, d'honor et di rispetto,
sperato qual i' sento affanni et guai.

Pur, Amor, co'i begli occhi tu fatt'hai
tal piagia dentro al mio innocente petto,
di cibo et di calor già tuo ricetto,
che rimedio non v'è si tu no'l dai.

Sorte dura, che mi fa esser quale
punta d'un Scorpio, et domandar riparo
contr' el velen' dall’ istesso animale.

Chieggio ti sol' ancida questa noia,
non estingua el desir a me si caro,
che mancar non potria ch'i non mi muoia[2].

Non Ulisse, no, né alcun altro uomo, per quanto astuta la sua mente, ti ha mai desiderata come io ti desidero". 

È con queste parole rivolte ad una donna che Louise Labé si presenta ai suoi lettori ed alle sue lettrici nell’unico libro da lei dato alle stampe. 

Louise nasce a Lione (le date più probabili si situano fra il 1515 ed il 1524) che, in quel periodo, era la "capitale culturale" della Francia: una vera e propria metropoli dell’epoca, molto influenzata dalla cultura italiana e situata sulle maggiori rotte commerciali europee; un centro per le fiere e l’attività bancaria, ma anche per l’editoria
Era insomma il paradiso dei liberi pensatori del Rinascimento, che fuggivano dalla soffocante autorità della Sorbona di Parigi.

I dettagli della vita di Louise sono sconosciuti.

Più noto è il personaggio "mitico" che si è costruito su di lei, che fu detta la Belle Cordière ("la bella cordaia"), "la Saffo di Lione", ma anche (poiché la sua presenza letteraria era pubblica) plebeia meretrix ("puttana plebea").

La madre morì quando Louise era bambina. Suo padre era un prosperoso cordaio e un altro cordaio sposerà Louise attorno al 1543: Ennemond Perrin, di trent’anni più vecchio di lei. 

E’ dopo il matrimonio che la poeta comincia a frequentare i circoli letterari e viene associata ai personaggi della cosiddetta "Scuola di Lione": Maurice Scève, Pernette Du Guillet, Olivier de Magny, Pontus de Tyard. 

Apparentemente, dopo il 1556, Louise lascia Lione e si ritira in campagna. Il marito morirà attorno al 1560 e forse sarà la peste a uccidere Louise nel 1566.


L’educazione di Louise era stata molto vasta e accurata: aveva sicuramente studiato latino ed Italiano, e forse spagnolo e greco; l’apprendere l’arte del ricamo non le aveva impedito di cimentarsi nell’equitazione, nella scherma e nel tiro con l’arco.

Era anche una dotata musicista e i sonetti, nella loro versione originale, conservano un’armonia musicale subito percepibile, che mette voglia di cantarli. In effetti, l’istruzione delle donne è un topos nel dibattito rinascimentale sul valore delle donne stesse (la famosa "querelle des femmes") e così come durante il Medioevo, anche durante il Rinascimento l’argomento più forte e convincente per sostenere la necessità di un uguale accesso all’istruzione per uomini e donne, viene dalle penne delle donne. 

Un altro ritratto di Louise LabéPer Labé, l’istruzione non è "saper di libri", ornamentale e passiva, o rivolta all’affinamento della morale nelle donne (come la maggior parte degli umanisti rinascimentali sosteneva); il suo concetto comprende gli ideali della fama e della libertà che derivano da liberi studi. 

Non è sorprendente che in questo contesto le voci più autentiche e originali siano quelle di donne laiche che, come lei, non appartenevano alla nobiltà, ma spesso erano in relazione per questioni sociali, politiche o religiose con gruppi marginalizzati (per cui le fortune dei loro lavori spaziarono dalla generale acclamazione e dal successo letterario al rigetto, alla proscrizione e financo alla persecuzione).

Coscienti della loro identità sociale, le scrittrici di questo periodo erano altresì assai coscienti della relazione fra il loro sesso ed il loro lavoro letterario, producendo spesso quell’effetto specchio per cui usano l’estetica maschile per rigettarne gli stessi presupposti. 
Scrivono di sé come donne: esplorano le proprie emozioni, i desideri, le frustrazioni e le ambizioni femminili; chiedono per le donne istruzione e persino ministero ecclesiale; redigono appassionate difese del proprio sesso ed elaborano elenchi di signore e donne famose del passato e del presente.


Le Oeuvres di Louise Labé furono pubblicate nel 1555 da Jean de Tournée. 
La prima edizione fu seguita da altre l’anno successivo, il che attesta la sua immediata popolarità; essa conteneva anche 24 poemi in lode dell’autrice, composti dai compagni del suo salotto letterario. 

La popolarità delle Opere, lodate anche fuori da Lione, attizza le critiche che già piovevano su Louise la spadaccina e Louise la poeta viene accusata di "immodestia" e "scarsa femminilità": critiche cui l’autrice aveva già risposto in modo semischerzoso nel sonetto finale, rivolgendosi però solo alle donne: non condannatemi, dice in sostanza il sonetto, giacché tutto quello che ho fatto l’ho fatto per amore, e per amore siete "a rischio" anche voi...

La prima elegia, rivolta alle donne lettrici, alle quali si chiede sostegno e comprensione, ribadisce lo stesso concetto: 
“... per quanto sia fortificato il vostro cuore contro il disastro, pure un giorno Amore diverrà il vostro padrone".

La prefazione/dedica delle Opere è una lettera ad una giovane nobildonna lionese, Clémence de Bourges, in cui Louise incoraggia le donne a studiare e scrivere:
 

A Mademoiselle Clemence de Bourges di Lione, 

Il tempo è venuto, Mademoiselle, in cui le rigide leggi degli uomini non impediranno più alle donne di dedicarsi alle scienze ed alle discipline; mi sembra che chi ne è capace dovrebbe impiegarsi in quest’onorevole libertà, che il nostro sesso ha desiderato così a lungo, studiando questi argomenti e dimostrando agli uomini quale torto ci hanno fatto nel privarci dei benefici e dell’onore che avremmo potuto ottenere. 
E se qualcuna raggiunge il livello in cui sa mettere le proprie idee nello scrivere, dovrebbe farlo con tutto il suo pensiero e non disprezzare la gloria, ma adornarsi di essa piuttosto che di collane, anelli ed abiti sontuosi, che non ci è dato di ritenere nostri se non per costume. Ma l’onore che la conoscenza può portarci non può esserci sottratto: non dall’astuzia del ladro, non dalla violenza del nemico, e neppure dallo scorrere del tempo. (...) 

Per questa ragione, dobbiamo ispirarci l’un l’altra alla comprensione di non risparmiare la nostra intelligenza, pur accompagnata da molte grazie differenti, ne’ la giovinezza ed altri doni della fortuna, al fine di acquisire l’onore che la letteratura e le scienze sono use portare alle persone che le seguono.

Se c’è qualcosa degno di rispetto, oltre alla gloria ed all’onore, è il piacere che gli studi letterari ci danno e che dovrebbe muovere ciascuna di noi all’azione. 

Questo piacere è distinto da altri divertimenti. Si indulga in essi quanto tempo si vuole, e non ci si potrà vantare d’altro che d’aver passato il tempo. Ma lo studio ci remunera con un piacere tutto suo che rimane con noi molto più a lungo. (...) 

Per quel che mi riguarda, nello scrivere questi lavori durante la giovinezza e nel revisionarli più tardi, non cercavo altro che un onorevole passatempo ed un modo per sfuggire all’ozio, e non intendevo che altri oltre a me dovessero vederli. 

Ma poiché alcuni dei miei amici hanno trovato il modo di leggerli a mia insaputa, e poiché facilmente si crede a chi ci adula, essi mi hanno persuasa a portarli alla luce ed io non sono stata abbastanza sprezzante da rifiutare. Li ho però minacciati di far bere loro metà della vergogna che ne sarebbe risultata. 

E poiché le donne non appaiono volentieri in pubblico da sole, ho scelto voi come mia guida, dedicandovi questo piccolo lavoro. Non ve lo mando per nessun’altra intenzione che non sia il riaffermare la benevolenza che vi porto da lungo tempo e per far sì che in voi, vedendo questa mia opera rozzamente e malamente scritta, nasca il desiderio di crearne un’altra che sia più rifinita ed elegante.

Dio vi mantenga in buona salute.

Da Lione, il 24 luglio 1555, la vostra umile amica 

Louise Labé".

La dedica è seguita da un Dibattito in prosa (che esalta la vastità dell’abilità retorica di Louise), tre elegie e ventiquattro sonetti (il primo, come avete visto, in italiano).


Il Dibattito è il risultato di una violenta disputa fra Amore (Cupido) e Follia, in cui Amore viene accecato. Venere si appella a Giove, chiedendo giustizia per il figlio, e Giove acconsente a che il caso sia giudicato dagli Dei. Apollo parlerà per Amore, e Mercurio per la Follia. 
Il "processo" consiste nelle due arringhe dei divini avvocati. Apollo parla per primo, descrivendo cosa accade quando Amore non può fare il suo lavoro e le persone ne sono prive: 
 

"... Sono persone spaventose, prive di arguzia o di raffinatezza nel loro discorrere. Le loro voci sono rozze, le loro maniere preoccupate, i loro volti non invitanti, ed il loro sguardo è spesso fisso a terra. Sono codardi, avidi, insensibili, ignoranti, privi di compassione e non hanno rispetto l'uno per l'altro: lupi mannari. Che pensate di loro? Se tutti gli uomini fossero così, non ci sarebbe piacere nel vivere con loro, non è vero?" 

Poi spiega come Amore crei i poeti e come si provi piacere a narrarlo ed ascoltarlo: 

"In breve, il più grande piacere che c’è, dopo l’amore, è parlare d’amore".

Mercurio spiega invece l’onorato e lungo ruolo della Follia nella storia umana: 
 

"Mettete un uomo completamente saggio ed un folle nel mondo e guardate di chi si avrà maggior stima. Il signor saggio s’aspetterà di essere consultato e sarà lasciato in disparte con tutta la sua saggezza. Nessuno lo chiamerà a governare delle città. Nessuno lo evocherà nei consigli. Lui vorrà ascoltare ed andare umilmente dove viene chiamato. (...) Avrà un sacco di tempo libero per piantar cavoli.

Il folle andrà avanti e indietro un bel po’, contrattando su guadagni e perdite, e alla fine troverà qualcuno che la pensa come lui e che lo spingerà avanti: e diventerà un grand’uomo.

Il folle si getterà nel mezzo di diecimila cannoni e probabilmente ne uscirà illeso; perciò verrà stimato, lodato, valutato e seguito da tutti gli altri. 
Diviserà un qualche matto progetto per il quale, se esso ha successo, verrà innalzato ai cieli...

Per ogni uomo saggio di cui si parla sulla terra ci saranno diecimila folli che saranno famosi fra la gente comune".

Dopo aver descritto la follia negli innamorati, prossimo alla conclusione, Mercurio parla direttamente ad Amore, dicendo che sarebbe a mal partito senza Follia: 
 

"...e se accetti un buon consiglio, non chiedere di avere indietro i tuoi occhi. Non ne hai bisogno, ed essi potrebbero farti del gran male; se a volte ti fossi guardato, con essi, ti saresti arrabbiato con te stesso. E lo stesso è vero per gli amanti; se potessero vedere e capire chiaramente che pericoli vanno corteggiando, in che gran misura si ingannino e si sbaglino, il loro amore non durerebbe un’ora. E se questo accadesse, Amore, il tuo regno terminerebbe". 

Gli Dèi sono così impressionati dalla retorica dei due avvocati che non riescono a prendere una decisione, perciò Giove pospone il suo giudizio per 19.000 anni...


I sonetti sono costruiti attorno alla precarietà dei fondamenti del desiderio. Il desiderio inizialmente spinge la voce della poeta a farsi udire; l’atto del parlare rivela però la distanza fra il desiderio e la voce stessa. 
È come se la rappresentazione del desiderio sottintendesse in realtà il desiderio di rappresentazione: il dire autenticamente il Sé come artista.
Il linguaggio dominante ed il suo ordine (il potere sociale maschile che esso rivela e sostiene), le convenzioni letterarie ad esso correlate, la richiesta del silenzio femminile vengono sfidati, e Louise usa il medesimo linguaggio a vantaggio proprio e del proprio genere, posizionandosi come parlante del discorso d’amore, che ha precedentemente assegnato alle donne il ruolo della casta inaccessibilità o il silenzio. 

Ad esempio, ella usa le convenzioni petrarchesche, nei sonetti, ma spesso con un guizzo particolare. L’amore contemplativo, tanto per dirne una, non la soddisfa:
 

"Baciami. Ancora. Più baci desidero.
Dammene uno che esprima la tua dolcezza
dammi quello più appassionato che possiedi
quattro te ne tornerò, più ardenti del fuoco.

Come, bruciano? Muterò quella sofferenza in piacere (...)"

La poeta è ben consapevole dei rischi che seguire il desiderio comporta: 
 

"Quando Amore arriva mi nascondo
sebbene riempita da cocenti pene di desiderio
che bruciano, scottano e lasciano cicatrici di fuoco sul mio petto
e le fiamme divorano il mio cuore giorno e notte.

Oh, come sento i duri travagli d’Amore!"

Ma poco le importa che volto prenda Amore e se esso è quello di una donna, Louise darà comunque voce alla propria passione: 
 

"Uno sguardo di sfuggita a te, e subito so
che la nostra relazione è come un fiore,
che morirebbe se esposto troppo al sole
eppure, in qualche modo, 
spesso lascio che la mia passione si mostri
se solo padroneggiasi la rara arte
d’amarti in quei modi sottili che compiacciono
mettendo passioni ribelli in profondo ghiaccio!
Sento troppo l’ardore in cuor mio.
Ora, mentre ci scambiamo molti sguardi,
mi piace il modo in cui appari nei miei occhi.
È bello vedere come ti crogioli in essi
e ancora, più noi ci tormentiamo, più io temo
che si ti verrò troppo vicina ti ritrarrai
tu sai alla perfezione dove il mio vero cuore giace".

Note

[1].Edito originariamente su "Babilonia", aprile 2002.

Le traduzioni, dall’originale francese e da versioni inglesi, sono mie.

[2].Sonetto, versione originale in italiano, che apre le Oeuvres de Louise Labé, edite nel 1555 da Jean de Tournée.

Per una lista ragionata di siti presenti online su Louise Labé, fare clic qui.
 
 



























































































































 



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