"Non
havria Ulisse o qualunq’altro mai
piu accorto
fù, da quel divino aspetto,
pien di
gratie, d'honor et di rispetto,
sperato
qual i' sento affanni et guai.
Pur, Amor,
co'i begli occhi tu fatt'hai
tal piagia
dentro al mio innocente petto,
di cibo
et di calor già tuo ricetto,
che rimedio
non v'è si tu no'l dai.
Sorte dura,
che mi fa esser quale
punta d'un
Scorpio, et domandar riparo
contr' el
velen' dall’ istesso animale.
Chieggio
ti sol' ancida questa noia,
non estingua
el desir a me si caro,
che mancar
non potria ch'i non mi muoia" [2].
Non Ulisse,
no, né alcun altro uomo, per quanto astuta la sua mente, ti ha mai
desiderata come io ti desidero". |
È con
queste parole rivolte ad una donna che Louise Labé si presenta ai
suoi lettori ed alle sue lettrici nell’unico libro da lei
dato alle stampe.
Louise nasce
a Lione
(le date più probabili si situano fra il 1515 ed il 1524) che, in
quel periodo, era la "capitale culturale" della Francia: una vera e propria
metropoli dell’epoca, molto influenzata dalla cultura italiana e situata
sulle maggiori rotte commerciali europee; un centro per le fiere e l’attività
bancaria, ma
anche per l’editoria.
Era insomma
il paradiso dei liberi pensatori del Rinascimento, che fuggivano dalla
soffocante autorità della Sorbona di Parigi.
I
dettagli della vita di Louise sono sconosciuti.
Più noto
è il personaggio "mitico" che si è costruito su di lei, che
fu detta la Belle Cordière ("la bella cordaia"), "la
Saffo
di Lione", ma anche (poiché la sua presenza letteraria era
pubblica) plebeia meretrix ("puttana plebea").
La madre morì
quando Louise era bambina. Suo padre era un prosperoso cordaio e un altro
cordaio sposerà Louise attorno al 1543: Ennemond Perrin,
di trent’anni più vecchio di lei.
E’ dopo il matrimonio
che la poeta comincia a frequentare i circoli letterari e viene associata
ai personaggi della cosiddetta "Scuola
di Lione": Maurice Scève, Pernette Du Guillet, Olivier de Magny,
Pontus de Tyard.
Apparentemente,
dopo il 1556, Louise lascia Lione e si ritira in campagna. Il marito morirà
attorno al 1560 e forse sarà la peste a uccidere Louise nel
1566.
L’educazione
di Louise era stata molto vasta e accurata: aveva sicuramente studiato
latino ed Italiano, e forse spagnolo e greco; l’apprendere l’arte del ricamo
non le aveva impedito di cimentarsi nell’equitazione, nella scherma e nel
tiro con l’arco.
Era anche una
dotata musicista e i sonetti, nella loro versione
originale, conservano un’armonia musicale subito percepibile, che mette
voglia di cantarli. In effetti, l’istruzione delle donne è un topos
nel dibattito rinascimentale sul valore delle donne stesse (la famosa "querelle
des femmes") e così come durante il Medioevo, anche durante
il Rinascimento l’argomento più forte e convincente per sostenere
la necessità di un uguale accesso all’istruzione per uomini e donne,
viene dalle penne delle donne.
Per
Labé, l’istruzione non è "saper di libri", ornamentale e
passiva, o rivolta all’affinamento della morale nelle donne (come la maggior
parte degli umanisti rinascimentali sosteneva); il suo concetto comprende
gli ideali della fama e della libertà che derivano da liberi studi.
Non è
sorprendente che in questo contesto le voci più autentiche e originali
siano quelle di donne laiche che, come lei, non appartenevano alla nobiltà,
ma spesso erano in relazione per questioni sociali, politiche o religiose
con gruppi marginalizzati (per cui le fortune dei loro lavori spaziarono
dalla generale acclamazione e dal successo letterario al rigetto, alla
proscrizione e financo alla persecuzione).
Coscienti della
loro identità sociale, le scrittrici di questo periodo erano altresì
assai coscienti della relazione fra il loro sesso ed il loro lavoro letterario,
producendo spesso quell’effetto specchio per cui usano l’estetica
maschile per rigettarne gli stessi presupposti.
Scrivono di
sé come donne: esplorano le proprie emozioni, i desideri, le frustrazioni
e le ambizioni femminili; chiedono per le donne istruzione e persino ministero
ecclesiale; redigono appassionate difese del proprio sesso ed elaborano
elenchi di signore e donne famose del passato e del presente.
Le Oeuvres
di Louise Labé furono pubblicate nel 1555 da Jean de Tournée.
La prima edizione
fu seguita da altre l’anno successivo, il che attesta la sua immediata
popolarità; essa conteneva anche 24 poemi in lode dell’autrice,
composti dai compagni del suo salotto letterario.
La popolarità
delle Opere, lodate anche fuori da Lione, attizza le critiche che
già piovevano su Louise la spadaccina e Louise la poeta viene accusata
di "immodestia" e "scarsa femminilità": critiche cui l’autrice aveva
già risposto in modo semischerzoso nel sonetto finale, rivolgendosi
però solo alle donne: non condannatemi, dice in sostanza il sonetto,
giacché tutto quello che ho fatto l’ho fatto per amore, e per amore
siete "a rischio" anche voi...
La prima elegia,
rivolta alle donne lettrici, alle quali si chiede sostegno e comprensione,
ribadisce lo stesso concetto:
“... per
quanto sia fortificato il vostro cuore contro il disastro, pure un giorno
Amore diverrà il vostro padrone".
La prefazione/dedica
delle Opere è una lettera ad una giovane nobildonna lionese,
Clémence
de Bourges, in cui Louise incoraggia le donne a studiare e scrivere:
A Mademoiselle
Clemence de Bourges di Lione,
Il tempo
è venuto, Mademoiselle, in cui le rigide leggi degli uomini non
impediranno più alle donne di dedicarsi alle scienze ed alle discipline;
mi sembra che chi ne è capace dovrebbe impiegarsi in quest’onorevole
libertà, che il nostro sesso ha desiderato così a lungo,
studiando questi argomenti e dimostrando agli uomini quale torto ci hanno
fatto nel privarci dei benefici e dell’onore che avremmo potuto ottenere.
E se qualcuna
raggiunge il livello in cui sa mettere le proprie idee nello scrivere,
dovrebbe farlo con tutto il suo pensiero e non disprezzare la gloria, ma
adornarsi di essa piuttosto che di collane, anelli ed abiti sontuosi, che
non ci è dato di ritenere nostri se non per costume. Ma l’onore
che la conoscenza può portarci non può esserci sottratto:
non dall’astuzia del ladro, non dalla violenza del nemico, e neppure dallo
scorrere del tempo. (...)
Per questa
ragione, dobbiamo ispirarci l’un l’altra alla comprensione di non risparmiare
la nostra intelligenza, pur accompagnata da molte grazie differenti, ne’
la giovinezza ed altri doni della fortuna, al fine di acquisire l’onore
che la letteratura e le scienze sono use portare alle persone che le seguono.
Se c’è
qualcosa degno di rispetto, oltre alla gloria ed all’onore, è il
piacere che gli studi letterari ci danno e che dovrebbe muovere ciascuna
di noi all’azione.
Questo piacere
è distinto da altri divertimenti. Si indulga in essi quanto tempo
si vuole, e non ci si potrà vantare d’altro che d’aver passato il
tempo. Ma lo studio ci remunera con un piacere tutto suo che rimane con
noi molto più a lungo. (...)
Per quel
che mi riguarda, nello scrivere questi lavori durante la giovinezza e nel
revisionarli più tardi, non cercavo altro che un onorevole passatempo
ed un modo per sfuggire all’ozio, e non intendevo che altri oltre a me
dovessero vederli.
Ma poiché
alcuni dei miei amici hanno trovato il modo di leggerli a mia insaputa,
e poiché facilmente si crede a chi ci adula, essi mi hanno persuasa
a portarli alla luce ed io non sono stata abbastanza sprezzante da rifiutare.
Li ho però minacciati di far bere loro metà della vergogna
che ne sarebbe risultata.
E poiché
le donne non appaiono volentieri in pubblico da sole, ho scelto voi come
mia guida, dedicandovi questo piccolo lavoro. Non ve lo mando per nessun’altra
intenzione che non sia il riaffermare la benevolenza che vi porto da lungo
tempo e per far sì che in voi, vedendo questa mia opera rozzamente
e malamente scritta, nasca il desiderio di crearne un’altra che sia più
rifinita ed elegante.
Dio vi mantenga
in buona salute.
Da Lione,
il 24 luglio 1555, la vostra umile amica
Louise Labé". |
La dedica è
seguita da un Dibattito in prosa (che esalta la vastità dell’abilità
retorica di Louise), tre elegie e ventiquattro sonetti (il primo, come
avete visto, in italiano).
Il Dibattito
è il risultato di una violenta disputa fra Amore (Cupido)
e Follia, in cui Amore viene accecato. Venere si appella a Giove,
chiedendo giustizia per il figlio, e Giove acconsente a che il caso sia
giudicato dagli Dei. Apollo parlerà per Amore, e Mercurio per la
Follia.
Il "processo"
consiste nelle due arringhe dei divini avvocati. Apollo parla per primo,
descrivendo cosa accade quando Amore non può fare il suo lavoro
e le persone ne sono prive:
"... Sono
persone spaventose, prive di arguzia o di raffinatezza nel loro discorrere.
Le loro voci sono rozze, le loro maniere preoccupate, i loro volti non
invitanti, ed il loro sguardo è spesso fisso a terra. Sono codardi,
avidi, insensibili, ignoranti, privi di compassione e non hanno rispetto
l'uno per l'altro: lupi mannari. Che pensate di loro? Se tutti gli uomini
fossero così, non ci sarebbe piacere nel vivere con loro, non è
vero?" |
Poi spiega come
Amore crei i poeti e come si provi piacere a narrarlo ed ascoltarlo:
"In
breve, il più grande piacere che c’è, dopo l’amore, è
parlare d’amore".
Mercurio
spiega invece l’onorato e lungo ruolo della Follia nella storia
umana:
"Mettete
un uomo completamente saggio ed un folle nel mondo e guardate di chi si
avrà maggior stima. Il signor saggio s’aspetterà di essere
consultato e sarà lasciato in disparte con tutta la sua saggezza.
Nessuno lo chiamerà a governare delle città. Nessuno lo evocherà
nei consigli. Lui vorrà ascoltare ed andare umilmente dove viene
chiamato. (...) Avrà un sacco di tempo libero per piantar
cavoli.
Il folle
andrà avanti e indietro un bel po’, contrattando su guadagni e perdite,
e alla fine troverà qualcuno che la pensa come lui e che lo spingerà
avanti: e diventerà un grand’uomo.
Il folle
si getterà nel mezzo di diecimila cannoni e probabilmente ne uscirà
illeso; perciò verrà stimato, lodato, valutato e seguito
da tutti gli altri.
Diviserà
un qualche matto progetto per il quale, se esso ha successo, verrà
innalzato ai cieli...
Per ogni
uomo saggio di cui si parla sulla terra ci saranno diecimila folli che
saranno famosi fra la gente comune". |
Dopo aver descritto
la follia negli innamorati, prossimo alla conclusione, Mercurio parla direttamente
ad Amore, dicendo che sarebbe a mal partito senza Follia:
"...e se
accetti un buon consiglio, non chiedere di avere indietro i tuoi occhi.
Non ne hai bisogno, ed essi potrebbero farti del gran male; se a volte
ti fossi guardato, con essi, ti saresti arrabbiato con te stesso. E lo
stesso è vero per gli amanti; se potessero vedere e capire chiaramente
che pericoli vanno corteggiando, in che gran misura si ingannino e si sbaglino,
il loro amore non durerebbe un’ora. E se questo accadesse, Amore, il tuo
regno terminerebbe". |
Gli Dèi
sono così impressionati dalla retorica dei due avvocati che non
riescono a prendere una decisione, perciò Giove pospone il suo giudizio
per 19.000 anni...
I sonetti
sono costruiti attorno alla precarietà dei fondamenti del desiderio.
Il desiderio inizialmente spinge la voce della poeta a farsi udire; l’atto
del parlare rivela però la distanza fra il desiderio e la voce stessa.
È come
se la rappresentazione del desiderio sottintendesse in realtà il
desiderio di rappresentazione: il dire autenticamente il Sé come
artista.
Il linguaggio
dominante ed il suo ordine (il potere sociale maschile che esso rivela
e sostiene), le convenzioni letterarie ad esso correlate, la richiesta
del silenzio femminile vengono sfidati, e Louise usa il medesimo linguaggio
a vantaggio proprio e del proprio genere, posizionandosi come parlante
del discorso d’amore, che ha precedentemente assegnato alle donne il ruolo
della casta inaccessibilità o il silenzio.
Ad esempio,
ella usa le convenzioni petrarchesche, nei sonetti, ma spesso con un guizzo
particolare. L’amore contemplativo, tanto per dirne una, non la soddisfa:
"Baciami.
Ancora. Più baci desidero.
Dammene
uno che esprima la tua dolcezza
dammi quello
più appassionato che possiedi
quattro
te ne tornerò, più ardenti del fuoco.
Come, bruciano?
Muterò quella sofferenza in piacere (...)" |
La poeta è
ben consapevole dei rischi che seguire il desiderio comporta:
"Quando
Amore arriva mi nascondo
sebbene
riempita da cocenti pene di desiderio
che bruciano,
scottano e lasciano cicatrici di fuoco sul mio petto
e le fiamme
divorano il mio cuore giorno e notte.
Oh, come
sento i duri travagli d’Amore!" |
Ma poco le importa
che volto prenda Amore e se esso è quello di una donna, Louise darà
comunque voce alla propria passione:
"Uno sguardo
di sfuggita a te, e subito so
che la nostra
relazione è come un fiore,
che morirebbe
se esposto troppo al sole
eppure,
in qualche modo,
spesso lascio
che la mia passione si mostri
se solo
padroneggiasi la rara arte
d’amarti
in quei modi sottili che compiacciono
mettendo
passioni ribelli in profondo ghiaccio!
Sento troppo
l’ardore in cuor mio.
Ora, mentre
ci scambiamo molti sguardi,
mi piace
il modo in cui appari nei miei occhi.
È
bello vedere come ti crogioli in essi
e ancora,
più noi ci tormentiamo, più io temo
che si ti
verrò troppo vicina ti ritrarrai
tu sai alla
perfezione dove il mio vero cuore giace". |
|
Note
[1].Edito
originariamente su "Babilonia", aprile 2002.
Le traduzioni,
dall’originale francese e da versioni inglesi, sono mie.
[2].Sonetto,
versione originale
in italiano, che apre le Oeuvres de Louise Labé, edite
nel 1555 da Jean de Tournée.
Per una lista
ragionata di siti presenti online su Louise Labé, fare
clic qui.
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