Notizie storiche elementari sull'antica Grecia






La diffusione dell' agricoltura, dell'allevamento di animali e della ceramica è presente fin dal VII millennio a.C.

Dall' inizio del III millennio a.C. si hanno tre aree culturali, corrispondenti a tre diverse regioni, : (1) civiltà elladica in Grecia centrale e Peloponneso, (2) civiltà cicladica nelle isole Cicladi, (3) civiltà minoica nell'isola di Creta.



Civiltà cicladica - Raggiunge il massimo splendore intorno al 2000 a.C. (santuario di Delo dedicato ad Artemide). Quindi subisce l'influenza di Creta che impone il definitivo dominio intorno al 1500 a.C.

Civiltà minoica a Creta - Dal mitico re Minosse (che in realtà non è un nome proprio ma un termine per indicare il sovrano). Protocittà: Cnosso, Festo, Mallia, caratterizzate da grandiosi palazzi. Creta arriva ad esercitare influsso sul continente (la leggenda di Teseo e del Minotauro indica pesanti tributi imposti da Creta). Intorno a 1700 a.C. prima distruzione dei palazzi di Cnosso e Festo (terremoto o invasione ?). I Cretesi reagiscono facendo fiorire rapporti commerciali con il Mediterraneo orientale e fondando numerose colonie.
Intorno a 1500 a.C. seconda distruzione dovuta a invasione Achei o a eruzione vulcanica all'isola di Thera (odierna Santorini. Enigma: Platone ha derivato il mito di Atlantide da Thera?). Gli Achei pongono fine alla civiltà minoica di Creta.

Civiltà elladica - Tra la fine del III millennio a.C. e l'inizio del II si hanno invasioni di popoli indoeuropei, tra cui gli Achei, che si stabiliscono nel Peloponneso.
Dall'incontro tra cultura elladica e cultura minoica da Creta si sviluppa civiltà micenea, da Micene, città più importante del Peloponneso (i resti di Micene vennero portati alla luce da H. Schliemann nel 1878).
I Micenei scalzano i Cretesi nel commercio in Mediterraneo.
A partire dal XVI secolo a.C. conquistano le Cicladi e le coste dell'Asia Minore. Si ha espansione commerciale anche con Italia.

Verso il 1200 a.C. una coalizione di città Achee muove guerra a Troia (distrutta nel 1184 a.C.)
Subito dopo subiscono l'invasione dei Dori (provvisti di armi e armature in ferro). Occupazione di tutto il Peloponneso e successivamente delle Cicladi, di Creta e delle coste dell'Asia Minore. Sotto la spinta dell'invasione dorica, le popolazioni autoctone danno luogo alla prima colonizzazione, sia verso est che verso ovest.


Il periodo dal XII all' VIII secolo a.C. è conosciuta come Medioevo ellenico. E' caratterizzata da crisi economica e regresso culturale. L'economia è ridotta a pastorizia e agricoltura.
Tra i pochi sviluppi positivi si ha la comparsa della polis, la città-stato. A partire dal XII secolo, l'insieme dei popoli della Grecia continentale, della costa ionica dell' Asia Minore e delle isole acquisisce progressivamnte un'unica identità culturale per lingua, religione, costumi. Si ha anche l'unica denominazione di Elleni.

Le città-stato erano indipendenti e passarono inizialmente da regimi monarchici a tirannidi. Ciascuna città aveva divinità protettrici e leggi proprie (ogni città era strenuamente attaccata alle proprie tradizioni: arrivavano al punto da avere ciascuna un proprio calendario). Tuttavia, frequenti erano le anfizionie, alleanze tra città limitrofe, non necessariamente di carattere militare.

Dall' VIII al VI secolo a.C. ha luogo la seconda colonizzazione, ancora sia verso occidente (Sicilia, Magna Grecia) che verso oriente(coste settentrionali e meridionali del Mar Nero), causata oltre che da difficoltà economiche, anche da contrasti sociali.

Le città fondate mantenevano con la città-madre soltanto legami culturali e linguistici. Si ha anche l'avvento di due nuove figure politiche: legislatori e tiranni.


Età dei tiranni (700 - 500 a.C. circa). Alcuni tiranni furono buoni governanti (Periandro a Corinto, Gelone a Siracusa, Policrate a Samo).
Fioritura della cultura per l'introduzione della scrittura. Vengono fissati per iscritto i poemi di Omero e di Esiodo. Nascita della filosofia nella Ionia (Talete, Anassimandro, Anassimene). Poeti lirici (Archiloco, Tirteo, Alceo). Il Santuario di Delfi acquisì rinomanza universale. Istituzione dei Giochi panellenici, potente elemento coesivo di tutta l'Ellade (sospensione delle guerre durante i Giochi). Giochi olimpici, istmici, pitici, nemei, secondo la città di svolgimento. Gli olimpici (ogni quattro anni, a Olimpia) divennero così importanti da computare il tempo su di essi. Prima olimpiade nel 776 a.C.


Atene e Sparta - Dall' VIII al VI secolo si affermano come i centri più importanti. Ciascuna riunisce diverse città vicine in lega, Atene con modalità persuasive, Sparta con modalità coercitive. A Sparta vige un regime oligarchico: due re e un consiglio consultivo, la Gherusia, di 28 anziani.
Ad Atene la monarchia è abolita dall'inizio del VII secolo. Il governo è affidato a nove arconti con carica annuale, coadiuvati dall' areopago, consiglio di ex arconti. Nel 621 a.C. il legislatore Dracone pubblica il primo codice (limitazione del potere giudiziario dei nobili). L'arconte Solone nel 594 a.C. riforma il codice draconiano: suddivisione in quattro classi, all'areopago affianca la bulé, consiglio di 400 estratti a sorte dalle prime tre classi. Il tiranno Pisistrato (560 - 527 a.C.) accentua i caratteri democratici (in chiave populistica). I suoi figli Ippia e Ipparco si rivlelano più dispotici del padre. Dopo la cacciata dei due, si impone il partito democratico, guidato da Clistene. Si ha una nuova costituzione democratica. Vengono ridotti i poteri dell'areopago. La Bulé è portata a 500 membri. Introduzione dell'ostracismo. Splendore culturale ed economico.


Guerre persiane - Creso, re di Lidia, che aveva sottomesso le città greche della costa ionica, nel 546 a.C. è rovesciato da Ciro il Grande, re di Persia, che annette anche le città greche dell'Asia Minore.
Nel 499 a.C. prima ribellione fomentata dalla città di Mileto.
Nel 494 il re di Persia Dario saccheggia Mileto e ristabilisce il controllo sulla Ionia. Nel 491, a capo di una grande flotta si dirige su Atene, ma la flotta è distrutta da una tempesta. Nel 490 a.C. intraprende la seconda spedizione (prima guerra persiana). E' sconfitto dagli Ateniesi guidati da Milziade a Maratona.

Nel 481 a.C. Serse I, figlio di Dario, attraversa l'Ellesponto (Dardanelli). Sopraffatte le poche migliaia di Spartani del re Leonida alle Termopili, raggiunge Atene e la saccheggia. Ma all'isola di Salamina la flotta greca, comandata da Temistocle sconfigge la più imponente flotta persiana. Serse deve fuggire ripassando l'Ellesponto. Nel 479 a.C. le residue forze persiane sono annientate a Platea.

Atene diviene la città-stato più influente di tutta l'Ellade, sotto la guida politica di Aristide. Ma impone uno stato di sudditanza alle altre città. Il culmine dello splendore politico e culturale è raggiunto con Pericle. Accentuato il carattere democratico con leggi che consentivano ai cittadini delle classi meno abbienti di accedere a cariche pubbliche. Favorito il sorgere di regimi democratici anche in altre città. Durante l'Età di Pericle si ha la costruzione del Partenone, dell'Eretteo, dei Propilei e di altri edifici pubblici. La letteratura si esprime con le tragedie di Eschilo, Sofocle e Euripide le commedie di Aristofane, la filosofia splende con Socrate e Platone.


Guerra del Peloponneso - La causa fu l'insofferenza delle città greche nel subire il predominio di Atene, abbinata all'accresciuta competitività di Sparta. Nel 431 a.C. Corcira (Corfù) chiede aiuto a Sparta per liberarsi del legame con Corinto, alleata di Atene. Il conflitto si concluse nel 404 a.C. con la supremazia di Sparta (Atene ebbe guide troppo scadenti come Cleone o troppo ambiziose come Alcibiade). Ad Atene fu imposto il regime oligarchico dei trenta tiranni. Nel 403 a.C. Trasibulo scacciò gli Spartani e restituì ad Atene gli istituti democratici e l'indipendenza.

Egemonia tebana - Nel 399 a.C. Argo, Corinto e Tebe si unirono ad Atene per farla finita con Sparta. Andò a finire che nel 387 a.C., con la pace di Antalgida (generale spartano) Sparta si accordò con la Persia cedendole l'intera costa occidentale dell'Asia Minore, ma non le città che rimasero indipendenti a fare da cane da guardia su Atene. Nel 382 a.C. Sparta volle imporre a Tebe un governo oligarchico. Tebe si ribellò e nel 371 a.C. i Tebani, guidati da Pelopida ed Epaminonda sconfissero Sparta a Leuttra
Allora Atene e Sparta si allearono contro Tebe. Nella battaglia di Mantinea, quando l'"ordine obliquo" stava per dare la vittoria ai Tebani, Epaminonda fu colpito a morte. Prima di morire, consigliò ai suoi la pace. Fine dell'egemonia tebana.


Egemonia macedone - Filippo II di Macedonia, salito al trono nel 359 a.C. nel giro di vent'anni pose fine all'indipendenza della Grecia. Nel 336 a.C. venne assassinato. Il figlio ventenne Alessandro (356 - 323 a.C.) dal 334 al 323 a.C. estese le sue conquiste fino ai confini dell'India. Si erse a campione della grecità contro i barbari. Me elevò la sua figura reale fino a farsi proclamare figlio di Dio nel santuario di Ammone in Egitto (malgrado la disapprovazione dei suoi soldati). Morì a 33 anni a Babilonia di una malattia misteriosa.


Età ellenistica - Periodo dalla morte di Alessamdro Magno fino alla riduzione della Grecia a provincia romana nel 146 a.C.. Trionfo di cultura e civiltà greche. Si hanno tre grandi dinastie fondate dai generali di Alessandro. I Tolomei in Egitto, i Seleucidi in Siria e Mesopotamia e gli Antigonidi in Macedonia. Le aristocrazie urbane utilizzavano il greco come lingua. Fondate nuove città: Pergamo in Asia Minore, Alessandria in Egitto, Antiochia in Siria. Fioritura culturale. Scienziati: Euclide, Archimede, Apollonio di Perga, Aristarco di Samo, Eratostene, Ipparco, Erone. Filosofi: Epicuro, Zenone. Poeti: Callimaco, Apollonio Rodio, Teocrito.
Conquista romana - Dopo la morte di Alessandro, nelle vicende politiche greche non si hanno altro che guerre tra città.
Durante la sua ascesa, la Roma repubblicana dovette impegnarsi in ben tre guerre contro la Macedonia. L'esercito macedone, sotto la guida del re Perseo, subì la sconfitta definitiva nella battaglia di Pidna per opera del console Lucio Emilio Paolo nel 168 a.C. e nel 146 a.C. la Macedonia divenne povincia romana. Nello stesso anno, con la distruzione di Corinto, anche la Grecia venne inclusa nella provincia di Macedonia.


Malgrado un regime particolarmente liberale accordato alla Grecia, molte città greche sostennero Mitridate VI, re del Ponto, nella sua campagna contro Roma. Ma il generale romano Lucio Cornelio Silla costrinse Mitridate a fuggire e domò severamente la rivolta greca. L'imperatore Augusto fece della Grecia provincia senatoria, dandole il nome di Acaia. L'imperatore Adriano intraprese una imponente attività edilizia di ricostrzione di Atene e di altre città greche. Dall'anno 212, l'imperatore Caracalla concesse a tutti gli abitanti dell'Ellade, come a tutti gli altri provinciali, la cittadinanza romana.
La Grecia sotto l'impero bizantino - Negli anni 267 - 268 i Goti saccheggiarono Atene, Argo, Corinto e Sparta. Quando nel 476 l'impero d'Occidente cadde, quello d'Oriente, con capitale Bisanzio iniziò un periodo di fulgore, perpetuando l'esperienza politica romana. Quando poi anche l'impero d'Oriente cadde (1453, conquista di Costantinopoli da parte di Maometto II il Conquistatore), gli abitanti della penisola ellenica, malgrado la dominazione turca, trovarono rifugio nella fedeltà alla lingua, alla cultura greca e alla religione cristiana ortodossa, valori ai quali fecero ricorso per conquistare l'indipendenza nel secolo XIX.





Notizie storiche sull'astronomia greca



L’astronomia greca viene comunemente trattata limitandola a un ambito temporale che va dal 700 a.C. al 400 d.C. circa. Evidentemente ciò che si sa di essa prima di questo periodo rientra nelle supposizioni generali riguardanti una attività semplicemente osservativa dei moti di Sole, Luna, pianeti e stelle fisse, attività che venne svolta presso tutte le comunità del pianeta con risultati più o meno simili. A partire dall’epoca di Talete, si può dire, sia pure con linguaggio non proprio accurato, che l’astronomia greca nasce come scienza, anche se, durante tutto quel migliaio d’anni essa fu considerata un ramo della matematica (i Greci chiamavano gli astronomi i matematici). Si può dire infine sicuramente, che durante quel periodo, i risultati scientifici (non solo astronomici) conseguiti dai Greci furono senza paragone rispetto a quelli ottenuti altrove.
L’autore di queste note non è assolutamente in grado di affrontare la questione del debito che l’astronomia greca possa avere nei confronti di quella babilonese. Certe conquiste specifiche della cultura matematica mesopotamica come il sistema numerico sessagesimale, la notazione posizionale e la introduzione del grado sessagesimale, oppure certe procedure astronomiche come la teoria solare del periodo seleucide, costituiscono indubbiamente delle tappe fondamentali sul cammino del pensiero scientifico di cui siamo debitori verso i Babilonesi.



OMERO ED ESIODO
In genere, quali autori più antichi le cui opere abbiano riferimenti all’astronomia si citano Omero ed Esiodo. Le discussioni sulla esatta collocazione temporale dei due sono sempre irrisolte. Si tende a prendere come riferimento l’anno 700 a.C., a ritenere Omero precedente Esiodo di un paio di genera­zioni e a prendere la data anzidetta come quella dell’introduzione della scrittura in Grecia. (Lo scrivente non è nemmeno qualificato per affrontare la questione della storicità di Omero). Da lui, nel canto diciottesimo dell’Iliade si ha la descrizione dello scudo di Achille, fabbricato da Efesto (il dio Vulcano dei Romani). Omero dice che è decorato con immagini del cielo e della Terra. Sono menzionate alcune stelle e costellazioni: le Pleiadi, le Iadi, Orione e l’Orsa. In altra parte Omero fa menzione della stella del Cane (Sirio) e della costellazione Bootes. Omero dice che l’Orsa “non affonda mai nelle acque di Oceano”, chiaro riferimento al fatto che la costellazione dell’Orsa maggiore, essendo circumpolare, non tramonta (né sorge) mai, ma circola eternamente a breve distanza angolare dal polo. Anche la nozione di sorgere eliaco è chiara per Omero: paragona lo splendore dell’armatura di Diomede a quello della stella del Cane e dice che essa fa il suo “sorgere mattutino” d’estate, intendendo chiaramente il sorgere eliaco.
Esiodo è spesso indicato come “il padre della poesia didattica greca”. Si sa pochissimo della sua vita.
Due sue opere, importanti per la storia dell’astronomia, ci sono pervenute: (1) Le opere e i giorni e (2) Teogonia. Nella prima, riferimenti calendariali sono dati tramite levate e tramonti eliaci.
In Le opere e i giorni, dice per esempio: “. . . quando le Pleiadi sorgono è tempo di usare la falce, l’aratro quando tramontano . . . “ Dicendo “sorgono” intende chiaramente il sorgere eliaco, e dicendo “tramontano” intende il tramonto eliaco. Altri scrittori greci successivi trattarono l’argomento delle levate e dei tramonti eliaci.
Ai tempi di Omero e di Esiodo le idee dei Greci su forma e struttura dell’universo risentivano di una con­notazione fortemente primitiva e inevitabilmente legata ai miti religiosi. La Terra era considerata un disco piano, circondato dal fiume Oceano.

La volta celeste si elevava supportata dalle parti più esterne del di­sco. L’estensione della Terra era limitata al mondo allora conosciuto, e cioè dalla Colchide (Crimea) alla Trinacria (Sicilia). La figura 7 mostra l'evoluzione della concezione di ecumene (mondo abitato) presso i Greci primigeni.
Sull’altezza della volta stellata, abbiamo la curiosa affermazione di Esiodo nel Teogonia, secondo cui l’incudine di Efesto avrebbe impiegato nove giorni e nove notti per cadere dal cielo alla Terra, ed altrettanto tempo per sprofondare dalla superficie fino alla profondità del Tartaro.
Altra concezione mitologica era quella secondo la quale il carro del Sole era guidato da Febo che lo portava a spegnersi ogni sera nel fiume Oceano. Quando poi Fetonte, figlio di Febo, ottenuto che ebbe il permesso dal padre di guidare una volta il carro perdette il controllo dei focosi destrieri, ciò provocò l’incendio del cielo, ancora visibile nella Via Lattea.



L'INIZIO DEL PENSIERO SCIENTIFICO CON LA SCUOLA IONICA
Nelle trattazioni sulla storia dell’astronomia greca degli inizi figura in genere la Scuola di Mileto, detta anche Scuola Ionica, i cui esponenti più importanti, Talete, Anassimandro e Anassimene diressero le loro indagini scientifiche principalmente verso interessi di ordine filosofico ma anche astronomico e cosmolo­gico (a quell'epoca non esisteva una differenziazione delle discipline scientifiche). L’importanza della Scuola risiede nel fatto che, per quanto riguarda l’astronomia lo studio si manifestò con una certa connotazione di vera e propria indagine scientifica per la qualità delle domande che gli studiosi si posero. In particolare si domandarono quale fosse il principio unico, arché, (sostanza fon­damentale e causa prima che dava origine a tutta la materia). Ogni componente della Scuola diede una propria definizione di ciò che riteneva essere questo elemento fondamentale.


Talete di Mileto (ca. 626 - 548 a.C.) è ritenuto il fondatore della Scuola. Ciò che si sa della sua vita è po­chissimo e avvolto nella leggenda. Si dice (Proclo) che abbia viaggiato in Mesopotamia ed Egitto, acquisendo numerose conoscenze. Erodoto dice che previde l’eclissi totale di Sole del 585 a.C. ma gli studiosi moderni danno poco credito a questa affermazione, o per lo meno, si tende a pensare che, avuta conoscenza del periodo delle eclissi di 18 anni, oggi detto saros, Talete abbia dato la previsione di una eclisse generica. Diogene Laerzio, scrivendo nel II secolo d.C. dice che Geronimo, discepolo di Aristotele, afferma che Talete calcolò l’altezza di una piramide egizia misurando la lunghezza dell'ombra della piramide, proprio nell’istante in cui l’ombra proiettata da Talete aveva lunghezza eguale alla sua altezza. Anche Plinio fa un’affermazione simile.
                                                                                                                            Fig. 8 - Talete di Mileto

E’ considerato da Plutarco il primo dei Sette Saggi. In molti libri di testo moderni di geometria, diversi assiomi sono attribuiti a Talete, ma nessuna sua opera ci è pervenuta. Talete pensava che la Terra galleggiasse sull’acqua e che tutta la materia derivasse dall’acqua. Per lui dunque la sostanza fondamentale era l’acqua. Secondo Talete, la Terra era un disco galleggiante sul fiume Oceano.

Aristotele riferisce che Talete utilizzò le sue conoscenze per predire una straordinaria raccolta di olive per la prossima stagione. Ciò lo indusse ad acquistare tutti i frantoi disponibili e fu così in grado di guada­gnare un grande ammontare di denaro, quando effettivamente l’eccezionale raccolto di olive si verificò. Questa storiella, indicativa di una sua attitudine per le cose pratiche, contrasta con un’altra, riferita da Platone. Egli dice che durante una notte scura, Talete, completamente assorto nella contemplazione del cielo stellato, cadde in una buca profonda. Le sue invocazioni di aiuto furono udite da una servetta che si trovava nelle vicinanze, che lo soccorse non senza fargli osservare come poteva pretendere di capire le cose del cielo se non era nemmeno capace di fare attenzione a dove metteva i piedi per terra.



ANASSIMANDRO
Anassimandro (610 - 547 a.C. ca.) è ritenuto il primo discepolo di Talete. Anche della sua vita si conosce pochissimo. Si dice che abbia capeggiato una spedizione nel Mar Nero per fondare la città di Apollonia. Le notizie che di lui abbiamo ci vengono da Aristotele, Teofrasto e Diogene Laerzio, a loro volta citati da autori posteriori.
E’ considerato il primo autore di un’opera a carattere filosofico, dal titolo Della Natura. Di questo libro solo un frammento ci è pervenuto attraverso una citazione di Simplicio (che a sua volta cita Teofrasto). Si tratta di un brano che ha provocato accese discussioni tra i commentatori. Anassimandro identifica l ‘ ar­ché nell’ apeiron, l ' ”infinito” (più precisamente, nell’ente “privo di limiti”). Naturalmente esiste una grande indeterminatezza su cosa intendesse esattamente Anassimandro con quella definizione.
Ma Anassimandro è importante anche per l’astronomia. C’è una sola testimonianza di una osservazione astronomica eseguita da Anassimandro, e riguarda la data in cui avviene il tramonto eliaco mattutino delle Pleiadi. Al contrario, si hanno citazioni di sue osservazioni astronomiche di carattere speculativo. Tra queste, citiamo quella secondo cui i corpi celesti eseguono percorsi circolari, e l’altra, importantissima, secondo cui la Terra galleggia nello spazio senza bisogno di alcun sostegno, affermazione grandemente innovativa (perché fino ad allora il concetto di qualcosa di solido che sostenesse la Terra era saldamente radicata presso tutte le culture) che segna veramente l’inizio dello studio del cosmo su basi scientifiche.
Si dice che Anassimandro abbia introdotto in Grecia l’uso dello gnomone (apprendendolo probabilmente dai Babilonesi). Ad Anassimandro si fanno risalire le prime idee sulla convessità della superficie terrestre. Egli pensava che la Terra avesse forma cilindrica, con l’asse orientato nel senso levante-po­nente. Si dice anche che egli abbia eseguito per primo una misurazione dell’obliquità dell’eclittica (affermazione fortemente dubitata oggi).

Altra affermazione tradizionale su Anassimandro è quella secondo cui egli abbia disegnato una carta geografica del mondo allora conosciuto, carta che doveva limitarsi a una rappresentazione del Mediterraneo circondato dal fiume Oceano. Questa è una ricostruzione



PITAGORA
A questo punto può essere opportuno introdurre la figura di Pitagora, anche perché secondo alcuni , verso i vent’anni di età egli ebbe dei contatti con Talete ed Anassimandro. La sua nascita viene collocata a Samo, sulla costa ionica dell’Asia Minore, intorno al 570 a.C.
E’ considerato il primo matematico puro della storia. A differenza di altri matematici greci, dei quali sono noti sia i titoli delle opere che i contenuti, di Pitagora non ci è giunto alcuna opera scritta (e nemmeno eventuali titoli). Sembra addirittura che tutto il suo insegnamento abbia avuto un carattere completamente orale. La comunità scientifico-religiosa che egli guidò mantenne uno standard di segretezza elevato, tale da far considerare i suoi membri come componenti di una vera e propria setta, con connotazioni talmente elitarie da suscitare persecuzioni. Nella sua scuola si riscontra un evidente influsso di credenze e filosofie orientali. Oltre che di matematica, egli si occupò intensamente di magia, di astrologia, di filosofia, di musica, di astronomia, di riti occulti e pare anche di medicina, tutte cose che danno credito all’affermazione di suoi viaggi in Oriente.
                                                                                                                            Fig. 9 - Pitagora di Samo

Una delle prime notizie sulla sua vita, riguarda il fatto che suo padre, commerciante originario di Tiro (Si­ria), ottenne per riconoscenza dalla città di Samo la cittadinanza per aver portato colà un carico di grano, in tempo di carestia. Un’altra storia dice che durante la sua adolescenza Pitagora ricevette istruzione da tre filosofi, uno dei quali, Ferekides, è considerato il suo maestro. Gli altri due filosofi con cui secondo alcuni Pitagora fu in contatto, si dice siano stati Talete e Anassimandro.
Nel 535 a.C. si ritiene che Pitagora abbia fatto un viaggio in Egitto, alcuni anni dopo che il tiranno Policrate prese il potere a Samo. Si dice anche che Pitagora e Policrate fossero stati amci in precedenza, e che quando si recò in Egitto, aveva con sé una lettera di raccomandazione di Policrate. Questo viaggio in Egitto e i contatti che Pitagora ebbe con sapienti del luogo possono essere indicativi di alcuni caratteri del suo insegnamento: la segretezza dei sacerdoti egizi circa le loro co­noscenze, il loro rifiuto di mangiare fagioli e men che meno carne di animali. I Pitagorici avevano ripreso dalla religione indiana la credenza nella trasmigrazione delle anime (metempsicosi, ossia che l’anima dopo la morte si trasferisce nel corpo di altri uomini o animali viventi) non mangiavano quindi carne di alcun genere, onde non correre il rischio di nutrirsi con un animale in cui si fosse reincarnato un amico o un parente. D’altro canto, l’affermazione di Porfirio secondo cui Pitagora apprese la geometria in Egitto appare poco probabile, perché doveva essere stato edotto sufficientemente in questa disciplina da Talete e Anassimandro. Giamblico dice che nel 525 a.C. in seguito alla conquista dell’Egitto da parte della Persia, Pitagora venne portato prigioniero a Babilonia, dove ebbe la ventura di venire a contatto con sapienti babilonesi che gli trasmisero molte delle loro conoscenze. Nel 520 a.C. fece ritorno a Samo.
Intorno al 518 a.C. Pitagora lasciò Samo perché, sempre secondo Giamblico, i cittadini di Samo non apprezza­vano che i suoi metodi di insegnamento riflettessero influenze egizie. Si stabilì nell’Italia meridionale, a Crotone, sulla costa orientale calabra, fondando la sua famosa scuola. Questa scuola, forse sarebbe più opportuno chiamarla setta, aveva un circolo interno di affiliati che erano detti “matematici”. Essi vivevano perma­nentemente nella setta, erano privi di possessioni personali e strettamente vegetariani. Della associazione facevano parte sia uomini che donne. I membri esterni alla setta erano detti akousmatici , vivevano nelle proprie case e non erano soggetti alle strette regole dei membri interni. Il carattere comunitario e la segretezza praticate dai membri della setta pitagorica, ha reso praticamente impossibile agli studiosi distinguere quali scoperte siano effettivamente attribuibili a lui e quali ai suoi di­scepoli. Per gli studiosi moderni è anche molto difficile riuscire a rendersi conto del grado di astrattezza dei problemi che i pitagorici dibattevano. Aristotele scrive: “. . I Pitagorici . . . pensavano che tutte le cose sono numeri . . . . e che l’universo è un regolo e un numero . . .”. Questo fascino per i numeri da parte di Pitagora si ritiene dovuto alle sue osservazioni su certi aspetti che legavano matematica, musica e astronomia. Egli aveva notato che le corde vibranti producevano tonalità armoniche se esisteva una certa legge tra lunghezza delle corde e nu­mero delle vibrazioni. In effetti le scoperte dei pitagorici sulla teoria musicale costituirono un notevole contributo allo sviluppo della teoria della musica. Il legame di queste osservazioni con l'astronomia era dato dal fatto che i pitagorici avevano sviluppato una teoria delle sfere armoniche, per la quale i pianeti emettevano dei suoni dipendenti dalla velocità con cui ruotavano intorno alla Terra.
Naturalmente oggi il nome di Pitagora è ordinariamente associato al teorema che porta il suo nome e del quale non si dispone di notizie che lo rendano a lui sicuramente attribuibile. Molti scrittori moderni attribuiscono a lui (o per lo meno alla sua Scuola), la scoperta di altre importanti nozioni matematiche. Tra queste, notevole, è quella dei numeri irrazionali. Si tende a ritenere che questa scoperta sia dovuta non a lui ma a qualche suo discepolo, perché si tratta di una scoperta che contrastava con la vi­sione di Pitagora secondo cui “tutte le cose sono numero” (è noto che per “numero” i pitagorici intendevano il rapporto tra due interi, e quindi non potevano concepire che potesse esistere qualcosa che si sottraeva a que­sta regola). Si usa dire che i pitagorici si “imbatterono” nei numeri irrazionali ma rifiutarono di accettarli. Una leggenda dice che trovandosi alcuni pitagorici in viaggio su una nave, uno di loro, Ippaso da Metaponto, dimostrò ai compagni che, quale conseguenza del teorema scoperto, si aveva che il rapporto tra l’ipotenusa di un triangolo rettangolo e uno dei due cateti dello stesso, conduceva a un valore (radice di 2) che non rientrava nella loro concezione di numero (cioè rapporto di due interi). La leggenda dice i pitagorici furono talmente sconvolti da questa affermazione da scaraventare in mare il malcapitato collega.

I Pitagorici, come già i Babilonesi, ritenevano che alcuni numeri fossero sacri. Il più perfetto era il 10. Anche altri numeri possedevano un loro magico significato. Ad esempio, l ‘ 1 era considerato il numero della ragione ed il “generatore di tutti i numeri”. Il 2 era il numero “femminile” per eccellenza. Il 3, all’opposto, era il numero “maschile”. Il 4 il “portatore di giustizia”. Il 5 era il numero dello “sposalizio”, perché formato dalla unione del 2 con il 3 In astronomia è attribuita a Pitagora l’affermazione secondo cui la Terra ha forma sferica, e che anche l’orbita della Luna era inclinata rispetto all’equatore celeste.

Giamblico dice che nel 513 a.C. Pitagora ritornò in Grecia, a Delo, per assistere il suo antico maestro Fe­rekides, prossimo a morire. Pochi mesi dopo la morte del suo maestro fece ritorno a Crotone. Nel 510 a.C. si ebbe uno scontro militare tra Crotone e la vicina Sibari e si hanno indicazioni che Pitagora abbia avuto a che fare con la disputa. Quindi, sempre Giamblico ci informa che, avendo la società pitagorica subito un attacco da parte di Cilone, un nobile di Crotone, Pitagora fu costretto a fuggire a Metaponto dove morì (alcuni dicono che commise suicidio). Ma lo stesso Giamblico prende le distanze da questa versione affermando che Pitagora da Metaponto ritornò a Crotone e che la sua società riuscì a prosperare ancora per parecchi anni. Questa versione concorda con le affermazioni di altri autori secondo cui Pitagora riuscì a raggiungere un’età prossima ai cento anni, e addirittura ad avere tra i suoi discepoli Empedocle da Agrigento. Ma in genere si tende a porre la data della morte di Pitagora intorno al 500 a.C.
Sicuramente le circostanze della morte di Pitagora sono avvolte nella leggenda. Sicuro è comunque che la società pitagorica si espanse molto dopo il 500 a.C., che assunse connotazioni politiche e che si scisse in numerose fazioni. Nel 460 a.C. si ebbe un violento episodio di persecuzione contro i Pitagorici a Crotone. Molti loro luoghi di riunione vennero assaltati e dati alle fiamme. Si cita in particolare la “casa di Milo”, a Crotone, dove una cinquantina di Pitagorici fu assassinata. I sopravvissuti trovarono rifugio a Tebe e in altre città.



FILOLAO, ICETA, ECFANTO
Un seguace importante della dottrina pitagorica fu il tarantino Filolao. Si ritiene sia vissuto tra il 470 e i primi anni del IV secolo a.C. Dopo la distruzione della Scuola pitagorica a Crotone, era emigrato a Tebe, dove avrebbe fondato una nuova scuola pitagorica. Si dice anche che abbia fatto ritorno in Magna Grecia verso la fine del V secolo a.C., e che abbia avuto tra i suoi discepoli anche Archita di Taranto. E’ ritenuto essere stato un cultore delle dottrine pitagoriche, per averle apprese dai discepoli diretti del Maestro, superstiti della scuola di Crotone. Secondo diverse tradizioni, Filolao sarebbe stato il primo ad operare una diffusione delle dottrine pitagoriche, rompendo il vincolo originario di segretezza. Filolao è importante nella storia della cosmologia perché, quale suo personale contributo, è ritenuto il primo ad aver tolto la Terra dalla posizione centrale del cosmo.

Secondo il sistema da lui proposto (figura 10), al centro dell’universo era posto una sorta di fuoco primigenio, un ente fisico animatore di tutto l’universo, al quale era dato il nome di fuoco centrale, oppure di dimora di Zeus. La Terra, T, ruotava attorno al fuoco centrale. Interposto tra la Terra e il fuoco centrale, Filolao aveva posto anche un nuovo corpo celeste, da lui chiamato Antiterra, A, (Antichton, la cui introduzione consen­tiva di arrivare al numero perfetto di dieci corpi celesti). Terra e Antiterra avevano velocità angolare di rivoluzione attorno al fuoco centrale eguali, ed entrambe pure eguali alle proprie velocità di rotazione attorno al proprio asse. In definitiva, l'Antiterra si manteneva sempre sull’allineamento Terra-fuoco centrale. Siccome l’emisfero terrestre abitato era quello rivolto verso il Sole, dalla Terra l’Antiterra non poteva essere mai vista (forse avrebbe potuto essere vista se dalla Grecia, centro dell’emisfero abitato, ci si fosse di molto spostati verso est o verso ovest, oltre l’India o oltre le Colonne d'Ercola). La rotazione della Terra attorno al fuoco centrale rendeva ragione dell’alternarsi del dì e della notte, perché l’emisfero terrestre abitato, per mezza rotazione era rivolto verso il Sole, e per l’altra metà in senso opposto.

I dieci corpi celesti erano dunque: Antiterra, Terra, Luna, Sole, Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno e finalmente la sfera immobile delle stelle fisse, il cui moto apparente era spiegato secondo Filolao dal moto della Terra.
E’ possibile che questa concezione di moto terrestre nel quale si aveva durata di rivoluzione attorno al fuoco centrale eguale alla durata di rotazione terrestre su sé stessa, sia stata suggerita a Filolao per analogia con il moto lunare, per il quale si sapeva fin da allora che la Luna rivolgeva sempre lo stesso emisfero alla Terra.

Altri importanti seguaci delle dottrine pitagoriche che vale la pena citare per l’originalità delle idee, furono i siracusani Iceta e il suo discepolo Ecfanto. La collocazione temporale di entrambi deve essere data con approssimazione in termini di V secolo a.C., con Iceta precedente Ecfanto di una generazione. Dal punto di vista cosmologico, Iceta è ritenuto il primo (secondo Cicerone, che cita a sua volta Teofrasto) ad aver sostenuto la rotazione effettiva della Terra attorno a un proprio asse, con la conseguente apparente rotazione degli astri sulla sfera celeste. Sembra anche che, secondo la testimonianza di Aezio, anche Iceta sostenesse l’esistenza dell’Antiterra per spiegare le eclissi. Anche ad Ecfanto è attribuita l'opinione della rotazione terrestre.



PARMENIDE
Parmenide di Elea, che visse all'incirca dal 515 al 460 (secondo altre testimonianze nacque invece intorno al 540 a.C.), è considerato il fondatore della Scuola eleatica (Elea era città della Magna Grecia nelle vicinanze dell'attuale Salerno). Si dibatte se sia stato discepolo di Senofane di Colofone. Dibattuto è anche il problema dell'influenza del pensiero di Parmenide su quello di Eraclito o viceversa. Secondo Diogene Laerzio fu il primo ad affermare che la Terra è sferica e occupa il centro dell'universo. Distinse due livelli di conoscenza: secondo verità e secondo opinione. Per lui il Sole e la via lattea erano esalazioni di fuoco. Anche la Luna era esalazione di fuoco, ed era illuminata dal Sole. La tradizione lo considera anche il primo ad aver riconosciuto che Espero e Lucifero erano lo stesso astro, Venere (ma la primazia di tutte queste affermazioni di carattere astronomico attribuite a Parmenide per alcuni è da assegnare a Pitagora).



ANASSAGORA DI CLAZOMENE
Visse all'incirca dal 500 al 430 a.C. E' probabile che abbia trascorso la sua giovinezza nella natia Ionia (Clazomene era una città nelle vicinanze di Smirne). Le fonti più importanti su Anassagora sono Aristotele, Platone, Teofrasto, Aetius, Plutarco, Ippolito. Si dice che, di famiglia facoltosa, abbia trascurato le ricchezze per dedicarsi allo studio. Si dice anche che sia stato lui il primo filosofo ad introdurre in Atene la filosofia (fino ad allora confinata alla Ionia) quando, poco più che ventenne, si trasferì ad Atene. E' largamente accettato che ad Atene egli divenne amico di Pericle, più giovane di lui di cinque anni. Ma, come è noto, la sua amicizia con Pericle gli costò cara: i nemici politici di Pericle per colpire lui si rifecero su Anassagora facendolo imprigionare e costringendolo all'esilio.

                                                                                                                            Fig. 11 - Anassagora

Sembra addirittura che il provvidenziale intervento di Pericle abbia salvato Anassagora da sanzioni più gravi.
Le accuse ad Anassagora consistevano, come è noto, nell'aver egli affermato che il Sole non era altro che "una pietra infuocata" (evidentemente, nell'Atene del 450 a.C. l'attitudine mentale tradizionale era ancora fortemente legata a valori sacrali e lo svilirli a una interpretazione naturalistica non poteva ancora essere accettato). Comunque, Anassagora si rifugiò a Lampsaco (sulla costa orientale dell'Ellesponto), dove si dice abbia fondato una scuola.
Nella dottrina filosofica di Anassagora si aveva una accentuazione del nous inteso come "mente", oppure "ragione", cioè disanima dei fenomeni secondo principi di razionalità.
Secondo Aetius (che cita Teofrasto), Anassagora sosteneva che la Luna brilla di luce non propria ma riflessa dal Sole. Questa è ritenuta una delle prime affermazioni del genere. Ippolito e altri ci informano delle corrette interpretazioni date da Anassagora, per primo, delle modalità del compiersi delle eclissi di Sole e di Luna. Sulle modalità di svolgimento delle eclissi di Luna, comunque, Anassagora introduce una credenza erronea, ammettendo la possibilità che ad oscurare la Luna siano anche altri corpi interposti.
C'è un notevole grado di incertezza su quanto fossero estese le sue cognizioni matematiche. Vitruvio ci dà una intrigante informazione su Anassagora. Ci dice che, mentre si trovava in prigione, scrisse un trattato nel quale si davano istruzioni su come dipingere gli scenari per le commedie che venivano rappresentate ad Atene: come dovevano essere dipinti i pezzi che dovevano apparire sullo sfondo, e come quelli che dovevano apparire in primo piano. Si potrebbe arguire da ciò che Anassagora produsse una specie di trattato sulla prospettiva ma manca completamente qualunque altra notizia che confermi queste affermazioni di Vitruvio. E' noto anche la battuta con la quale si dice abbia risposto a che gli chiedeva quale riteneva fosse lo scopo della sua vita: "Investigare il Sole, la Luna e le stelle".



ENOPIDE
Si ritiene che Enopide sia nato intorno all’anno 490 a.C. nell’isola di Chio, e che sia vissuto fino a circa il 420 a.C. Secondo certe testimonianze di Platone, ad Enopide, che fu certmente matematico e astronomo, è stata attribuita una prima misurazione dell’angolo tra l’eclittica e l’equatore, l ‘ obliquità, misurazione per la quale si dice abbia ottenuto il valore di 24º, che rappresenta una notevole approssima­zione. Un altro contributo all’astronomia attribuito ad Enopide è quello di aver scoperto il cosiddetto “Grande Anno”, cioè un periodo di tempo al termine del quale i moti di Sole e Luna si sarebbero ripetuti. Enopide diede per questo periodo il valore di 59 anni. La validità astronomica di questo risultato è stata comunque messa in discussione. Ad Enopide è attribuito di aver dato la regola secondo cui nelle dimostrazioni geometriche non doveva essere permesso fare uso di altri strumenti che non fossero riga e compasso. Si ritiene anche che lui per primo abbia dato certe dimostrzioni geometriche, appunto con riga e compasso, dimostrazioni che in seguito vennero incluse negli Elementi di Euclide. La mggior parte delle notizie su Enopide ci sono pervenute da Eudemo che fiorì intorno al 325 a.C. e che viene generalmente considerato come il primo storico dell’astronomia. Su Eudemo siamo informati da Teone di Smirne che visse nel secolo I d.C.

Riteniamo opportuno associare alle notizie su Enopide alcune indicazioni sulle nozioni geometriche che condussero alle misure dell’obliquità dell’eclittica (anche se è non è sicuro che queste nozioni siano state sviluppate da Enopide, o dopo di lui). Occorre partire dallo gnomone, strumento la cui introduzione in Grecia è attribuita, come detto sopra, ad Anassimandro. Lo strumento consisteva semplicemente di un’asta dell’altezza di circa due metri, infissa nel terreno con la massima accuratezza possibile secondo la verticale.

Come si vede dalla figura 12, lo strumento consentiva di ricavare l’altezza meridiana del Sole. Il suo impiego richiedeva di prendere nota della lunghezza minima l dell’ombra proiettata dallo strumento, quella che veniva appunto proiettata sulla linea meridiana NOS (nord - sud) nell’istante del mezzodì. Dopo di che l’altezza h poteva essere calcolata dal rapporto tra l’altezza a dello gnomone e la lunghezza dell’ombra l. Si ha infatti: arctan h = a / l. Prima dell’introduzione della trigonometria è noto che i Greci si arrangiavano con metodi grafici-euclidei.

Sicchè, per qualsiasi giorno dell’anno, questo semplice strumento consentiva di ricavare l’altezza meridiana del Sole. Spesso gli strumenti erano corredati di linee curve incise sul terreno. Venivano ottenute prendendo nota dei punti toccati dall’estremità dell’ombra in diversi momenti della giornata. Se opportunamente utilizzate, queste curve potevano fornire una indicazione ragionevolmente approssimata dell’ora.

Ma l’impiego dello gnomone fu particolarmente utile perché consentiva di ricavare (1) la latitudine della località di impiego e (2) l’obliquità dell’eclittica, come detto sopra. Si osservi la figura 13 . OG è uno gnomone situato in una località la cui latitudine è indicata dall’angolo PnOB’ = ZOeq = j. L’angolo PnOZ = SOeq è invece la colatitudine c, cioè la quantità 90 - j. Le tre posizioni del Sole A, B e C sono quelle corrispondenti alle altezze meridiane che si hanno rispettivamente agli equinozi, al solstizio invernale e al solstizio estivo. In quelle situazioni, le ombre proiettate dallo gnomone sono rispettivamente OA’, OB’ e OC’. L’altezza meridiana al solstizio estivo è he. Quella al solstizio invernale è hi. L’obliquità è indicata con e. Sono subito verificabili queste relazioni:
    he = c + e   (1)   e   hi = c - e   (2)
Sommando la (2) alla (1) si ha: he + hi = 2•c = 2•(90 - j) da cui 90 - j = 0.5 • (he + hi) e infine
j = 90 - 0.5 • (he + hi)

Sottraendo invece la (2) dalla (1) si ha:
he - hi = 2•e da cui risulta subito: e = 0.5 • (he - hi)

La latitudine del luogo era dunque ottenibile calcolando il complemento della semisomma delle altezze meridiane solstiziali del Sole, mentre l’obliquità si otteneva calcolando la semidifferenza delle dette altezze. Vale la pena di osservare che, a parte la imprecisione nelle misure, i risultati dei calcoli si avvicinavano tanto più all’optimum quanto più gli istanti dei solstizi coincidevano effettivamente con gli istanti delle culminazioni meridiane.



EMPEDOCLE DI AGRIGENTO
Visse all'incirca dal 480 al 420 a.C. Aristotele dice che morì ad Atene all'età di 60 anni, mentre secondo un'altra tradizione sarebbe precipitato nel cratere dell'Etna. Delle due opere certamente attribuitegli ci restano ampi frammenti: 100 versi del poema Purificazioni e 400 versi di Sulla natura. Ispirandosi al pensiero di Eraclito, di Pitagora e di Parmenide, formulò la dottrina dei quattro elementi, da lui detti in realtà radici, più tardi riconosciuti come i quattro elementi naturali (aria, fuoco, terra e acqua). Accettò l'idea di Parmenide secondo cui la Luna rifletteva la luce solare e dette una spiegazione corretta del meccanismo delle eclissi solari. Aristotele sosteneva che Anassagora era prima di Empedocle per età ma dopo di lui per opere. Si potrebbe pensare che volesse semplicemente dire che Anassagora scrisse in un tempo successivo a Empedocle. Invece Teofrasto sostiene che Aristotele riteneva Anassagora inferiore ad Empedocle nel pensiero. Aristotele riporta anche che Empedocle ebbe la intuizione fisica importantissima secondo cui la velocità della luce era finita, per cui impiegava un certo tempo a percorrere una distanza.



DEMOCRITO DI ABDERA
La sua vita è collocabile tra gli anni 470 e 400 a.C. Discepolo di Leucippo. E' considerato il più autorevole rappresentante della scuola atomistica. Ricollegandosi alla ricerca dell'arché, vide il principio originario del mondo in particelle di materia più o meno piccole, non ulteriormente divisibili: gli atomi. Secondo Democrito, tutto ciò che esiste nel mondo è prodotto dalle varie combinazioni degli atomi. Essi sono le uniche realtà durevoli e l'esistenza del vuoto è condizione indispensabile al loro movimento. Democrito è anche considerato il primo pensatoread aver introdotto il concetto di infinità del cosmo. Le idee filosofiche di Democrito (e Leucippo) furono riprese e sviluppate da Epicuro. L'atomismo conobbe poi una certa popolarità tra la fine del secolo XVI e la fine del XVII (anche se non contribuì direttamente alla nascita dell'atomismo moderno). Le migliori fonti su Democrito sono Epicuro, che fu uno strenuo sostenitore dell'atomismo e Aristotele, che lo osteggiò altrettanto strenuamente.

                                                                                                                                                   Fig. 14 - Democrito

Si sa che Democrito fu istruito da precettori Caldei che gli insegnarono, tra l'altro, l'astronomia. Si dice anche che abbia completato la sua istruzione recandosi in Egitto e in Persia. A Democrito si attribuiscono molte opere, andate tutte perdute. Tra esse una Grande cosmologia e una Piccola cosmologia. Diogene Laerzio dà una lista delle opere scritte da Democrito, tra esse cita Sui numeri, Sulla geometria, Sulle tangenti, Sulle mappe, Sugli irrazionali. Concepì la Via Lattea come una banda di luce costituita di stelle molto piccole e fittamente raggruppate. Elaborò anche un calendario astronomico che presenta un grande interesse perchè vi sono descritti eventi astronomici collegati a fenomenologie terrestri (ad esempio viene data una corretta interpretazione nell'associare l'inondazione del Nilo alla stagione delle piogge che si manifestano a monte. E' stato recentemente accertato che Archimede afferma nel Metodo che Democrito affermò importanti teoremi su figure geometriche solide con un anticipo di circa cinquant'anni su Eudosso. Ecco infine un esempio di speculazione geometrica di Democrito che ci viene da Plutarco: "Se un cono venisse tagliato con un piano parallelo alla base, cosa dovremmo pensare confrontando la grandezza delle due superfici circolari? Se pensiamo che sono disuguali dovremmo anche ammettere che la superficie del cono abbia delle indentature. Se pensiamo che sono uguali dovremmo anche ammettere che il cono gode delle proprietà di un cilindro".



METONE ED EUTEMONE
Diamo gli anni dal 470 al 400 a.C. come quelli tra i quali si estese la vita di Metone e quelli dal 460 al 390 per la vita del suo discepolo e collaboratore Eutemone.
Questi due astronomi vengono spesso citati assieme. Due sono i contributi fondamentali che vengono loro attribuiti e che li fanno considerare tra gli iniziatori dell'astronomia scientifica greca: l'osservazione del solstizio estivo del 432 a.C. e l'introduzione del ciclo lunisolare di 19 anni. Il primo contributo fa parte del primo tentativo (di cui si abbia notizia) di stabilire la durata dell'anno conteggiando il numero di giorni che intercorrevano tra solstizi ed equinozi. Tolomeo dice nell'Almagesto che il solstizio estivo osservato fu durante l'arcontato di Apseudes, il mattino del 21esimo giorno del mese egizio di Phamenoth (27 giugno del 432 a.C.). Questa osservazione è molto importante perchè venne usata da generazioni di astronomi successive. Per quanto riguarda la durata delle stagioni, ci si rifà ad un papiro del II secolo d.C. che viene denominato Ars Eudoxii, considerato una specie di brogliaccio di esercitazioni sull'opera di Eudosso e che attribuisce ai due la misura della durata delle stagioni in giorni, a cominciare dall'estate, con i valori 90, 90, 92 e 93. La maggior parte dei commentatori tende a prestare poca fede sui dati di questo papiro posteriore a Metone di più di 600 anni. Si tende a ritenere che la prima effettiva misura di durata delle stagioni sia quella eseguita da Callippo un secolo dopo Metone. L'indagine astronomica sulla durata dell'anno e delle singole stagioni doveva comunque già essere stata affrontata ai tempi di Metone ed Eutemone, perchè misurando le durate delle stagioni si poteva verificare l'assioma della uniformità del moto solare. A questo proposito va ricordato che nell'astronomia greca si ebbe fin dagli inizi, il sospetto latente, che perdurò fino ai tempi di Ipparco, circa una durata variabile dell'anno tropico.
Diodoro Siculo dice che il ciclo lunisolare di 19 anni venne introdotto da Metone pure nel 432. Abbiamo visto che era stato introdotto (ed adottato) in Babilonia una cinquantina di anni prima. Non si è in grado di stabilire se Metone lo apprese dai Babilonesi o se fu il frutto di suoi studi. La eguaglianza tra il numero di giorni di 235 mesi lunari e il numero di giorni di 19 anni non deve essere stata di molto difficile determinazione, per cui ad essa potrebbe essere pervenuto Metone indipendentemente. Le città greche non lo adottarono con uniformità. Si limitarono a tenerne conto per tenere sotto controllo le intercalazioni dei mesi. Ma inizialmente la scoperta di questo ciclo fu molto celebrata ad Atene. Si dice che il numero che ogni anno aveva nel ciclo venisse esposto nel Partenone su un'iscrizione d'oro, dando con ciò origine alla denominazione di numero d'oro.

(Ancora oggi del ciclo di Metone viene tenuto conto dalla Chiesa nel calcolo della data della Pasqua, in funzione di alcune costanti, tra le quali anche il numero d’oro. Per una convenzione stabilita da Dionigi il Piccolo, l’anno 1 a.C. corrisponde all’anno di inizio del ciclo di Metone numero 1.
(Dionigi, monaco di origine orientale vissuto a Roma a cavallo tra il V e il VI secolo della nostra era, è ricordato, tra l’altro, per aver riformato il sistema di datazione a partire dalla nascita di Gesù Cristo, data che venne da lui fissata al 25 dicembre dell’anno 758 dalla fondazione di Roma, introducendo con ciò un errore di calcolo di circa 5 anni).
Allora, il numero d’oro di un anno qualunque (che è il numero d’ordine dell’anno all’interno del ciclo) è dato dal resto della divisione di (anno + 1) per 19. Per esempio, per l’anno 2000 abbiamo: (2000 + 1) / 19 = 105 con resto 6: siamo cioè nel 105º ciclo di Metone, e il numero d’oro per l’anno 2000 è il 6.



PLATONE
Occorre a questo punto dare qualche notizia su Platone per la grande influenza (sia positiva che negativa) che le sue idee ebbero sullo sviluppo dell’astronomia. Platone nacque ad Atene intorno al 427 a.C, e vi morì intorno al 347. Partecipò alle guerre peloponnesiache (Atene contro Sparta) dal 409 al 404. Ritor­nato ad Atene, subì una grave delusione a causa delle degenerazioni della vita politica ateniese e, soprattutto, per la condanna a morte che venne inflitta al suo amico Socrate nel 399 a.C. Lasciata Atene, viaggiò in Egitto, in Sicilia e in Magna Grecia, dove venne a conoscenza delle dottrine pi­tagoriche e ciò rappresentò una svolta fondamentale nel suo pensiero per la attitudine di rispetto che acquisì verso gli studi matematici.
Ritornato ad Atene nel 387 a. C. fondò, su un terreno che era appartenuto a un certo Academos, una Scuola, che venne detta Accademia.

                                                                                                                                        Fig. 15 - Platone

Attraverso l’insegnamento della scienza e della filosofia, egli sperava di svolgere opera di educazione sulle giovani generazioni per prepararle alla gestione della cosa pubblica con uno standard ben diverso da quello che lo aveva così tanto disgustato. L’Accademia platonica prosperò ad Atene fino all’anno 527 d.C., quando venne chiusa per ordine dell’imperatore Giustiniano, perché non poteva più essere tollerata quale istituzione pagana.

Venendo ora, in breve, all'insegnamento di Platone, ci limitiamo soltanto ad accennare, per sommi capi, all’influenza che esso ebbe sulla matematica e l’astronomia (ricordiamo che a quel tempo l’astronomia era un ramo della matematica). Platone aveva il convincimento secondo cui la matematica costituiva la scienza che esercitava i più benefici influssi nell’educazione di un giovane. Sulla porta dell’Accademia aveva fatto porre la scritta : “ Chi non è edotto in geometria non entri qui” . Egli concentrò la sua attenzione sul concetto di prova e raccomandava di dare accurate definizioni per quanto riguardava sia le ipotesi che le tesi dei teoremi da dimostrare. Tutti i commentatori sono concordi nel ritenere che i più importanti lavori matematici del IV secolo a.C. furono eseguiti da amici o allievi di Platone.
Per quanto riguarda le sue concezioni astronomiche, queste comprendevano anzitutto la nozione di sfere cristalline, quindi solide, che trasportavano nei loro movimenti attorno alla Terra, naturalmente immobile al centro del cosmo, in successione la Luna, il Sole, Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno e da ultimo la sfera delle stelle fisse. Riteneva che la luce mostrata dalla Luna fosse luce riflessa dal Sole. Infine, per Platone erano assolutamente indiscutibili gli assiomi pitagorici (1) della circolarità dei moti di tutti gli astri (il cerchio era la figura geometrica che maggiormente racchiudeva i caratteri della perfezione) e (2) della loro uniformità. Come si vede, quindi, le concezioni astronomiche di Platone erano sostanzialmente quelle dei Pitagorici. Dove Platone proponeva innovazioni rispetto a Pitagora era nell’esortare gli astronomi a escogitare rigorosi metodi matematici che avrebbero permesso di spiegare le irregolarità (stazionamenti, moti retrogradi e apparenti variazioni di velocità) che venivano riscontrate nei moti planetari, salvando i fenomeni, cioè preservando i due assiomi pitagorici di cui sopra.
Di questa esortazione è testimone lo storico Eudemo, secondo cui Platone propose agli astronomi " . . . di trovare con quali supposizioni di movimenti regolari ed ordinati si potessero rappresentare le apparenze osservate nei moti dei pianeti . . .". Questo fu il grande contributo di Platone all'astronomia perchè fu l'oggetto dell'astronomia nei secoli successivi.

Infine, riteniamo utile accennare a una disputa circa una possibile adesione di Platone, negli ultimi anni della sua vita, al sistema di Filolao, e perfino all'idea di un moto della Terra sul suo asse. In un passo della sua opera Timeo è detto che ". . . la Terra nostra nutrice si avvolge intorno all'asse che è esteso per tutto l'universo, e Dio la fece guardiana della notte e del giorno . . .". Da molti, antichi e moderni, l'aver associato le due frasi "si avvolge intorno all'asse che è esteso per tutto l'universo e "e Dio la fece guardiana della notte e del giorno", rappresenta una adesione all'idea di moto di rotazione. Aristotele, nel De Coelo afferma ". . . alcuni, pur mettendo la Terra nel centro, la fanno rivolgersi intorno all'asse che attraversa il mondo, come sta scritto nel Timeo . . .". Ma altri autori, parimenti antichi e moderni, hanno espressamente criticato questa interpretazione. Per quanto riguarda la sua supposta adesione alle idee di Filolao, si ha un passo delle Questioni platoniche di Plutarco, in cui si legge: ". . . Teofrasto scrive che Platone, divenuto vecchio, si pentì di aver posta la Terra nel luogo centrale dell'universo . . .". Questa affermazione gode ancora oggi di credibilità, perchè Teofrasto, tra i più autorevoli discepoli di Platone (e in seguito seguace di Aristotele al Lyceum), autore di una Storia dell'astronomia, è considerato una fonte autorevole.



EUDOSSO
Eudosso di Cnido (410 - 350 a.C. circa) frequentò con molta probabilità sia Platone che Aristotele. Le notizie che possediamo su di lui ci vengono da Simplicio, oltre che da Aristotele. Quest’ultimo, di un paio di generazioni più giovane, molto probabilmente ebbe scambi culturali con Eudosso. Simplicio parla di Eudosso nel suo commentario al De coelo di Aristotele. Si rifa anche a un libro di Sosigene, un filosofo peripatetico del II secolo d.C. Sosigene, a sua volta, aveva commentato Eudosso attraverso una Storia dell’astronomia scritta da Eudemo, contemporaneo di Aristotele.
I due grandi interessi di Eudosso furono la matematica e l’astronomia. Abbiamo notizia di due opere di Eudosso di argomento astronomico (entrambe perdute): I fenomeni, una descrizione sistematica della sfera celeste e delle costellazioni (a quest’opera si ispirò Arato di Soli per scrivere un poema in versi, dello stesso titolo e argomento). L’altra opera, anch’essa perduta, fu Delle velocità. In essa era descritta una pietra miliare nella storia dell’astronomia, il cosiddetto sistema delle sfere omocentriche, cioè il primo approccio su basi scientifiche a una strutturazione geometrica del cosmo nel suo complesso.

Della sua vita si sa che fu a Taranto dove studiò matematica sotto la guida di Archita. Si sa di un suo soggiorno in Egitto dove compì studi di astronomia. Al suo ritorno in Grecia si stabilì a Cizico dove fondò una scuola che si dice aver goduto di una certa fama. Dopo un soggiorno ad Atene, in cui venne con tutta probabilità in contatto con Platone, si stabilì definitivamente nel suo luogo natale, Cnido dove svolse attività astronomica e di insegnamento presso un suo osservatorio.
Eudosso diede un importante contributo alla matematica con la teoria delle grandezze incommensurabili (una definizione negli Elementi di Euclide , fu da Archimede attribuita ad Eudosso, e il famoso matematico Dedekind affermò che trasse ispirazione da Eudosso per la sua teoria delle sezioni nel campo dei numeri razionali ). Un altro importante contributo alla matematica fu il suo metodo di esaustione, un metodo di calcolo con il quale venivano risolti certi specifici problemi (ad esempio, il calcolo dell’area di un cerchio per confronto con aree successive di poligoni inscritti, aventi numero sempre maggiore di lati).

Il grande contributo di Eudosso all’astronomia fu l’ideazione del sistema delle sfere omocentriche. Come accennato, si tratta della prima ipotesi strutturale geometrica di visione del sistema solare (a quel tempo, dell'intero cosmo). Incominciamo a descrivere come Eudosso concepiva il sistema per la Luna. Si osservi la figura 16 che descrive il sistema per la Luna. La Terra è al centro. La sfera (sezione sferica solida) (a), verde, ha fissate su di sé le stelle e ruota da est a ovest in un giorno, rispetto all'asse PP1. La sfera (anch'essa sezione sferica solida) (b), viola, ruota nello stesso senso della sfera (a) ma con un periodo di 18.6 anni. L’asse di questa sfera è imperniato nei punti M,N della sfera (a), ed è inclinato rispetto all’asse di questa sfera di 24º (valore dell’obliquità ai tempi di Eudosso). La sfera (c), infine, gialla, ruota in senso contrario a quello delle altre due nel periodo di un mese lunare. L’asse di questa terza sfera è imperniato nei punti R'S' della sfera (b) ed è inclinato di circa 5º rispetto all’asse di quest’ultima. La Luna è fissata sull ‘ “equatore” della sfera (c).

Allora, l’osservatore al centro del sistema riceverà la sensazione:
  • del moto mensile della Luna, dalla rotazione della sfera (c), sul percorso AB
  • del moto di retrogradazione dei nodi lunari sull'eclittica, dalla rotazione della sfera (b)
  • del moto giornaliero della Luna dalla rotazione della sfera (a)
Questa descrizione dei moti della Luna consentiva ad Eudosso di dare una spiegazione anche delle eclissi. I nodi lunari erano i punti nei quali avveniva, ad ogni mese lunare, l’attraversamento dell’eclittica da parte della Luna (per la rotazione della sfera (c)). Se capitava che la Luna fosse in fase di plenilunio durante questi attraversamenti, si aveva una eclisse lunare. Se invece avveniva che la Luna durante gli attraversamenti era in fase di novilunio, allora si potevano avere eclissi di Sole (per queste ultime, però, si tende a ritenere che ai tempi di Eudosso le idee fossero ancora piuttosto confuse: non si aveva ancora chiaro per quale ragione una stessa eclisse poteva essere totale per una località e solamente parziale per un'altra). Inoltre, il sistema forniva la spiegazione anche del perché le eventuali successive eclissi lunari avvenivano in segni zodiacali successivi in senso retrogrado (a causa della retrogradazione della sfera (b)).

Lo stesso sistema di tre sfere veniva usato da Eudosso per spiegare i movimenti del Sole, con queste differenze: (1) la sfera (b), anziché ruotare in senso retrogrado con periodo di 18.6 anni, ruotava in senso diretto con periodo di un anno e (2) la sfera (c) anziché essere inclinata di 5º era inclinata di circa 1º. Evidentemente qui c’è una visione erronea da parte di Eudosso perché, (per lo meno in quella fase iniziale di concezione del sistema delle sfere omocentriche), per giustificare i movimenti del Sole avrebbero dovuto bastare due sole sfere, la prima per giustificare il moto diurno, e la seconda per giustificare il moto diretto con periodo annuo lungo l’eclittica. Invece Eudosso introdusse anche per il Sole una terza sfera con le caratteristiche dette. Ciò faceva sì che il Sole assumeva anche una oscillazione annua in latitudine celeste e questo sembra sia dovuto a una opinione abbastanza consolidata all’epoca di Eudosso (e che si protrasse anche nei secoli successivi fino a estinguersi solo con Tolomeo). Lo stesso Aristotele, che elaborò in seguito a suo modo il sistema di Eudosso, accettava il moto del Sole in latitudine.

La spiegazione dei moti planetari veniva data da Eudosso secondo un sistema di quattro sfere per ogni pianeta. Le due più esterne erano analoghe alle sfere (a) e (b) della figura 7.8, con la differenza che la sfera (b) aveva rotazione secondo il moto diretto, e con periodo pari al periodo tropico di ogni pianeta. Le sfere (c) e (d) vennero introdotte per spiegare le fasi di retrogradazione. Come si vede dalla figura 17 , l’asse della sfera (c) è posto nel piano dell’eclittica, va ad imperniarsi nei punti R ed S della sfera (b) e ruota con periodo pari al periodo sinodico del pianeta. La sfera (d) ha l’asse scostato rispetto all’asse della (c) di una quantità di cui diremo tra poco, e ruota pure con periodo pari al periodo sinodico del pianeta, ma in senso contrario rispetto a quello della sfera (c). Il pianeta si trova sull’”equatore” della sfera (d).

Siccome l’effetto di queste due sfere era quello di far descrivere una figura “ad otto” (la famosa “ippopeda”, secondo Simplicio, il percorso addestrativo per i cavalli), il risultato di questa costruzione è che il pianeta doveva apparire agli occhi dell’osservatore geocentrico, muoversi secondo il moto diurno per la sfera (a), muoversi lungo l’eclittica per la sfera (b), e contemporaneamente alternare fasi di moto retrogrado, di stazionamenti, di sollevamenti e abbassamenti rispetto all’eclittica, per l’azione combinata delle sfere (c) e (d). L’angolo tra gli assi delle due sfere era responsabile, secondo proporzionalità diretta, della larghezza dell’ippopeda.

I commentatori moderni hanno osservato che per Venere e Marte le caratteristiche di moto dei due pianeti erano tali che il modello di Eudosso non era in grado di produrre alcun moto retrogrado. Appare poco probabile che nel proporre il suo modello, Eudosso stesso sia stato fermamente convinto della sua validità nello spiegare tutte le incongruenze che si osservavano nei moti planetari, specialmente dal punto di vista quantitativo. Più probabile è l’opinione che egli lo abbia concepito come un punto di partenza, per la teoria planetaria.

Aristotele dice nella Metafisica che la modifica apportata da Callippo al sistema di Eudosso consistette nell’aggiungere una quinta sfera a Mercurio, Venere e Marte, e due ulteriori sfere ciascuno, ai sistemi di Luna e Sole. Quanto alle ragioni di queste aggiunte di sfere, Simplicio dice che con esse venivano spiegate le anomalie solare e lunare, mentre per le sfere aggiunte a Mercurio, Venere e Marte egli si limita a dire che Eudemo, a suo tempo, aveva dato le ragioni.

Anche Aristotele intervenne nel modificare il sistema di Eudosso, e diede anche la ragione del suo intervento: Egli volle che i sistemi di quattro sfere concepiti da Eudosso per ogni pianeta venissero integrati in un unico sistema. Per ottenere ciò si doveva superare l’inconveniente che derivava dal fatto che all’occhio dell’osservatore geocentrico i movimenti di un pianeta, ad esempio Mercurio, sarebbero apparsi falsati dai movimenti prodotti dai sistemi di sfere successivi. Allora, Aristotele propose che tra un sistema di quattro sfere di un pianeta (sfere che Aristotele chiamava deferenti, in quanto generatrici dei moti originari del pianeta) e il sistema interno adiacente di altrettante quattro sfere deferenti, venisse interposto un sistema di tre sfere dette (sempre da Aristotele) reagenti, così chiamate in quanto ciascuna di esse, ruotando in maniera contraria a quella delle tre sfere deferenti più interne del sistema superiore, annullava gli effetti del loro moto. In totale quindi Aristotele proponeva un sistema di 56 sfere.

Il fatto che un maestro dell’autorità di Aristotele sia intervenuto, pur apportando modifiche, ma accettando il principio basilare delle sfere omocentriche, dimostra che si ebbe una certa fase iniziale durante la quale il sistema di Eudosso godette di favorevole accoglienza, non fosse altro che per la originalità della concezione, supportata indubbiamente dalla fama di eminente matematico di cui godeva Eudosso. Simplicio dice che il primo a rendersi conto della incapacità del sistema a spiegare le variazioni di distanza dei pianeti, indicate dalle loro variazioni di luminosità (chiaramente percepibili per Venere e Marte), e della incapacità anche a spiegare le variazioni di distanza della Luna, (indicate dal fatto che si avevano eclissi di Sole anche anulari), fu Autolico di Pitane. Si tende a pensare invece che in un ambiente così vivacemente speculativo come quello della comunità culturale greca, le critiche non abbiano tardato a fiorire, addirittura fin dai tempi di Aristotele e dello stesso Eudosso. Il concetto di sfere cristalline recanti i pianeti sul loro equatore invece rimase per quasi duemila anni.



CALLIPPO
Poniamo le date del 370 e del 310 a.C. come date di estensione della vita di Callippo di Cizico, avvertendo che si tratta di date stimate.
Simplicio ci informa che, insieme con Polemarco, Callippo fu discepolo di Eudosso in Atene.
Callippo è ricordato per aver eseguito una misura di durata delle stagioni, che risultò più precisa di quella eseguita un secolo prima da Metone. I valori di Callippo furono di 94 giorni per la primavera, 92 per l’estate, 89 per l’autunno e 90 per l’inverno. Come si vede, il totale di 365 giorni esatti risente ancora di imprecisione. Altra sua importante innovazione astronomica fu l’aver adattato il ciclo di Metone al cosiddetto periodo (ciclo) di Callippo. Questo fu sostanzialmente un ciclo di quattro periodi metonici. La maggiore accuratezza derivava dal fatto che in esso, per la prima volta nell'astronomia greca, si faceva uso della durata dell’anno di 365.25 giorni. Quindi il ciclo di Callippo aveva la durata di 4•235 = 940 mesi lunari, ma con una diversa distribuzione tra mesi di 29 e mesi di 30 giorni, rispetto al ciclo di Metone. Anziché avere secondo il ciclo di Metone 440 mesi di 29 giorni e 500 mesi di 30, che portava ad un totale di 27760 giorni, Il ciclo di Callippo stabiliva 441 mesi di 29 giorni e 499 di 30, per un totale di 27759 giorni. E questo ciclo si accordava esattamente con una durata annua di 365.25, perché 365.25•19•4 = 27759. Il ciclo di Callippo venne adottato da alcuni astronomi greci per servire come calendario. Tolomeo, ad esempio, cita un'occultazione delle Pleiadi osservata da Timocharis nel secolo III a.C. così: Timocharis, che osservò ad Alessandria, registra quanto segue. Nel 47esimo anno del Primo Periodo di Callippo di 76 anni, nell'ottavo giorno di Anthesterion, verso la fine della terza ora [della notte], la metà meridionale della Luna fu vista coprire esattamente dalla terza parte alla metà delle Pleiadi.

Si trattava dunque di un calendario scientifico, che veniva usato solo da alcuni astronomi, e non aveva relazione alcuna con il calendario ateniese, se non per il fatto che da quest'ultimo traeva i nomi dei mesi. Come abbiamo già avuto occasione di ricordare, gli astronomi erano costretti a ricorrere a questi calendari perchè i calendari civili usati dalle città greche erano amministrati in maniera enormemente disordinata. L'anno 1 del Primo Ciclo di Callippo venne posto al solstizio estivo dell'anno 330 a.C.
Questa prassi di rivolgersi ad altri calendari per fare riferimento ad eventi astronomici, la troviamo anche con Ipparco e con lo stesso Tolomeo. Ipparco, ad esempio, faceva uso del Ciclo di Callippo per riferirsi all'anno, mentre per il mese preferiva riferirsi a quello egizio. Questa modalità di usare nomi egizi per i mesi e Cicli di Callippo per gli anni cessò completamente con Tolomeo, che, come è noto, per scopi scientifici si riferiva totalmente al calendario egizio.
Delle modifiche apportate da Callippo al sistema delle sfere omocentriche di Eudosso abbiamo già detto.



ARISTOTELE
Diamo brevemente alcune notizie sulla vita di Aristotele perchè il campo dello scibile da lui affrontato lo rende un vero caposaldo nella storia della scienza, non ultimo dell’astronomia.Egli nacque intorno all’anno 384 a.C. nell’isola di Stagira (Macedonia). Morì nell’anno 322 a.C. Il padre di Aristotele, ebbe un tale successo nell’espletamento della propria arte medica da essere chiamato dal re di Macedonia, Aminta III, a corte, alla capitale dello stato, Pella. Qui non è azzardato supporre che Aristotele abbia stretto amicizia, fin da bambino, con il figlio del re, Filippo II, suo coetaneo. Nel 367 a.C., all’età di 17 anni, Aristotele divenne allievo di Platone, all’Accademia di Atene, dove rimase per vent’anni, esercitando anche l’insegnamento. Nel 347 a.C. a causa dei suoi legami con Filippo di Macedonia (che nel frattempo aveva intrapreso una fase di espansionismo militare), Aristotele fu costretto a lasciare l’Accademia e Atene.

                                                                                                                                        Fig. 19 - Aristotele

Nel 343 a.C. raggiunse la corte di Macedonia a Pella e rimase colà per sette anni. Alcuni hanno suggerito che egli abbia svolto le funzioni di tutore del giovane Alessandro, figlio di Filippo. Nel 339 a.C. in seguito alla non elezione alla direzione dell’Accademia (non è da escludere che si sia trattato di un vero e proprio sgarbo fatto dagli Ateniesi a Filippo), Aristotele si allontanò da Atene, recandosi alla sua isola natale, Stagira, e recando con sé una cerchia di sapienti. Nel 335 a.C., con il sostegno di Alessandro, che era succeduto al padre assassinato, fondò ad Atene una nuova scuola concorrente con l’Accademia, il Lyceum.
Dopo la morte di Alessandro, nel 323 a.C., essendo risorti in Atene sentimenti di avversione verso la Macedonia, Aristotele ritenne opportuno allontanarsene per stabilirsi in Calcide in una proprietà che era appartenuta a sua madre, e qui si spense l’anno seguente.

Dunque, con Eudosso si ebbe una prima realizzazione dell'esortazione di Platone a risolvere il problema di spiegare le apparenti imperfezioni nei moti dei pianeti tramite combinazioni di movimenti originari circolari e uniformi. Vedremo in seguito che questa esortazione di Platone verrà applicata più volte, centinaia di anni dopo, ad altre costruzioni geometriche dell’astronomia, da parte di altri astronomi greci.



AUTOLICO DI PITANE
Lo sviluppo dell’astronomia successivo ad Eudosso non può prescindere dalle scoperte ottenute da un certo numero di matematici, tra le quali si distinsero quelle di Autolico di Pitane. Tra gli studiosi si hanno serie dispute circa la collocazione temporale di Autolico. Queste dispute si rifanno in genere all’attribuire ad Autolico certi teoremi di cui fa uso Euclide, e ciò induce alcuni a risolvere le dispute ammettendo Autolico predecessore di Euclide. Si tende a seguire l’indicazione di porre il periodo di vita di Autolico tra il 360 e il 290 a.C. Si sa che era originrio di Pitane (Asia Minore).
Un dato di fatto importante su Autolico è che due sue opere nell’originale greco ci sono pervenute: sono considerate le più antiche opere matematiche sopravvissute. Una, Della sfera mobile è un trattato di geometria sferica, l’altra, Delle levate e dei tramonti riguarda osservazioni di sorgere e tramonti eliaci. Alcuni sostengono che entrambe le opere siano derivate da nozioni tratte da lavori Eudosso. Sicuramente Autolico fu un sostenitore delle idee di Eudosso per quanto riguarda la sua adesione alla teoria delle sfere omocentriche.



ERACLIDE PONTICO
Fra i discepoli di Platone occorre citare Eraclide, conosciuto con l’appellativo di Pontico, essendo nato intorno al 390 a.C. a Eraclea, sul Mar Nero. Anche di lui si sa pochissimo, se non che fu discepolo di Platone e poi di Speusippo, dopo la morte del quale Eraclide se ne tornò al suo luogo natale. Nessun suo scritto scientifico ci è giunto ma ci sono state tramandate le sue opinioni sulla possibilità della rotazione della Terra sul suo asse da almeno tre scrittori dell’antichità: Aezio (I secolo d.C.), Simplicio (VI secolo d.C.) e Plutarco.

Ma ad Eraclide furono attribuite altre ardite ipotesi. Lo storico latino Calcidio, nel suo Commento al Timeo di Platone, afferma che Eraclide fu il primo a sostenere la teoria dei moti di Mercurio e Venere intorno al Sole, pur mantenendo questo il suo moto intorno alla Terra, secondo lo schema della figura 20 (Eraclide fu probabilmente indotto a quest’idea dalle scarse elongazioni dei due pianeti). Molti commentatori non escludono che Eraclide possa aver esteso i moti eliocentrici anche ai pianeti superiori, ma non esiste alcuna testimonianza in proposito.



ARISTILLO E TIMOCARI
Con l’inizio del III secolo a.C. mentre il centro degli studi filosofici rimane ad Atene, quello dell’attività scientifica si afferma ad Alessandria. Aristarco, Timocari ed Aristillo furono tre astronomi che operarono in Alessandria. Timocari osservò intorno al 290 a.C mentre Aristillo una trentina di anni dopo. Si ritiene che il fulcro dell’attività osservativa astronomica dei due abbia riguardato la determinazione delle coordinate di un certo numero di stelle fisse. Gli studiosi ritengono anche che a questa epoca (prima metà del III secolo a.C.) si deve far risalire la adozione dei sistemi di coordinate classici equatoriale ed eclittico. Le fonti di cui disponiamo per Timocari ed Aristillo sono Ipparco e Tolomeo, che esplicitamente citano i due predecessori per aver utilizzato loro osservazioni (Aristillo è anche citato da Plutarco).



ARISTARCO DI SAMO
Anche della vita di Aristarco non si sa quasi nulla, se non che nacque quasi certamente nell’isola di Samo intorno al 310 a.C., che morì intorno al 230 a.C., probabilmente ad Alessandria e che fu allievo di Stratone di Lampsaco, il successore di Teofrasto alla direzione del Lyceum di Atene. Si ritiene anzi che l’istruzione di Aristarco sia avvenuta addirittura ad Alessandria, dove l’intero corpo docente del Lyceum si era trasferito assieme a Stratone. Da Tolomeo sappiamo che osservò il solstizio estivo del 280 a.C. La stima di cui godette presso i contemporanei è attestata dal fatto che era chiamato "il matematico".

Secondo Vitruvio, Aristarco fu l’inventore di un tipo di orologio solare, la scafa (la figura illustra l'uso che ne fece Eratostene per misurare l'altezza meridiana del Sole ad Alessandria - si veda il paragrafo dedicato ad Eratostene). A lui è riconosciuto il merito di essere stato il primo aperto sostenitore del moto della Terra sul suo asse e del moto della stessa attorno al Sole. A lui cioè è dovuta la prima formulazione dell’ipotesi eliocentrica. Altro motivo di enorme popolarità di cui gode Aristarco (presso i moderni) è che una sua opera Delle dimensioni e distanze di Sole e Luna sia giunta fino a noi.

La migliore testimonianza dell’attribuzione ad Aristarco della ipotesi eliocentrica ci viene dall ‘ Arenario di Archimede, che visse in epoca abbastanza prossima ad Aristarco. Archimede dice chiaramente nell’Arenario che Aristarco riteneva che la Terra si muoveva intorno al Sole in un cerchio e che la ragione per la quale tale moto non si manifestava con una parallasse annua delle stelle fisse era dovuto al fatto che queste si trovavano a distanze enormemente maggiori del diametro dell’orbita terrestre. Purtroppo queste idee causarono ad Aristarco non poca avversione tra i contemporanei. Si dice (Plutarco) che il filosofo stoico Cleante di Asso abbia auspicato che Aristarco venisse condannato per empietà.

Per illustrare alcuni aspetti dei contributi di Aristarco, riprendiamo dalla meccanica celeste il concetto di parallasse. Si chiama parallasse annua di una stella A l’angolo sotto il quale dalla stella si vedrebbe il semiasse dell’orbita terrestre, supposto normale alla congiungente Terra-Sole. <

A causa della parallasse, spostandosi l’osservatore sull’orbita terrestre tra i punti H e K, la stella A, proiettata sulla sfera celeste viene a spostarsi tra i punti H’ e K’, descrivendo in un anno un piccolissimo ellisse, talmente piccolo che soltanto nel 1837 fu possibile determinare la parallasse annua della stella fissa più vicina. Quindi Aristarco aveva visto giusto più di duemila anni prima. Alcuni sostengono che le sue idee chiare sulle enormi distanze delle stelle fisse dalla Terra, siano state esiziali nel fargli acquisire la nozione dell'assurdità di una sfera stellata (solida) così distante dalla Terra e tuttavia ruotante attorno ad essa.

Aristarco fu il primo ad affrontare il problema di misurare geometricamente le distanze di Luna e Sole dalla Terra, nonché le dimensioni stesse dei due astri. Egli intuì correttamente che il problema richiedeva per prima cosa di misurare l’angolo tra Luna e Sole nell’istante esatto in cui la Luna si trovava in quadratura con il Sole. In figura 23, L è la Luna alla quadratura, T il centro della Terra e S il centro del Sole. Secondo la misura di Aristarco l’angolo STL era “meno di un quadrante di un trentesimo di quadrante”, cioè tre gradi meno di novanta gradi, cioè 87º (così ci si esprimeva a quei tempi, perché i gradi non erano ancora in uso in Grecia).

Allora, Aristarco (non conoscendo ancora la trigonometria) lavorando con metodo euclideo determinò che TS era “da 18 a 20 volte TL”. (Trigonometricamente diremmo TL = TS•sin(TSL), cioè TL = TS•sin 3º, da cui TS = TL•19.1). Evidentemente, a quell’epoca la strumentazione di cui poteva disporre Aristarco era grossolanamente imprecisa, e sarebbe stato assolutamente impossibile per lui misurare l’effettivo angolo STL che è di circa 89º 51’ (TS, in effetti, è circa 390 volte TL).

Il progresso nel ragionamento successivo di Aristarco consistette nell’osservazione che, poiché alle eclissi totali di Sole questo veniva coperto per intero dalla Luna, si poteva dedurre che i loro diametri apparenti erano eguali. Si poteva allora costruire una figura come questa, in cui entrambi i mezzi dischi apparenti sottendono lo stesso arco a. Allora, essendo TS da 18 a 20 volte TL, anche SH’ doveva essere da 18 a 20 volte LH. Evidentemente, l’errore iniziale di misura si ripercuoteva nel calcolo delle misure dei raggi relativi.

Nel procedere ulteriormente, anziché seguire il complicato modo di ragionare euclideo di Aristarco, utilizzeremo la trigonometria. Diamo il concetto di parallasse orizzontale di un oggetto celeste, nel nostro caso della Luna. Mentre un osservatore O (posto sulla superficie terrestre) osserva il sorgere della Luna L (altezza Luna zero), simultaneamente un osservatore fittizio posto al centro della Terra T, la osserva alta sull'orizzonte di un angolo p, detto parallasse orizzontale. Si ha: sin(p) = r / d. (d è la distanza Terra-Luna).

A questo punto Aristarco considera la situazione di eclisse di Luna. Come è noto, questa si ha quando la Luna, circolando attorno alla Terra, va ad immergersi nel cono d’ombra terrestre, O-O’ - M-K-N (qui immaginiamo che MN sia la traccia del percorso lunare all’interno del detto cono d’ombra). a e b siano i raggi angolari del Sole e del cono d’ombra, misurati dal centro della Terra T. PS e PL siano le parallassi orizzontali rispettivamente di Sole e Luna, sopra definite. Vediamo che a + b = 180º - N’TN. Ma dal triangolo N’TN si ha anche: PS + PL = 180º - N’TN per cui abbiamo: a + b = PS + PL.

Così come in precedenza Aristarco aveva determinato che il raggio del Sole era circa 19 volte quello della Luna, adesso afferma correttamente (a meno dell’errore iniziale di misurazione) che anche PL = 19•PS e ciò lo porta a concludere che a + b = 20•PS (1)
Infine (in effetti, in ipotesi che aveva dato preliminarlente alla dimostrazione) Aristarco dice che “l’estensione dell’ombra terrestre [lungo MN] è di due lune” per cui “l’angolo b è di una luna”. Altra ipotesi preliminare di Aristarco era che “la Luna sottende un quindicesimo di segno di zodiaco” (e questo è uno stranissimo errore da parte di Aristarco, che avrebbe evidentemente dovuto dire “un sessantesimo di segno di zodiaco”). Siccome secondo un’altra ipotesi Sole e Luna hanno lo stesso diametro, per Aristarco si ha: a = 1º e b = 2º, per cui, sostituendo nella (1) si ha Ps = (3/20)º e PL = (3/20)•19 = (57/20)º

Ottenuti i valori di parallasse solare e lunare, Aristarco passa a calcolare le distanze assolute di Sole e Luna dalla Terra, dS e dL (noi lo faremo sempre trigonometricamente, indicando con r il raggio terrestre).
Dal triangolo rettangolo N’TO si ha : dS = r / sin PS, per cui per Aristarco dS è circa 382 raggi terrestri.
Dal triangolo rettangolo NTO si ha: dL = r / sin PL, per cui dL risulta circa 20 raggi terrestri.

Per i diametri effettivi di Sole e Luna, il calcolo trigonometrico dà:
diametro effettivo Sole = 2•SH’ = 2•TS•sin(a) = 2•dS • sin 1º = 6.6 diametri terrestri
diametro effettivo Luna = 2•LH = 2•TL•sin(a) = 2•dL • sin 1º = 0.31 diametri terrestri
(Invece Aristarco, sempre ragionando con metodo euclideo, giunge ai seguenti risultati: diametro effettivo Sole: compreso tra 6.33 e 7.17 diametri terrestri
diametro effettivo Luna: compreso tra 0.398 e 0.317 diametri terrestri).

Per quanto riguarda l’”errore” di Aristarco nel dare il valore di 2º per i diametri apparenti di Sole e Luna in una delle sue ipotesi preliminari, è stata avanzata la spiegazione secondo cui, all’epoca della stesura della dimostrazione di cui sopra, Aristarco non fece alcuna misurazione effettiva dei diametri, ma si limitò a dare quel valore di 2º tanto per mettere a disposizione della dimostrazione geometrica un valore. Ciò perché nella visione procedurale scientifica del III secolo a.C. il metodo era preminente rispetto alle operazioni materiali inerenti le misurazioni. Inoltre, nell’Arenario Archimede dice che “Aristarco scoprì che il diametro del Sole appariva essere 1/720 del circolo dello zodiaco”, cioè mezzo grado. Quindi potrebbe darsi che Aristarco abbia eseguito la misura del diametro solare dopo la scrittura della dimostrazione, ma si sia del tutto dimenticato (o addirittura abbia trascurato) di modificare l’ipotesi dei 2º.

Aristarco ci appare come un autentico cultore dell’astronomia intesa come scienza, un vero scienziato che si dedicò soltanto a stabilire la verità fondandola su dati di fatto o su ipotesi che meglio si accordano con le leggi della natura e non su semplici apparenze. Il suo nome fu celebre in tutta l’antichità più di quanto possa apparire dalle scarse notizie di lui pervenuteci. Vitruvio nel De Architectura, lo cita fra gli uomini più insigni .



EUCLIDE
Euclide visse all'incirca dal 325 al 265 in Alessandria. Il suo capolavoro sono i tredici libri degli Elementi, il culmine della geometria classica, una delle opere più studiate della storia del pensiero. Ne sono state stampate più di 1000 edizioni. La quasi totalità della geometria che ancora oggi viene appresa nelle scuole superiori di tutto il mondo è di origine euclidea.
Negli Elementi la geometria della sfera è poco trattata. L'opera propriamente astronomica lasciataci da Euclide ha per titolo Fenomeni. In essa, tramite diciotto teoremi, sono trattati gli aspetti fondamentali dell'astronomia. Eccone alcuni (naturalmente non li diamo con le stesse parole di Euclide):

                                                                                                                                        Fig. 28 - Euclide

1. La Terra occupa la posizione centrale del cosmo
Per dimostrare questo assioma, Euclide DICE di osservare, tramite una diottra la costellazione del Cancro sorgere al punto A (AENBWS è l'orizzonte di una località, visto dallo zenit). Girando la diottra di 180º Euclide dice che contemporaneamente, nel punto B potrà essere vista in procinto di tramontare la costellazione del Capricorno. Ciò prova che AC è un diametro della sfera del cosmo. Il fatto che si possano contemporaneamente eseguire altre osservazioni di costellazioni tra loro opposte, sorgenti e tramontanti, proverebbe, secondo Euclide, che il nostro punto di osservazione, punto d'incontro di più diametri di una stessa sfera, è unico ed è situato al centro della sfera stessa. Copernico, 1800 anni dopo, introducendo la nozione della piccolezza della distanza della Terra dal Sole rispetto alla distanza della Terra dalle stelle, utilizzò la stessa dimostrazione per provare quanto fossero poco convincenti le dimostrazioni che venivano date nell'antichità sulla centralità della Terra.
3. Delle stelle fisse che sorgono e tramontano, ciascuna sorge e tramonta sempre allo stesso punto.
Euclide prova ciò a partire dalla forma sferica del cosmo, ma è evidente che questa proposizione elementare era nota ben prima di Euclide.

11. Di due archi di eclittica eguali ed opposti, mentre l'uno sorge l'altro tramonta, e viceversa.
Anche questo assioma è una semplice conseguenza della forma sferica del cosmo.

Un altra opera attribuita per certo ad Euclide è Dati, un trattato di geometria elementare consistente di proposizioni con le quali si dimostra che se certi elementi di una figura piana sono dati, altri elementi possono essere ricavati. Infine, Catottrica, un trattato il cui argomento oggi chiameremmo di ottica, riguardando la riflessione della luce e la formazione di immagini su specchi.



LA PICCOLA ASTRONOMIA
Avendo dato al lettore notizia del Fenomeni di Euclide (e a suo tempo del Della sfera mobile di Autolico), riteniamo opportuno dargli anche notizia di una particolare raccolta di manoscritti antichi che gli specialisti chiamano Piccola astronomia. Si tratta dei due trattati appena nominati (naturalmente non gli originali ma copie manoscritte all'incirca un migliaio di anni dopo) che di solito si presentano associati, e spesso accompagnati da altre opere di carattere astronomico. La ragione di questo nome è data nel paragrafo dedicato a Pappo di Alessandria, perchè a lui è appunto dovuto il primo uso conosciuto di questa denominazione.

Ad esempio, il manoscritto Vaticanus graecus 204, datato dal IX e X secolo, si compone dei seguenti elementi:
  • Sferica, di Teodosio di Bitinia, del secolo I a.C. Un trattato sulla geometria della sfera che molti considerano una specie di supplemento agli Elementi di Euclide.
  • Della sfera mobile di Autolico
  • Ottica di Euclide
  • Delle località geografiche di Teodosio di Bitinia, un piccolo libro in dodici proposizioni, in ciascuna delle quali è trattata l'apparenza del cielo per dodici diversi luoghi della Terra
  • Dei giorni e delle notti, ancora di Teodosio di Bitinia , trentuno proposizioni che trattano della lunghezza di giorni e notti per diverse epoche dell'anno in un certo numero di località
  • Distanze e dimensioni di Sole e Luna, di Aristarco di Samo
  • Delle levate e dei tramonti, di Autolico
  • Delle ascensioni, di Ipsicle, intervalli di tempo richiesti per il sorgere dei segni zodiacali
  • Catottrica, di Euclide (l'attribuzione a Euclide di quest'opera è discussa)
  • Dati, sempre di Euclide
Talvolta, si hanno delle Piccola astronomia in cui uno o più d'uno dei manoscritti di cui sopra sono mancanti. In certi Piccola astronomia si ha anche uno Sferica di Menelao, in traduzione araba. Che siano effettivamente esistite nell'antichità delle collezioni di opere che andavano complessivamente sotto il titolo di Piccola astronomia, a parte il richiamo posto da Pappo all'inizio del libro VI della sua Collezione matematica, non è stato definitivamente provato. La tradizione ritiene che almeno dal tempo di Pappo in poi, sia nel mondo greco-bizantino che in quello arabo uno o più dei manoscritti di cui sopra abbiano avuto un largo uso nell'insegnamento preliminare dell'astronomia a studenti che non erano ancora in grado di padroneggiare opere di complessità paragonabili a quelle dell'Almagesto.



ARCHIMEDE
Di Archimede, nato a Siracusa intorno al 290 a.C. e morto nella stessa città in seguito al saccheggio della stessa nel 212 a.C. da parte dell’esercito romano, ci limitiamo a dire che fu autore anche di un’opera astronomica, oggi perduta, Sulla costruzione della sfera, nella quale erano dati i principi per la costruzione delle sfere armillari che venivano utilizzate sia come strumenti didattici per l’insegnamento dell’astronomia, che come veri e propri strumenti per osservazioni astronomiche (misurazione di coordinate stellari, notamente le longitudini e le latitudini). Sappiamo ciò da Cicerone, che nel secolo I a.C. scrisse di due "sfere", costruite da Archimede, che erano state portate a Roma dal console Marcello come parte del bottino in seguito alla conquista della città di Siracusa, nel 212 a.C. Cicerone dice che una delle sfere era solida e portava dipinte le stelle. Essa venne posta nel tempio della Virtù. Tali sfere solide erano sicuramente precedenti il tempo di Archimede di alcuni secoli.

                                                                                                                                        Fig. 29 - Archimede

Cicerone dice (non si sa su quali basi) che alcune erano state costruite da Talete ed Eudosso. La seconda sfera se la tenne Marcello, quale bottino personale. Si trattava di una struttura molto più complessa, un modello meccanico di planetario, che mostrava i moti di Sole, Luna, pianeti, così come venivano visti dalla Terra. Cicerone scrive che Archimede doveva essere uomo di grande ingegno per aver prodotto un'opera simile.
Altri scrittori classici confermano questa testimonianza di Cicerone.



IPSICLE
Ipsicle di Alessandria, nacque intorno al 190 e morì intorno al 120 a.C. A lui è attribuita la suddivisione dello zodiaco in 360º, e ciò appare come premessa in un’ opera riguardante l’astronomia, a lui attribuita, dal titolo Dell’ascensione delle stelle. Gli specialisti hanno osservato che nell’opera si perviene a risultati non corretti a causa di una premessa erronea sulle progressioni.
Ipsicle fu anche autore di un piccolo libro sui tempi ascensionali dei segni intitolato Anaphorikos. Lo studio dei tempi di ascensione dei segni incominciò ad interessare i matematici Greci praticamente da quando venne introdotta in Grecia l'astrologia. Questo studio continuò fino a concludersi, nella sua forma più evoluta, con le tabelle di ascensione dei segni di Tolomeo, compilate utilizzando metodi trigonometrici. L'opera di Ipsicle su questo argomento è importante perchè mostra la maniera preliminare con cui l'argomento venne affrontato, una maniera in cui si faceva uso di progressioni aritmetiche.
Ipsicle partiva dalla nozione secondo cui i tempi di ascesa dei segni aumentavano dall'Ariete alla Vergine in senso diretto, e dal Pesci al Bilancia in senso retrogrado (il lettore che abbia presente il paragrafo dedicato alla velocità ascensionale dei segni nella sezione della meccanica celeste, sarà certamente familiare con questo concetto). Indicando dunque con X il tempo di ascesa richiesto sia per Ariete che per Pesci, e con x un generico intervallo di tempo, Ipsicle iniziava il suo studio con questo schema di durate dei tempi ascensionali:
Ariete _____________ X
Toro _______________ X + x
Gemelli ____________ X + 2x
Cancro _____________ X + 3x
Leone ______________ X + 4x
Vergine ____________ X + 5x
Bilancia ___________ X + 5x
Scorpione __________ X + 4x
Sagittario _________ X + 4x
Capricorno _________ X + 3x
Sagittario _________ X + 3x
Capricorno _________ X + 2x
Acquario ___________ X + 2x
Pesci ______________ X

Evidentemente, il lettore noterà subito il carattere approssimativo della soluzione adottata da Ipsicle, ma il lettore particolarmente attento, ricordando quello che avevamo detto circa i sistemi A e B babilonesi delle teorie solari, non mancherà di rilevare la somiglianza tra i due metodi, e in definitiva l'influenza dell'astronomia babilonese su quella greca.



ERATOSTENE
Eratostene nacque a Cirene, la Bengasi dell’odierna Libia, nel 276 e visse fino al 194 a.C.
Dopo essere stato tutore del figlio del re d’Egitto, nel 240 a.C. venne nominato a dirigere la Biblioteca di Alessandria, che veniva chiamata Mouseion, essendo appunto il tempio delle muse. I commentatori moderni hanno espresso il loro stupore per il fatto che il suo ingegno sembra non aver goduto presso i contemporanei della fama che oggi invece gli viene riconosciuta (uno dei suoi soprannomi era Beta, e un altro sembra sia stato Pentathlos, con riferimento a quegli atleti che si distinguono in diverse specialità, senza primeggiare in una particolare).

                                                                                                                                        Fig. 30 - Eratostene

Il nome di Eratostene oggi è popolarmente celebrato per il celebre algoritmo di ricerca dei numeri primi, il famoso crivello di Eratostene, (un classico sulla teoria dei numeri e negli esempi elementari di problemi di linguaggi di programmazione), e per la stupefacente precisione con la quale pervenne alla misura della circonferenza terrestre. Egli descrisse il suo procedimento nel trattato Sulla misura della Terra, che oggi è perduto ma alcuni dettagli del quale ci sono stati tramandati da autori famosi come Cleomede, Teone di Smirne e Strabone.

Avuta notizia (o, forse, avendolo constatato lui stesso) che a Siene (l’odierna Asswan), nell’Alto Egitto, il Sole era allo zenit al solstizio estivo (entro un raggio di circa mezzo miglio, a mezzodì del giorno del solstizio estivo, per un attimo, il fondo di ogni pozzo appariva completamente illuminato dalla luce del Sole), egli misurò invece ad Alessandria, sempre a mezzodì di un solstizio estivo, che il Sole distava dallo zenit 1/50 di circonferenza. Assumendo correttamente l’ipotesi di parallelismo tra i raggi solari di Siene e di Alessandria (a causa della grande distanza del Sole dalla Terra), conoscendo la misura della distanza tra Alessandria e Siene (5000 stadi), nonché la localizzazione delle due città all’incirca sullo stesso meridiano, con una semplice proporzione egli pervenne alla misura di 250.000 stadi per la circonferenza terrestre. La figura 31 illustra il procedimento di Eratostene. S è Siene, A è Alessandria. Eratostene misurò l’angolo Z al mezzodì del solstizio estivo ad Alessandria e lo trovò di 1/50 di circonferenza. Allora, anche l’arco AS doveva essere 1/50 di circonferenza.

Purtroppo, le notizie originali non ci hanno informato su quale fosse la lunghezza dell’unità di misura da lui adottata (erano in uso diversi Stadion a quei tempi) per cui si è avuta (e continua ad esserci) una strenua disputa sul valore effettivo della misura da lui eseguita. Ma sembra che, in ogni caso, questa si discosti poco dai circa 40.000 Km della lunghezza effettiva.
Strabone dice che Eratostene modificò il valore trovato da 250.000 a 252.000, senza spiegare il perché di questa modifica. Alcuni commentatori odierni pensano che sia stato fatto per una ragione di convenienza aritmetica: al tempo di Eratostene era d’uso tra i matematici dividere la circonferenza in 60 parti (il grado, 360esima parte, non verrà introdotto in Grecia che quasi un secolo dopo Eratostene). Ponendo la circonferenza a 252.000 stadi, si aveva un numero di stadi per sessantesimo di circonferenza (252.000 / 60 = 4200 stadi) che era comodo perchè dotato di molti divisori.
Anche prima di Eratostene erano state eseguite misure di circonferenza terrestre, ma non si sa con sicurezza a chi attribuirle, né quale metodo venne impiegato. Aristotele dice nel De Coelo che “alcuni matematici” avevano ottenuto la misura di 400.000 stadi. Gli storici moderni candidano Eudosso quale più probabile autore di quella misura. (Dopo Eratostene, si ha notizia da Cleomede che il filosofo stoico Posidonio, nel I secolo a.C., propose una misura di circonferenza terrestre di 240.000 stadi, basandosi sul fatto che la stella Canopo, non visibile a Rodi, ad Alessandria (ritenuta sullo stesso meridiano di Rodi) appariva raggiungere l’altezza meridiana di 1/48 di circonferenza. Stimando la distanza tra le due località a 5000 stadi, si aveva 48 • 5000 = 240.000).

Eratostene eseguì anche misure delle distanze di Sole e Luna dalla Terra, ottenendo valori pregevolissimi, indicativi dei progressi nella strumentazione: per il Sole calcolò la distanza di 804.000.000 stadi (all’incirca 130.000.000 Km) e per la Luna 780.000 stadi (all’incirca 125.000 Km). Ottenne questi risultati elaborando dati misurati durante eclissi di Luna.

Tolomeo dice anche che Eratostene calcolò il valore di (11/83)º per l’obliquità dell’eclittica (23º 51’) altro valore estremamente preciso per i suoi tempi. Altri contributi notevoli alla scienza astronomica attribuiti ad Eratostene furono un calendario che includeva anni bisestili, una cronologia degli eventi dal tempo della guerra di Troia, un disegno accurato del corso del Nilo con associata la prima spiegazione scientifica delle cause effettive delle inondazioni annuali (le pioggie annuali sulle regioni dei laghi originari del fiume).



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APOLLONIO
Apollonio di Perga visse dal 262 al 190 a.C. circa. Era noto nell’antichità come “il grande geometra”. Ebbe una grande influenza sullo sviluppo della matematica, specialmente per la sua opera più famosa, Le coniche, in cui introdusse termini matematici quali ellisse, parabola, iperbole, che continuano ad essere usati. Degli otto libri di cui era costituita l’opera, i primi quattro dell’edizione greca sono giunti fino a noi (naturalmente attraverso copie), mentre di una traduzione araba ci sono pervenuti i primi sette. Si ritiene generalmente che la maggior parte delle nozioni contenute nei primi quattro libri fosse nota ad alcuni predecessori di Apollonio, tra cui Euclide. I contributi originali di Apollonio si hanno nei rimanenti libri. Pappo dà alcune indicazioni sui contenuti di altre sei opere di Apollonio, sempre di argomenti matematici e geometrici.

                                                                                                                                    Fig. 32 - Apollonio di Perga

Ma ad Apollonio è attribuito il merito di avere fatto conseguire notevoli progressi all’astronomia matematica. Tolomeo dice nell’Almagesto che Apollonio introdusse le costruzioni geometriche degli epicicli e degli eccentri per spiegare le anomalie. Secondo la terminologia introdotta dai matematici greci, si usavano ile parole anomalia o anche inegualità per indicare qualunque irregolarità nei moti dei corpi celesti, rispetto al consacrato moto angolare uniforme e circolare. Abbiamo visto che la scoperta delll’anomalia solare risale talmente nel tempo che è in pratica assurdo parlare di una sua scoperta. E‘ difficile pensare che uomini della levatura di Talete o di Anassimandro non abbiano meditato su di essa. Quanto ai Pitagorici, non ci sarebbe da meravigliarsi se, inorriditi, l’abbiano semplicemente rimossa. Quando l’evidenza delle osservazioni mostrò inequivocabilmente che anche per i pianeti si aveva un’anomalia, venne d’uso attribuirle il nome di anomalia zodiacale (velocità angolari diverse manifestate da Sole e pianeti in diverse parti dello zodiaco). Constatando che i pianeti manifestavano una anomalia tutta loro particolare (le retrogradazioni), a quest'altra irregolarità si attribuì il termine di seconda anomalia (e di conseguenza venne chiamata talvolta prima anomalia l’anomalia zodiacale).

Gli studiosi moderni sono concordi nel ritenere (contrariamente all’affermazione di Tolomeo di cui sopra) che le teorie degli epicicli e degli eccentri furono anteriori ad Apollonio (per lo meno per ciò che riguarda la loro intuizione). Alcuni si sono spinti fino ad affermare che quelle teorie risalgano addirittura a qualche Pitagorico. Altri hanno suggerito che la prima indicazione di movimenti epiciclici possa vedersi nella concezione di Eraclide Pontico su Venere e Mercurio circolanti attorno al Sole mentre questo circolava attorno alla Terra. Comunque, è certamente opportuno prendere come riferimento fondamentale l’affermazione esplicita di Tolomeo sull’attribuzione ad Apollonio (1) della paternità di una rigorosa costruzione geometrica delle teorie epicicliche e (2) della prima affermazione dell’equivalenza tra le due costruzioni geometriche degli epicicli e degli eccentri. (Va detto, comunque, che nonostante l’apporto di Apollonio sia stato fondamentale quale avviamento della teoria planetaria su solide basi geometriche, egli non proseguì nel migliorarla in modo che rendesse ragione delle discordanze che si manifestavano tra le indicazioni teoriche e le osservazioni). D'altronde Apollonio era un matematico puro, ed è comprensibile che abbia lasciato ad altri la soluzione di quel problema.
Ad Apollonio è attribuita anche la realizzazione di un tipo originale di orologio solare, detto emicyclium, che presentava la caratteristica di avere le linee delle ore tracciate su superfici di coniche, ottenendo così una maggiore precisione.

Per accennare alle costruzioni geometriche degli epicicli e degli eccentri dobbiamo partire dall’epoca, invero molto remota, in cui si ebbe la cognizione della anomalia solare, che per gli Antichi era riscontrabile, in pratica, nelle differenti durate delle stagioni.
Il primo di cui si abbia notizia di aver eseguito una tale misura fu Callippo, nel 330 a.C. Ma le sue misurazioni furono alquanto imprecise (non disponeva di osservazioni attendibili di suoi predecessori). Non è da escludere comunque che anche prima di Ipparco, che intorno al 130 a.C. eseguì la migliore determinazione di durata dell’anno e delle singole stagioni, i Greci avessero acquisito che le durate delle stagioni fossero tali da essere illustrate da uno schema come quello della figura 33 (la primavera la più lunga, seguita dall’estate, poi dall’inverno e da ultimo dall’autunno, quindi ben differenti dalle durate delle stagioni odierne).

Non è da escludere nemmeno che, ancora prima di Apollonio, quella durata delle stagioni abbia potuto suggerire che l’anomalia solare avrebbe potuto essere spiegata collocando il centro dell’orbita solare fuori del centro della Terra (ex-centro), come appare dalla figura 34. Ciò avrebbe spiegato come poteva avvenire che, pur percorrendo il Sole l’eclittica a velocità costante e con orbita circolare, dalla Terra appariva che il tratto di orbita dalla parte di P veniva percorso a velocità maggiore di quella con cui veniva percorso il tratto dalla parte di A.

Venendo ora ad Apollonio, le due figure 35 (a) e (b) illustrano l’equivalenza geometrica tra la costruzione epiciclica e quella dell’eccentrico, per quanto riguarda la loro applicazione alla teoria solare, equivalenza della quale, come detto, la tradizione a lui attribuisce la dimostrazione. Secondo Apollonio, dunque, il Sole circola con periodo di un anno, con moto uniforme e in senso orario su un cerchio, detto epiciclo, il cui centro, K, circola a sua volta, in senso antiorario e con lo stesso periodo di un anno, su un altro cerchio, detto deferente, centrato nel centro della Terra (figura 35 a). Il risultato di questa combinazione di movimenti è che, avendosi sempre eguaglianza tra gli angoli a e b, il raggio dell'epiciclo KS si mantiene sempre orientato parallelamente a TM e il Sole viene a circolare su un cerchio di raggio eguale a TK, ma il cui centro, affinchè si abbia la equivalenza di cui sopra, deve essere spostato da T verso M, fuori del centro della Terra (ex-centro) di una quantità TC pari al raggio dell'epiciclo KS (in definitiva quindi il Sole per Apollonio circolava sul cerchio tratteggiato). Una tale circolazione risultante, secondo Apollonio spiegava l'anomalia solare perchè, pur avvenendo la circolazione in modo uniforme, dalla Terra T il Sole appariva muoversi con velocità maggiore quando transitava nell'intorno del punto A, apogeo, ed appariva muoversi più lentamente quando transitava nei dintorni del punto p, perigeo.


Per spiegare la equivalenza in termini geometrici (ragionando con linguaggio moderno), dalla figura 35(a), riguardando la posizione del punto S come risultante dalla somma di due vettori, TK e KS (il secondo dei quali è una costante (perchè determinato dalla continua eguaglianza dell'angolo b all'angolo a), abbiamo questa somma vettoriale: TS = TK + KS.
Ma, dalla figura 35(b), la stessa somma vettoriale può essere espressa in maniera differente: TS = TC + CS, in cui TC è il vettore costante e CS è il vettore che svolge la funzione che, nella relazione precedente è svolta da TK.


Occorre a questo punto ricordare ancora una volta che Apollonio era essenzialmente un matematico. Ciò rende lecito pensare che potrebbe darsi che egli non sia stato così preso dall'assillo di risolvere il problema dell'anomalia solare. Si può essere certi però che anche lui non sia sfuggito alla necessità di obbedire ai canoni risalenti alla scuola pitagorica e consacrati dalla fisica aristotelica, che dovevano essere conservati. Questi canoni, astronomici nella loro espressione esteriore, possedevano una intima valenza trascendente che andava ben oltre la loro semplice apparenza geometrica: erano i “fenomeni da salvare”, cioè: (1) l’orbita solare è un cerchio, (2) la Terra, essendo centro del cosmo, dev’essere centro di questo cerchio e (3) la velocità del Sole su questo cerchio dev'essere costante. La meno dolorosa da abbandonare delle tre ipotesi era la seconda, (perché le altre due, se abbandonate avrebbero richiesto l'introduzione di una eccessiva quantità di artifici matematici e geometrici). Questo abbandono consentì la nascita dell'eccentro.

Vediamo ora come la teoria dell’epiciclo spiega i moti dei pianeti. Nella parte dedicata alla meccanica celeste, avevamo visto come, secondo la moderna concezione eliocentrica, il pianeta, sia superiore che inferiore, descrive il suo epicicloide che rende ragione della sua breve fase di moto retrogrado. Vedremo ora che la teoria dell’epiciclo di Apollonio ci fa pervenire alla stessa curva epicicloide (alcuni la chiamano cardioide). Si osservi la figura 36. Spiega la formazione dell'epicicloide per Marte. La sua apparenza complicata non tragga assolutamente in inganno. La Terra è al centro. Il Sole circola sul cerchio più interno Sc-So, in senso antiorario, descrivendo il cerchio in 365 giorni (0º.986 al giorno).

Marte si muove sull'epiciclo, pure in senso antiorario, e pure con periodo di 365 giorni (perchè sappiamo che il raggio dell'epiciclo si mantiene sempre parallelo alla congiungente Terra-Sole). Il centro dell'epiciclo si muove sul deferente, C1, C2, C3, C4, . . ., in senso antiorario, percorrendolo in una sua rivoluzione tropica (687 giorni, 0º.52 al giorno).
Lo scopo della costruzione è di trovare i punti M1, M2, M3, M4, . . ., per poter tracciare l'epicicloide. Partiamo dalla posizione di Marte in M1, Marte in congiunzione col Sole e all'apogeo della sua orbita. Il raggio dell'epiciclo per ruotare di 90º, da C1-M1 a C2-M2, impiega 365/4 = circa 91.3 giorni. Allora, per ottenere sul deferente i punti C2, C3, C4, C5, C6, C7, C8, si porteranno sul deferente stesso, a partire da C1, archi intervallati della quantità costante di   0º.52•91.3 = 47º.5 e marcheremo i punti con C2, C3, C4, . . . C8. Dopo di che, ricordando che la congiungente centro epiciclo - pianeta dev'essere sempre parallela alla congiungente Terra-Sole, per C2 portiamo C2-M2, 90º a sinistra di C1-M1, per C3 portiamo C3-M3, 90º a sinistra di C2-M2, per C4 portiamo C4-M4, 90º a sinistra di C3-M3, ecc. Otterremo quindi i punti M2, M3, M4, M5, M6, M7, M8. La posizione Pr la otteniamo per approssimazione: è la posizione di perigeo del pianeta, quella di opposizione con il Sole in So. Intorno alla posizione Pr il pianeta è in fase di moto retrogrado.


Vediamo ora come si ottiene la curva epicicloide di Marte con la teoria dell'eccentrico. Secondo questa teoria (si osservi la figura 37), l'epiciclo viene percorso dal pianeta P con moto uniforme retrogrado (cioè in senso orario) nel periodo di una rivoluzioe sinodica (che per Marte abbiamo visto essere 780 giorni, 0º.46 al giorno). Il centro dell'epiciclo, C, eccentrico rispetto al centro della Terra, percorre a sua volta il deferente con moto diretto (cioè antiorario) nel periodo di un anno.

Ed ecco la costruzione per ottenere l'epicicloide utilizzando la teoria dell'eccentrico. Si osservi la figura 38. Il centro dell'epiciclo descrive un quadrante (90º) in   365.25/4 = 91.6 giorni. Allora, per prima cosa tracciamo quattro epicicli centrati in C1, C2, C3, C4, a 90º l'uno dall'altro. Poi segnamo su di essi i quattro punti M1, M', M'', M''', anch'essi a 90º l'uno dall'altro. Quindi: per ottenere M2 portiamo da M' sull'epiciclo, in senso retrogrado, un arco di   91.3•0º.46 = 42º. Per ottenere M3 portiamo da M'', sempre in senso retrogrado, un arco di   2•91.3•0º.46 = 84º. Per ottenere M4 portiamo da M''', ancora in senso retrogrado, un arco di   3•91.3•0º.46 = 126º, e così via.
Unendo M1, M2, M3, M4, . . . M8, otteniamo l'epicicloide. Anche per questa epicicloide la posizione Pr è la posizione di perigeo, posizione di opposizione, quella intorno alla quale il pianeta ha moto retrogrado.


Finora abbiamo discusso di epicicli e di eccentri senza fare riferimento alle specifiche conclusioni di Apollonio. Prendendo il caso specifico di Marte, la perfetta geometricità della teoria dell'epiciclo di Apollonio è tale da far sì che i loop di retrogradazione compiuti da questo pianeta siano egualmente e regolarmente intervallati nel tempo e nello spazio. Infatti, essendo ^ la direzione del punto vernale, ed essendo di 780 giorni il periodo sinodico di Marte, se un loop viene, ad esempio, eseguito in longitudine l1, il successivo, 2 anni e 50 giorni dopo, avverrà in longitudine l2, maggiore di ua certa quantità, e il successivo ancora, in longitudine l3, maggiore della stessa quantità, e così via. Vedremo in seguito che già prima di Apollonio le osservazioni dovevano aver fatto acquisire ai Greci che le cose non stavano così.

Proseguendo nella descrizione della rappresentazione dei moti epiciclici di Apollonio riferiti ai pianeti, dobbiamo parlare dell'artificio cui ricorse Apollonio a causa del fatto che allora si seguivano due punti di vista erronei: (1) porre la Terra al centro e (2) considerare anche il Sole un pianeta circolante come gli altri attorno alla Terra. Si doveva spiegare per quale ragione veniva riscontrato che tanto i pianeti superiori (esterni rispetto al Sole), quanto quelli inferiori (interni) manifestavano un movimento correlato in qualche modo con il Sole.

Ecco quale fu la soluzione di Apollonio per i pianeti superiori. A quel tempo, pianeta "superiore" era uno esterno al circolo percorso dal Sole. Su questo circolo, il Sole evidentemente circolava con periodo di un anno in senso antiorario (e la teoria di Apollonio richiedeva che questo astro fosse un astro fittizio denominato Sole medio, circolante con moto uniforme, in modo che la longitudine a lui riferita, l0 (lambda zero), era chiamata longitudine media del Sole medio). Il collegamento tra Sole medio e pianeta era ottenuto ammettendo che il pianeta circolasse sull'epiciclo sempre mantenendo il raggio KP parallelo alla congiungente Terra-Sole medio, TSm, per cui doveva essere sempre verificata la relazione:   l0 = lp + mp,   essendo:
    lp la longitudine media del pianeta
    mp la anomalia epiciclica media del pianeta.
Il centro dell'epiciclo K percorreva il deferente come già detto con moto uniforme, in un periodo tropico del pianeta.

Per i pianeti inferiori, i Greci adottavano la approssimazione di considerare il loro periodo tropico eguale a quello del Sole (i pianeti inferiori erano considerati "degli accompagnatori" del Sole, in quanto se ne discostavano entrambi poco, per Mercurio la digressione era all'incirca un quarto di quadrante mentre per Venere era circa mezzo quadrante). Per tener conto di ciò, la teoria epiciclica di Apollonio imponeva che la congiungente Terra-centro epiciclo doveva sempre coincidere con la congiungente Terra-Sole medio, per cui si aveva che lp era sempre eguale a l0 (anomalia epiciclica sempre coincidente con longitudine del Sole medio). In figura 41 sono indicati anche i due punti di massima digressione est ed ovest del pianeta interno, rispettivamente e e w.

Una prima elementare considerazione su Apollonio è quella che si riferisce alla locuzione che abbiamo impiegato sopra "La soluzione di Apollonio". Non si può escludere che egli abbia tratto qualche suggerimento da suoi predecessori, ma non possiamo assolutamente trascurare che Tolomeo gliene attribuisce la paternità (ed è significativo che questo riconoscimento provenga da Tolomeo, che si considerava essenzialmente un matematico).
Per quanto riguarda la considerazione sulla non corrispondenza tra gli archi di retrogradazione regolari della sua teoria e quelli irregolari risultanti dalle osservazioni, possiamo osservare che, pur essendo probabile che egli abbia avuto contezza della detta non corrispondenza, è comprensibile ammettere che su di lui abbiano pesato più esigenze di carattere matematico. E, in verità, tenendo presente che, poichè la piattaforma matematica di Apollonio sarà quella che consentirà a Tolomeo di conseguire così notevoli progressi astronomici, è del tutto lecito accordare ad Apollonio, anche per i progressi da lui propiziati all'astronomia, lo stesso tributo di riconoscenza che si era guadagnato con la matematica.



POSIDONIO
Posidonio di Rodi (135 - 50 a.C. circa) fu il grande filosofo rappresentante della scuola Stoica. Talvolta viene denominato Posidonio di Apamea, dal nome della località della Siria in cui nacque. All'inizio della sua attività di studio, compì numerosi viaggi nel Mediterraneo, dedicandosi a studi di astronomia, geografia e geologia. Intorno al 100 a.C. venne nominato capo della scuola filosofica Stoica di Rodi. Ricoprì anche incarichi pubblici, uno dei quali lo portò come ambasciatore di Rodi a Roma, dove ebbe modo di intrattenersi, fra gli altri, con Cicerone, che era stato suo allievo a Rodi. Tra le altre personalità romane che gli accordarono la loro ammirazione e l'amicizia ricordiamo il generale Caio Mario, che fu console sette volte, e Pompeo il Grande, triunviro con Cesare e Crasso. Nessuno dei suoi scritti ci è pervenuto. Si conoscono frammenti delle sue opere solo attraverso citazioni di contemporanei o di successori.


Cicerone dà notizia di una “sfera” costruita da Posidonio che doveva essere del tipo delle due costruite un secolo prima da Archimede. E’ probabile che queste sfere avessero una funzione unicamente didattica.
Cleomede dedica una uona parte del suo libro per descrivere il calcolo che Posidonio fece della circonferenza terrestre. Basandosi sul fatto che la stella Canopo si rendeva appena visibile a Rodi, alla culminazione meridiana, mentre ad Alessandria raggiungeva un’altezza meridiana di 1/48 di circonferenza (7º 30'). Stimando in 5000 stadi la distanza tra Rodi ed Alessandria, Posidonio concluse che la circonferenza terrestre doveva essere di 48•5000 = 240.000 stadi. Pur ammettendo che questo risultato sia abbastanza accurato, vale la pena osservare che era affetto da almeno tre errori. Anzitutto le due località erano piuttosto scostate in longitudine. Poi l'altezza effettiva di Canopo era di 5º 15' e infine la distanza effettiva tra Rodi ed Alessandria era minore. Posidonio eseguì anche misure e calcoli su distanze e dimensioni di Luna e Sole, ottenendo invero risultati piuttosto imprecisi. Scrisse anche di meteorologia e storia.



IPPARCO
Ad Ipparco ci si riferisce generalmente con l’appellativo di Nicea, perché si ritiene che abbia avuto i natali in quella località della odierna Turchia, prossima al Mar di Marmara, nella regione allora chiamata Bitinia, intorno al 190 a.C. La solidità della fama di cui godette nell’antichità è testimoniata da monete coniate sotto i regni di diversi imperatori romani. Queste monete portano sul diritto l’immagine di imperatori romani, quali Alessandro Severo (222 - 235 d.C.) e sul rovescio quella di un uomo che regge un globo e la scritta “Ipparco di Nicea”. Anche della sua vita si hanno pochissime notizie. Sembrano sicure quelle riferentesi a sue osservazioni astronomiche eseguite in Bitinia, nell’isola di Rodi e ad Alessandria. Soltanto una delle sue opere ci è giunta: il Commentario su Arato ed Eudosso, che non è certamente tra le sue più importanti.
                                                                                                                                Fig. 43 - Ipparco di Nicea

La maggior parte delle informazioni che abbiamo su Ipparco, ci sono giunte dall’Almagesto di Tolomeo. Ora, è stato fatto osservare che, malgrado Tolomeo abbia studiato accuratamente l’opera di Ipparco, la sua preoccupazione principale non dovette certamente essere quella di tramandarla ai posteri, ma di utilizzarla per costruire le sue proprie teorie astronomiche. I commentatori sono pressoché concordi nel ritenere che Tolomeo descriva i risultati ottenuti da Ipparco in una maniera piuttosto sbrigativa, o per lo meno, dando per scontato che il lettore abbia tranquillamente accesso agli scritti di Ipparco. Ivece, il fatto che due successivi commentatori di Tolomeo quali Teone di Alessandria e Pappo non diano notizie esplicite sui risultati di Ipparco, lascia pensare che nemmeno per loro tali dati erano disponibili.

C’è un certo accordo da parte degli storici contemporaei dell’astronomia sul fatto che Ipparco sia stato probabilmente l’unico astronomo greco ad essersi dedicato a un’indagine accurata sulle conoscenze astronomiche che avevano conseguito i Babilonesi, sia per quanto riguarda dati relativi a osservazioni risalenti a diversi secoli avanti la sua epoca (dall'inizio dell'Era di Nabonassar, 747 a.C, epoca in cui i Babilonesi incominciarono a redigere osservazioni sistematiche) sia per le vere e proprie conoscenze astronomiche, ivi comprese le tecniche predittive. Si arriva a pensare che ci sia stata una certa probabilità che egli abbia potuto disporre di testi astronomici babilonesi tradotti in greco.
Sempre Tolomeo ci dice che Ipparco compilò una lista di tutte le eclissi lunari che erano state osservate in Mesopotamia fin dal secolo VIII a.C., non limitandosi a copiare semplicemente i dati ma eseguendo l’importantissimo lavoro di conversione dalla datazione babilonese in quella nella quale si impiegava l’anno egiziano, sistema di datazione nel quale egli ravvisò (come vedremo in un paragrafo dedicato alla cronologia) che si prestava in maniera eccellente ad essere usato per scopi astronomici (Copernico lo usava correntemente nei suoi calcoli), introducendolo quindi nella pratica dell’astronomia greca.

Ma egli trasse dall’archivio di conoscenze sviluppate dai Mesopotamici altre importanti ricchezze che lo aiutarono nei suoi studi, in particolare il sistema di numerazione sessagesimale con la notazione posizionale. Anche l’adozione (e l’introdzione nell’astronomia greca) del grado quale trecentosessantesima parte dell’angolo giro non c’è motivo di pensare che Ipparco non l’abbia tratto dai Babilonesi, che già usavano questo sistema per misurare gli angoli da centinaia di anni.

Diamo per ora un sommario dei contributi di Ipparco all’astronomia. Egli produsse una tabella di valori di corde, un primo contributo alla trigonometria. Alcuni hanno sostenuto perfino che l’invenzione della trigonometria si debba a lui. Ancora, calcolò la lunghezza dell’anno tropico con una precisione di circa 6 minuti e scoprì la precessione degli equinozi attribuendole il valore annuo straordinariamente preciso di 45”. Compilò un catalogo di stelle che conteneva circa 850 voci. Tolomeo nell’Almagesto ci dà notizia di modelli di teorie solare e lunare elaborati da Ipparco. Affrontò anche un modello di teoria planetaria (utilizzando il materiale babilonese di cui disponeva), ma per un decisivo contributo su questo soggetto si dovette attendere l’opera di Tolomeo, circa 300 anni dopo.

Nella teoria solare di Ipparco, il Sole si muoveva su un eccentrico fisso, mentre per quella lunare, basandosi su osservazioni di eclissi lunari compiute da astronomi babilonesi e alessandrini, adottò un eccentrico mobile. Elaborò anche un’altra teoria lunare basata su un epiciclo il cui centro si moveva su un deferente concentrico alla Terra. Siccome Ipparco non disponeva di osservazioni di suoi predecessori, non gli fu possibile elaborare una vera e propria teoria planetaria. Il suo notevole contributo su questo argomento consistette nell'aver richiamato l'attenzione, con una certa severità, (degna della sua stoffa di scienziato di razza - Tolomeo dice di lui che era "amante della verità"), sul fatto che la teoria epicicloidale di Apollonio "doveva essere provata nei dettagli", riferendosi indubbiamente alle discordanze che si avevano tra archi di retrogradazione teorici e pratici.

Ipparco riprese il metodo già usato da Aristarco, ripetendo le misure delle distanze della Luna e del Sole. Per la Luna ottenne una distanza di 59 raggi terrestri, valore molto prossimo al vero, che è di circa 60. Per il Sole a causa di errori di osservazione nella determinazione della parallasse (evidentemente impossibile determinarla a qull’epoca) non ottenne un risultato accettabile. Teone di Smirne dice che Ipparco riportò in un libro intitolato Grandezze e distanze del Sole e della Luna i procedimenti e i risultati di queste osservazioni.
Nel passato vi furono grandi incertezze da parte dei commentatori dell’Almagesto nel distinguere quali risultati dovevano essere attribuiti ad Ipparco e quali a Tolomeo. Dapprima si ebbe perfino una certa tendenza ad accusare Tolomeo di essersi appropriato di risultati di Ipparco. Oggi si giudicano le cose con più ponderazione.
Nel Commentario su Arato ed Eudosso, Ipparco discute di tre libri: (1) Un trattato di Eudosso sulle costellazioni, (2) un poema in versi scritto da Arato, intitolato I fenomeni, in pratica una version poetica del precedente trattato di Eudosso (Questo poema ci è pervenuto), (3) un Commentario su Arato, scritto da Attalo di Rodi, poco prima del tempo di Ipparco.
Di tutte le opere di Ipparco questa unica che ci è giunta è la meno desiderata da parte dei commentatori, perché i pochi argomenti di astronomia matematica che vi sono affrontati sono di scarso interesse rispetto alle grandi conquiste di Ipparco. Diversi autori hanno osservato i tipi di sistemi di coordinate ancora piuttosto antiquati di cui Ipparco faceva uso. C’è anche contrasto tra i commentatori nel decidere quando Ipparco scrisse questo libro, se al principio o alla fine della sua carriera scientifica.

Quando Ipparco si dedicò a stabilire la lunghezza dell’anno tropico, per prima cosa volle determinare se l’antica credenza sulla variabilità della sua durata avesse qualche fondamento (secondo Teone di Smirne la credenza risaliva a Talete). Tolomeo dice che la conclusione di Ipparco fu che la piccolezza nelle differenze faceva propendere nell’attribuirle a imprecisione nelle osservazioni.
Stabilito ciò, Ipparco calcolò il numero di giorni intercorsi tra un solstizio estivo osservato da Aristarco nel 280 a.C. e un solstizio estivo che lo stesso Ipparco aveva osservato nel 135 a.C. Prendendo come durata-base dell'anno il numero di giorni 365 e 1/4, ottenne che tra le due date erano trascorsi 145 • 365.25 = 52961.25 giorni. Secondo le sue stime circa gli istanti esatti in cui si erano verificati i due solstizi, egli concluse che al numero di giorni precedente doveva essere tolta mezza giornata per cui si arrivava a 52960.75 giorni. Ipparco allora ragionò più o meno così: l’anno tropico mostrava di essere più corto, rispetto al valore-base di 365.25 giorni, di mezza giornata in 150 anni, cioè di una intera giornata in 300 anni. Allora, poiché 300 • 365.25 -1 = 109574, si ha che la lunghezza effettiva dell’anno tropico dev'essere 109574 /300 = 365.2466667, che Ipparco espresse alla maniera di allora con 365 + ¼ - 1/300 . Questo valore ottenuto da Ipparco rappresenta un notevolissimo risultato (si pensi che 1600 anni dopo, per la riforma gregoriana del calendario, si adottò il valore di 365 + 1/4 - 3/400 , cioè 365.2425).

Nel corso della sua indagine sulla durata effettiva dell’anno tropico, l’accertamento della durata delle singole stagioni astronomiche (prima misura di questo tipo dotata di una ottima precisione) portò Ipparco a una importantissima (e precisissima) determinazione: quella della longitudine dell’apogeo dell’orbita solare. Oggi noi sappiamo che la longitudine dell’apogeo progredisce continuamente (furono gli Arabi, circa un millennio dopo Ipparco, a scoprirlo per primi). Ipparco non poté scoprirlo perché prima di lui nessuno aveva fatto questa determinazione di longitudine. (Tolomeo dice di aver eseguito un suo calcolo di longitudine, in base a sue misure di durata delle stagioni, e di aver ottenuto gli stessi risultati di Ipparco. Lo stesso dice Teone di Alessandria che visse nel tardo IV secolo d.C. Evidentemente, entrambi devono essere stati quanto meno poco fortunati osservatori per questa determinazione, perché avrebbero ben dovuto trovare valori diversi da quelli trovati da Ipparco).

Diamo ora una trattazione succinta del calcolo di longitudine dell'apogeo solare eseguito da Ipparco (ricorrendo per semplificare alle funzioni trigonometriche). Si osservi la figura 44. (il cerchio rappreseta l'eclittica-orizzonte visto dal polo nord). Ev è l’equinozio vernale (di primavera), Ea l’equinozio autunnale, Se il solstizio estivo. Secondo le osservazioni di Ipparco, l’arco Ev-Se era percorso dal Sole in 94.5 giorni e l’arco Se-Ea era percorso in 92.5 giorni.
Allora possiamo scrivere: 365.25 gg : 360º = 94.5 gg : Xº e
365.25 gg : 360º = 92.5 gg : Yº, dalle quali si ricava:
Arco primaverile Ev-Se = 93º.1417, arco estivo S-Ea = 91º.1704, arco somma dei due Ev-Se-Ea = 184º.3121
Possiamo dunque stabilire che gli archi Q-Ea ed Se-P avranno le seguenti ampiezze:
- Q-Ea = S-Ev = 4º.3121/2 = 2º.15605
- Se-P = Si-R = 93º.1417 - 90º - 2º.15605 = 0º.98565

Ora dobbiamo calcolare le lunghezze CM e CN.
Essendo gli archi Se-P e Q-Ea abbastanza piccoli, li possiamo ritenere uguali rispettivamente ai segmenti Se-V e Ea-T. Inoltre, ricordiamo che in trigonometria si usa spesso ammettere che la lunghezza di archi piccoli (come Se-P e Q-Ea) sia eguale al valore del seno dell’arco stesso. In base a ciò, avremo:
CM = Se-V @ Se-P @ sen(0º.98565) = 0.0172
CN = Ea-T @ Q-Ea @ sen(2º.15605) = 0.03762.
E finalmente possiamo ricavare la longitudine dell’apogeo Ev-A e l’eccentricità TC.
Longitudine apogeo = arctan(CN/CM) = arctan(2.18721) = 65º.4
Eccentricità = (CM2 + CN2)1/2 = 0.041365
Il risultato di longitudine è eccellente: è prossimo di circa 1º alla longitudine effettiva dell’apogeo solare nel 140 a.C. Il risultato dell’eccentricità è invece piuttosto impreciso.

E‘ noto che la più celebrata delle scoperte di Ipparco è quella della precessione degli equinozi. Alcuni ritengono che la molla che lo spinse inizialmente verso questa felice conclusione, possa essere stata il suo sospetto che le stelle “fisse” potessero avere dei moti relativi e che ciò lo abbia indotto a intraprendere l’opera (immane per le forze di un solo uomo che operava 300 anni prima di Tolomeo in una località, Rodi, che non era certamente provvista dell'attrezzatura scientifica di Alessandria) di compilare un catalogo di stelle per confrontarne le posizioni con quelle di un precedente catalogo compilato circa 160 prima da Aristillo e Timocari (altri grandi pionieri dell'astronomia). Plinio, nella Storia naturale, dice che ciò che spinse Ipparco a intraprendere la compilazione di un catalogo fu l’apparizione in cielo di una stella mai vista fino a quel momento, una nova stella. Da ciò l’indagine di Ipparco per appurare se le stelle nascono e muoiono, se variano di luminosità, e se si muovono le une rispetto alle altre (se ciò che dice Plinio è vero, Ipparco fornisce un ottimo esempio di scienziato che, alla ricerca della verità, si stacca dai dogmatismi aristotelici e platonici, uno dei quali riguardava appunto la inviolabilità della perfezione dei cieli).
Ipparco scoprì la precessione confrontando dunque sue misure di longitudine di stelle, con quelle fatte circa 150 anni prima da Aristillo e Timocari. Come al solito, è Tolomeo che ci informa che mentre al tempo di Timocari, Spica si trovava 8º a ovest dell’equinozio autunnale, Ipparco la trovò essere a 6º, cioè due gradi di meno. Naturalmente, Ipparco confrontò anche le longitudini di alcune altre stelle che era in grado di osservare, e trovò che esse differivano egualmente di circa due gradi dalle corrispondenti longitudini riportate dai suoi due predecessori. Confrontando le latitudini celesti, invece, notò che erano rimaste praticamente invariate.
Si poneva ora il problema di stabilire se era l’intera sfera recante le stelle fisse ad aver ruotato verso est o se erano stati i punti equinoziali ad aver ruotato verso ovest. Altro problema era quello di stabilire se a moversi verso est erano solamente le stelle fisse della zona zodiacale, o tutte le stelle. Dopo una iniziale tergiversazione Ipparco accettò la conclusione del moto dei punti equinoziali (cosiderato anche che, non avendo riscontrato variazioni nelle latitudini celesti dai tempi di Timocari, ciò rendeva improbabile attribuire la variazione costante a moti propri delle stelle). Pubblicò la sua scoperta (assieme evidentemente al resoconto scientifico su cui era basata) su un libro intitolato Sulle variazioni [di posizione] dei punti equinoziali, del quale Tolomeo ci ha lasciato alcune citazioni nell’Almagesto.
Della precisione del valore annuo calcolato da Ipparco (circa 2º in 150 anni, quindi circa 45” ) abbiamo già detto in precedenza.

Circa il metodo da lui usato nel determinare la longitudine di Spica e di qualche altra stella, Tolomeo ci informa che Ipparco misurò la differenza di longitudine tra la Luna e Spica (probabilmente utilizzando una sfera armillare forse da lui stesso costruita) nell’istante preciso di massima eclisse lunare (istante di plenilunio, Luna esattamente opposta al Sole). Si tratta del metodo probabilmente già utilizzato da Aristillo e Timocari e forse da altri: con due degli anelli della sfera armillare puntati uno su Spica e l’altro sulla Luna, un terzo operatore leggeva il valore di differenza di longitudine tra i due astri nell’istante preciso in cui un quarto operatore (forse Ipparco stesso) giudicava che l’eclisse di Luna aveva raggiunto il massimo. In quell’istante, la longitudine della stella era data dalla longitudine del Sole (sempre disponibile da tabelle), aumentata (o diminuita) di 180º e aumentata ancora (o diminuita) della differenza di longitudine misurata.



GEMINO
Si ritiene sia nato a Rodi, intorno all'anno 10 a.C. e che sia morto nell'anno 60. Ma c'è disaccordo sulla sua collocazione temporale. Alcuni pongono la sua data di nascita a un arco che si estende dal 130 al 50 a.C., in base a un calendario che si trova nela sua opera Introduzione ai fenomeni, detto anche Isagoge (dalla prima parola del suo titolo greco). Conseguentemente viene posto in dubbio il suo essere stato discepolo di Posidonio, che morì intorno al 50 a.C.
La Introduzione ai fenomeni è un'opera basata su Ipparco, nella quale sono date altre notizie storico-astronomiche su Callippo. L'esposizione chiara e ordinata della materia fa ritenere che l'opera sia stata concepita con intenti didattici, particolarmente per coloro che si accostavano per la prima volta a questa scienza. Ma l'ultimo capitolo si differenzia nettamente dal resto per affrontare argomenti più specificamente scientifici, tanto da lasciare dubbi sull'appartenenza alle Isagoge del capitolo stesso (vedere anche il prossimo paragrafo). Il parapegma che è allegato al libro costituisce una delle più importanti fonti per far luce sulle prime fasi dell'astronomia greca. Infatti il parapegma di Gemino è una compilazione di precedenti parapegma (andati perduti) di Eutemone, Eudosso e Callippo. Alcuni autori ritengono che questo parapegma non sia stato opera di Gemino, ma di qualche ignoto autore del secolo II a.C. Comunque, questo parapegma si trova allegato a tutti i manoscritti esistenti dell'Introduzione ai fenomeni.
Del suo lavoro Teoria della matematica, che non ci è giunto, abbiamo informazioni da Proclo che in una sua opera sulla storia della matematica Commentario sul primo libro degli Elementi di Euclide, fa continuamente riferimento al libro di Gemino.



LA TEORIA PLANETARIA DA IPPARCO A TOLOMEO
Abbiamo dunque visto che con Apollonio si può parlare di origine di una teoria planetaria greca fondata soltanto su costruzioni geometriche. Ora, l'argomento dello sviluppo di una teoria planetaria greca non può prescindere dall'evento fondamentale del contatto che, a partire dall'epoca delle conquiste di Alessandro Magno si ebbe tra le culture greca e babilonese. Per quanto riguarda l'astronomia, questo contatto si sostanziò nell'afflusso in Grecia di (1) dati astronomici e (2) di metodi di calcolo. Certamente, sarebbe interessante poter far luce su quale influenza abbiano avuto i metodi aritmetici dei Babilonesi nel distogliere i Greci dal proseguire sul cammino indicato da Apollonio, perchè è indubitabile che la teoria planetaria geometrica non fece sostanziali progressi dopo Apollonio.
Malgrado si abbiano prove di uso di metodi babilonesi, gli astronomi (e astrologi) greci del periodo tra Ipparco e Tolomeo elaborarono un certo numero di procedure numeriche per poter pervenire alla conoscenza delle posizioni planetarie.

Il testo più completo disponibile oggi per avere un'idea dei metodi numerici di computo delle posizioni planetarie è dovuto a Vettio Valente, un astrologo romano del secolo II d.C. Sono sopravvissute anche, su papiri dei secoli I e II, delle tabelle basate su questi metodi numerici. Alcuni di questi papiri sono scritti in greco, altri in demotico (il linguaggio popolare dell'Egitto posteriore).
Ma, come detto, si ha anche solida testimonianza di metodi di calcolo di origine babilonese. Uno dei riferimenti più dettagliati all'astronomia babilonese si trova nell'ultimo capitolo dell'Introduzione ai fenomeni di Gemino, nella parte dedicata alla teoria lunare. In pratica, Gemino dà una descrizione del sistema B della teoria lunare babilonese. Il resoconto di Gemino lascia comunque dei dubbi, per incompletezza, sulla possibilità che egli abbia realmente padroneggiato le teorie babilonesi.

Recentemente, nuova luce è stata fatta sul grado di conoscenza acquisito dai Greci delle teorie babilonesi, attraverso lo studio del materiale astronomico dei Papiri di Oxirinco. Questa era una località dell'Egitto greco-romano. In un deposito di rifiuti situato dove sorgeva la città vennero rinvenuti, durante scavi protrattisi nella prima metà del secolo XX, una quantità di papiri. Di questi, quelli di carattere astronomico sono stati identificati soltanto recentemente. Malgrado i lavori interpretativi di questi papiri non siano ancora stati conclusi, si è a conoscenza che essi includono tabelle planetarie che sono repliche esatte dei sistemi babilonesi A e B, per tutti i pianeti, tranne Venere. E' stato stabilito che i dati astronomici dei papiri finora identificati si riferiscono aa un'epoca a partire dal periodo romano (secolo I a.C.). Per i secoli precedenti si hanno delle difficoltà dovute a infiltrazioni di acqua negli strati inferiori. E' comunque accertato che nell'Egitto ellenico di qualche generazione antecedente Tolomeo, astronomi e astrologi greci erano riusciti a padroneggiare i metodi delle teorie planetarie babilonesi.



Circa l'origine della trasmissione di queste conoscenze, si tende a individuarla nel Periodo seleucide. E' stato suggerito (Van der Waerden) che i continui riferimenti da parte di scrittori greci e romani a pratiche caldee indichino la possibile esistenza di un compendio di astronomia e astrologia babilonese scritto in lingua greca. Si tenga presente che il caldeo Berosso scriveva in greco, intorno all'anno 280 a.C. una storia babilonese intitolata Babilonica per il suo patrono, Antioco I Soter, il secondo re della dinastia seleucide. Di questa storia ci sono giunte soltanto molte citazioni da parte di Giuseppe ed Eusebio. Abbiamo visto che Berosso era ritenuto astronomo e astrologo. Vitruvio dice che Berosso si stabilì nell'isola di Coos e giocò un certo ruolo nell'introdurre l'astrologia in Grecia.

Possiamo dunque concludere dicendo che malgrado i tentativi di Ipparco di proseguire sulla strada indicata da Apollonio, la teoria degli epicicli e deferenti non era a questo stadio sufficientemente sviluppata da fornire risposte pratiche soddisfacenti. I Greci furono dunque costretti ad adottare sia le teorie planetarie babilonesi e sia un certo numero di metodi numerici di computo delle posizioni planetarie. Il compito di portare alla loro definitiva conclusione le iniziali costruzioni geometriche di Apollonio verrà assolto da Tolomeo.



CLAUDIO TOLOMEO
Indicativamente diamo gli anni 90 e 170 della nostra era come quelli tra i quali si svolse la vita di Claudio Tolomeo. Solo alcuni commentatori hanno avanzato l’ipotesi che egli fosse di stirpe egizia. Altri, prendendo spunto dal nome Claudio eminentemente romano, hanno suggerito che egli fosse di discendenza latina, pur essendo assorbito nell'ambiente ellenico. In genere è ritenuto di discendenza greca. Circa la località di nascita, si concorda sull’Egitto. Uno dei pochi elementi certi su di lui è che la sua attività scientifica si svolse ad Alessandria. La prima osservazione astronomica a lui attribuita è dell’anno 127, l’ultima, dell’anno 141.
In tutte le trattazioni riguardanti la figura di questo grande scienziato non viene mai tralasciato di esporre l’argomento delle violente discussioni suscitate da alcune circostanze associate alla sua attività scientifica. Si è arrivati al punto di levare contro di lui accuse veramente gravi che hanno messo in dubbio l’onorabilità del suo senso etico.
                                                                                                                                  Fig. 46 - Claudio Tolomeo

L’autore di queste note non è assolutamente in grado di apportare alcunché di nuovo a quanto è stato detto finora su Tolomeo. Per quanto riguarda questo sentimento di avversione, suggerisce di cercarne i motivi anche nella possibilità che la comunità scientifica positivista dei secoli XVIII e XIX abbia individuato in Tolomeo il capro espiatorio contro il quale dirigere il proprio risentimento per il cammino erroneo percorso dalla scienza astronomica per più di milleduecento anni. Questo risentimento, non potendo dirigersi verso un obbiettivo troppo appariscente e difficile come la Chiesa, che sostenne Tolomeo per tutto quel tempo (ma che non poteva non sostenerlo, visto che la totalità della scienza astronomica riconosceva la validità sostanziale della di lui dottrina - le tabelle astronomiche prodotte in Europa e presso gli Arabi si rifacevano rigorosamente alla teoria planetaria tolemaica), si volse contro di lui.

Siccome poi in queste note non verrà trattata la figura di Galileo, si ricorda al lettore che, poiché la stragrande maggioranza delle persone tende ad assumere, nella vicenda della condanna di Galileo da parte della Chiesa, l'atteggiamento sbrigativo che si concretizza nell’attribuire alla sola Chiesa la responsabilità della condanna, per una istituzione quale la Chiesa cattolica del 1600 sarebbe stato molto difficile non condannare Galileo, dal momento che moltissimi scienziati del tempo presero posizione contro di lui e quei pochissimi che avrebbero potuto sostenerlo pubblicamente rimasero silenziosi. Durante la fase del processo nessun membro della comunità scientifica fece sentire la sua voce a favore di Galileo (l'unico che si levò a difenderlo fu un uomo di Chiesa, Tommaso Campanella, che, nell'anno del primo processo di Galileo, dalla prigione di Castel dell'Ovo in cui era rinchiuso, gli inviò, la famosa Apologia pro Galileo).

Tralasciamo altre considerazioni più o meno ipotetiche sulla vita di Tolomeo e passiamo subito a trattare della sua opera fondamentale, l ‘ Almagesto. Come è noto, il titolo originalmente dato da Tolomeo all’opera fu Sintassi matematica. I primi commentatori greci modificarono il titolo in La più grande sintassi matematica. Quando ne vennero in possesso, gli Arabi apparentemente tradussero soltanto le prime parole del titolo, per cui esso divenne per loro al-majisti, e finalmente, con la traduzione in latino dall’arabo (nel 1175 circa, ad opera di Gherardo da Cremona) il titolo divenne Almagesto. L’opera rimase il fondamentale canone astronomico adottato in tutto il mondo fino a più di un secolo dopo la pubblicazione (1543) del De Revolutionibus di Copernico.

Si compone di tredici libri. Con essa Tolomeo si proponeva, secondo le sue stesse parole, sia utilizzando le conoscenze che gli erano state trasmesse dai suoi grandi predecessori, sia apportandovi i propri contributi, di fornire un compendio di nozioni astronomiche atte a spiegare il sistema cosmologico in tutte le sue espressioni. In definitiva, si trattava, a partire dai modelli matematici degli epicicli e degli eccentri, di produrre, quale risultato finale, una procedura matematica predittiva delle posizioni di ciascun pianeta.
Tralasciamo anche di dare notizie riguardanti i vari argomenti astronomici affrontati da Tolomeo, quando questi argomenti riguardano cognizioni a lui trasmesse dai suoi predecessori. Accenniamo alla sua introduzione di una funzione trigonometrica (che indicheremo con corda) e che è in relazione con la funzione seno secondo sen(a) = (corda(2a)/120). Ottenne di produrre una tabella di valori di questa funzione corda, con passo di ½ grado.

Tolomeo dice di aver confrontato osservazioni di equinozi di Metone del 432 a.C. e di Ipparco, con le proprie, e di aver trovato per la durata dell’anno lo stesso valore calcolato da Ipparco, cioè 1/300 di giorno meno di 365 giorni e un quarto. Il suo modello di teoria solare che non si discosta da quello dei predecessori, cioè con centro del cerchio del Sole eccentrico rispetto al centro della Terra.
Gli ultimi cinque libri sono dedicati alla teoria dei pianeti, basata sulla teoria degli epicicli, ma alla quale egli apporta il suo miglior contributo di tutta l’opera. Le grandi innovazioni apportate da Tolomeo alla teoria degli epicicli consistono (1) nell’essersi allontanato dalle severe imposizioni aristoteliche sulla uniformità dei moti, per aver introdotto il concetto di moto non uniforme del centro dell'epiciclo sul deferente e quindi del pianeta sull'epiciclo e (2) nell’aver introdotto il punto equante, unico punto (situato sul prolungamento della congiungente centro del deferente-centro della Terra, dalla parte opposta di questa) rispetto al quale il moto sul deferente appariva uniforme.



COSMOLOGIA BIDIMENSIONALE TOLEMAICA
Le figure 47 e 48 danno una rappreentazione iniziale del sitema cosmologico di Tolomeo, inteso soltanto in termini di deferenti ed epicicli. In seguito vedremo che, aderendo egli alle concezioni fondamentali sulle sfere solide, la sua cosmologia era sostanzialmente tridimensionale.
Nelle figure 47 e 48 è illustrato uno dei principi cosmologici propri della teoria tolemaica: nell'univerøo non si devono avere spazi vuoti, o meglio, spazi inutilizzati: ogni epiciclo deve essere tangente all'epiciclo successivo (le due figure, comunque, presentano l'imperfezione di non mostrare l'eccentricità dei cerchi deferenti).
La figura 47 mostra il sistema dei pianeti superiori (Marte, Giove e Saturno) e la sfera delle stelle fisse. Il collegamento dei pianeti con il Sole è indicato dal fatto che i raggi dei tre pianeti si mantengono sempre paralleli al raggio Terra-Sole, come avevamo visto con Apollonio. Nel primo cerchio che circonda la Terra, T, è ospitato il sistema dei pianeti interni della figura 48.

Nella figura 48 è mostrato appunto il sistema interno (Sole, Venere, Mercurio e Luna). Il sistema-Luna verrà illustrato con qualche dettaglio in un paragrafo successivo. Qui il collegamento del Sole con i pianeti interni è dato dal fatto che i centri degli epicicli di Mercurio e Venere si trovano sempre sulla congiungente Terra-Sole medio (i pianeti interni accompagnavano sempre il Sole).



L'APPORTO FONDAMENTALE DI TOLOMEO
Per poter dare al lettore un minimo di informazione sul progresso fondamentale apportato da Tolomeo all'astronomia antica, dobbiamo riprendere la figura 39, che mostrava i loop regolari di Marte prodotti dalla teoria epiciclica di Apollonio (loop di eguale ampiezza ed egualmente spaziati nel tempo, e quindi sullo zodiaco). Secondo Tolomeo, Ipparco aveva dato notevoli contribti alle teorie di Sole e Luna. Tolomeo dice che Ipparco, per i pianeti non diede una teoria, ma si limitò a riordinare le osservazioni precedenti e a mettere in evidenza il fatto che i risultati delle osservazioni non erano congruenti con le ipotesi dei matematici. In particolare, Ipparco faceva notare che le retrogradazioni effettivamente osservate presentavano irregolarità, sia in ampiezza, che in spaziatura lungo lo zodiaco . Quest’ultima irregolarità doveva essere ben difficilmente sfuggita perfino ai predecessori di Apollonio, perchè era chiaramente deducibile dal verificarsi delle retrogradazioni a differenti intervalli di tempo e addirittura con spostamenti di un intero segno rispetto alle posizioni previste. Ripetiamo dunque qui accanto la figura 39 dei loop regolari di Apollonio.


La figura 49(a) rappresenta invece (con una certa approssimazione) una ricostruzione moderna delle retrogradazioni di Marte così come si verificarono effettivamente a partire dall’anno 109, fino all’anno 122. La irregolarità delle retrogradazioni è immediatamente percepibile, sia per l'ampiezza che per la loro spaziatura nel tempo e nello spazio. Ora, è lecito affermare che uno schema più o meno simile a quello della figura 49(a) fosse disponibile a Tolomeo (e anche ad alcuni suoi predecessori) perché la questione delle retrogradazioni dei pianeti era stata, da almeno trecento anni prima di Tolomeo, ampiamente dibattuta nella comunità scientifico-astronomica della Scuola alessandrina, e quindi le osservazioni sulle retrogradazioni dei pianeti dovevano essere state numerose. Se il lettore volesse provare a ricopiare su un foglietto di plastica trasparente i loop regolari della teoria di Apollonio di figura 39, potrebbe subito constatare che, sovrapponendo il foglietto di plastica alla figura 49(a) in modo che i due quadrati coincidano (e coincidano anche i due punti T, rappresentativi del centro della Terra), i loop regolari càpitano praticamente tutti fuori dei settori effettivi. Ma constaterebbe anche che spostando leggermente il foglietto di plastica di poco verso l’alto e verso sinistra, si trova subito una posizione per la quale tutti i loop regolari càpitano all’interno dei settori effettivi, così come si vede nella figura 49(b), in cui il centro dei loop regolari è indicato con C1. Naturalmente il lettore noterà altrettanto facilmente che alla coincidenza nella spaziatura tra loop e settori fa riscontro una discordanza tra la larghezza dei loop e l’ampiezza degli archi effettivi, ma non di tutti. Il lettore poi potrebbe constatare che spostando invece il foglietto di plastica verso il basso e verso destra (cioè in direzione opposta rispetto a prima) , si può pervenire a una situazione in cui soltanto i due loop relativi agli anni 109 e 118 presentano una buona coincidenza , sia per le ampiezze che per la coincidenza tra loop e settori: è quello che si vede nella figura 49(c), in cui il centro dei loop regolari è indicato questa volta con C2. Il lettore noterà infine che il segmento TC2, più o meno opposto a TC1, è di lunghezza leggermente inferiore a TC1.

A questo punto, nella nostra ipotetica ricostruzione di quale possa essere stato il procedimento attraverso il quale Tolomeo pervenne all'introduzione dell’equante (né nell'Almagesto né altrove si ha la minima indicazione su ciò), proseguiremo basandoci soltanto sugli elementi che presumibilmente potevano essere a disposizione di Tolomeo.
E’ presumibile che egli abbia avuto a disposizione, come detto sopra, una registrazione schematica degli archi di retrogradazione verificatisi secondo le osservazioni di un certo numero di anni. Naturalmente, non siamo in grado di stabilire quanto questo dato si avvicinasse a quello rappresentato nella figura 49(a) .
E’ presumibile che, partendo dal fatto che il centro del deferente di ogni pianeta era comunque da collocare fuori del centro della Terra (come era divenuto di dominio comune nella comunità astronomica fin dai tempi di Ipparco), ciò abbia indotto Tolomeo a prendere in considerazione le nozioni di apogeo e di perigeo del deferente, e quindi alla necessità di calcolare l’orientazione della linea degli apsidi per ogni pianeta (longitudine dell’apogeo del deferente).
Poiché l’orientamento della linea degli apsidi calcolata avveniva (all’incirca) secondo la direzione individuata dai loop degli anni 109 e 118, è lecito attendersi che Tolomeo abbia avuto a disposizione elementi sufficienti per adottare la soluzione indicata dalla figura 49(b).
Come conseguenza di quanto accertato sopra, è pure lecito attendersi che Tolomeo abbia calcolato le due distanze T-C1 e T-C2, e che abbia correttamente trovato T-C1 maggiore di T-C2.
Finalmente, poiché la scelta di C1 come unico punto centrale del deferente, poteva apparire troppo sbilanciata a favore della figura 49(b), può ragionevolmente essere parso conveniente a Tolomeo adottare la soluzione di “sdoppiare la centralità”, lasciando in C1 il punto rispetto al quale si realizzava l’uniformità del moto (facendolo diventare quindi il punto equante E) e prendendo il centro del deferente, C, a mezza via tra C1 e C2.

La figura 50 mostra come avviene la connessione tra moto del pianeta superiore e moto del Sole medio, secondo la teoria di Tolomeo. Si vede chiaramente la derivazione dall'impostazione di Apollonio, tranne che per l'introduzione dell'equante. Il Sole medio circola con moto uniforme sul suo cerchio centrato nel centro della Terra T (qui non è preso in considerazione il fatto che, secondo la teoria solare di Ipparco, che Tolomeo aveva adottato, il centro del cerchio percorso dal Sole medio doveva essere posto fuori del centro della Terra). Il punto K, percorre il cerchio centrato in C, con moto non uniforme (rallenta nell’intorno dell’apogeo del deferente A e accelera nell’intorno del perigeo p) in modo che il moto appaia uniforme soltanto se visto dal punto E (ed ecco la ragione della denominazione di punto equante). Il moto di K lungo il suo cerchio deferente avviene nel periodo tropico proprio del pianeta (687 giorni per Marte).

La connessione tra pianeta e Sole medio è data dal fatto che il raggio dell’epiciclo KP si mantiene sempre parallelo al raggio T-Sm. L’angolo lA è l’angolo di longitudine dell’apogeo del deferente (uno dei parametri della teoria) che richiede appunto che sia misurato rispetto alla visuale condotta dall’equante al punto ^, in modo che la sua variazione sia uniforme, come richiesto dalla stessa teoria. L’angolo mm è l’anomalia epiciclica media, altro parametro della teoria, ach'esso con variazione uniforme. Infine, l'angolo lm è la longitudine planetaria media.

La figura 51 mostra invece come avviene la connessione tra il moto di un pianeta inferiore e il moto del Sole medio. Quest’ultimo percorre il suo cerchio (anche qui centrato in T, centro della Terra, per semplificare). Il pianeta interno, P, percorre il suo epiciclo centrato in K, che si muove di moto non uniforme sul deferente. Anche qui il moto di K dev’essere tale da apparire uniforme soltanto dal punto equante E. Qui la connessione tra moto del pianeta e moto del Sole medio è data dal fatto che la EK si deve mantenere sempre parallela al raggio TSm. Il pianeta percorre il suo epiciclo in un periodo tropico (che per i pianeti interni da parte dei Greci era semplicemente considerato di un anno).



CONCLUSIONI SULLA TEORIA TOLEMAICA
Diamo ora i parametri della teoria planetaria tolemaica e, di seguito, una superficiale descrizione della procedura per ricavarli.
Spostamento medio in longitudine - Il rateo giornaliero con cui la longitudine del centro del deferente varia (variazione giornaliera di lm).
Spostamento medio angolare del pianeta - Il rateo giornaliero di variazione dell’anomalia epiciclica mm.
Longitudine media dell’apogeo del deferente, lA
Eccentricità del deferente - Data dal rapporto TC/R, oppure da EC/R, dove R è il raggio del deferente.
Longitudine epocale dell’apogeo - Valore della longitudine dell’apogeo del deferente a una certa data, opportunamente scelta.(Osserviamo che questa prassi di assumere valori epocali per la costruzione di teorie astronomiche, prassi risalente ai predecessori di Tolomeo, addirittura ai Babiloesi, è usata a tutt'oggi).
Valore iniziale dell’anomalia epiciclica - Alla data di cui al punto precedente.
Raggio dell’epiciclo del pianeta - In effetti, ciò che interessava per la teoria planetaria era il rapporto r/R.

I primi due parametri venivano calcolati contando il numero di giorni che intercorrevano tra due opposizioni che avvenissero quanto più possibile nella stessa posizione di cielo. In questo modo si poteva essere sicuri che tanto il punto K quanto il pianeta avevano percorso, il primo sul proprio deferente, il secondo sul proprio epiciclo, entrambi un numero intero di cicli.
La longitudine dell’apogeo del deferente veniva calcolata prendendo in esame gli archi di retrogradazione che erano a disposizione per ogni pianeta e per un certo intervallo di tempo. Riferiamoci sempre alla figura 49(a), nella supposizione che per quegli anni uno schema più o meno simile fosse a disposizione di Tolomeo. Da una tale figura si vede che i detti archi tendono ad avere una ampiezza maggiore ed ad avere una spaziatura più regolare intorno ai segno zodiacali del Leone e della Vergine. Con procedimenti geometrici nemmeno troppo complicati, si perveniva alla determinazione di un valore abbastanza preciso di longitudine dell'apogeo del deferente.

Per quanto riguarda la eccentricità del deferente, la procedura era anch’essa abbastanza semplice. Si cominciava con lo scegliere una opposizione che fosse avvenuta quanto più possibile vicina alla linea degli apsidi, e un’altra opposizione che fosse avvenuta da sessanta a novanta gradi dalla prima. Quindi si costruiva uno schema geometrico del tipo di quello della figura 52, (l'angolo di 80º rappresentava la differenza di longitudine tra le due opposizioni). Nella stessa figura le due distanze EC = TC venivano stabilite di lunghezza aritraria. Il secondo angolo, qui indicato con 92º, era dato dall'ammontare di cui era variato in longitudine il centro dell'epiciclo K tra le due opposizioni (si moltiplicava il numero di giorni intercorsi per la variazione giornaliera in longitudine). Così si otteneva il punto K. Infine, misurando per mezzo di un regolo la distanza CK (evidentemente secondo la scala con cui erano state tracciate inizialmente le due distaze uguali CE e CT, si otteneva l'eccentricità e come rapporto tra CT e CK.

Anche i due valori epocali per la longitudine dell’apogeo del deferente e per l’anomalia epiciclica venivano stabiliti tramite una costruzione geometrica abbastanza semplice. Il calcolo veniva eseguito, per entrambi i parametri, in due fasi. Dapprima si stabilivano i valori dei due parametri alla data di una specifica opposizione. Poi, utilizzando le variazioni giornaliere dei due parametri, si apportavano le due correzioni angolari in modo da risalire alla data scelta come epocale.

L’ultimo parametro della teoria tolemaica era il raggio dell’epiciclo, da determinare prendendo come unitario il raggio del deferente. Si trattava anche in questo caso di una costruzione geometrica appena più complessa delle precedenti ma come le altre perfettamente accessibile.



LA TEORIA LUNARE DI TOLOMEO
La teoria lunare sviluppata da Tolomeo era molto accurata per ciò che riguardava la previsione delle posizioni. La Luna circolava su un epiciclo il cui centro, K circolava su un deferente, il centro del quale, a sua volta, circolava su un cerchio avente centro nel centro della Terra (eccentrico mobile). La linea gli apsidi dell'epiciclo lunare passava per un punto M che, rispetto al centro della Terra T, si trovava alla stessa distanza del centro C da T. Ma il modello lunare di Tolomeo, costituito come si vede di un deferente, di un epiciclo e di una specie di meccanismo a manovella, aveva il difetto di presentare una grande variazione tra le distanze minima e massima della Luna dalla Terra ad ogni lunazione (praticamente raddoppiava), totalmente in contrasto con la variazione delle dimensioni del diametro apparente lunare. Questo difetto, peraltro, non pregiudicava l’accuratezza delle previsioni delle posizioni.



LA CONCEZIONE COSMOLOGICA DI TOLOMEO
L’Almagesto contiene soltanto pochi cenni sulla visione cosmologica tolemaica. L’opera di Tolomeo espressamente a ciò dedicata ha per titolo Ipotesi planetarie. L’opera è composta di due libri. Soltanto la prima parte del primo libro è disponibile nella versione greca mentre l’opera completa è disponibile soltanto in una versione araba medioevale.
Nel pensiero cosmologico di Tolomeo si hanno due assiomi. Il primo consiste nel concetto di “sfere celesti solide portanti i pianeti”. Ciascun deferente e ciascun epiciclo si materializza in un “circolo equatoriale” di una sfera celeste solida (invisibile agli uomini, costituita del quinto elemento, l’etere cristallino). Il pianeta, trovandosi fissato in un punto qualsiasi del circolo equatoriale di una certa sfera (di un certo epiciclo o di un certo deferente) riceve il movimento dal movimento della sfera stessa. Si tratta, evidentemente, delle antiche enunciazioni sulle sfere materiali di Eudosso, consacrate da Aristotele, che erano rimaste a uno stato latente per circa mezzo millennio (dal momento che la preoccupazione principale degli astronomi-matematici era stata quella della produzione di costruzioni geometriche bidimensionali), e che Tolomeo riprende come a voler dare l'assicurazione che la sua opera si colloca nel solco della tradizione. Il fatto che manchi totalmente un minimo tentativo per spiegare le cause che potevano produrre tutti quei movimenti, potrebbe essere spiegato ammettendo che Tolomeo lasciasse l'onere di una tale spiegazione alle generazioni future.

La seconda concezione cosmologica riguarda il fatto che nel cosmo non si ha spazio vuoto (più propriamente, spazio non utilizzato). Le due sfere che realizzano il meccanismo di un certo deferente-epiciclo occuperanno un volume risultante dal prendere in considerazione l’eccentricità del deferente e il raggio dell’epiciclo. E quindi si avrà una sequenza di meccanismi annidati l’uno nell’altro, secondo la successione standard dei corpi celesti, a partire dalla Terra, senza spazi inutilizzati tra un sistema di sfere e i due adiacenti. (Vedremo che questo assioma dello spazio non utilizzato avrà una eccezione, forse non espressamente voluta da Tolomeo, ma probabilmente dovuto a imperfezioni nei calcoli delle distanze). Si potrebbe dire in conclusione che la cosmologia di Tolomeo operi una sintesi delle sfere solide di Eudosso-Aristotele con le costruzioni geometriche degli epicicli e deferenti.

La figura 54 mostra il sistema tridimensionale di sfere concentriche di materiale etereo necessarie nel sistema tolemaico per spiegare il moto del Sole. L’illustrazione della figura 54 è tratta da Theoricae novae planetarum di G. Peurbach e rappresenta, secondo l’interpretazione del Peurbach, il sistema cosmologico tolemaico tridimensionale di sfere annidate l’una nell’altra riservato per il Sole. Esso orbita in seguito alla rotazione della sfera D, centrata in A. Le altre due sfere, C ed E, nere, sono sfere spaziatrici. La C svolge la funzione di separare la sfera del Sole dal ricettacolo (bianco) interno destinato ad accogliere i sistemi interni. La E separa invece la sfera del Sole dal ricettacolo (esterno bianco) destinato ad accogliere il sistema di Marte. Lo spazio bianco più interno è dunque dedicato ai sistemi di Venere, di Mercurio e della Luna.

La figura 55 mostra invece il sistema tridimensionale di sfere eteree dedicate a Sole e Venere. Anche questa illustrazione è tratta dallo stesso libro del Peurbach. Le tre sfere esterne marcate A (nera, bianca, nera) sono quelle riservate al Sole e sono simili a quelle della figura 54 (il Sole circola all'interno della sfera bianca). All’interno si hanno le tre sfere eteree, marcate B, (nera, bianca, nera,) riservate per Venere. L’epiciclo di Venere è visibile nella sfera bianca marcata B. (l’epiciclo di Venere è esso stesso una sfera di materiale etereo come le altre). Tra le tre sfere del Sole e le tre di Venere c'è una sottile sfera (bianca) di separazione). Lo spazio bianco più interno è dedicato ad accogliere i sistemi di Mercurio e della Luna. I punti D, C, e H sono rispettivamente il centro della Terra (unicamente centro dello spazio bianco più interno), il centro delle superfici interna ed esterna della sfera di Venere (centro del deferente di Venere) e H è il punto equante di Venere.

La figura 56 mostra, in scala, gli spessori delle sfere assegnati ad ogni pianeta da Tolomeo. La scala del disegno varia di un fattore di 15 nel passare dalla parte A della figura alla parte B. Vale a dire che se la parte A viene compressa di un fattore 15, allora può essere ospitata entro lo spazio compreso tra la Terra e il Sole (della parte B). Per la distanza della Luna egli ottenne, modificando il metodo di Aristarco, la misura di 59 raggi terrestri, che rappresenta un eccellente risultato. La distanza del Sole invece era grossolanamente erronea a causa del valore molto impreciso di parallasse solare usato da Tolomeo. Praticamente il valore di distanza dal Sole trovato da Tolomeo è di poco migliore di quello di Aristarco.


Dunque, nell'Almagesto la teoria planetaria di Tolomeo è elaborata in termini di circoli, epicicle e deferenti (quindi secondo una geometria bidimensionale), ma da Ipotesi planetarie è chiaro che Tolomeo riteneva necessario tutto il sistema tridimensionale di sfere cristalline, rifacendosi alle originarie concezioni di sfere materiali di Eudosso-Aristotele.

Per spiegare il movimento giornaliero di tutto il cosmo, Tolomeo circonda la sfera delle stelle fisse con una sfera eterea (quella che verrà in seguito detta primo mobile). Questa sfera esterna ruota attorno a un asse Pn-Ps. La sfera delle stelle fisse è imperniata su questa sfera eterea esterna nei poli di eclittica pn-ps. La Terra si trova al centro del diagramma, nel punto di intersezione dei due assi. Quindi, il movimento giornaliero da est a ovest della sfera eterea esterna viene comunicato alla sfera delle stelle fisse. Quest'ultima poi è dotata del moto di precessione verso est attorno ai poli dell'eclittica. Internamente alla sfera delle stelle fisse c'è una seconda sfera eterea che è dotata di moto esattamente eguale e contrario a quello verso est della sfera delle stelle fisse, per cui questa seconda sfera eterea viene ad essere stazionaria rispetto alla sfera eterea esterna, e quindi dotata del suo stesso moto diurno. Il sistema di Saturno viene ospitato all'interno della superficie interna di questa seconda sfera eterea. E' così dunque che quest'ultima trasmette al sistema di Saturno il moto giornaliero verso ovest.



UNA DELLE (TANTE) CONTROVERSIE SU TOLOMEO
Una delle dispute più notevoli su Tolomeo riguarda il catalogo stellare contenuto nell’ Almagesto. Fu lui a compilare il catalogo, in base a sue osservazioni, o non fece altro che copiare il catalogo precedentemente compilato da Ipparco quasi trecento anni prima?
Nel XIX secolo tra gli storici dell’ellenismo fu in auge una tesi nella quale era sostenuto che le più note figure del pensiero filosofico e scientifico greco non avevano fatto altro che elaborare concetti che erano stati enunciati da precursori dei quali non erano fin da allora più disponibili gli scritti originali, o perché non erano nemmeno stati lasciati, o perché erano andati perduti.
Questa tesi venne applicata in maniera veramente accanita nei confronti di Tolomeo. Si riteneva che il vero genio dell’astronomia greca fosse stato Ipparco (del quale si sapeva pochissimo, e quel poco dovuto a Tolomeo, suggerendo implicitamente che quest’ultimo poteva aver eseguito una azione di filtraggio sulle notizie riguardanti Ipparco, in modo da sminuirne il valore, a tutto vantaggio suo). Tolomeo, invece, le opere del quale ci sono giunte quasi tutte, non avrebbe fatto altro che un lavoro di ricompilazione e di sintesi delle opere dei suoi predecessori, in particolare di Ipparco. Uno degli strumenti accusatori di questa tesi era il catalogo stellare dell’ Almagesto.

L'argomentazione accusatoria poggiava su un errore sistematico di circa un grado nelle longitudini delle stelle del catalogo. Ipparco aveva osservato intorno all’anno 130 a.C. mentre Tolomeo osservò intorno all’anno 137 d.C. Abbiamo visto che Tolomeo dice di aver trovato per la precessione il valore di 1º per secolo, e quindi di 36” all’anno. Quindi, per lui le longitudini delle stelle dall’epoca di Ipparco erano aumentate di 266•36 = 2º 40’. Invece noi sappiamo che la precessione annua ha il valore di 50”, per cui la variazione in 266 anni fu effettivamente di 266•50 = 3º 42’. Allora, si faceva questo ragionamento: questo errore sistematico di 1º di cui sono affette tutte le longitudini del catalogo è spiegabile con il fatto che Tolomeo, che (1) disponeva del catalogo di Ipparco e (2) attribuiva alla precessione annua il valore di 36”, per compilare il proprio catalogo non fece altro che aggiungere 2º 40’ alle longitudini di tutte le stelle del catalogo di Ipparco, producendo quindi valori erronei di circa 1º. Evidentemente il ragionamento avrebbe ricevuto una forte credibilità se il catalogo di Ipparco fosse stato disponibile. Comunque, dopo estenuanti indagini dei massimi specialisti, alla fine del secolo l’opinione della copiatura del catalogo si consolidò abbastanza saldamente.

Nel 1901 Franz Boll, tramite un manoscritto del 1400 da poco scoperto, intitolato Dalle stelle di Ipparco, stabilì che il catalogo compilato da Ipparco doveva essere stato costituito al massimo da 850 stelle. Il manoscritto non elencava le stelle individualmente ma ne dava il numero per costellazione: “L’Orsa maggiore 24 stelle, l’Orsa minore 7 stelle, il Drago tra le Orse 15, ecc.”. Questo incominciava a sollevare dei dubbi sull’ipotesi della copiatura perché si aveva un primo reperto scritto che stabiliva che, anche se aveva copiato, Tolomeo aveva aggiunto di suo almeno 175 stelle.
Negli anni 1917 - 1918, il famoso storico dell’astronomia J.L.E. Dreyer pubblicò due articoli sulla possibile origine dell’errore sistematico di 1º . Dreyer argomentò che la causa più notevole di errore poteva essere un difetto della teoria solare di Tolomeo che portava a un errore di 1º circa nella longitudine del Sole per l’anno 137. Questo errore era dovuto a un calcolo erroneo che Tolomeo aveva commesso sull’equinozio dell’anno 132, l’anno scelto da Tolomeo per stabilire la longitudine epocale media del Sole. Ricordiamo che Tolomeo eseguiva le misure di longitudine di una stella sommando alla longitudine del Sole (calcolata tramite la teoria solare) diverse misure di differenze di longitudine. Se la longitudine del Sole era affetta da un errore, questo si ripercuoteva sistematicamente a tutte le stelle. Dreyer concluse che, poiché l’errore di calcolo di Tolomeo per l’equinozio dell’anno 132 era sicuramente avvenuto, non c’era ragione di dubitare dell’affermazione di Tolomeo di avere eseguito personalmente le osservazioni che avevano portato alla compilazione del suo catalogo.
Un ulteriore apporto alla riabilitazione di Tolomeo venne da un articolo pubblicato nel 1925 da H. Vogt. Malgrado il catalogo di Ipparco non ci sia pervenuto, oggi possediamo diverse centinaia di dati relativi a osservazioni di coordinate di stelle eseguite da Ipparco dall’unica sua opera esistente il Commentario su I Fenomeni di Arato ed Eudosso. Le coordinate contenute non sono per la maggior parte longitudini effettive di stelle ma longitudini di punti di eclittica che sorgono, tramontano o culminano assieme a certe stelle (secondo il complicato modo di indicare le longitudini di Ipparco). Dopo gli accurati calcoli di conversione, la conclusione definitiva di Vogt fu che Tolomeo non aveva plagiato i dati di Ipparco, ma aveva eseguito sue osservazioni.

Sembrava che la faccenda fosse stata definitivamente risolta quando nuove accuse contro Tolomeo vennero levate da R. Newton, un geofisico che stava conducendo studi sulle conseguenze delle accelerazioni gravitazionali tra la Terra e la Luna. (A causa di queste, si ha (1) un progressivo aumento del raggio medio dell’orbita lunare , (2) un progressivo allungamento della durata del giorno e (3) un progressivo allungamento della durata del mese lunare). Nel corso dei suoi studi Newton volle fare uso di antiche osservazioni di Luna, specialmente quelle contenute nell’Almagesto. Studiando quei dati Newton si convinse sempre più che le coordinate riportate nel catalogo erano state copiate da quelle del catalogo di Ipparco, aumentandole di 2º 40’ per la variazione della precessione. Il ragionamento di Newton aveva certamente una solida base. Egli fece uno studio statistico dei valori delle frazioni di grado delle longitudini e latitudini del catalogo di Tolomeo. Per le latitudini le frazioni di grado più frequenti erano 0 e ½ che corrispondevano a 0’ e a 30’. E questo era ciò che ci si poteva aspettare immaginando che Tolomeo avesse osservato le latitudini con una sfera armillare con cerchio graduato a gradi interi o a mezzi gradi. Ma per le longitudini le cose si complicavano grandemente perché, di tutte le possibili frazioni (0, 1/6, 1/3, ½, 2/3, 5/6, cioè, in primi: 0’, 10’, 20’, 30’, 40’, 50’), la più frequente, anziché essere 0’ o 30’ come per le latitudini (come sarebbe stato logico attendersi, perché anche il cerchio armillare delle longitudini doveva essere graduato a gradi interi o a mezzi gradi) era 40’. Newton si chiese perché proprio 40’ e concluse affermando che la ragione era dovuta al fatto che mentre i valori di Ipparco avevano frazioni di grado logicamente con frequenza maggiore a 0’, Tolomeo aveva aggiunto ai valori di Ipparco 2º 40’.

L’accusa di Newtono riuscì a convincere un certo numero di storici. Un’altra argomentazione contro Tolomeo venne sollevata da D. Rawlins. Egli notò che la più meridionale delle stelle del catalogo di Tolomeo aveva un’altezza meridiana di circa 6º ad Alessandria, e si chiese come mai Tolomeo non aveva osservato stelle di altezza inferiore. Egli notò anche che la stessa stella, a Rodi (località di osservazione di Ipparco, circa 5º a nord di Alessandria) aveva una altezza meridiana di 1º. Ciò indusse Rawlins a sostenere che se il catalogo di Tolomeo non elencava stelle con altezza meridiana inferiore ai 6º voleva dire che il catalogo stesso non era opera di Tolomeo.
In questa accanita disputa non mancarono naturalmente coloro che andarono alla ricerca di argomenti a favore di Tolomeo. Tra questi si distinse quello nel quale la spiegazione della maggiore frequenza della frazione di 40’ andava ricercata nella longitudine delle (poche) stelle campione per le quali Tolomeo aveva effettivamente eseguito misure di longitudine. Ricordiamo che Tolomeo eseguì misure di longitudine solo di un numero limitato di stelle (stelle campione), utilizzando sfere armillari, secondo la procedura di cui fu ritenuto l’ideatore (longitudine di una stella = longitudine Sole + differenza longitudine Luna-Sole (di giorno) + differenza longitudine stella-Luna (di notte) + correzioni per moto della Luna dal giorno alla notte). Per più del migliaio di altre stelle del catalogo, la longitudine venne calcolata sommando alla longitudine delle stelle-campione la differenza di longitudine tra la stella in esame e la stella campione. Ora, secondo quanto dice Tolomeo le longitudini delle stelle campione furono le seguenti: (1) Aldebaran 42º 40’, Regolo 122º 30’, Spica 176º 40’, Antares 222º 40’. Come si vede, ben tre su quattro hanno la parte frazionaria proprio di 40’. Questa considerazione apparve ai commentatori fortemente favorevole a Tolomeo. A suo favore giocò anche la perdita di valore che subì l’ipotesi plagiarista di Newton per il fatto che indagini eseguite su altri cataloghi stellari mostravano che, in tutti, certi valori di parti frazionarie si manifestavano con frequenze maggiori, ad indicare che nella compilazione degli stessi, un ruolo importante in queste parti frazionarie era giocato dalla data epocale scelta per la compilazione del catalogo per la determinazione della logitudine del Sole.

L’ultima argomentazione a favore di Tolomeo venne dai valori di grandezza (luminosità) che Tolomeo assegnò alle stelle osservate. E’ noto che la luminosità con cui ci appaiono le stelle è inversamente proporzionale all’altezza (una stessa stella ci appare meno luminosa quando è bassa sull’orizzonte di quando si trova ad altezza maggiore, a causa della quantità maggiore di aria attraverso cui deve passare la sua luce). A stelle osservate a Rodi (5º circa a nord di Alessandria) dovrebbe essere assegnata una luminosità minore di quella assegnata alle stesse stelle (alle stesse altezze) osservate ad Alessandria. Uno studio accurato delle grandezze stellari assegnate nel catalogo ha indicato che quei valori sono effettivamente congruenti con valori di luminosità riscontrabili ad Alessandria e non a Rodi.
Oggi quindi si ritiene definitivamente che il catalogo dell’Almagesto sia stato effettiva opera di Tolomeo, pur ammettendo, come del resto ammise lui stesso, che nella sua monumentale sintesi egli fece uso dei progressi ottenuti dai suoi predecessori.



ALTRE OPERE DI TOLOMEO
Oltre all'Almagesto e a Ipotesi planetarie:
Tetrabiblos - In quattro libri. Un compendio delle nozioni astrologiche del tempo.
Analemma - Descrizione di un orologio solare di sua invenzione.
Planisphaerium - Un trattato sulla proiezione della sfera celeste su una superficie piana.
Geographia - In otto libri. Un trattato su posizioni geografiche di tante località del mondo allora conosciuto, posizioni date in termini di latitudine e longitudine. Scarsa precisione nelle coordinate. L'opera apparve in Europa soltanto nel 1400 quando incominciarono le migrazioni di popolazioni bizantine che avvertivano l'avvicinarsi della caduta di Costantinopoli.
Ottica - In cinque libri. Opera pregevole secondo gli specialisti. Contiene anche la descrizione di esperimenti eseguiti dallo stesso Tolomeo.



PAPPO E TEONE
E' opinione abbastanza consolidata che la grandiosità dell'opera di Tolomeo sia stata gratificata da un'accoglienza così favorevole da aver prodotto anche la spiacevole conseguenza di spegnere in maniera pressochè totale qualsiasi spinta a ricercare altre vie di indagine sull'astronomia. Bisognerà attendere gli Arabi affinchè si abbia qualcosa che possa dirsi un progresso in astronomia. La tradizione astronomica alessandrina si mantenne fino al principio del secolo V (a un astronomo di Alessandria, Sosigene, fece ricorso Giulio Cesare per la sua riforma del calendario). In pratica, però, ci si limitò soltanto a continuare nel solco dei risultati che Tolomeo aveva ottenuto. Dei suoi esponenti citiamo soltanto Pappo e Teone.

Pappo di Alessadria visse circa dal 290 al 350. Queste date sono state stabilite solo recentemente perchè da alcune fonti (il Suida e Teone Alessandrino) erano venute notizie cotraddittorie. Anche le notizie che si hanno sulla sua vita sono scarsissime. Sappiamo che ebbe un figlio, Ermodoro, al quale dedicò due suoi libri. Ma un autore moderno ha stabilito l'intervallo (approssimativamente) corretto della sua vita basandosi su una eclisse di Sole che Pappo dice, nel suo commentario all' Almagesto, di aver osservato ad Alessandria .
L'opera maggiore matematica di Pappo fu Isagoge o Collezione matematica, una raccolta di scritti matematici provenienti da vari autori, accompagnati spesso da commenti, note esplicative, soluzioni alternative, in otto libri, alcuni dei quali ci sono pervenuti. L'opera sembra che sia stata il risultato di un collage su argomenti di matematica, astronomia e meccanica, eseguito da studenti che avevano assistito alle sue lezioni presso la Biblioteca. Il sesto degli otto libri della Collezione è dedicato all'astronomia. Pappo vi discute opere di Teodosio, Menelao, Aristarco, Euclide, Autolico. All'inizio del sesto libro c'è la famosa nota "Contiene le soluzioni di difficoltà incontrate nella Piccola astronomia". Questo richiamo diede luogo a una gran quantità di discussioni tra gli storici dell'astronomia perchè si ritenne di identificare questa "Piccola astronomia in una collezione di scritti su argomenti astronomici "minori" che oggi si tende a individuare nel famoso manoscritto Vaticanus graecus 204, attualmente conservato presso la Biblioteca Vaticana, e che è stato descritto in precedenza. Diciamo anche che la tradizione ha ritenuto di individuare la ragione del nome Piccola astronomia nel fatto che l'aggettivo di grande era riservato all'opera fondamentale di Tolomeo.

Alcune fonti ci dicono che l'altra opera maggiore di Pappo, il Commetario all'Almagesto si componeva di tredici libri. A noi sono perveuti solo i libri V e VI. Pappo scrisse anche un commentario sugli Elemeti di Euclide, mentre un altro commentario su un altro libro di Euclide I dati è stato a lui attribuito con scarsa sicurezza.

Si ritiene che Teone d'Alessandria sia vissuto dal 335 al 405 circa. E' probabile quindi che non fosse vivente al momento del tragico evento che colpì la figlia Ipazia. Fu astronomo e insegnante di matematica e astronomia in Alessandria. Dal Suida apprendiamo che era un membro del Mouseion (probabilmente uno degli ultimi). E' famoso per i suoi commentari sull'Almagesto, sulle Tavole astronomiche e su diverse opere di Euclide.
E' opinione dei commentatori moderni che la versione degli Elementi di Teone si distingua dalle precedenti per un certo sforzo che Teone pose in opera nel modificarne i passaggi più difficili in modo da renderli più accessibili ai suoi studenti. Queste modifiche hanno però suscitato le critiche degli storici moderni, per la sostituzione delle originali espressioni di Euclide.





Appendice




LA MISURA DEL TEMPO PRESSO I GRECI
Anzichè considerare il giorno composto di ventiquattro intervalli sempre eguali come si fa comunemente oggi, a partire dalla mezzanotte fino alla prossima, i Greci dell'antichità operavano una suddivisione più complessa. Suddividevano il dì, cioè l'intervallo dal sorgere al tramonto, in dodici ore stagionali, sempre diseguali da un giorno all'altro (essendo la loro durata variabile nel corso dell'anno), e suddividevano la notte pure in dodici ore stagionali, anch'esse di durata variabile nel corso dell'anno, ma sempre di durata diversa rispetto a quella del rispettivo dì. Nella Grecia antica, la frase "due ore dopo il tramonto" significava un intervallo di tempo di un sesto dell'intervallo tra il tramonto di quel giorno e il successivo sorgere. Soltanto nei giorni degli equinozi la durata delle ore diurne era uguale a quella delle ore notturne (e ovviamente la durata del dì eguagliava quella della notte).
Durante i giorni degli equinozi, le ore venivano dette ore equinoziali, perchè in quei giorni il Sole percorreva l ' equinoziale (cioè l'equatore celeste). L'ora equinoziale veniva usata come termine di paragone quando ci si voleva riferire a un'unità assoluta, di durata indipendente dalla stagione. Ad esempio, Gemino scriveva nel Introduzione ai fenomeni che ". . .in Grecia il giorno più lungo è di 15 ore equinoziali . . .". Infatti, alla latitudine media della Grecia il cerchio tropicale estivo si trova per 5/8 al di sopra dell'orizzonte, per cui la durata del dì al solstizio estivo, in ore equinoziali, è data da 24 • 5/8 = 15.

L'uso delle ore stagionali può sembrare una procedura alquanto bizzarra al lettore moderno. In effetti non è così. I Greci antichi (anche il popolo minuto) avevano una certa consuetudine con alcuni elementari concetti astronomici, che oggi si è inevitabilmente persa. Si pensi, ad esempio ai parapegmata in pietra sistemati in posizione opportuna in certi luoghi pubblici (lo vedremo in un prossimo paragrafo). Una gran parte del popolo minuto era costituita di contadini ed è perfettamente comprensibile che, provenendo dalla campagna e trovandosi a passare davanti a uno di quei parapegma di pietra, sostassero un momento per dare un'occhiata a quale epoca dell'anno si era giunti. Del resto, questa familiarità con nozioni astronomiche pratiche elementari si trovava anche presso altri popoli. Si può essere sicuri che la levata eliaca di Sirio veniva scrupolosamente osservata non solo dagli astronomi-sacerdoti egizi, ma anche dai comuni contadini.

Il sorgere delle sei costellazioni zodiacali durante la notte era poi un fenomeno astronomico che si prestava sufficientemente bene ad essere utilizzato per il computo del tempo secondo la procedura delle ore stagionali. Si tenga presente poi che a quell'epoca si aveva coincidenza tra costellazione zodiacale e segno zodiacale per cui, attribuendo ad ogni costellazione (approssimando) l'ampiezza di un segno, 30º, si veniva a disporre di un buon metodo pratico per misurare il tempo. Uno sguardo verso l'orizzonte orientale per vedere quale costellazione stesse sorgendo era sufficiente per poter dire, con una buona approssimazione, qual'era l'orario (purchè naturalmente si fosse a conoscenza (1) della forma delle principali costellazioni zodiacali e (2) del segno zodiacale nel quale si trovava il Sole in quell'epoca dell'anno. E queste erano nozioni familiari a una grossa percentuale di popolazione.

Se oggi volessimo esprimere l'ora della notte come facevano gli antichi Greci, potremmo utilizzare la seguente tabellina, che fornisce la posizione del Sole nei segni e nelle costellazioni zodiacali, nel corso dell'anno:


Posizione del Sole nel corso dell'anno
In questi giorniIl Sole si trova nel segno diE, grosso modo, nella costellazione di
21 marzo - 20 aprile Ariete Pesci
20 aprile - 21 maggio Toro Ariete
21 maggio - 22 giugnoGemelliToro
22 giugno - 23 luglioCancro Gemelli
23 luglio - 24 agostoLeone Cancro
24 agosto - 23 settembreVergineLeone
23 settembre - 24 ottobreBilanciaVergine
24 ottobre - 23 novembreScorpioneBilancia
23 novembre - 22 dicembreSagittarioScorpione
22 dicembre - 20 gennaioCapricornoSagittario
20 gennaio - 19 febbraioAcquarioCapricorno
19 febbraio - 21 marzoPesciAcquario



In base a quanto detto, supponiamo di voler esprimere oggi l'ora così come la esprimevano gli antichi Greci. Come esempio, supponiamo di essere al 25 di agosto e, guardando di notte verso l'orizzonte orientale, di vedere la costellazione del Toro completamente sorta, ma di non vedere ancora alcuna stella dei Gemelli in procinto di sorgere.
La tabellina di cui sopra ci dice che per la data in questione il Sole ha appena fatto il suo ingresso nella costellazione del Leone, per cui, quando questa costellazione sorgerà, sorgerà anche il Sole. Allora, affinchè si abbia il sorgere del Sole devono trascorrere:
  • due ore stagionali per dar modo di sorgere alla costellazione dei Gemelli.
  • due ore stagionali per dar modo di sorgere alla costellazione del Cancro
Dopo quattro ore stagionali, quindi, sorgendo la costellazione del Leone, sorgerà anche il Sole, per cui l'ora è quattro ore stagionali prima del sorgere.
Un antico greco che avesse voluto dire l'orario in quelle condizioni, avrebbe dovuto disporre dell'informazione calendariale come era in uso a quell'epoca. Per esempio, da un parapegma di pietra sarebbe venuto a conoscenza che l'epoca dell'anno corrispondente a quella dell'esempio era tale che il Sole aveva appena fatto il suo ingresso nel segno (e nella costellazione, perchè allora c'era concordanza) della Vergine. Per cui, vedendo all'orizzonte la costellazione del Toro appena sorta, ciò significava che da quel momento, affinche sorgesse il Sole, dovevano trascorrere:
  • due ore stagionali per il sorgere dei Gemelli
  • due ore stagionali per il sorgere del Cancro
  • due ore stagionali per il sorgere del Leone
cioè sei ore stagionali. Quindi l'ora per lui era sei ore stagionali prima del sorgere, cioè era mezzanotte.
Rimane sottinteso il fatto che per un Greco dell'epoca classica (un popolano qualsiasi) era una nozione ben acquisita il fatto che sei ore stagionali nel periodo estivo costituivano un intervallo di tempo ben più lungo di sei ore stagionali nel periodo invernale (ma la nozione dovrebbe essere chiara anche per il lettore se tiene presente anche quanto è stato detto sulla velocità ascensionale dei segni nel capitolo dedicato alla meccanica celeste).



L'EQUAZIONE DEL TEMPO
La nozione di equazione del tempo è strettamente associata alla variabilità del moto del Sole della quale, come sappiamo, i Greci si erano resi ben presto conto. Essi avevano chiaro che la variabilità del moto del Sole lungo l'eclittica comportava, oltre che una durata differente delle stagioni astronomiche, una durata variabile del giorno solare, inteso come intervallo di tempo che intercorreva tra due transiti del Sole vero al meridiano di una stessa località (la spiegazione moderna di questa irregolarità si rifà alle prime due leggi di Keplero, per le quali il Sole percorre l'eclittica con velocità variabile. Questa irregolarità si accentua ulteriormente a causa del fatto che nella durata del giorno solare dobbiamo considerare la proiezione di percorso giornaliero di eclittica sull'equatore celeste). I Greci avevano quindi introdotto il concetto di Sole medio quale astro fittizio da associare alle misure di intervallo di tempo medio perchè, come abbiamo visto, quando si trovavano nella necessità di dare l'intervallo di tempo trascorso tra due eventi astronomici, ricorrevano giustamente a un numero di giorni intesi di durata media, e quindi avevano introdotto il concetto di tempo locale medio. Invece, il tempo che faceva riferimento al Sole effettivo (quello che agiva sugli orologi solari) era quello che con dizione moderna viene chiamato tempo locale apparente. Allora avevano introdotto l'equazione del tempo che era la differenza, per un certo istante, tra il tempo locale apparente e il tempo locale medio. Quindi:
Equazione del tempo = tempo locale apparente (TLA) - tempo locale medio (TLM).

La tabella che segue (naturalmente intesa ad un uso odierno) mostra che l'equazione del tempo ha una doppia oscillazione sinusoidale annua (due massimi e due minimi):

Equazione del tempo     (TLA - TLM)
DataEquazione
(minuti)
DataEquazione
(minuti)
20 gennaio-1123 luglio-6
19 febbraio-1424 agosto-3
21 marzo-723 settembre+7
20 aprile+124 ottobre+16
21 maggio+423 novembre0
22 giugno-222 dicembre0


Supponiamo di disporre di un orologio solare, e di ricavare da questo, intorno ai primi di marzo, che l'ora solare (TLA) è 16h 30m. Vogliamo ricavare il tempo solare medio (TLM).
Abbiamo:    TLM = TLA - Equazione del tempo.
Per i primi di marzo, ricaviamo dalla tabella che l'equazione è -10m. Allora avremo:
TLM = 16h 30m - (-10m) = 16h 40m.

Quest'altro esempio farà capire meglio il concetto di equazione del tempo. Supponiamo di voler ricavare l'intervallo di tempo che intercorre tra il mezzodì del 20 aprile e il mezzodì del 24 ottobre di uno stesso anno (20 aprile = 110º giorno dell'anno, 24 ottobre = 297º giorno dell'anno).

Non possiamo dire che l'intervallo di tempo tra i due istanti è di 297 - 110 = 187 giorni perchè quelli sono 187 giorni di durate differenti. Dobbiamo far entrare in gioco l'equazione del tempo. Avremo:
20 aprile: equazione del tempo = + 1m
24 ottobre: equazione del tempo = +16m
TLM20 aprile = 12h - (+1m) = 11h 59m
TLM24 ottobre = 12h - (+16m) = 11h 44m
Intervallo TLM = da 11h 59m, 20 aprile a 11h 44m, 24 ottobre = 186d 23h 45m



IL CALENDARIO EGIZIO
Le note che seguono sono dedicate (in maniera superficiale) alle modalità che venivano usate anticamente per fare riferimento alle datazioni. Iniziamo con un cenno sul calendario egizio civile. Per la sua grande regolarità il calendario egizio cosiddetto civile venne adottato da Tolomeo come il più conveniente per scopi astronomici, e continuò ad essere usato da astronomi di tanti paesi fino all'inizio dei tempi moderni. Nel XVI secolo Copernico costruì le sue tabelle per i moti planetari non sulla base del calendario giuliano ma su quella del calendario civile egizio. Quando Copernico voleva calcolare il numero di giorni trascorso tra una osservazione di Tolomeo ed una propria, usava convertire la propria data giuliana in una data del calendario egizio civile. Abbiamo continuato ad usare la qualifica di civile per rimarcare il fatto che in Egitto, accanto a questo calendario, la cui istituzione si fa risalire ad almeno un paio di millenni prima dell'era cristiana, continuò ad essere usato, per specifiche finalità religiose, anche il primitivo calendario lunisolare.

Il calendario egizio civile, consisteva di un anno di dodici mesi, tutti di trenta giorni, con l'aggiunta di cinque giorni. La durata dell'anno calendariale era dunque sempre di 365 giorni, sempre senza anni bisestili né mesi intercalari. I nomi dei mesi erano: 1. Toth, 2. Phaophi, 3. Athyr, 4. Choiak, 5 Tybi, 6. Mecheir, 7. Phamenoth, 8. Pharmuthi, 9. Pachon, 10 Payni, 11. Epiphi, 12 Mesore. I nomi dati sopra sono una versione greca dei corrispondenti nomi egizi (i Greci del periodo ellenistico, che vivevano in Egitto, rendevano gli originali nomi egizi in una forma grecizzata, evidentemente tramite l'alfabeto greco). I cinque giorni aggiunti alla fine del dodicesimo mese vengono oggi indicati come epagomeni, perchè i Greci con la parola epagomenai intendevano "aggiunti".

Occorre ricordare che per gli Egizi la levata eliaca di Sirio (nell'attuale mese di luglio) annunciava con regolarità costante la prossimità dell'inondazione del Nilo, segnando perciò anche l'inizio dell'anno agricolo (quattro mesi di inondazione e ritiro delle acque, seguiti da quattro mesi di piantagione, a loro volta seguiti da quattro mesi di raccolto). Essendo dunque l'anno calendariale civile di 365 giorni esatti, avveniva che, se un certo anno si aveva la levata eliaca di Sirio, ad esempio, al trentesimo giorno di Choiak, la levata eliaca di quattro anni solari dopo (ciascuno, come sicuramente era noto agli Egizi, della durata di 365 giorni e un quarto circa) sarebbe avvenuta dopo un intervallo di 4•365 + 1 = 1461 giorni di calendario, cioè si sarebbe avuta il primo giorno del mese di Tybi. E dopo altri quattro anni solari, la stessa levata eliaca sarebbe avvenuta il secondo giorno di Tybi, e così via. Da quanto detto seguiva che, nella supposizione che la durata dell'anno solare fosse di 365 giorni e un quarto esatti, per avere ancora una levata eliaca al trentesimo giorno di Choiak, (1) doveva trascorrere un intervallo di tempo di 365•4 = 1460 anni solari e (2) in questo intervallo di tempo di 1460 anni solari sarebbero trascorsi 1461 anni calendariali egizi. Quindi, (sempre nella supposizione che la durata dell'anno solare fosse di 365 giorni e un quarto esatti), si potrebbe ritenere valida la relazione: 1460 anni solari = 1461 anni calendariali civili. Alcuni commentatori hanno dato il nome di ciclo sotico (da Sothis, il nome con cui gli Egizi designavano Sirio) a questo ciclo di 1461 anni calendariali egizi. (Naturalmente, quanto è stato detto per la levata eliaca di Sirio valeva per qualunque altro evento astronomico: ad esempio, la ricorrenza dell'equinozio di primavera, secondo il calendario egizio scalava (in ritardo) di un giorno ogni quattro anni).
Questa variabilità di date calendariali civili si aveva ovviamente anche per le festività religiose legate a ricorrenze del mondo agricolo, e abbiamo visto che per questa ragione, presso gli Egizi si era continuato a tenere in uso il vecchio calendario lunisolare che, tramite l'intercalazione dei mesi, assicurava il parallelismo tra anno calendariale e anno agricolo. L'anno civile egiziano veniva detto dagli altri popoli, forse con un intento derisorio, anno vago. Ciò nonostante il calendario civile continuò ad essere adoperato fino alla conquista romana dell'Egitto. Quando nel 238 a.C. il re Tolomeo III (di dinastia macedone) tentò di correggere quel supposto aspetto difettoso, introducendo un sesto giorno epagomenale ogni quattro anni, tanto le autorità religiose egizie che la popolazione autoctona si opposero alla riforma, alla quale si dovette quindi rinunciare. Questa totale indifferenza degli Egizi ad avere un calendario nel quale fosse rispettato il principio della fissità delle date (ad esempio dell'equinozio di primavera), similmente a quanto praticato dagli altri popoli vicini, è indicativa di quale grado di simbiosi vi fosse nell'attitudine mentale degli Egizi tra il Nilo, l'anno puramente solare e la stella Sirio.



UN CENNO SUI SISTEMI DI DATAZIONE DELL'ANTICHITA'
Anche nell'antico Egitto, come ovunque nell'antichità, il modo più comune di esprimere un anno era quello di fare riferimento all'anno di regno di un certo re. Quindi, quando gli astronomi avevano a che fare con questioni di date, dovevano aver disponibile una lista di regnanti.
Gli astronomi alessandrini facevano uso di una lista di re che viene indicata con il termine di canone astronomico. Questa pratica di redigere una lista di anni di regno di re (riflettente inevitabilmente i cambiamenti politici) venne continuata anche presso altre comunità scientifiche (Bisanzio, Arabi, Carolingi, ecc.).
Il canone ci è stato trasmesso per mezzo di copie manoscritte delle Tabelle ridotte di Tolomeo, redatte da Teone di Alessandria. In certi manoscritti la lista è intolata kanon basileion ("tabella dei regni"). Ecco un estratto del canone, limitato al periodo da Nabonassar all'imperatore romano Antonino:

Canone Astronomico Abbreviato
Regnanti prima di AlessandroAnni di regnoTotale da Nabonassar-
Nabonassar1414-
Nadios216-
Chinzer e Poros521-
Ilouaios526-
Mardokempad1238-
................-
Nabodianos17209-
Re persianiAnni di regnoTotale da Nabonassar-
Kiros (Ciro il Grande)9218-
Kambisos (Cambise)8226-
Dareios I (Dario I)26262-
................-
Dareios III (Dario III)4416-
Alessandro il Macedone8424-
Re macedoni dopo AlessandroAnni di regnoTotale da NabonassarTotale dopo morte Alessandro
Philippos74317
L'altro Alessandro1244319
...................
Dionysios il Giovane28696272
Cleopatra22718294
Imperatori romaniAnni di regnoTotale da NabonassarTotale dopo morte di Alessandro
Augusto43761337
Tiberio22783359
...................
Traiano19863439
Adriano21884460
Elio - Antonino23907483
...................


Il canone astronomico parte dunque dalla cosiddetta Era di Nabonassar. I primi cinque erano re di Babilonia dell'VIII secolo a.C. I 14 anni del regno di Nabonassar iniziavano dall'anno 747 a.C. Le più antiche registrazioni astronomiche, eseguite con modalità regolari, alle quali gli astronomi alessandrini potessero avere accesso non andavano oltre questo periodo. Ad esempio, le più antiche osservazioni citate da Tolomeo nell'Almagesto erano tre eclissi lunari che avvennero durante il regno di Mardokempad, negli anni corrispondenti al 721, 720 a.C. Quindi Nabonassar regnò 14 anni. Nadios soltanto 2. Dopo Ilouaios si ha il re Mardokempad, il cui primo anno di regno è designato anche come anno 27 di Nabonassar.
Tutti questi anni di regno indicati nel canone sono anni egizi di 365 giorni, anni adottati dagli astronomi alessandrini per scopi di calcolo. Non rappresentano quindi registrazioni di antichi astronomi babilonesi, dal momento che questi ultimi facevano uso di un anno lunisolare di lunghezza variabile. Questi anni sono dunque una trasposizione degli anni babilonesi (variabili) in anni calendariali egizi, tutti di 365 giorni.
Quindi la lista dei re babilonesi del canone termina con Nabodianos, il cui regno terminò dunque nell'anno 209 di Nabonassar (538 a.C.).

Dopo i re babilonesi il canone continua con i re persiani, l'ultimo dei quali è considerato Alessandro Magno. Quindi il canone astronomico riflette gli eventi politico-militari del Medio Oriente (conquista di Babilonia da parte dei Persiani).
Come si vede, dopo Alessandro, a partire da Filippo, si ha una nuova colonna che dà un nuovo totale cumulativo. Perciò il 22esimo anno di Cleopatra può anche essere detto l'anno 718 di Nabonassar oppure il 294esimo di Filippo. Ma questi "anni di Filippo" sono più spesso detti "anni dalla morte di Alessandro".
Dopo Cleopatra, ultimo monarca macedone, il canone riflette nuovamente la variazione di situazione politica con la dominazione romana.
Ogni amanuense continuava la scrittura fino alla propria epoca. In certi manoscritti la lista continua fino alla caduta di Costantinopoli (1453).


CALCOLO DI UN INTERVALLO DI TEMPO
Riteniamo utile fornire al lettore un esempio di calcolo di un intervallo di tempo quale poteva essere eseguito in epoca alessandrina. Abbiamo tratto questo esempio da "The History and Practice of Ancient Astronomy" di J. Evans. All'esempio facciamo precedere questa tabella utile per conversioni di date Egizie-Giuliane, anch'essa tratta dallo stesso libro.

Data EgiziaData giulianaGiorno giuliano
1 Toth, anno 1 di Nabonassar26 febbraio 747 a.C.1448637.5
1 Toth, anno 1 di Philippos12 novembre 324 a.C.1603397.5
1 Toth, anno 1 di Adriano25 luglio 1161763632.5
1 Toth, anno 1 di Antonino20 luglio 1371771297.5


L'esempio consiste nel calcolo del numero di giorni che intercorsero tra due eclissi di Luna che vennero usate da Tolomeo in Almagesto IV, 7, per calcolare il moto medio della Luna in longitudine. La data della prima eclisse è data da Tolomeo, secondo il calendario egizio, come il 18 Toth dell'anno 2 di Mardokempad. La data della seconda eclisse è data da Tolomeo, pure secondo il calendario egizio, come il 2 Choiak dell'anno 19 di Adriano.

Calcoliamo subito che dal 18 Toth al 2 Choiak si hanno due mesi di 30 giorni più 12 giorni di Toth e 2 giorni di Choiak, quindi, in totale 74 giorni. Inoltre abbiamo che:
- 19esimo anno di Adriano = 882esimo anno di Nabonassar
- 2º anno di Mardokempad = 28esimo anno di Nabonassar.
Allora si ha: Tempo trascorso = 882 - 28 = 854 anni 74 giorni.
Trattandosi di anni egizi, quindi di 365 giorni, si ha: Tempo trascorso = 854•365 + 74 = 311784 giorni.

Un astronomo romano del tempo di Tolomeo che avesse voluto eseguire il calcolo secondo il calendario giuliano avrebbe incontrato non poche difficoltà: avrebbe dovuto trovare il numero di giorni tra le date del 20 ottobre 134 e dell'8 marzo 720 a.C. Per fare ciò, avrebbe dovuto tenere conto (1) del fatto che nel sistema di datazione giuliano si può essere tratti in inganno dall'assenza dell'anno 0, (2) del fatto che i mesi giuliani non hanno lo stesso numero di giorni e (3) che nel conteggio si dovevano prendere in considerazione tanti giorni in più quanti sono gli anni bisestili nell'intervallo.


CALENDARI GRECI
Anche in Grecia si ebbero fin dal principio calendari lunisolari. Anche in Grecia, l'inizio di ogni mese era dato dal novilunio. Si avevano dodici mesi alternati di 29 giorni e di 30. E naturalmente si ebbe anche per i Greci la pratica dell'intercalazione del tredicesimo mese. L'aspetto differenziativo del sistema calendariale greco da quello mesopotamico era dato dalla estrema varietà delle forme calendariali in uso. Ogni città aveva il suo proprio calendario, con nomi dei mesi spesso differenti, con mesi diversi scelti quali primo mese dell'anno e, soprattutto, ogni città decideva dell'opportunità o meno di eseguire l'intercalazione. Ma la vera e propria idiosincrasia dei Greci per le disposizioni impartite dall'alto (tutto il contrario dei popoli mesopotamici) arrivava al punto che in una stessa città non si seguivano delle regole di una certa uniformità. Queste irregolarità si manifestavano specialmente in occasione di festività religiose. Gli arconti inserivano giorni intercalari ad arbitrio, in modo da spostare la celebrazione di una festività a una data più conveniente, secondo certi criteri.

Abbiamo già descritto il ciclo ch i Greci attribuirono a Metone nel capitolo dedicato ai Babilonesi, quindi non ripeteremo qui la descrizione della sua struttura. Malgrado esso sia stato introdotto ad Atene nel 432 a.C., gli Ateniesi non lo adottarono definitivamente ma si limitarono a tenerne conto quando si trattava dell'inserzione dei mesi intercalari.
Per quanto riguarda il ciclo di Callippo, descritto nel paragrafo dedicato a questo astronomo del IV secolo a.C., esso venne adottato saltuariamente come strumento di lavoro soltanto da alcuni astronomi, tra cui Tolomeo.


I CALENDARI ROMANI
Il calendario romano che Giulio Cesare eliminò nel 45 a.C., istituendo quello che portò il suo nome fino all'anno 1582, era un calendario lunisolare di 12 mesi, quattro dei quali di 31 giorni (Martius, primo mese dell'anno, Maius, Quintilis e October), 7 di 29 giorni (Ianuarius, Aprilis, Iunius, Sextilis, September, November e December) e uno di 28 giorni, Februarius (per superstizione non si aveva alcun mese con numero di giorni pari). La durata dell'anno calendariale era quindi di 355 giorni per cui si rendeva necessaria l'inserzione, ogni due o tre anni, di un tredicesimo mese, che era detto Intercalaris o Mercedonius, di 27 o 28 giorni, che venivano aggiunti dopo il 23 febbraio (eliminando quindi i cinque giorni di febbraio). Le intercalazioni dovevano essere eseguite con poca serietà perchè nel 50 a.C. la data dell'equinozio di primavera era sfasata di circa due mesi. Giulio Cesare, seguendo le indicazioni dell'astronomo alessandrino Sosigene, abbandonò questo calendario e ne adottò uno puramente solare. Dopo aver apportato le dovute inserzioni di mesi all'anno 46 a.C. (che fu detto da Macrobio annus confusionis), il nuovo calendario entrò in vigore dal 45 a.C. L'anno divenne dunque di 365 giorni. I dieci giorni vennero distribuiti tra i mesi che divennero di 30 (superando la superstizione) e di 31 giorni come oggi, e Febbraio rimase di 28. Dopo l'assassinio di Cesare (44 a.C.), Quintilis, suo mese natale, venne rinominato Iulius. A causa di sbagli compiuti dai pontefici nell'intercalazione dei giorni aggiuntivi, soltanto nell'anno 8 a.C. il calendario potè dirsi completamente corretto. In quello stesso anno, il Senato decise di rinominare il mese Sextilis in Augustus, in onore dell'imperatore (ma non era il suo mese natale). Come è noto, dopo l'aggiunta dei mesi intercalari in modo da ristabilire l'allineamento con le stagioni astronomiche, la modifica sostanziale consistette nell'introduzione dell'anno bisestile: ogni quattro anni si faceva il bis (si ripeteva) del sesto giorno prima delle Kalendae di Marzo (da "bis" e "sextus" si ebbe la parola bisestile, praticamente si ripeteva il 23 di marzo). La regola era di considerare bisestili semplicemente gli anni divisibili per 4.

La parola "calendario" deriva da "Kalendarium" che designava presso i Romani il libro sul quale si annotavano, il primo giorno di ogni mese, gli interessi sui capitali dati in prestito. Quindi Kalendae era il primo giorno del mese. Altri giorni del mese avevano nomi speciali. Per alcuni mesi il quinto giorno del mese era il giorno delle Nonae (così detto perchè era il giorno che veniva nove giorni (inclusivamente) prima delle Ides), mentre il tredicesimo era il giorno delle Ides (ma marzo, maggio, luglio e ottobre avevano le nonae il settimo giorno e le Ides il quindicesimo). Per indicare gli altri giorni del mese si faceva riferimento alle Kalendae, alle Nonae e alle Ides, secondo questo schema:
   1 aprile    =   Kalendae di aprile
  2 aprile  =  4º giorno prima delle Nonae di aprile - (Si noti: 4º giorno e non 4 giorni)
  3 aprile  =  3º giorno prima delle Nonae di aprile
  4 aprile  =  il giorno prima della nonae di aprile
  5 aprile  =  Nonae di aprile
  6 aprile  =  8º giorno prima delle Ides di aprile
  7 aprile  =  7º giorno prima delle Ides di aprile
  ........    ...................................
  11 aprile  =  3º giorno prima delle Ides di aprile
  12 aprile  =   il giorno prima delle Ides di aprile
  13 aprile  =  Ides di aprile
  ........    ...................................
  29 aprile  =  3º giorno prima delle Ides di maggio
  30 aprile  =  il giorno prima delle Kalendae di maggio
  1 Maggio  =  le Kalendae di maggio

Questo modo di indicare il giorno continuò fino al XV secolo. Si noti anche che quel modo di indicare il giorno del mese fa uso della modalità inclusiva: viene incluso nei giorni che mancano a una data anche il giorno di partenza. Un lascito di questo modo di contare è rimasto nell'espressione odierna "oggi otto", oppure "oggi quindici": (se oggi è sabato, molte persone per indicare che un dato evento si produrrà il prossimo sabato, cioè tra sette giorni, usano dire "oggi otto").
Oggi siamo soliti fare uso del calendario giuliano per indicare date di avvenimenti che accaddero prima del 45 a.C., anche se sappiamo che esso non era in vigore. Usiamo dire che la battaglia di Salamina avvenne nel 384 a.C. Un antico greco avrebbe detto che la battaglia ebbe luogo durante l'arcontato di Kalliades.


LA RIFORMA GREGORIANA
Nel secolo XVI la data dell'equinozio di primavera era retrocessa all'11 marzo (malgrado l'anno bisestile introdotto con la riforma giuliana, la differenza tra la durata esatta dell'anno tropico, 365.2422 giorni, e la durata dell'anno calendariale di 365.25 giorni, con il passare dei secoli si era accumulata in 10 giorni circa). La riforma del calendario non poteva più essere rimandata.
Venne quindi promulgata da Papa Gregorio XIII e consistette: (1) nel sopprimere 10 giorni, passando da giovedì 4 ottobre 1582 a venerdì 15 ottobre, e (2) mantenendo inalterata l’introduzione degli anni bisestili secondo la regola a suo tempo data con il calendario giuliano (bisestili gli anni divisibili per 4), vennero considerati comuni (non bisestili) gli anni secolari, tranne quelli divisibili per 400. Quindi non furono bisestili gli anni 1700, 1800, 1900, mentre lo sono stati il 1600 e il 2000.
La maggior parte dei paesi cattolici adottò il nuovo calendario ma i paesi protestanti lo rifiutarono. L'Inghilterra lo adottò nel 1752. L'Unione Sovietica lo adottò nel 1918.


USO ATTUALE DEL CALENDARIO GIULIANO
Negli scritti storici si usa comunemente indicare le date secondo il calendario giuliano per date prima del 1582 e secondo il gregoriano dopo tale anno. In scritti di carattere astronomico è opportuno invece riferirsi sempre al calendario gregoriano (così facendo, si ha ad esempio il vantaggio che gli equinozi e i solstizi sono praticamente fissi). Ciò che è importante, nel dare una data molto remota, è di specificare a quale calendario ci si riferisce. La Chiesa Ortodossa Russa fa uso del calendario giuliano ancora oggi. Celebrando essa il Natale il 25 dicembre del calendario giuliano, per avere la corrispondente data gregoriana dobbiamo aggiungere 13 giorni, ottenendo quindi il 7 gennaio, come risulta dalla tabella che segue (tratta anch'essa dal libro di J. Evans sopra menzionato), che consente di passare da una data giuliana alla corrispondente gregoriana. (Si ricordi che, a titolo indicativo, 6 marzo -500 significa 6 marzo 501 a.C., oppure 4 marzo -300 significa 4 marzo 301 a.C.).

Da data giuliana a data gregoriana
Dal 6 marzo -500 giuliano (= 1 marzo gregoriano)
Al 4 marzo -300 giuliano (= 28 febbraio gregoriano)
-5 giorni
Dal 5 marzo -300 giuliano (= 1 marzo gregoriano)
Al 3 marzo -200 giuliano (= 28 febbraio gregoriano)
-4 giorni
Dal 4 marzo -200 giuliano (= 1 marzo gregoriano)
Al 2 marzo -100 giuliano (= 28 febbraio gregoriano)
-3 giorni
Dal 3 marzo -100 giuliano (= 1 marzo gregoriano)
Al 1 marzo 100 giuliano (=28 febbraio gregoriano)
-2 giorni
Dal 2 marzo 100 giuliano (= 1 marzo gregoriano)
Al 29 febbraio 200 giuliano (= 28 febbraio gregoriano)
-1 giorno
Dal 1 marzo 200 giuliano (= 1 marzo gregoriano)
Al 28 febbraio 300 giuliano (= 28 febbraio gregoriano)
0 giorni
Dal 29 febbraio 300 giuliano (= 1 marzo gregoriano)
Al 28 febbraio 500 giuliano (= 1 marzo gregoriano)
+ 1 giorno
Dal 29 febbraio 500 giuliano (= 2 marzo gregoriano)
Al 28 febbraio 600 giuliano (= 2 marzo gregoriano)
+ 2 giorni
Dal 29 febbraio 600 giuliano (= 3 marzo gregoriano)
Al 28 febbraio 700 giuliano (= 3 marzo gregoriano)
+ 3 giorni
Dal 29 febbraio 700 giuliano (= 4 marzo gregoriano)
Al 28 febbraio 900 giuliano (= 4 marzo gregoriano)
+ 4 giorni
Dal 29 febbraio 900 giuliano (= 5 marzo gregoriano)
Al 28 febbraio 1000 giuliano (= 5 marzo gregoriano)
+ 5 giorni
Dal 29 febbraio 1000 giuliano (= 6 marzo gregoriano)
Al 28 febbraio 1100 giuliano (= 6 marzo gregoriano)
+ 6 giorni
Dal 29 febbraio 1100 giuliano (= 7 marzo gregoriano)
Al 28 febbraio 1300 giuliano (= 7 Marzo gregoriano)
+ 7 giorni
Dal 29 febbraio 1300 giuliano (= 8 marzo gregoriano)
Al 28 febbraio 1400 giuliano (= 8 Marzo gregoriano)
+ 8 giorni
Dal 29 febbraio 1400 giuliano (= 9 marzo gregoriano)
Al 28 febbraio 1500 giuliano (= 9 marzo gregoriano)
+ 9 giorni
Dal 29 febbraio 1500 giuliano (= 10 marzo gregoriano)
Al 28 febbraio 1700 giuliano (= 10 marzo gregoriano)
+ 10 giorni
Dal 29 febbraio 1700 giuliano (= 11 marzo gregoriano)
Al 28 febbraio 1800 giuliano (= 11 marzo gregoriano)
+ 11 giorni
Dal 29 febbraio 1800 giuliano (= 12 marzo gregoriano)
Al 28 febbraio 1900 giuliano (= 12 marzo gregoriano)
+ 12 giorni
Dal 29 febbraio 1900 giuliano (= 13 marzo gregoriano)
Al 28 febbraio 2100 giuliano (= 13 marzo gregoriano)
+ 13 giorni



ANTICA STRUMENTAZIONE ASTRONOMICA
Ci limitiamo a dare al lettore una descrizione superficiale di alcuni strumenti astronomici usati nell'antichità.
Abbiamo già parlato dello gnomone, indicando quale era la costruzione geometrica che consentiva per suo tramite di giungere alla determinazione della latitudine di una località e dell'obliquità dell'eclittica. Abbiamo a suo tempo avvertito il lettore che per entrambe le determinazioni la precisione dei risultati dipendeva da quanto più prossimi al mezzodì fossero gli istanti solstiziali. Altri fattori che influivano sulla precisione della misura erano l'altezza dello gnomone e la sua verticalità quanto più perfetta possibile.
A proposito di questi due fattori, una radicale innovazione che si produsse in Italia all'inizio del periodo rinascimentale fu la sostituzione dell'asta dello gnomone con un semplice foro di pochi millimetri di diametro praticato sulla cupola di edifici molto alti. Con ciò veniva risolto in maniera brillante il problema di conseguire nella maniera ottimale i due fattori di cui si è detto. Con questa modalità si realizzarono le famose meridiane. Al mezzodì di ogni giorno, la luce solare passando attraverso il foro praticato nella cupola di una chiesa, va a colpire punti del pavimento la cui successione dà luogo a una linea orientata per meridiano e che si allontana sempre più dalla verticale del foro procedendo verso nord a mano a mano che i giorni passano dal solstizio estivo a quello invernale. Queste meridiane, strumenti di notevoli dimensioni, consentirono di determinare con grande precisione, attraverso laboriose procedure, il tempo intercorrente tra successivi passaggi del Sole ai solstizi (la durata dell'anno tropico) e anche di verificare con grande esattezza l'eccentricità dell'orbita terrestre, attraverso il variare della grandezza dell'immagine del disco solare proiettata sul pavimento.

La meridiana più famosa ed antica è certamente quella progettata e realizzata da Paolo Del Pozzo Toscanelli (1397 - 1492), intorno al 1468, nella basilica di Santa Maria del Fiore a Firenze. I raggi del Sole, colpivano il pavimento solo per un periodo limitato dell'anno, nei mesi in cui il Sole è più alto (giugno, luglio). Il foro, di un paio di centimetri di diametro, era praticato in una tavoletta di bronzo posta a più di 90 metri di altezza. Un'altra meridiana famosa è quella costruita in San Petronio a Bologna da Gian Domenico Cassini, (1625 - 1712), in sostituzione di una meridiana preesistente meno precisa. Essa è mostrata nelle figure 58 e 59. Cassini stesso iniziò le misurazioni in San Petronio, e queste si protrassero per quasi un secolo.



Un'altra pure famosa è la cosiddetta Linea clementina, commissionata dal papa Clemente XI agli astronomi Francesco Bianchini e Giacomo Maraldi per la chiesa di Santa Maria degli Angeli a Roma nel 1702. Anche nel Duomo di Milano, verso la fine del '700 venne realizzata una meridiana. Essa scorre esattamente parallela alla facciata principale, perchè l'asse longitudinale di questo edificio è orientato per est-ovest.



LA DIOTTRA
Nacque originalmente come semplice strumento di mira, per individuare una linea o un piano di mira. Nella sua forma più semplice si componeva essenzialmente di un'asta o sbarretta girevole, alle cui estremità erano poste rispettivamente una piastra con un forellino presso cui si poneva l'occhio (dioptrai = forellini), e una seconda piastra con una finestra e un qualche elemento di riferimento. Successivamente si ebbe anche nella forma a tubo, come nella figura 60, per consentire la realizzazione di un primitivo strumento atto a misurare l'altezza degli astri. Nella figura 60 è immaginata strutturata tramite un affusto a, girevole solidalmente con una piccola piattaforma b all'interno di un'altra piattaforma fissa al suolo c. Quest'ultima poteva portare una graduazione in modo che tramite un indice fissato alla b si potesse misurare l'azimut verso cui era puntato lo strumento. Un tubo e (la diottra vera e propria), tramite un collare d imperniato all'affusto a nel punto K, poteva essere puntato verso l'astro da traguardare. Lo strumento era completato da un quadrante f, solidamente fissato al collare d. Una graduazione incisa sul lembo del quadrante consentiva di leggere l'elevazione dell'oggetto osservato in corrispondenza di un filo a piombo.

Una utilizzazione notevole della diottra, secondo una struttura del tipo di quella della figura 60, si ebbe per la determinazione della latitudine. Come è illustrato in figura 61, si misuravano le altezze, hcs e hci che astri circumpolari raggiungevano rispettivamente alle culminazioni superiore e inferiore. Dalla differenza tra le due misurazioni si otteneva l'altezza del polo elevato sull'orizzonte, cioè la latitudine.



IL QUADRANTE MURALE
Una misura molto importante per gli astronomi dell'antichità era quella delle altezze meridiane degli astri. Il particolare strumento che veniva impiegato per queste misure era il quadrante murale, illustrato in figura 62. Si trattava di un quadrante la cui graduazione era incisa su un lembo possibilmente di bronzo o di rame, posto su un muro che doveva essere costruito rispettando al massimo due requisiti: la verticalità e l'orientamento nel piano del meridiano.

Naturalmente, in fase di realizzazione dello strumento, si doveva aver cura che nella fissazione del quadrante al muro, particolare cura doveva essere posta affinchè la linea tra il perno dell'alidada scorrevole e lo zero della graduazione risultasse perfettamente orizzontale. Era importante anche che l'ubicazione dello strumento fosse situata in un punto in cui il terreno fosse sicuramente non cedevole con il passare del tempo. La precisione della misura dipendeva, oltre che dalla precisione con cui era stata tracciata la graduazione, dal raggio del quadrante stesso. Si può ipotizzare che con un quadrante del raggio di circa cinque metri si poteva sperare di ottenere una precisione intorno ai 5 primi di arco. I quadranti murali ebbero un impiego lunghissimo nel tempo. Addirittura, nel secolo XIX venivano ancora realizzati quadranti murali nei quali un telescopio oscillante nel piano meridiano sostituiva l'antica alidada.


Notevole fu il quadrante murale costruito da Ulugh Beg a Samarcanda, nel 1424. Il quadrante aveva un raggio di oltre 40 metri e la graduazione era incisa sulle superfici orizzontali di gradini posti tra due pareti parallele che reppresentavano un tratto di quadrante, così come illustrato dalle figure 63 e 64. Il raggio grandissimo ovviamente non si prestava affinchè il quadrante fosse dotato di una alidada materiale come nei quadranti piccoli. Essa era eccellentemente sostituita da un raggio di luce che penetrava nell'edificio contenente il quadrante attraverso l'apertura A (fig. 63) e, perfettamente rettilineo, (a differenza delle grandi alidade) andava a finire sulla superficie di un gradino. Le rovine rimaste dello strumento, così come appaiono dalla figura 64, testimoniano dell'imponenza dell'edificio e della straordinaria passione che doveva provare quel sovrano per l'astronomia.




Una variazione del quadrante murale, anche questa risalente ad epoca pre-tolemaica, espressamente dedicata alla misura di altezze meridiane di Sole era quella nella quale il muro era sostituito da un blocco quadrato, sempre con una faccia sulla quale era inciso il quadrante disposta accuratamente per meridiano (figura 65). Sullo spigolo superiore rivolto verso sud di questa faccia era sistemato un piccolo piolo, perpendicolare alla faccia stessa. A mano a mano che l'altezza del Sole si avvicinava a quella meridiana, l'ombra proiettata dal piolo puntava sempre più verso il basso, sempre raggiungendo la graduazione del quadrante. L'osservatore doveva leggere il valore raggiunto dall'altezza del Sole proprio nell'istante in cui l'ombra spariva, perchè quello era l'istante in cui era avvenuto il transito.




Occorre dire che la misura di altezze meridiane ha sempre presentato carattere più agevole rispetto alle misure di altezza in momenti qualsiasi, perchè durante la fase di transito al meridiano l'altezza di qualunque astro varia molto lentamente. Un osservatore allenato avverte nettamente all'incirca un minuto prima dell'istante esatto di transito che ormai la variazione dell'altezza sarà insignificante. La figura 66 illustra l'insensibilità della variazione d'altezza nell'intorno del transito.
L'ANELLO EQUATORIALE
Uno strumento che sembra aver avuto un notevole impiego, per lo meno dall'epoca di Ipparco, fu l ' anello equatoriale (figura 67). Si trattava di un anello che veniva disposto quanto più possibile giacente nel piano equatoriale (e quindi con l'asse dell'anello esattamente puntato verso il polo). E' evidente che per poter ottenere ciò (1) la misura della latitudine del luogo doveva essere eseguita con la massima precisione e (2) il puntamento dell'asse dello strumento verso il polo elevato doveva pure essere molto accurato. Lo strumento veniva utilizzato per determinare l'esatto istante degli equinozi.

Durante la primavera e l'estate il Sole circolava in cielo mantenendosi sempre a nord dell'equatore celeste e quindi soltanto la faccia dell'anello rivolta verso nord era illuminata dal Sole (figura 68).


Durante l'autunno e l'inverno, invece, la faccia dell'anello illuminata dal Sole era soltanto quella rivolta verso sud (figura 69). Soltanto negli istanti esatti di transito del Sole agli equinozi nessuna delle due facce era illuminata, ma lo era il bordo superiore dell'anello, per cui soltanto in quegli istanti l'ombra proiettata dalla metà superiore dell'anello andava a cadere esattamente nella parte centrale del bordo interno inferiore. Si trattava di valutare quell'istante.

Riducendo la larghezza della metà superiore ed aumentando quella della metà inferiore, si poteva facilitare la valutazione dell'istante esatto in cui l'ombra veniva proiettata proprio al centro del bordo inferiore. A giudicare però dagli errori fino a oltre dodici ore commessi nelle misurazioni eseguite da Ipparco (errori che sono stati accertati recentemente), si deve desumere che lo strumento non consentisse una certa affidabilità. Tolomeo manifesta nell'Almagesto la sua poca fiducia in questo strumento. Evidentemente, era sufficiente un orientamento dell'anello appena difettoso al di fuori del piano equatoriale per falsare completamente il risultato dell'osservazione.



LE SFERE ARMILLARI
"Armilla" è parola latina che poteva significare sia "cerchio" che "braccialetto". Sembra quindi che siano stati i Romani a chiamare questi strumenti sfere armillari, probabilmente dopo l'arrivo a Roma delle due famose "sfere", di cui dà notizia Cicerone. Si ritiene che siano state in uso addirittura fin da prima di Ipparco. Tolomeo ha dato nell'Almagesto una descrizione sul modo di costruirle e tutti i tentativi odierni di rappresentarle sono sostanzialmente stati fatti su quella descrizione. Anche l'illustrazione della figura 70 è uno di questi tentativi.




L'autore di queste note esprime qualche perplessità su queste ricostruzioni. In particolare non riesce a capire perchè nella totalità delle illustrazioni che gli è stato dato di trovare, nelle sfere armillari non si trova né il cerchio rappresentativo dell'equatore né quello del coluro equinoziale equatoriale. Questa mancanza rende impossibile la misura di ascensioni rette e declinazioni, mentre sappiamo che almeno Ipparco ci ha lasciato misure di queste grandezze. Comunque, diamo una descrizione della sfera armillare di cui sopra non senza far notare al lettore un'altra incongruenza che notiamo nell'illustrazione: il cerchio D (e con esso tutto il complesso interno di cerchi) non è libero di ruotare liberamente rispetto all'asse polare eclittico perchè la sua rotazione viene a un certo punto impedita dai perni che imperniano quello che l'autore del disegno chiama "coluro solstiziale mobile" A all'asse polare.

L'intero insieme di cerchi può ruotare intorno all'asse polare. Il cerchio C rappresenta l'eclittica, graduata per letture di longitudini (lo zero della graduazione si trova nel punto K e il senso della freccia indica valori crescenti di longitudine, da 0º a 360º. La rotazione del complesso attorno all'asse polare fa sì che il moto rotatorio dell'eclittica si manifesti a sbilenco, come in effetti è. Il cerchio D serve, come vedremo, per leggere sull'eclittica valori di longitudine. Il cerchio B è un doppio cerchio: quello esterno è graduato per letture di latitudine, quello interno può scorrere rispetto a quello esterno e porta un traguardo con il quale si possono leggere valori di latitudine su quello esterno.

Come è noto, una delle misure che venivano eseguite più frequentemente era quella della differenza di longitudine tra Luna e Sole. Si faceva dapprima ruotare il complesso fino a che l'ombra della metà superiore del cerchio C cadeva esattamente sulla metà inferiore (Sole in posizione S, esattamente nel piano del disegno). Quindi si faceva ruotare il cerchio B fino a quando esso traguardava esattamente il centro della Luna. Quando ciò avveniva, il valore letto sul cerchio C in corrispondenza del cerchio B era la differenza di longitudine tra Luna e Sole, mentre con il cerchio B, interno, si poteva leggere la latitudine celeste della Luna.

Ecco invece la procedura per misurare la longitudine di una stella o di un pianeta M, a partire da quella nota di un altro oggetto conosciuto N:   (1) far ruotare il cerchio D rispetto all'eclittica fino a disporlo al valore di longitudine di N(2) Tenendo il cerchio D fisso su quel valore di longitudine, far ruotare tutto il complesso fino a che con il cerchio D non si traguarda l'oggetto N.   (3) Sempre tenendo il cerchio D fisso sul valore di longitudine di N e traguardato su N, far ruotare la coppia di cerchi B fino a che non traguardino l'oggetto M.   (4) Quando ciò avviene leggere i valori di longitudine e di latitudine, come detto in precedenza.

Infine, diamo la procedura (che si attribuisce a Tolomeo) di misura della longitudine di una stella o pianeta sommando alla longitudine del Sole (che era sempre disponibile dalle tabelle) la differenza di longitudine tra Luna e Sole e la differenza di longitudine tra oggetto e Luna:
  • Prima del tramonto si misurava la longitudine della Luna sommando alla longitudine del Sole (tavole) la differenza di longitudine tra Luna e Sole (prendendo nota dell'istante di misura i1)
  • Dopo il tramonto, quando l'astro desiderato appariva, si misurava la differenza di longitudine tra l'astro e la Luna (prendendo nota ancora del nuovo istante di misura i2
  • Si sommavano i due valori correggendo (sottraendo) per lo spostamento verso est che la Luna aveva subito nell'intervallo i2 - i1.



GLI OROLOGI SOLARI
Abbiamo dunque visto come si regolavano i Greci per risolvere il problema dell'orario durante la notte. Durante il giorno, uno dei mezzi a disposizione per questa bisogna era quello degli orologi solari. Ne sono stati ritrovati più di 200. Erano di pietra ed erano in genere pubblici, nel senso che erano esposti in luoghi pubblici. Naturalmente non è da escludere che potessero anche essere di proprietà privata. Erano generalmente di tre tipi: sferici, conici e piani.

Le figure 71 e 72 mostrano il principio costruttivo di un orologio solare sferico. Una cavità semisferica veniva praticata in un blocco di pietra. Uno gnomone, lungo pochi centimetri, era situato nel piano del meridiano, con la punta rivolta verso sud. Sulla superficie concava erano praticate le tre curve rappresentative dei percorsi dell'ombra proiettata dalla punta dello gnomone nei giorni degli equinozi (curva centrale), del solstizio estivo (curva dalla parte sud) del solstizio invernale (curva dalla parte nord). Alcune linee rette simmetricamente e perpendicolarmente disposte rispetto alle tre curve, indicavano gli intervalli tra un'ora stagionale e l'altra. Siccome le tre linee capitavano entro la metà nord della cavità, la parte sud della cavità stessa era inutile, e quindi veniva eliminata.




La figura 73 mostra il principio costruttivo di un orologio solare conico, così detto in quanto la superficie della cavità è una porzione di superficie interna di un cono. Orologi solari di questo tipo erano molto comuni perchè la tecnica costruttiva per realizzare una superficie di questo tipo è più semplice di quella occorrente per una superficie sferica. I ritrovamenti di orologi conici sono molto più numerosi di quelli sferici.


La figura 74 mostra il disegno esplicativo di un orologio solare piano, ritrovato presso Roma, sulla Via Appia, nel 1814. Ciò che venne effettivamente ritrovato è il frammento di sinistra, delimitato dalla linea non rettilinea. La parte di destra è una ricostruzione immaginata. L'oggetto è di marmo bianco, dello spessore di 36 cm e delle dimensioni complessive di 35 x 54 cm. La linea centrale verticale è quella del meridiano. L'oggetto doveva essere disposto con questa linea giacente nel meridiano, su un piano orizzontale e con l'orlo superiore dalla parte sud. Il foro dove doveva essere sistemato lo gnomone verticale è visibile a circa un centimetro dalla curva relativa al solstizio estivo (la curva superiore).

La linea orizzontale è quella relativa agli equinozi. Quando il Sole sorgeva, l'ombra della punta dello gnomone non cadeva evidentemente su nessun punto dell'orologio. A mano a mano che il Sole si alzava la punta dell'ombra appariva a destra della prima linea obliqua di destra. Quando la prima linea veniva raggiunta, l'orario era un'ora stagionale dopo il sorgere. Le altre linee venivano raggiunte dalla punta dell'ombra a due, tre, quattro, cinque ore stagionali dopo il sorgere. A mezzodì (ora sesta) l'ombra raggiungeva il meridiano. Nel pomeriggio, l'ultima linea veniva raggiunta all'ora undecima, un'ora stagionale prima del tramonto. Sulla corona circolare esterna erano scritti i nomi dei venti: Notos, Euronotos, Euros, Apeliotes, Kaikias (rispettivamente Sud, Sud-sud-est, Est-sud-est, Est, Est-nord-est).



I PARAPEGMA PUBBLICI
Abbiamo visto che importanti autori astronomici avevano scritto calendari stellari basati su levate e tramonti eliaci di astri. Un'importante scoperta archeologica all'inizio del secolo XX ha fatto conoscere una interessante applicazione pratica attuata dai Greci di questa attività scientifica. Durante scavi nel teatro di Mileto, sulla costa ionica dell' Asia Minore, vennero rinvenuti alcuni frammenti di marmo, recanti iscrizioni che, in seguito, vennero identificate come scritturazioni tipiche di un parapegma. La cosa avrebbe potuto rappresentare un banale ritrovamento senza alcuna conseguenza, se non fosse stato per il fatto che, prima di ogni iscrizione, a sinistra, era situato un forellino.

Si noti che, fino a quel momento (inizio secolo XIX) non si era mai capito come mai gli antichi Greci chiamassero con il nome parapegma (considerato che la parola greca parapegnumiaveva un significato all'incirca di "fissare accanto") i calendari stellari. La scoperta di quei frammenti di Mileto (e di altri successivi) corredati di quei forellini, consentì di sciogliere il mistero. Quei frammenti appartenevano a tavole di marmo, esposte in luoghi pubblici e recanti scritturazioni di calendari stellari. Un addetto a questo particolare compito, inseriva in uno dei forellini un piolo in modo che chiunque, passando, poteva con una semplice occhiata venire a sapere in quale epoca dell'anno ci si trovava e quali erano i prossimi eventi astronomici (e meteorologici). Da notare che alcune iscrizioni, oltre al forellino che precedeva l'iscrizione stessa, erano seguite da uno o più forellini, perchè, in quel caso particolare, si riteneva opportuno suddividere il tempo in più fasi.


Ecco alcune iscrizioni, con i fori per la collocazione del piolo:
O    Il Sole entra nell'Acquario
O    Il Leone incomincia il suo tramonto mattutino e la Lyra tramonta
      O   O
O    L'Uccello incomincia il suo tramonto vespertino
      O   O   O   O   O   O   O   O   O   O
. . . . . . . . . . . . . . . .

("Incominciare il tramonto mattutino" significa che da quel giorno in cui è stato posto il piolo in quel forellino, la prima parte della costellazione è vista tramontare subito prima del sorgere del Sole e, ad ogni giorno successivo, una parte sempre minore di costellazione è vista tramontare, fino a quando, dopo alcuni giorni, la costellazione sparisce del tutto dal cielo prima del sorgere del Sole.
"Incominciare il tramonto vespertino" significa che da quel giorno in cui è stato posto il piolo in quel forellino, la prima parte della costellazione è vista tramontare subito dopo il tramonto del Sole, e nei giorni successivi, una parte sempre minore di costellazione sarà vista tramontare subito dopo il tramonto del Sole, fino a quando, dopo alcuni giorni, la detta costellazione sparisce completamente dal cielo serale).



L'ASTROLABIO
L'astrolabio è un modello di cielo ridotto su una superficie piana. In esso, le linee curve della superficie sferica celeste (meridiani, paralleli di declinazioni, cerchi di azimut, almucantarat) vengono proiettati su una superficie piana, in modo che l'utilizzatore abbia a disposizione uno strumento portatile per mezzo del quale ottenere rapidamente altezze, azimut, declinazioni, ascensioni rette, latitudini, longitudini di astri. Naturalmente la precisione delle misure ottenute con questo strumento era inferiore a quella che si aveva con strumenti degli osservatori astronomici, ma era sempre accettabile, per scopi particolari di lavoro. L'astrolabio quindi, prima di venir impiegato a bordo delle navi (arabe per prime) venne utilizzato per secoli anche negli osservatori astronomici.
L'origine dell'astrolabio risale ai Greci dell'età classica, intorno all'epoca pitagorica. Non appena si incominciò a geometrizzare la sfera celeste, ci si rese conto che era possibile proiettare le linee curve su una superficie piana. In seguito l'astrolabio venne ripreso dagli Arabi e raggiunse un alto grado di perfezione costruttiva nel Rinascimento.
Gli astrolabi più antichi che ci sono giunti, risalenti ai secoli IX e X, sono di origine araba: Siria, Egitto, Irak. Dell'astrolabio si può dire che ha conservato una stabilità sostanziale sorprendente. Un astrolabio arabo dell'VIII secolo verrebbe tranquillamente impiegato da uno specialista di oggi.

Nella realizzazione geometrica dell'astrolabio si fa uso della proiezione stereografica equatoriale. In questa proiezione il punto di vista è situato nel polo celeste sud e i punti della superficie della sfera celeste vengono proiettati sul piano equatoriale (il piano dell'astrolabio è il piano equatoriale). Per avere la rappresentazione sul piano dell'astrolabio di una curva qualsiasi della sfera celeste (1) si conducono le visuali alla curva a partire dal punto di vista e (2) si considerano i punti di intersezione di queste visuali con il piano equatoriale. Ad esempio, nella sfera celeste della figura 76, considerando la linea NS, rappresentativa del cerchio massimo dell'orizzonte, il punto N viene proiettato in N' mentre il punto S in S', per cui tutti i punti della linea NS subiranno una proiezione sul piano dell'astrolabio tale da dar luogo al cerchio indicato.
Il più antico trattato matematico esistente sulla proiezione stereografica è dovuto a Tolomeo, ma si ritiene che i principi della proiezione stereografica siano stati dati da Ipparco. Il trattato di Tolomeo ci è giunto in traduzioni araba e latina. Gli specialisti ritengono che il testo indichi che lo scopo del trattato era di servire di applicazione per un qualche strumento.

Sappiamo che il più antico trattato specificamente dedicato all'astrolabio fu scritto da Teone di Alessandria (IV secolo). Malgrado non ci sia giunto, si conosce il suo contenuto perchè ci sono pervenuti due successivi trattati che sono basati su quello scritto da Teone. Uno fu scritto da Giovanni Filipono (VI secolo) e l'altro dal vescovo di Nibisis, Siria, Severus Nebokht (VII secolo). Queste sono le opere più antiche sull'astrolabio che ci siano giunte.

L'astrolabio fu uno dei tanti lasciti di sapere astronomico che gli Arabi trassero dai Greci. A partire dall'VIII secolo incominciò a fiorire nel mondo islamico orientale la produzione di trattati sull'astrolabio e la manifattura di strumenti. Nel secolo XI si ebbero astrolabi e trattati anche nella Spagna islamica, specialmente a Cordova. Pressochè contemporaneamente la conoscenza dell'astrolabio venne trasmessa dalla Spagna mussulmana alla Francia meridionale e da qui a tutta Europa (Abelardo ed Eloisa chiamarono il loro figlio Astrolabio). Di questo periodo ci sono giunti astrolabi arabi ai quali vennero aggiunte iscrizioni latine. Gli Arabi incominciarono a fare uso di astrolabi nautici sulle loro navi almeno mezzo millennio prima degli europei, perchè la navigazione nell'Oceano Indiano comportava un grande spostamento in latitudine.

La traduzioni latine di trattati sull'astrolabio incominciarono subito. Una traduzione famosa fu una compilazione latina del XIII secolo (che venne falsamente attribuita a Messahalla, basata sul trattato di un astronomo di Cordoba, Ibn al-Saffar. Fiorirono anche i trattati scritti nelle lingue volgari europee. Nel Rinascimento la costruzione di astrolabi raggiunse un alto grado di perfezione, specialmente in Italia e in Germania. Ebbe inizio anche una tradizione che dura tuttora: la realizzazione di astrolabi in kit di montaggio, su fogli di cartone pressato che l'utilizzatore ritagliava per conto suo.




In ogni astrolabio distinguiamo le due facce chiamandole "madre" e "retro". Madre e retro sono le due facce di uno stesso disco, quello principale (quello che porta l'anello di sospensione per eseguire la misurazione). Sulla madre può essere applicato un altro disco recante le curve per una specifica latitudine, e sopra questo disco una struttura di puntatori di stelle, detta "rete". Nella fattura più completa, una madre era corredata di diversi dischi, ciascuno adatto per una certa gamma di latitudini. In figura 76 è visibile il complesso madre-rete. In figura 78 un singolo disco, adatto per una certa gamma di latitudini. In figura 77 si ha la tipica struttura di una rete, cioè una struttura di diversi indici che puntano un certo numero di stelle. I nomi delle stelle sono scritti sugli indici, mentre i punti indicati dagli indici sono punti della madre o di un disco.

Il retro (fig. 79) è riconoscibile perchè su di esso sono incise poche curve e diverse corone circolari periferiche, con incise alcune graduazioni. Entrambi, madre e retro portano, imperniata al centro, un'alidada. Quella della madre consente soltanto di leggere valori sul disco e sull'alidada stessa. Quella del retro, mediante un traguardo di mira, consente anche una funzione di puntamento di un astro, tramite, ad esempio, la mano sinistra, mentre con la mano destra si tiene l'astrolabio sospeso verticalmente per l'anello superiore.
Il foro al centro della rete rappresenta il polo celeste nord. Il cerchio eccentrico di cui è fornita la rete rappresenta l'eclittica.


La rete è unica per ogni astrolabio, mentre esso deve essere corredato (specialmente gli astrolabi nautici) di una serie di dischi (fino a una dozzina) per diverse latitudini. In ogni disco, solo tre cerchi sono concentrici rispetto al centro del disco, e rappresentano, a partire dal centro, il tropico del cancro, l'equatore e il tropico del capricorno.
La madre dell'astrolabio si presenta dunque solitamente all'osservatore, oltre che con la rete, anche con i dischi, per cui l'aspetto della madre degli astrolabi, sia per quelli di tradizione islamica che per quelli europei è abbastanza simile. L'aspetto del retro è invece differenziato. Nel retro europeo della figura 79 sono riconoscibili le scale circolari del calendario e dello zodiaco, un set di curve di ore stagionali nella parte superiore e un box per le ombre nella parte inferiore. Nel retro dell'astrolabio islamico della figura 80, nella parte superiore destra si hanno sei curve di ore stagionali attraversate da due curve per gli orari delle preghiere.





LA GEOMETRIA DELL'ASTROLABIO
Vediamo ora la proiezione stereografica delle curve principali dell'astrolabio con un minimo di dettaglio. Abbiamo detto che il punto di vista è situato al polo celeste sud (naturalmente polo celeste sud della sfera celeste rappresentativa). Questo perchè essendo l'astrolabio nato nella Grecia antica, il cielo a sud del tropico del capricorno non interessava.
La figura 81 mostra come viene ottenuta, tramite la proiezione stereografica con punto di vista al polo sud, la rappresentazione sul piano del disco del tropico del cancro, dell'equatore e del tropico del capricorno (sia chiaro che ci riferiamo sempre a circoli della sfera celeste rappresentativa). Il cerchio inferiore della figura 81 mostra come appaiono i tre circoli di cui sopra sul disco dell'astrolabio. Questi tre circoli devono essere proiettati su tutti i dischi di cui è corredato l'astrolabio.
La figura 82 mostra invece come viene ottenuta la proiezione sul piano del disco (parte inferiore della figura 82) dei cerchi di eguale altezza (almucantarat) che appaiono sulla parte superiore della figura 82. In particolare, dalla figura 82 si può vedere quali sono le linee di proiezione relative all'almucantarat di 80º.






La figura 83 mostra la proiezione sul disco dei cerchi di eguale azimut. In particolare, nella parte superiore della figura 83 sono mostrati tre particolari cerchi di eguale azimut, quelli relativi agli azimut di 120º, di 150º e di 180º. Vediamo anche che lo zenit dell'osservatore viene proiettato, sul disco, nel punto Z'. Nel disco della figura appaiono dunque rappresentati, oltre ai cerchi almucantarat, anche le curve di eguale azimut.
Nella figura 84 infine, si ha anche la rappresentazione sul disco dei cerchi orari, per cui il disco di questa figura porta (1) i cerchi degli almucantarat, (2) le curve di eguale azimut e (3) le curve di eguale angolo orario (oltre, naturalmente ai tre cerchi rappresentativi di tropico del cancro, di equatore e di tropico del capricorno).







USO DELL'ASTROLABIO
Per poter utilizzare l'astrolabio occorre assicurarsi di applicare alla madre il disco che copre una gamma di latitudini tra le quali sia quella dell'osservatore.
Gli esercizi che seguono vengono dati unicamente a scopo didattico. Per illustrarli vengono utilizzate delle figure (tratte da "History & Practice of Ancient Astronomy") che si riferiscono a un astrolabio speciale. A un astrolabio realizzato in plastica nell'epoca attuale. La figura 85 mostra come è costituita la rete di questo astrolabio moderno: una lastra di plastica trasparente sulla quale sono stampati (oltre alle normali corone circolari periferiche e all'eclittica eccentrica), anche gli asterischi rappresentativi delle stelle nonchè i nomi delle stesse.


Azimut di una stella al sorgere.
Si desidera sapere l'azimut che avrà Bellatrix al momento del sorgere.
Far ruotare la rete fino a quando l'asterisco di Bellatrix viene a posarsi su un punto della curva dell'orizzonte orientale. Leggere l'azimut al sorgere tramite i cerchi di eguale azimut che si dipartono dallo zenit (la parte orientale della curva dell'orizzonte è quella di sinistra, tenendo la madre di fronte a sé). Dalla figura 86 si vede che Bellatrix si trova circa 13º a nord del punto E (amplitudine 13º). Il suo azimut al sorgere è dunque 77º.


Altezza meridiana prevista di una stella.
Si desidera sapere quale altezza meridiana raggiungerà Rigel.
Far ruotare la rete fino a quando l'asterisco di Rigel non giace sul meridiano. Leggere l'altezza utilizzando i cerchi di eguale altezza (il meridiano è la linea diritta verticale che passa attraverso il polo e lo zenit). Si vede dalla figura 87 che l'altezza meridiana di Rigel è circa 33º


Posizione del Sole sull'eclittica a una certa data.
Si desidera sapere quale sarà la posizione zodiacale del Sole il 4 febbraio.
Far ruotare l'alidada del retro fino a quando il filo della stessa non incontra la lineetta del 4 febbraio sulla scala circolare del calendario. Leggere la longitudine del Sole sulla scala circolare zodiacale. Dalla figura 88 si vede che la longitudine del Sole il 4 febbraio è di 15º Acquario.


Azimut previsto del Sole al sorgere.
Trovare l'azimut del Sole al sorgere, per il 4 febbraio.
In funzione della data, 4 febbraio, ricavare la longitudine del Sole sull'eclittica secondo la procedura appena vista. Dopo di che, far ruotare la rete fino a quando quel punto di eclittica (15º Acquario)della rete (il cerchio eccentrico della rete) non cade sull'orizzonte orientale. Leggere quindi l'azimut del Sole utilizzando i cerchi di eguale azimut. Dalla figura 89 si vede che l'azimut è di circa 25º a sud del punto Est. L'azimut è dunque 115º.


Altezza meridiana prevista del Sole.
Si desidera conoscere l'altezza meridiana che verrà raggiunta dal Sole il 4 febbraio.
In funzione della data, 4 febbraio, ricavare ancora la longitudine eclittica del Sole (15º Acquario) come mostrato precedentemente. Quindi far ruotare la rete fino a portare il punto di eclittica di 15º Acquario (cerchio eccentrico) sul meridiano. Leggere l'altezza meridiana interpolando tra i cerchi di eguale altezza.

Ora solare del sorgere e del tramonto del Sole.
Si desidera conoscere l'ora solare del sorgere e del tramonto, per il 4 febbraio.
Ricavare dapprima dal retro dell'astrolabio la longitudine del Sole per quella data (15º Acquario). Poi far ruotare la rete fino a che quella longitudine di eclittica (della rete) capita sull'orizzonte orientale della madre. Dalla figura 89 si vede agevolmente che disponendo il filo dell'alidada sull'intersezione tra 15º Acquario della rete e l'orizzonte della madre, il filo stesso indica il valore orario di circa 7h 15m (penultima scala circolare esterna della madre). Quella è l'ora del sorgere del Sole. Poichà 12h - 7h 15m = 4h 45m, l'ora del tramonto sarà 4h 45m.


Altezza del Sole e di stelle.
Il Sole non deve mai essere traguardato direttamente attraverso il traguardo di mira dell'alidada del retro (possibilità di danneggiare irreversibilmente la retina). Si deve invece utilizzare sempre l'ombra che il traguardo rivolto verso il Sole proietta sul traguardo dalla parte opposta. La procedura era quindi quella di sostenere l'astrolabio per mezzo dell'anello di sospensione (ad esempio con la mano destra), ad un'altezza da terra di circa un metro e, con la mano sinistra, muovere l'alidada fino a quando l'ombra proiettata dal mirino rivolto verso il Sole non cadeva esattamente sul mirino inferiore. Il massimo della precisione si doveva ottenere con un sottile raggio di luce che, attraverso il foro del mirino superiore andava a finire sul foro del mirino inferiore. In quel momento, leggere l'altezza del Sole sulla scala circolare più esterna del retro. Per misurare l'altezza del Sole c'era anche un metodo, piuttosto approssimato, basato sull'uso del riquadro delle ombre del retro. L'altezza di una stella poteva invece essere ottenuta osservando la stella direttamente attraverso il traguardo di mira.


Orario equinoziale diurno tramite altezza di Sole.
Il mattino del 18 ottobre, dopo aver determinato che l'altezza del Sole è di 20º, determinare l'orario equinoziale.
Tramite le scale circolari del retro, si determina dapprima che la posizione eclittica del Sole il 18 ottobre è 25º Bilancia. Poi, far ruotare la rete fino a quando la marca 25º Bilancia dell'eclittica eccentrica della rete non interseca l'almucantarat di 20º, nella zona est. Infine, disporre l'alidada in modo che il suo filo passi per il punto di intersezione appena determinato. Sulla scala circolare oraria esterna della madre, lungo il filo dell'alidada si leggerà l'ora equinoziale 9h 00m, come indica la figura 91.


Orario equinoziale notturno tramite altezza di stella.
La notte tra il 17 e il 18 ottobre, avendo determinato che l'altezza di Procione è di 20º, determinare l'orario equinoziale.
Tramite le scale circolari del retro, si ottiene per la posizione eclittica del Sole 25º Bilancia. Far ruotare la rete fino a che l'asterisco di Procione non va a posarsi sull'almucantarat di 20º nella parte est. Ora disporre l'alidada in modo che il suo filo passi per la marca di 25º Bilancia dell'eclittica eccentrica della rete (posizione del Sole, (perchè è il Sole il custode del tempo). Sulla penultima scala circolare esterna della madre il filo dell'alidada indicherà l'orario di 01h 45m, come si vede dalla figura 92.


Orario stagionale notturno tramite altezza di stella.
Determinare l'orario in ore stagionali, per la notte tra il 17 e il 18 ottobre, avendo determinato che l'altezza di Procione è 20º.

Determinare la posizione del Sole a 25º Bilancia come nei due casi precedenti. Quindi far girare la rete fino a quando l'asterisco di Procione non è posato sull'almucantarat di 20º, nella parte est. A questo punto, come mostra sempre la figura 92, (senza far uso dell'alidada) si vede che la marca di 25º Bilancia capita tra le curve dell'orario stagionale 7 ed 8, precisamente si può dire 7 2/3 ore stagionali dopo il tramonto oppure, se si vuole, 4 1/3 ore stagionali prima dell'alba. Quello è l'orario stagionale.


Orario stagionale diurno.
Tramite le graduazioni circolari del retro si determina dapprima che il 3 settembre il Sole è a 10º Vergine. Dopo di che far ruotare la rete fino a che la marca di 10º Vergine dell'eclittica eccentrica della rete non incontra il cerchio almucantarat di 30º nella parte est. In corrispondenza di questo punto di incontro non si hanno curve di ore stagionali, per cui dobbiamo riferirci al punto di eclittica diametralmente opposto, 10º Pesci. Osservando semplicemente si vede che la marca di 10º Pesci si trova sulla curva 3. L'orario è dunque di 3h stagionali dopo il sorgere.


Orario stagionale tramite curve orarie stagionali del retro
Determinare l'orario in ore stagionali per la mattina del 3 settembre, dopo aver determinato che l'altezza del Sole è 30º, facendo uso delle curve orarie stagionali del retro.
Per prima cosa determiniamo quale sarà l'altezza meridiana che raggiungerà il Sole. Con il metodo visto in un esempio precedente, troviamo che l'altezza meridiana del Sole sarà 50º. A questo punto, come appare dalla figura, poniamo il filo dell'alidada del retro a lambire la marca di 50º sulla scala circolare delle altezze. In questa posizione dell'alidada vediamo che la curva oraria stagionale marcata 6 (la curva del mezzodì) interseca la marca 10.5 della graduazione dell'alidada.
                                                                                                                                                         Fig. 93

Adesso far ruotare ancora l'alidada fino a porre il suo filo a lambire la marca dell'altezza attuale 30º, come si vede dalla figura. In questa situazione si vede che la marca 10.5 dell'alidada interseca la curva stagionale marcata 3 (un po' meno di 3). L'orario è dunque di 3 ore stagionali dopo il sorgere, come si era trovato nel problema precedente.
                                                                                                                                                         Fig. 94


Offriamo al lettore quest'ultima immagine di Santa Maria del Fiore, la cattedrale in cui Toscanelli realizzò la meridiana. Pensiamo di fare cosa gradita al lettore accomiatarci da lui associando una delle ultime espressioni di strumentazione astronomica antica a quest'opera di fede e di arte.