Storia della cartografia antica
(Parte seconda)







TOLOMEO E IL RINASCIMENTO
L’evento culturale del secolo XV fu l’arrivo in Italia del Geographia di Tolomeo in seguito alla caduta di Costantinopoli (1453, ma il Geographia era arrivato in Italia all'inizio del secolo, insieme a un gran numero di manoscritti bizantini). L’impatto sulla cultura europea fu enorme. La cartografia del Geographia apparve subito come qualcosa di enormemente superiore alla cartografia contemporanea europea (e risaliva a più di mille anni prima!).

Il compito di tradurre il Geographia in latino fu intrapreso dallo studioso bizantino Emanuele Chrysoloras e portato a termine, nel 1406, dal suo allievo toscano Jacopo d’Angiolo. Questa traduzione fu distribuita in manoscritti, dapprima senza le mappe e poi con 27 mappe, in quella che fu conosciuta come la Versione A.


Ma dopo vent’anni incominciarono i pasticciamenti. Nel 1427, Guillaume Fillastre, canonico di Rheims e in seguito legato papale in Francia, diede istruzioni all’amanuense che stava componendo la sua copia personale di includervi le carte delle regioni scandinave di Claudius Clavus nonché un testo che lo stesso Fillastre stava componendo. Nelle sue note, Fillastre diceva che non riusciva a capire perché la Groenlandia dovesse essere più a nord dell’Islanda.

Egli credeva nettamente il contrario. Le supposizioni di Fillastre dovevano avere disastrose conseguenze per la cartografia del nord Europa del XV secolo.

Claudius Cimbricus, alias Claudius Clavus, Claudius Niger, (Claudius Svart), Danese, era considerato “il primo cartografo del nord” ed aveva visitato l’Italia nel 1424 fornendo utili informazioni agli studiosi italiani sulle regioni del Nordeuropa, che era praticamente sconosciuto ai cartografi dell’Europa meridionale.
La popolarità del Geographia continuava a salire. Si conoscono 48 manoscritti latini della Versione A. L’esempio (cattivo) di Fillastre non venne subito seguito, ma poi . . . . Dapprima si incominciò con il modificare all’europea i nomi di alcune località (oppure aggiungere di seguito la versione europea dei nomi). Alcune carte furono suddivise in due o tre parti. Alcune furono aggiunte.

Nel 1466 Donnus Nicolaus Germanus, che lavorava a Firenze come cosmografo (e forse stampatore) presentò in visione a Borso d’Este, duca di Ferrara, il manoscritto di un Geographia. Questo era tutt’altro che fedele all’atlante di Tolomeo. Nicolaus si era prodigato sulle mappe, ridisegnandole secondo una proiezione trapezoidale e introducendo nuovi simboli per i mari, i laghi, i fiumi, le montagne. Un’altra innovazione fu l’aver posto i gradi di latitudini e longitudini non in corrispondenza delle linee dei meridiani e paralleli, ma negli spazi tra questi. Il manoscritto è tuttora preservato nella Biblioteca D’Este a Modena.

Questa versione, di cui si conoscono diversi manoscritti, divenne la base per le mappe della prima edizione a stampa del Geographia, fatta a Bologna nel 1477. Un poco più tardi Nicolaus fece ancora una revisione del Geographia, con l’aggiunta della Scandinavia e degli altri paesi del nord. Nel 1468 Nicolaus produsse la sua terza edizione del Geographia, questa volta muovendo la Groenlandia a nord della Scandinavia e l’Islanda a nord ovest, alla stessa latitudine. A partire dalle mappe di questa terza versione di Nicolaus, furono realizzate le edizioni a stampa di Ulm del 1482 e 1486.


Un altro disegnatore di manoscritti del Geographia fu il pittore fiorentino Pietro del Massaio.Il suo assistente tecnico, cioè l’artista che disegnava le mappe secondo le sue indicazioni e che copiava i testi fu Hugo Comminelli, un noto miniaturista originario di Mezières sulla Mosella. Ci sono giunti tre manoscritti firmati dai due uomini, datati 1469, 1472 e il terzo senza data. Un altro manoscritto anonimo è così somigliante a questi tre che è stato da molti attribuito a Pietro del Massaio.

Henricus Martellus Germanus, un altro cartografo tedesco attivo a Firenze, preparò dei manoscritti del Geographia che sono di particolare interesse. Alle originali 27 mappe egli aggiunse le seguenti: (1) Inghilterra e Irlanda, (2) Spagna, (3) Gallia, (4) Germania, (5) Scandinavia, (6) Italia, (7) Sicilia, Sardegna, Corsica e Cipro, (8) la penisola balcanica, (9) Creta, (10) l’Asia Minore, (11) la Palestina, (12) una carta nautica estesa dal Mediterraneo alla costa nord atlantica e al sud atlantico fino alle recenti scoperte portoghesi. Di particolare interesse e la carta della Germania che viene attribuita a Nicolò Cusanus, il celebre umanista tedesco. La mappa del mondo di Martellus includeva anche la Scandinavia, secondo la versione di Nicolaus Germanus.


La stampa dei manoscritti del Geographia rappresentò un evento eccezionale. L’edizione stampata a Ulm nel 1482 (e ristampata nel 1486) includeva mappe di Spagna, Italia, Gallia, Palestina, paesi del nord e, per la prima volta, paesi dell’Europa orientale nella “Tabula Moderna Prussiane, Norbegiae, Gotcie et Russie, extra Ptolemeum posita”. L’edizione del Geographia di Roma del 1507 aveva sei mappe moderne.
Nell’edizione di Roma del 1508, una ristampa di quella del 1507, abbiamo una prima carta mondiale moderna. Questa carta, di Johan Ruysch, è basata su una carta di G.M. Contarini, stampata due anni prima, ed ha il testo descrittivo seguente “Nova Orbis Descriptio”.

Un’altra edizione del Geographia del 1511, pronta per essere stampata da Bernardus Silvanus, pure contiene un planisfero del mondo. Ovviamente la richiesta di mappe moderne era considerevolmente aumentata al tempo della grande edizione di Strasburgo (1513), dal momento che conteneva 20 nuove carte geografiche (l’edizione di Basilea del 1548 ne aveva 48). Le carte geografiche di queste edizioni furono composte da esperti geografi. Quelle di Strasburgo furono fatte da Martin Waldeseemüller e quelle di Basilea da Sebastian Münster.



DALLE CARTE MEDIOEVALI VERSO NUOVE FORME CARTOGRAFICHE
Con lo sviluppo della navigazione oceanica, i limiti delle vecchia carte medioevali divennero sempre più manifesti. Per quasi tutto il secolo XV la navigazione oceanica europea fu quasi completamente monopolizzata dai Portoghesi. Le rotte portoghesi avevano avuto una direttrice atlantica essenzialmente per meridiano e quindi la Scuola di Sagres istituita dall'infante Enrico il Navigatore aveva privilegiato metodi di navigazione nei quali erano trattati essenzialmente i calcoli di latitudine, associati alla navigazione stimata. Il problema delle deformazioni che nascevano dal voler trasporre su superfici piane i punti di superfici sferiche, incominciava timidamente ad essere posto. Il ritrovamento del Geographgia di Tolomeo, tradotta in latino da Angelo da Scarperia intorno al 1405 (e in volgare italiano soltanto nella seconda metà del secolo XVI da Gerolamo Ruscelli, stimolò l'attività cartografica essenzialmente nel porre con urgenza il problema di costruire carte geografiche rispettando metodi matemetici. Non solo venivano introdotti nuovi sistemi di costruzione delle carte (che portavano a vari nuovi tipi di carte geografiche (ovali, cordiformi, omeoteriche, ecc.), ma si ampliava la estensione della superficie terrestre rappresentata, via via che le scoprte geografiche facevano conoscere le estensioni delle terre e dei mari.

A Siviglia nel 1503 venne istituita la Casa de Contrataciòn de las Indias, dove dal 1508 era conservato una specie di grande portolano, detto Padròn Real. La Casa, suddivisa in vari dipartimenti (giuridico, commerciale, geografico-nautico, militare) aveva lo scopo di gestire i viaggi di scoperta, raccogliendo tutte le informazioni provenienti specialmente dal Niovo Mondo.

Dal dipartimento geografico-nautico, diretto da un Piloto Mayor, dipendeva anche una cattedra di Nautica, istituita a partire dal 1552 per la formazione e l'esame dei Piloti. Nel 1508 la carica di Piloto Mayor fu assunta da Amerigo Vespucci.
Naturalmente le carte geografiche di questo periodo oltre che rivelare certi influssi erronei antichi (solo in parte corretti), rappresentavano le nuove terre in maniera grossolanamente scorretta, e lungo fu il processo di affinamento verso rappresentazioni sempre più accurate. Così si può dire della carta di Juan de la Cosa, del 1500, che riporta le scoperte di Colombo nelle Antille, di Cabral in Brasile, i viaggi di Caboto in Canada e di Vasco de Gama in India.

Così è per la carta del 1507 di Martin Waldseemüller, cartografo alsaziano, nella quale compare per la prima volta su un tratto di costa brasiliana il nome America. La carta del 1529 di Diego Ribera, portoghese al servizio della Spagna, riproduce la nuova struttura del globo rivelata dalla spedizione di Magellano (1519-1522), con l'immensità del Pacifico.

"Mappamondi" famosi furono quelli costruiti da Leonardo da Vinci (1452 - 1519) nel 1515, e da Abramo Ortel, Ortelius, nel 1570, che univano a una rappresentazione abbastanza fedele del mondo antico, una grandemente esagerata dell'estensione dell'America settentrionale verso l'Asia. Gli stessi errori presentavano le carte del piemontese Giacomo Gastaldi, edite a Venezia intorno al 1560.

LA STAMPA DELLE PRIME CARTE GEOGRAFICHE
Le edizioni del Geographia (che da quel momento venne anche sbrigativamente chiamato Tolomeo) stampate nel secolo XV non erano ovviamente libri a grande circolazione. Dell’edizione di Bologna del 1477 furono tirate 500 copie, e si vendettero lentamente. Grazie alla stampa del Tolomeo molti italiani, tedeschi, francesi ed altri europei, poterono per la prima volta avere una visione abbastanza prossima al vero dei contorni geografici dei loro paesi.

Prima dell’avvento della stampa, quando la riproduzione di copie era lavoro di amanuensi era inevitabile che non si avesse la riproduzione fedele dei contorni geografici di un territorio, o di un qualsiasi disegno. Plinio il Vecchio, discutendo di mappe in genere, soleva dire “I disegni possono essere fuorvianti”. Quindi è ammissibile concepire che le successive copiature manuali potessero introdurre errori sempre diversi. D’altro canto, si deve ammettere che la stampa implicava un primo passaggio di interpretazione del manoscritto, passaggio nel quale potevano essere commessi errori, e allora questi errori si sarebbero ripercossi su tutte le copie stampate.

La stampa di testi con caratteri mobili era praticata in Cina fin dall’XI secolo e la sua introduzione in Europa dall’inventore tradizionale Johann Gutemberg, che era attivo a Mainz è del 1450, o di qualche anno prima. La stampa di disegni su carta da incisioni su legno o su rame, era stata praticata molto tempo prima di Gutemberg. Le più antiche incisioni su legno (una rappresentazione di San Cristoforo) è del 1423. La più antica incisione di rame (una passione di Cristo) è del 1446. Entrambe furono prodotte in Germania.
In registrazioni tedesche e olandesi si fa riferimento a Formschneider (incisori di legno) di Ulm del 1398, a un altro di Norimberga del 1428, a un certo “Jan de Printeur” di Anversa del 1417, a un francescano descritto come “optimum incisor lignorum” di Nördlingen del 1428.

L’incisione su legno (xilografia), si affermò in Italia dopo la metà del Quattrocento, particolarmente a Venezia. La stampa su carta da piastre di rame incominciò qualche anno dopo. Quando le prime carte geografiche furono stampate (circa tre decadi dopo l’introduzione della stampa a caratteri mobili) la xilografia aveva già una certa esperienza. Molte mappe del secolo XV erano stampate su libri, ed era più conveniente usare una superficie stampabile in rilievo (come quella delle presse di stampa) in modo che il blocco poteva essere inserito nella forma a stampa e passato attraverso la pressa con il testo in un’unica operazione. La lastra di rame, con il disegno inciso, richiedeva una pressione maggiore e una seconda operazione di stampa.

Le primitive procedure di stampa erano modellate su quelle degli amanuensi, dal momento che essi consideravano “la nuova invenzione . . . semplicemente una nuova forma di scrittura”. Quando uno stampatore si accingeva a produrre opere di autori classici medioevali, Pomponio Mela, Macrobio, Sacrobosco, Pierre D’Ailly, Zaccaria Giglio, ecc., egli riproduceva le schematiche mappae mundi che apparivano nei manoscritti. La prima stampata, una xilografia nell’edizione del Sant’Isidoro, Augsburg 1472, è uno schema tradizionale T-O.
Alcune persone che si dedicarono alla stampa, avevano in precedenza esercitato la professione di amanuense. Il primo atlante stampato è il Tolomeo di Bologna del 1477: Sia Domenico de’ Lapi, lo stampatore, che Taddeo Crivelli che aveva preparato le mappe, erano stati in precedenza miniaturisti. Quest’edizione, come quella stampata a Roma nell’anno seguente, recavano mappe stampate da lastre di rame. Gli stampatori delle mappe dell’edizione di Roma erano stati addestrati dallo stampatore tedesco Conrad Sweynheym di Magonza, che col suo socio Arnold Pannarts impiantò la prima stamperia in Italia (Subiaco 1465 - 1467, Roma dopo il 1467). Il Tolomeo di Roma richiese diversi anni di preparazione prima della pubblicazione da parte del successore di Sweynheym, Arnold Buckinck nel 1478.





LA CARTOGRAFIA DELLE GRANDI SCOPERTE GEOGRAFICHE
Poche carte geografiche disegnate da esploratori del periodo delle Grandi Scoperte sono arrivate fino a noi.
Nel secolo XV ebbero inizio i viaggi oceanici, quindi si accentuarono i progressi nella struttura delle navi e nell’uso di strumenti nautici. Ciò comportò un riflesso sulla cartografia. Un enigma tuttora irrisolto è dato dal fatto che malgrado l’enorme sforzo compiuto dai Portoghesi in questo senso lungo la direttrice nord-sud, e quindi nella circumnavigazione dell’Africa, solo due carte nautiche portoghesi del secolo XV sono giunte fino a noi. Le tappe successive dell’avanzata portoghese verso l’India, conclusa da Vasco da Gama nel 1499, furono messe su carte nautiche da cartografi italiani, che utilizzarono i resoconti degli esploratori portoghesi.

La maggior parte di questi cartografi erano veneziani, o svolsero la loro attività a Venezia. Nel 1448 Andrea Bianco, comandante di una galea veneta nel traffico delle Fiandre, redasse una carta e la firmò a Londra, illustrando la costa del West Africa fino al Senegal e al Capo Verde.
La grande c.g. del mondo, portata a termine da Fra Mauro nel 1459, con l’assistenza di Bianco, fornisce poca informazione ulteriore sull’Africa, malgrado a quell’epoca i Portoghesi fossero arrivati fino in Congo. Ma si ha qualche dettaglio dell’east Africa e Fra Mauro, ripudiando la nozione tolemaica di un Oceano Indiano chiuso, mostra la via attorno al capo meridionale dell’Africa.
I viaggi successivi portoghesi, sotto il patronato di Enrico il Navigatore, fino alla sua morte nel 1460, estesero le esplorazioni portoghesi alla Sierra Leone, e vennero registrate nelle carte e negli atlanti prodotti a Venezia a partire dal 1467 da Grazioso Benincasa di Ancona, su informazioni ricevute dal veneziano Alvise Cadamosto, che aveva navigato per il principe Enrico.

Si suppone che la prima carta di fattura portoghese dedicata alle scoperte, sia del 1471 circa, dopo il ritorno di Joao de Santarem e Pedro Escobar, che avevano raggiunto la Costa d’Oro. La loro relazione che la costa, anziché proseguire verso est girava a sud, propiziò la richiesta che il re Alfonso fece a Toscanelli nel 1474 su quale fosse la via più breve per raggiungere l'India dal Portogallo.

Quando il re Giovanni II ascese al trono nel 1481, le esplorazioni ripresero, e il viaggio di Diego Cao al Congo del 1482-84 è descritto in una carta di Pedro Reinel, recentemente scoperta, la prima carta esistente portoghese firmata. Venne descritto anche in una carta veneziana intitolata “Ginea Portugalexe”, attualmente al British Museum.

I risultati della seconda spedizione di Cao nel 1485-87, quando raggiunse il Capo Cross, e di quella di Bartolomeo Diaz, che nel 1487-88 doppiò il Capo di Buona Speranza, vennero descritti in planisferi disegnati da Henricus Martellus a Firenze all’incirca nel 1490. Ci fu anche un rapporto e delle carte che Pedro de Covilha fece al re: partito dal Cairo, fece un viaggio per mare nell’Oceano Indiano ritornando al Cairo due anni dopo.
Cristoforo Colombo aveva fatto un viaggio in Guinea su una nave portoghese. Il fratello di Colombo Bartolomeo, cartografo, aveva presentato al re una carta del mondo, e Colombo stesso aveva svolto attività cartografica (probabilmente aiutando il fratello a Lisbona, per sbarcare il lunario). Tra il 1474 e il 1480 si dice anche (ma non esistono prove sicure) che Colombo abbia ottenuto dal Toscanelli una copia della carta che Toscanelli aveva inviato al re Alfonso. Le distanze longitudinali date nella lettera di Toscanelli al re Alfonso, corrispondono a quelle che potevano essere ricavate dal globo che era stato costruito a Norimberga da Martin Behaim nel 1492. Questo globo è ritenuto quello sul quale Colombo aveva fatto i suoi calcoli di distanze nella progettazione della sua impresa.

Delle carte geografiche che indubbiamente Colombo redasse nei suoi quattro viaggi, solo una è sopravvissuta. E’ lo schizzo della costa nord-ovest di Hispaniola, eseguito nel dicembre 1492. Esistono anche due carte derivate da informazioni di uomini che avevano partecipato ai viaggi colombiani.

La prima è un planisfero datato 1500, eseguita da Juan de la Cosa che aveva accompagnato Colombo nel secondo viaggio e Ojeda - Vespucci nelle loro esplorazioni della costa sudamericana nel 1499. Questa celebre mappa di Juan de la Cosa non solo illustra i viaggi di Colombo, ma contiene anche la unica autentica registrazione cartografica della spedizione di Giovanni Caboto al Nordamerica nel 1497.

La seconda mappa, è una carta disegnata nel 1513 dal cartografo turco Piri Reis, che affermò di averla copiata da una carta ottenuta da un marinaio italiano che aveva partecipato a tre viaggi di Colombo e che era poi stato fatto schiavo dai Turchi.
Infine, un gruppo di schizzi cartografici contenuti in manoscritti del geografo Alessandro Zorzi del 1506, sono stati attribuiti a Bartolomeo Colombo, ma oggi sono in genere attribuiti allo stesso Zorzi, probabilmente su informazioni avute dallo stesso fratello dello Scopritore.

Dopo quella di De la Cosa, nessuna altra carta geografica spagnola ci è pervenuta fino a una del 1522, eseguita da Nuño Garcia de Toreno, che mostra per la prima volta le Filippine, su informazione dei superstiti della spedizione di Magellano. Il cosiddetto Planisfero Cantino del 1502 è la prima carta a rappresentare l’India, dopo l’arrivo di Vasco de Gama.


All’ovest, le scoperte di spagnoli e portoghesi sono illustrate da molte carte geografiche manoscritte, di fattura portoghese e italiana, generalmente senza data. Nessuna di esse accetta le scoperte di Colombo come estreme propaggini dell’Asia, il primo a identificare queste terre come definitivamente un distinto nuovo continente fu Martin Waldeseemüller, nel suo planisfero del mondo del 1507.






CARTOGRAFIA NAUTICA DEL SECOLO XVI
All’inizio del secolo XVI molte officine in città portuali italiane erano impegnate in una vigorosa attività di produzione di carte nautiche. Era in attività anche una cartografia nautica in Portogallo, qui sotto il controllo dello Stato (va qui precisato che la dizione "cartografia nautica" indica semplicemente che queste carte venivano usate anche per scopi nautici, rimanendo inteso che le carte nautiche vere e proprie incominceranno ad essere prodotte soltanto a secolo XVII inoltrato). La prima carta nautica del secolo che possa essere datata con precisione è il Planisfero Cantino fatta eseguire da un anonimo cartografo portoghese nel 1502 su comando di Alberto Cantino, agente del Duca di Ferrara, e ancora preservata alla Biblioteca Estense di Ferrara.
I primi cartografi portoghesi di cui si conoscano i nomi, sono Pedro Reinel (fl. ca. 1485 - 1519) e suo figlio Jorge (fl. 1519 - 1534). Altri nomi di cartografi portoghesi: Lopo Homen (fl. 1519 - 1554), Diego Ribeiro, Gaspar Viegas, Joao De Castro, attivi dal 1558 al 1576.
I cartografi portoghesi e gli scrittori di argomento nautico sembrano essere stati i primi a riconoscere gli errori delle carte piane, che ignoravano la curvatura della superficie terrestre. Pedro Nunes nel 1534 accertò la natura corretta della linea di rotta. A partire dal 1520 la graduazione in longitudine incominciò ad apparire sull’equatore (naturalmente, a quell'epoca le longitudini erano marcate cervelloticamente). La graduazione in latitudine era stata introdotta all’incirca a partire dal 1500. La declinazione magnetica incominciò ad essere mostrata per mezzo di una scala inclinata in vicinanza di qualche linea di costa. Una carta del 1504 circa di Pedro Reinel riporta questa scala in prossimità della costa del Labrador.

Malgrado ci siano giunte soltanto poche carte nautiche spagnole a partire dal secolo XVI, non si deve pensare che la produzione di carte da parte della Spagna sia stata scarsa. A dirigere l’ufficio idrografico della Casa de Contratacion, venne chiamato un Piloto mayor. I primi tre a tenere questo ufficio furono Amerigo Vespucci (dal 1508 al 1512), Juan Diaz de Solis (dal 1512 al 1516) e Sebastiano Caboto (dal 1518 al 1548).
Il Piloto mayor esaminava tutti i piloti che volevano qualificarsi per condurre navi alle Indie, ed era responsabile per la qualità di tutte le carte e tutti gli strumenti nautici. Tutte le carte dovevano essere vistate da lui (una carta dell’Atlantico di Diego Gutierrez fu severamente criticata e respinta, malgrado Gutierrez fosse cartografo reale). Delle carte prodotte sotto Caboto tutte sono andate perdute tranne una. Si tratta di una carta che era incisa su rame e stampata nel 1544. L’unica copia sopravvissuta si trova nella Biblioteca Nazionale di Parigi.


CARTE STAMPATE PER LA NAVIGAZIONE
Un certo periodo di tempo dovette trascorrere prima che le carte propriamente dedicate all’uso di bordo fossero stampate. Le prime carte stampate apparvero nell’edizione di Strasburgo del Geographia del 1513 del Waldesemüller. Malgrado non sia stata concepita proprio come carta nautica, ha un aspetto molto somigliante, come suggerisce anche il titolo: "Orbis typus universalis iuxta hidrographorum traditionem”. E’ conosciuta come la “Carta dell’Ammiraglio” perché è citata nella prefazione come “Per Admiralem quondam serenissimi Portugaliae regis Ferdinandi ceteros denique lustratores verissimis peregrinationibus lustrata”.

E si assume che l’ammiraglio dovesse essere lo stesso Colombo, malgrado ciò sia tutto da provare.
Tre anni dopo, nel 1516, Waldesemüller pubblicò la sua famosa “Carta Marina Navigatoria Portugallen Navigationes”. Derivata da un modello portoghese, contiene tale e tanto materiale illustrativo su terra da non poter essere ritenuta una carta nautica, e il suo titolo probabilmente sta ad indicare solamente che era basata su resoconti di viaggi di navi portoghesi.

E’ una carta piana (cioè non tiene in nessun conto la curvatura della Terra), con la griglia di paralleli e meridiani e si estende in longitudine da 280º a 0º a 172º (come si vede, dunque, la longitudine era ancora un mistero pressochè totale). Se ne conosce solo una copia, rilegata assieme con la world map del Waldsemüller del 1507.
Nel 1522 Laurent Fries pubblicò una nuova edizione di questa carta, ridotta e semplificata e la ripubblicò nel 1527 e nel 1530, ma solo una copia ci è giunta.



La più antica carta nautica stampata, intesa per uso a bordo di navi, fu la carta del Mediterraneo orientale, dallo Stretto di Messina alla Palestina, pubblicata a Venezia nel 1539 da G.A. Vavassore nel 1539. Una seconda edizione apparve nel 1542, e nel 1558 Matteo Pagano pubblicò una nuova edizione. Queste erano carte effettivamente per uso di bordo. E’ stata fatta una scarsa ricerca su queste carte ed è difficile dire su quale portolano fossero basate. Esiste solo una copia della carta di Valvassore, dell’edizione 1542, e si trova al National Marittime Museum di Greenwich e una copia della carta di Pagano, nella collezione Nordenskiold, ora nella Biblioteca di Helsingfors. La carta di Pagano non ha data, ma la data riportata nel testo descrittivo della carta, 1558, probabilmente si applica alla carta stessa.

Sia la Spagna che la Francia attrassero piloti e cartografi portoghesi al loro servizio nel secolo XVI, e questi uomini portarono con se carte portoghesi. Questo spiega l’influenza portoghese riscontrabile nella produzione cartografica francese, che a partire della metà del Cinquecento fu concentrata in Normandia, particolarmente a Dieppe. Questa regione produsse un certo numero di sperimentati cartografi i cui lavori sono preservati in eccellenti condizioni, ad esempio due “mappemondes” del 1541 e del 1566, a Dieppe, di Nicolas Desliens e un atlante di Jean Rotz, pure di Dieppe, per il re Enrico VIII d’Inghilterra.

Nel 1546 Pierre Descelier produsse una carta del mondo conosciuta come la “Carte de Henri II”, perché fu a lui dedicata, ed ora giacente nella Biblioteca John Rylands di Manchester.
Nessuna carta francese venne stampata fino al 1544. La prima fu opera non di un normanno ma di un meridionale, Nicolas de Nicolay, del Delfinato. Si trattava di una incisione di rame in quattro fogli dal titolo “Nova et exquisita descriptio navigationum ad precipui mundi partes”, che trattava soltanto l’Europa e solo la costa nord dell’Africa, cosicché Ortelius chiamò la carta Europa Marina. Nicolay fu in Inghilterra nel 1546 - 1547 e produsse carte dell’Inghilterra e della Scozia che non furono stampate. Ma il suo libro La navigation du roi d’Ecosse Jacques cinquieme, autour de son royaume, che venne stampata a Parigi nel 1583 conteneva una carta della Scozia.

I difetti delle carte piane, per la navigazione oceanica, sui quali Pedro Nunes aveva richiamato l’attenzione fin dal 1530, si riducevano essenzialmente alla impossibilità di rappresentare su di esse la rotta seguita tramite una semplice linea retta, senza errore.
Il primo tentativo empirico di costruire una carta che consentisse di tracciarvi una rotta con una semplice retta fu fatto da Mercatore con la sua grande carta mondiale del 1569 “Nova et accurata orbis terrae descriptio ad usum navigantium emendata et accomodata”.

Malgrado il suo titolo indichi che fosse “ad usum navigantium” era più che altro una mappa ornamentale. La proiezione su cui era costruita (per lo meno in modo empirico, come si è detto) divenne nota come proiezione di Mercatore, che è ancora oggi la proiezione universalmente adottata per le carte nautiche.
In Nord Europa l’evoluzione degli ausili alla navigazione seguì lo stesso percorso del Mediterraneo. Si ebbero anche là dei portolani, a partire dal secolo XIV. Davano descrizioni delle coste da Cadice a Heligoland e oltre fino al Baltico. I primi due portolani stampati, del 1532 e del 1541, furono ad Amsterdam.
Ebbero sviluppi abbastanza paralleli nei vari paesi, e nomi similari: Seebuch per i Tedeschi, Leeskaart per gli Olandesi, Rutter per gli Inglesi, Routier o Livre de mer per i Francesi, Roteiro/ per i Portoghesi.
Anche su questi libri si ebbero degli schizzi di particolari punti di costa notevoli, similmente a quanto fatto da Goro Dati, da Buondelmonte, da Bordone, nei loro portolani italiani dal Trecento in poi.

La prima carta nautica stampata del Nord Europa, la “Caerte van de Oostersche Zee” di Jan van Hoirne era apparsa ad Anversa nel 1526. Soltanto nel 1544 si ebbe un portolano stampato, accompagnato da carte e da vedute di costa. Questo fu la Caerte van die Oostersche See di Cornelis Anthonisz, pittore, pilota e idrografo di Amsterdam che aveva già pubblicato delle incisioni a legno nell’anno precedente.
Il primo atlante di carte nautiche fu De Spieghel der Zeevaert del pilota L.J. Waghenaer, nel 1584- 1585. Questa fu una pubblicazione che fece epoca, perché imponeva una nuova simbologia che venne largamente accettata.

Una versione inglese dello Spieghel venne pubblicata nel 1588 e la fama dell’opera di Waghenaer si diffuse talmente nella marineria inglese che in quella lingua entrò la parola Wagooner per indicare una collezione di carte.



LE GRANDI CARTE DEL MONDO DEI SECOLI XV E XVI
All’inizio del XVI secolo c’erano in Germania tre centri nei quali venivano eseguiti studi basilari per la cartografia e nei quali quindi era praticata la costruzione di carte: la Renania e le città di Norimberga e Vienna. Norimberga era il centro più antico. Là si erano avuti i precursori dell’attività cartografica. Mastro Reinhard (ca. 1400 - 1450) costruiva carte e tavole astronomiche. Regiomontanus (Johann Müller), continuando l’opera del suo maestro Georg von Peurbach, aveva fornito le basi della trigonometria sferica, fondato il primo osservatorio di Norimberga (1471), compilato le sue effemeridi (1474), perfezionato la costruzione dell’astrolabio (1475). Martin Behaim aveva costruito il suo famoso globo del 1492. Pure a Norimberga Peter Hele aveva costruito il primo orologio a molla e Georg Hartmann aveva per primo introdotto il concetto di declinazione magnetica (1510).

Avvenne che la fama di Norimberga fu oscurata da quella di una piccola cittadina dei Vosgi, St Dié, la sede del duca Renato II di Lorena, che era particolarmente attratto dalla geografia. Tre studiosi di St Dié, Mathias Ringmann, Gaultier Lud e Martin Waldeseemüller si interessavano alle nuove scoperte e, quando arrivò nelle loro mani una lettera di Vespucci in cui egli relazionava sul suo terzo viaggio in America, non esitarono a pubblicarla nel 1504. Questo è ciò che essi dissero di aver fatto. In effetti si è accertato recentemente che la famosa "lettera di Amerigo Vespucci al gonfaloniere di Firenze Pier Soderini" era apocrifa, inventata di sana pianta (a quel tempo queste cose non erano rare e chi desideri chiarirsi le idee su questo evento, può consultare la pubblicazione della Professoressa Luzzana Caraci ).
Ringmann in seguito scrisse un testo descrittivo della carta d’Europa di Waldesemüller che era stata edita nel 1511, e nel 1513 editò un Geographia stampato a Strasburgo.
Gaultier Lud, un canonico del luogo, aveva fondato una stamperia a St Dié, e aveva proposto di pubblicare, in collaborazione con Waldesemüller, il Geographia con mappe addizionali, ma del progetto non se ne fece nulla. Pubblicò una traduzione di quattro lettere di Vespucci e, nel 1507, un piccolo trattato, Declaratio speculi Orbis, che fu incorporato nel 1512 nel Margarita philosophica di Gregor Reisch.

Ma il più importante dei tre fu Waldesemüller (1470 - 1518) che dedicò tutte le sue energie alla produzione di carte. Nel 1507 egli produsse un globo e una carta del mondo. In questi, le rappresentazioni dei singoli paesi era basata su carte tolemaiche, con alterazioni e aggiunte. Le coste americane erano mostrate come “Provincia inventa per mandatum regiis Castelli”. E nel testo descrittivo di accompagnamento alla carta, Waldesemüller propose che la nuova terra fosse chiamata “America” in onore di Amerigo Vespucci.

La carta è costruita su una proiezione speciale, simile alla proiezione a cuore. E’ una incisione in 12 fogli, e soltanto una copia è sopravvissuta, attualmente nella Biblioteca del principe di Waldburg zu Wolfegg-Waldsee. Reca il titolo “Universalis Cosmographia secundum Ptolemaei traditionem et Americi Vespucci aliorunque lustrationes”.

Nel 1520 Johann Schöner, egualmente professore a Norimberga, produsse il suo primo globo, mostrando per la prima volta l’ipotetico continente meridionale, e uno stretto che attraversava l’America meridionale nel Pacifico. Come era allora usuale, un testo descrittivo accompagnò il globo, Luculentissima terrae descriptio (Bamberg, 1515). Nel 1523 Schöner produsse un altro globo con una descrizione intitolata De nuper repertis insulsi e nel 1533 ancora un’altra, con la descrizione Opusculum geographicum. Questi testi descrittivi sono in effetti dei trattati geografici.

Ora facciamo menzione del famoso Pietro Apiano (Peter Bienewitz, 1495 - 1552), malgrado non sia appartenuto al circolo di Norimberga. Le sue opere, che egli stesso pubblicò, possono essere dette scarsamente originali. Quasi tutte le mappe che egli pubblicò sono il lavoro di altri. Professore di matematica a Vienna, Ingolstadt e Innsbruck e, naturalmente cartografo, stabilì la propria stamperia a Landshut, pubblicando le mappe seguenti (in qualche caso omettendo i nomi degli autori effettivi):
  • 1520: una mappa del mondo con le iniziali L.F., cioè Laurent Fries (una copia della mappa di Waldeseemüller del 1507). Il testo che accompagnava era Isagoge in typum cosmographicum seu Mappam Mundi e, in un’altra edizione, come Declaratio et usus typi Cosmographici
  • 1528: “Tabula Hungariae
  • 1530: un planisfero del tipo a cuore, ritenuta opera sua
  • 1533: “Das Franckenlandt” di S. Rotenhan
  • 1534: „Europa“ una mappa andata perduta, anch'essa ritenuta opera sua.
Apiano si guadagnò una notevole fama per il suo testo Cosmographicus liber che apparve nel 1524. Le edizioni successive furono date dal suo discepolo Gemma Frisius.
Il terzo centro importante della cartografia tedesca, Vienna, si dedicò, principal,ente nel XVI secolo, alla cartografia regionale.
Il più originale cartografo francese dell’inizio del XVI secolo fu Oronce Finé, (1494 - 1555). La sua prima mappa, del tipo a cuore, è datato al 1519. Non riuscì a farla stampare fino al 1534. Altre sue mappe furono sempre eseguite in proiezione a cuore.

La crescita della cartografia in Olanda fu strettamente associata a quella della Germania e della Francia, ben favorita dall’attività marittima e commerciale di quel paese. L’attività cartografica in Olanda può essere suddivisa in due parti:il gruppo meridionale, centrato ad Anversa e il gruppo settentrionale, centrato ad Amsterdam. Si ebbe un certo rimescolamento tra questi due centri e quelli adiacenti di Lorena, di Germania e Francia, nel senso che i cartografi si trasferivano spesso da un paese all'altro. Ad esempio, Gerardo Mercatore, era nato a Rupelmonde ed educato all’università di Lovanio, ma tutto il suo lavoro successivo fu eseguito a Duisburg. Gilles Boileau, francese di nascita, pubblicò quasi tutte le sue opere ad Anversa. C. Pyramius di Carinthia pubblicò la sua mappa della Germania a Brusselles. Johann Ruysch, nato ad Anversa,pubblicò la sua mappa del mondo a Roma.




Ruysch sembra che fosse un navigante. Nel 1507 produsse una mappa del mondo per l’edizione di Roma del 1508 del Geographia. Questa mappa era in proiezione conica, del tipo usato da Contarini e Vesconte Maggiolo. Ma la vera storia delle mappe olandesi incomincia quando le mappe incominciarono ad essere stampate, cioè, a partire dalla seconda decade del secolo XVI.

I due cartografi olandesi che più influenzarono la produzione di mappe furono Gemma Frisius, (1508 - 1555) e Gerardo Mercatore. Gemma Regnier, conosciuto come Gemma Frisius, era professore all’università di Lovanio. Si era dedicato alla cosmografia matematica e alla produzione di mappe e strumentazione geodetica e nautica. Nel 1537 completò un paio di globi (essendo assistito in questo compito dal suo allievo Mercatore). Le più grandi mappe del mondo di Gemma Frisius, come quella che si ritiene pubblicata a Lovanio nel 1540 e ripubblicata a Colonia, sono andate perdute. L’unica sua mappa sopravvissuta è la piccola incisione a legno che venne aggiunta alla sua edizione del Cosmographia di Pietro Apiano.

Mercatore (Gerard Kremer, 1512 - 1594) era nato a Rupelmonde, nelle Fiandre orientali. La sua prima opera indipendente fu una mappa di sei fogli della Palestina che apparve nel 1537. Nel 1538 pubblicò una piccola mappa del mondo in proiezione a doppio cuore, una adattazione della mappa di Oronce Finé. Nel frattempo pubblicò una grande mappa delle Fiandre nel 1540, un globo terrestre nel 1541 e un globo celeste nel 1551. Finalmente, subito dopo essersi trasferito da Lovanio a Duisburg, dove visse fino alla morte, completò la sua grande mappa d’Europa.

Fu in Italia che il commercio di mappe fu più grandemente sviluppato, durante la prima metà del secolo XVI. Le navi venete facevano viaggi regolari nei porti del Levante, in Spagna e Portogallo e nelle Fiandre e in Inghilterra. A Venezia era molto sviluppata l’arte dell’incisione a legno e su rame. Malgrado nessuna edizione del Geographia sia stata fatta a Venezia prima del 1511, l’edizione di Roma del 1507 fu dovuta a Venezia. Le mappe aggiuntive furono fatte a Venezia da Marcus Beneventanus e stampate a Roma da Bernardino Veneto de Vitalibus.

Da quest’epoca in poi la produzione veneta acquisì una grande fama, soprattutto per l’opera di due insigni maestri, G.A. Vavassore e Matteo Pagano. Raggiungendo l’apice della perfezione alla metà del secolo XVI con Giacomo Gastaldi.
Nel prendere in considerazione le mappe italiane, dobbiamo tenere conto dei termini latini:
  • Excudit = “pubblicò” per indicare il cartografo autore della mappa
  • Fecit = “stampò” per indicare lo stampatore
  • Sculpsit = “incise” per indicare l’incisore a legno o a rame
Questi termini tecnici si trovano sulle mappe, talvolta tutti e tre, associati a tre nomi differenti. Ma non è sempre possibile capire se il nome indicato come l’autore di una mappa, si riferisce al cartografo, allo stampatore o all’incisore.
Giovanni Andrea Vavassore, (1490? - 1572?) famoso come incisore a legno e stampatore, viene spesso confuso con l’incisore su rame Z.A. Vavassore di Mantova. Nell’elenco degli stampatori di Venezia del 1530, Vavassore appare come “Vadagnin Zuan Andre”, senza alcuna indicazione della sua provincia di origine. Sembra che la sua carriera artistica sia iniziata nel 1510 e sia continuata fino al 1572. Le sue prime opere erano generalmente firmate con le iniziali ZAV. E’ difficile dire come incominciò a pubblicare mappe. Pubblicò mappe della Spagna nel 1532, della Francia nel 1536, della Grecia nel 1545, dell’Inghilterra del 1556, dell’Ungheria nel 1553. Vavassore pubblicò anche la prima carta nautica stampata del Mediterraneo orientale, da Messina alla Palestina, che ebbe un grande successo.

Matteo Pagano produsse nuove edizioni di certe carte già pubblicate da Vavassore. Fu uno dei più notevoli esponenti della pubblicazione di carte a Venezia, come un grande incisore a legno. Le sue opere recanti una data iniziarono nel 1538, con mappe di Cipro e Creta e terminarono nel 1562 con la pubblicazione del testo che accompagnava il mappamondo di Gastaldi.

La costruzione di carte "nautiche" secondo le modalità medioevali raggiunse un alto grado di sofisticazione nella seconda metà del Quattrocento per opera di alcuni cultori di quest'arte. L'anconetano Grazioso Benincasa svolse la sua attività principalmente a Venezia. La sua carta dello Stretto di Gibilterra qui riportata lascia letteralmente stupiti per la precisione e ricchezza di particolari. Purtroppo, soltanto pochissime sue carte nautiche sono sopravvissute (segno che venivano effettivamente usate a bordo), e c'è anche indeterminatezza se attribuire quelle poche che sono giunte fino a noi a lui o a suo figlio Andrea.

Un'altra famiglia di cartografi fu quella dei Maggiolo, attivi nella produzione di carte per tutto il secolo XVI. Vesconte Maggiolo, nato a Rapallo, fu cartografo ufficiale della Repubblica di Genova. Una sua carta dell'America si trova alla Biblioteca Ambrosiana. I suoi figli Giovanni, Jacopo e Baldassarre seguirono degnamente le orme del padre.



VERSO UNA NUOVA CARTOGRAFIA
Nei secoli XV e XVI l'Italia si distinse anche nella produzione di portolani, quindi prima che in altri paesi. Abbiamo già parlato di Cristoforo Buondelmonte, Bartolomeo dalli Sonetti e Matteo Bordone. Nel 1490 apparve a Venezia un portolano la cui paternità fu attribuita ad Alvise Cadamosto, e che ebbe larga diffusione sotto il nome di portolano Rizo (nome dello stampatore successivo). Nel 1557 un pilota italiano conosciuto come Battista Testarossa pubblicò un portolano col titolo Breve compendio de l'arte del navegar.

Ma tornando ai progressi nella cartografia vera e propria, è fuor di dubbio che i grandi viaggi di esplorazione per la scoperta di terre nuove furono il motore che sviluppò la spinta a porre la cartografia sulla strada maestra che le competeva: quella della disciplina scientifica. Era inevitabile che il vecchio metodo di "disegnare" le carte venisse abbandonato. A partire dalle primitive "proiezioni" introdotte dai fondatori dell'arte cartografica, si proseguì sulla strada di ricercare un autentico metodo proiettivo matematico.

Ma il cammino fu lungo e incredibilmente "conservatore" di errori. Si cominciò con un concetto corretto, quello per il quale la carta nautica doveva essere dotata di una griglia di meridiani e paralleli. Si adottò anche, per opportunità, il concetto della ortogonalità delle linee dei meridiani con quelle dei paralleli, ma qui si introdusse un errore che venne mantenuto per centinaia di anni: stabilita una certa scala per la graduazione in longitudine, fu adottata la stessa scala anche per la graduazione in latitudine (se ad esempio un grado di longitudine era rappresentato con una lunghezza di 10 cm, anche un grado tra le latitudini 15º e 16º o tra 22º e 23º era sempre rappresentato da una lunghezza di 10 cm). Questa grossolana "innovazione" costituente il principio delle cosiddette carte piane fu introdotta al principio del Quattrocento dalla Scuola di Sagres del principe Enrico il Navigatore, grande animatore e protettore degli studi di discipline nautiche e delle imprese di scoperta dei Portoghesi.
Va riconosciuto che malgrado questa imprecisione, le carte piane rappresentarono un fondamentale punto di svolta nella cartografia perchè stabilirono il principio per il quale su una carta i punti dovevano essere introdotti in base alle coordinate geografiche, e non per semplice "disegno" della carta.

Il nome di carte piane fu anche dato a quelle (più perfezionate delle precedenti) ottenute con il vecchio metodo del coseno della latitudine media, che risaliva a Marino di Tiro, di cui si è detto, valido per estensioni non troppo grandi in latitudine: dovendo rappresentare, ad esempio, una zona compresa tra le latitudini di 20º e di 30º, si otteneva la lunghezza di un grado di longitudine moltiplicando la lunghezza di un grado di latitudine per il coseno di 25º. Così facendo, su tali carte si aveva che la lunghezza di un grado di latitudine qualsiasi era data dalla lunghezza di un grado di longitudine moltiplicata per la secande della latitudine media della carta. Ripetiamo che tali carte furono usate per rappresentare zone poco estese in latitudine e costituirono un effettivo progresso rispetto alle carte piane del primo tipo, e ovviamente alle carte medioevali.

A titolo di curiosità diciamo che questo metodo è applicato ancora oggi sulle navi nel tracciamento delle rette d'altezza derivanti da osservazioni stellari. Dovendo queste rette essere rappresentate su una carta quadrettata, si ottiene che la quadrettatura realizzi in maniera approssimata la carta nautica (come mostra la figura accanto) prendendo la scala della longitudine sulla semiretta orizzontale OA e la scala per le latitudini e le distanze sulla semiretta OB, inclinata rispetto alla OA di un angolo pari alla latitudine media della zona. Così facendo una lunghezza A'' B'' è data dalla lunghezza A'B' moltiplicata per la secante dell'angolo AOB, rappresentativo della latitudine media della zona.

L'adozione della ortogonalità tra meridiani e paralleli e l'essersi rifatti al metodo del coseno della latitudine media risalente a Marino di Tiro, ci fanno intuire che i cartografi, nella ricerca di un metodo proiettivo matematico, si orientarono (per la cartografia nautica) su quello che si otteneva ponendo la sfera rappresentativa della Terra all'interno di un cilindro, tangente alla sfera stessa lungo l'equatore, e ponendo il punto di vista della proiezione al centro della stessa sfera. Così facendo, le visuali condotte ad un meridiano e ad un parallelo avrebbero dato luogo, sulla superficie sviluppata del cilindro, rispettivamente a una linea verticale e a una orizzontale (la figura mostra come appare la proiezione dei meridiani: linee verticali egualmente distanziate rispetto ai gradi di longitudine).

Il lettore comprenderà a questo punto due cose: mentre la differenza di longitudine tra due punti qualsiasi della sfera rappresentativa viene conservata senza deformazioni sulla superficie del cilindro, per la latitudine le cose si complicano: gli archi dei gradi di latitudine, di lunghezza costante sulla sfera rappresentativa, sulla superficie del cilindro vengono ad essere rappresentati con lunghezze crescenti perchè le dette lunghezze sono funzione della tangente della latitudine considerata (in parole più semplici, un punto B, di latitudine doppia di un punto A, viene rappresentato sulla carta a una distanza O'B' che è più del doppio della distanza O'A').

I cartografi a questo punto comprendevano bene che la soluzione del problema (con l'adozione della proiezione cilindrica tangente) era ben lontana dall'essere raggiunta. E noi riteniamo che per il lettore sia più opportuno ora abbandonare lo sviluppo storico della cartografia nautica per fornirgli alcune elementari considerazioni di geometria sferica che forse gli saranno di aiuto.



NOZIONI INTRODUTTIVE ALLA CARTA NAUTICA
Questa figura (tratta da un libro) mette in evidenza una interpretazione spesso erronea che taluni danno alla nozione di differenza di longitudine tra due punti. In questa figura è stato stampato il simbolo DLo tra i meridiani passanti tra Seattle e Washington, presumibilmente intendendo con ciò indicare la differenza di longitudine tra le due località. Ora, pur essendo ciò concettualmente accettabile, in quanto si presume che si sia voluto indicare la distanza angolare tra i due meridiani, è bene che il lettore limiti il concetto di differenza di longitudine tra due punti >B>soltanto al corrispondente arco di equatore, qui DLo' = S'W'.

Così facendo non si fa confusione tra differenza di longitudine e distanza. In questo caso, la differenza di longitudine tra le due località è DLo' = S'W' = circa 45º = circa 2700' = circa 2700 miglia (sulla Terra sferica un miglio, 1853 metri, è un primo di cerchio massimo), mentre l'arco di parallelo posto a una latitudine media tra Seattle e Washington, pur avendo la stessa ampiezza angolare di circa 45º ci conduce a una distanza ottenibile da:
distanza = DLo = 45º • coseno della latitudine media, cioè di circa 1966 miglia (per un arco come DLo il termine appropriato non è di differenza di longitudine ma appartamento).

Altre figure che possono essere di una qualche utilità per il lettore non familiare con i concetti della navigazione, sono questa accanto e la seguente. La figura accanto illustra (grossolanamente) una porzione di carta nautica. Una nave, desidera procedere lungo il percorso AB.

Viene dato al timoniere l'ordine di governare secondo l'angolo di rotta R. A causa di vento e corrente, malgrado il timoniere mantenga costantemente la prua della nave orientata per l'angolo Pv = R, la traccia effettiva seguita dalla nave si discosta da quella originale, per cui viene seguito in effetti l'angolo di rotta vera Rv. Abbiamo qui un primo esempio di distinzione tra "angolo di rotta" e "rotta" (traccia seguita dal centro di gravità della nave).

Questa figura illustra invece una situazione sulla "superficie sferica" della Terra. La linea curva, da N ad A rappresenta l'intersezione con la "superficie" sferica di un piano verticale, quindi è un arco di cerchio massimo (invece la traccia seguita dalla nave è una curva speciale che descriveremo tra poco).
Anche qui è illustrata la differenza tra "angolo di rotta" e "rotta" (traccia) seguita dalla nave. E' anche illustrata la differenza tra "rilevamento misurato rispetto al nord" (rilevamento vero) e "rilevamento misurato rispetto alla nave" (rilevamento relativo).

In questa figura, i due concetti di "rotta" (traccia) e di "rotta" (angolo), sono compendiati nell'unico concetto di lossodromia.
Quando il timoniere governa per un certo angolo di rotta, costante, il risultato della sua azione è quello di far sì che la prua della nave tagli i meridiani successivamente incontrati sempre con lo stesso angolo. Ma allora, in conseguenza di ciò, la traccia seguita dal centro di gravità della nave (anche in completa assenza di vento e corrente) sarà una curva a doppia curvatura che, se proseguisse, finirebbe per avvolgersi indefinitamente intorno ad uno dei poli (a meno che la rotta non sia 90º o 270º). Una tale curva è detta lossodromia (è una specie di spirale su una superficie sferica). Nella figura è illustrata una lossodromia corrispondente a un angolo di rotta di circa di 75º.

Siccome storicamente nella navigazione è stato definitivamente introdotto quale strumento di governo la bussola (che obbliga a tagliare i meridiani con un angolo costante), divenne una esigenza addirittura fisiologica ottenere un metodo per tracciare le rotte sulle carte con la massima semplicità. Quindi, quando si cominciò ad affrontare la cartografia in termini seriamente scientifici, apparve subito evidente che la carta, per potersi dire nautica doveva consentire di tracciarvi la complicatissima curva lossodromica con la linea più semplice di tutte, la retta. Il primo requisito di cui deve godere una carta nautica è dunque quello della rettificazione delle lossodromie.

Il secondo requisito di una carta nautica dev'essere quello dell'isogonismo che, espresso affrettatamente, significa "conservazione degli angoli". Cerchiamo di spiegarlo. Supponiamo che un osservatore, situato sulla superficie terrestre in P (a destra), misuri a un certo istante l'angolo a tra i punti notevoli della costa A e B, e contemporaneamente l'angolo b tra i punti B e C.

Ebbene, la carta si dice isogonica se la rappresentazione che essa dà dei punti A, B, C e P (rispettivamente in A', B', C' e P', a sinistra) è tale che tracciando gli stessi angoli a (tra A' e B') e b (tra B' e C'), le tre semirette uscenti da A', B' e C' si incontrano proprio nel punto P', rappresentativo sulla carta di P. In questo consiste l'isogonismo della carta nautica. In tal modo il navigante ha la massima facilità nel tracciare, sulla carta, angoli che lui misura sulla superficie sferica terrestre (a causa della grossolanità , nel disegno questa eguaglianza tra gli angoli non c'è).



I due problemi dell’isogonismo e della rettificazione delle lossodromie potevano essere unificati nella soluzione di quest’ultimo (se si fosse riusciti a realizzare una carta che avesse consentito di tracciare le lossodromie come rette, sarebbe stato risolto anche il problema dell'isogonismo). La curva che sulla superficie sferica tagliava con uno stesso angolo tutti i successivi meridiani, cioè la rotta (curva che più tardi verrà chiamata lossodromia dal matematico olandese Willebrod Snell) non poteva essere rappresentata né sulle vecchie carte medioevali né sulla carte piane da una retta, perché queste non erano isogoniche e quindi rappresentavano con angoli continuamente diversi tra loro l’angolo con cui la lossodromia incontrava successivamente tutti i meridiani.

Dimostriamo in dettaglio perchè le vecchie carte non erano isogoniche. Il requisito dell’isogonismo richiedeva che, ad esempio, un triangolino infinitesimo della superficie sferica, AHB, avrebbe dovuto essere rappresentato sulla carta con un altro triangolino infinitesimo, A'H'B', avente angoli rispettivamente uguali.
Nel caso particolare della lossodromia, l’angolo R con cui essa taglia un meridiano in A, ossia l’angolo di rotta, è dato dalla relazione tan R = HB / HA = dl•cosj / dj, (ricavata dal triangolino infinitesimo AHB che si può considerare piano, rettilineo e rettangolo in H).

Infatti, in esso, il lato AB è un piccolissimo elemento di lossodromia, il lato AH un elemento infinitesimo di differenza di latitudine dj, mentre il lato HB è un archetto infinitesimo di parallelo di latitudine j, la cui espressione trigonometrica, come è noto, è data dal prodotto del corrispondente archetto di differenza di longitudine tra i punti H e B, dl, moltiplicato per il coseno della latitudine j. Sulla superficie sferica si ha dunque: tan R = dl•cosj / dj.
Sulla carta piana (di quelle con grado di latitudine sempre di lunghezza eguale al grado di longitudine), invece, il triangolino AHB è rappresentato dal triangolino A’H’B’, nel quale sono: A’H’ = dj e H’B’ = dl per cui si ha: tan R’ = dl / dj.


LA SOLUZIONE DI MERCATORE
Si vede subito quindi che la carta piana del tipo anzidetto non realizza l’isogonismo perché i due angoli hanno espressioni matematiche differenti. Per ottenere da una proiezione cilindrica l’isogonismo potremmo seguire questo ragionamento: limitiamo in prima istanza la proiezione cilindrica all’ottenimento del reticolo dei soli meridiani, lasciando in sospeso la legge di proiezione dei paralleli. Questo vuol dire che qualunque archetto di parallelo dm viene dilatato fino ad assumere il valore del corrispondente archetto di dl secondo la relazione dl = dm•secj, cioè la dilatazione dell’archetto di parallelo avviene in ragione di secj. Allora, affinché l’angolo di rotta abbia lo stesso valore anche sulla carta, anche l’elemento infinitesimo di latitudine dj deve subire una dilatazione secondo la secj, per cui, l’archetto di meridiano che sulla sfera è dj dovrà divenire sulla carta dj•secj. Allora avremo:
tan R’ = dl / dj•secj = dl•cosj / dj = tan R.

Quindi, diciamo che la carta di Mercatore, realizza l’isogonismo, adottando la proiezione cilindrica centrale (punto di vista al centro della sfera rappresentativa) per la proiezione dei meridiani, mentre, per ciò che riguarda la rappresentazione di qualunque elemento di meridiano (qualunque archetto infinitesimo di meridiano), ricorre all’artificio matematico di rappresentarlo moltiplicato per la secante della latitudine alla quale si trova il detto elemento (vedremo tra un momento come si risolve questo artificio matematico).

In verità, il raggiungimento dell'isogonismo richiede che la legge della secj sia rispettata nella rappresentazione di qualunque elemento lineare della superficie sferica, comunque orientato. Infatti, richiedendo l'isogonismo che i due triangoli siano simili, dovranno essere eguali i rapporti tra i tre lati omologhi. Abbiamo già visto che H'B' / HB = H'A' / HA = secj, per cui dovrà essere anche A'B' / AB = secj.

Soddisfacendo il requisito dell’isogonismo, la carta di Mercatore soddisfa anche quello della rettificazione delle lossodromie: infatti, formando una lossodromia angoli eguali con tutti i meridiani, venendo tali angoli conservati sulla carta, ed essendo su questa i meridiani rappresentati da un fascio di infinite rette parallele, la lossodromia dovrà essere rappresentata da una linea intersecante sotto un angolo costante un fascio di infinite rette parallele. Tale linea non può essere evidentemente altro che una retta.



LA LATITUDINE CRESCENTE
Vediamo allora come, in base alla legge appena data per realizzare i due requisiti della carta nautica, sulla stessa deve essere rappresentata una latitudine, ossia un arco di meridiano compreso tra l’equatore ed un parallelo di latitudine j. Possiamo supporre l’arco scomposto in infiniti piccolissimi archetti, tutti eguali a dj, e situati in latitudini variabili da 0º a j. Per la legge dianzi trovata, ognuno di essi è rappresentato da un segmentino uguale a dj moltiplicato per la secante della rispettiva latitudine, onde tutto l’arco LA è rappresentato da un segmento L'A' uguale alla somma di tali segmentini. Avremo cioè:

L'A' = dj•sec0º + dj•secdj + dj•sec2dj + dj•sec3dj + . . . . . + dj•secj
espressione che i cartografi italiani chiamano latitudine crescente (e quelli anglo sassoni meridional part) relativa alla latitudine j, e che viene spesso indicata con il simbolo jc (in Italia).

Si dimostra, valendosi del calcolo integrale che
jc =   dj•secj (si legge: "integrale tra 0º e j  di de-fi secante fi") e può essere calcolato con la formula
jc = log tan (45º + j / 2),    (1)
ove jc risulta espresso in radianti e il logaritmo al secondo membro è un logaritmo neperiano (logaritmo in base e = 2.7182818284 . . .).

L’espressione (1) potrebbe essere facilmente calcolata, ed è secondo tali espressioni che vengono compilate la tavole delle latitudini crescenti quando si considera la Terra sferica. Si preferisce però avere a che fare con latitudini crescenti espresse in primi di circolo massimo, cioè in miglia (di 1852 m), anziché in radianti, ed usare nel calcolo un logaritmo decimale anziché uno neperiano.
Basta ricordare dalla matematica scolastica che il valore di un angolo in primi si ottiene moltiplicando il valore dell’angolo stesso in radianti per la costante 10.800 / p = 3437.7 e che il logaritmo neperiano di un numero è eguale al logaritmo decimale del numero moltiplicato per il modulo 1 / log10e.
La formula che dà la latitudine crescente per la sfera in primi di arco è dunque:
jc (primi) = 3437.7 • 2.30258 • log10(45º + j / 2), ossia
jc (primi) = 7915.7 • log10(45º + j / 2).

Le moderne tavole nautiche, anziché dare le latitudini crescenti per la sfera con la formula di cui sopra, le danno per l ’ ellissoide internazionale, ossia considerando la Terra avente forma ellissoidica. Queste latitudini sono inferiori a quelle rispettive calcolate per la Terra sferica. La differenza aumenta con la latitudine, ed in vicinanza dei poli risulta all’incirca di 23’. Si noti ancora che le latitudini crescenti calcolate per l’ellissoide sono inferiori anche alle corrispondenti latitudini geografiche fino a circa 11º di latitudine. Ciò dipende dal fatto che alle basse latitudini, il raggio di curvatura dell’ellisse meridiana è più corto del raggio di curvatura che si attribuisce alla Terra supposta sferica.
In pratica, dunque, è sempre per mezzo di tavole che ci si serve per determinare le latitudini crescenti.



IL PROGRESSO STORICO VERSO LA CARTA DI MERCATORE
Torniamo ora all'approccio verso la moderna carta nautica dal punto di vista storico.
Secondo la terminologia dei moderni trattati di navigazione, si può dire che con la carte piane si faceva confusione tra la differenza di longitudine tra due punti, Dl, e l’appartamento m, arco che, per un certo parallelo, corrisponde a quella differenza di longitudine.
(Quale esempio di tale confusione si pensi ad esempio alla leggerezza con cui in tutte quelle discussioni sulle dimensioni dell'estensione dell'Asia e della distesa oceanica verso occidente, anzichè parlare in termini di distanza, cioè di arco di parallelo, si continuava a valutare tali estensioni in "gradi di longitudine". Si potrebbe dire che fino al tempo di Colombo, soltanto in ristrettissimi ambienti universitari si avevano le idee abbastanza chiare sulle dimensioni reali della Terra, anche perchè soltanto presso quegli ambienti le critiche a Tolomeo erano già in circolazione da tempo. Idee ben più chiare le avevano gli Arabi, che avevano eseguito misure strepitosamente precise di lunghezza del grado di meridiano nella pianura mesopotamica fin dall'anno 828, per ordine del grande califfo al-Mamun: 111.683,12 metri, sbagliando solo di pochissime centinaia di metri).

Il difetto fondamentale delle carte piane (quello di non essere in grado di rappresentare le linee di rotta mediante tratti rettilinei) veniva denunciato in modi diversi, che provano come lo studio scientifico della cartografia nautica muovesse i primi passi quando già il secolo XVI era inoltrato. Al matematico portoghese Pedro Nuñez (1492 - 1577) autore di un trattato di nautica De arte atque ratione navigandi è dovuta la scoperta della vera natura della linea, da lui chiamata rumbus, e più tardi lossodromia dallo Snellius, che la nave descrive governando con la bussola: tale linea, formando angoli eguali con tutti i meridiani, ha un andamento spiraliforme, e si avvolge intorno al polo avvicinandoglisi sempre, senza mai raggiungerlo.

Tratado da sphera, pubblicato a Lisbona nel 1537, che fu tradotto in latino e pubblicato nel 1566 col titolo sopra indicato, nel quale aveva risolto su un globo i problemi del tracciamento della lossodromia e della determinazione della latitudine con due altezze di Sole. Aveva anche dato una prima descrizione della navigazione per circolo massimo. L’uso dei globi per la risoluzione dei problemi della navigazione fu abbastanza diffuso nei secoli XVI e XVII, poiché facilitava la rappresentazione dei caratteri geometrici di quei problemi ma non poteva avere applicazioni pratiche su globi di dimensioni necessariamente limitate come quelle usabili a bordo. Ma i problemi della navigazione dovevano essere risolti che sulla carta nautica. E già nei primi anni del secolo XVI non mancarono tentativi di costruire nuovi tipi di carte, come quello di Alonso de Santa Cruz, cosmografo di Carlo V, che propose una “carta sferica” estendentesi dall’equatore ai poli, che non ebbe però diffusione perchè si presentava ancora meno adatta della carta piana ai bisogni della navigazione.

Ma lo sviluppo delle idee che doveva portare alla creazione della vera carta nautica era ormai avviato verso la esatta soluzione. Scoperta la natura della lossodromia, non si tardò a constatare che sulla carta piana quella linea non poteva essere rettificata a motivo della alterazione, variabile con la latitudine, che vi subivano gli angoli di rotta. Si sentì la necessità di una carta che consentisse di mantenere ad ogni latitudine il rapporto tra i piccoli segmenti di meridiano e i piccoli segmenti di parallelo esistente sulla sfera fra i corrispondenti archetti.
Tali dovettero essere le idee che condussero il geografo (e matematico) olandese Gerard Kremer (1512 - 1594), nato a Rupelmonde e comunemente conosciuto con il nome latinizzato di Mercator, a costruire le prime carte secondo il principio della conservazione del rapporto fra le lunghezze del grado di meridiano e del grado di parallelo della sfera. Già in una lettera del 23 febbraio 1546 scritta al cardinale Granvelle, vescovo di Arras, il Kremer espose chiaramente tale principio, che applicò più tardi, nel 1569, costruendo a Duisburg un grande planisfero, (in precedenza riportato) largo due metri e alto 126 cm, che venne chiamato Nova et aucta orbis terrae descriptio, ad usum navigantium emendata accomodata. Nella costruzione di questa carta, Mercatore, introducendo, anche se non in forma matematicamente rigorosa, il concetto di latitudine crescente, gettò le basi della nuova cartografia nautica, realizzando una conquista fondamentale che nella storia della nautica può essere posta, insieme a quella della bussola, fra le grandi realizzazioni destinate a durare nei secoli. L’antichità aveva dato alla nautica la rosa dei venti. Il Medioevo diede l’ago magnetico unito alla rosa, cioè la bussola, i Tempi Moderni diedero la carta di Mercatore, la carta nautica per eccellenza, insostituibile e intramontabile. Delle prime due invenzioni non conosciamo con esattezza l’inventore (o probabilmente gli inventori), ma la terza è indubbiamente legata al nome di Mercatore.

Anche Mercatore, come il Nuñez aveva costruito nel 1541 un globo sul quale aveva tracciato, delle lossodromie approssimate e non si conoscono i procedimenti con i quali costruì la graduazione, anch’essa approssimata, della nuova carta. Egli stesso dichiarò di non sapere come procedere esattamente per ottenere quella graduazione, la quale, tuttavia, riuscì assai prossima alla esattezza.
Comunque, il principio matematico della carta di Mercatore, quello che realizzava i due requisiti della carta nautica, venne applicato da Mercatore (forse in maniera approssimata) nella carta da lui costruita nel 1569, ma non venne da lui divulgato.

Il principio stesso venne esposto in tutta la sua chiarezza dall’inglese Edward Wright (1560 - 1615), matematico di Cambridge, al servizio della Compagnia delle Indie, che nel 1599 lo pubblicò a Londra nella sua opera Certaine Errors in Navigation detected and corrected, nella quale è anche descritto il procedimento per la costruzione delle prime tavole delle latitudini crescenti. Dello stesso anno è una carta mercatoriana del Wright.
Edward Wright si sarebbe dedicato allo studio della carta di Mercatore dopo un viaggio alle Azzorre del 1589, durante il quale poté notare come la nave avesse molto deviato dalla rotta originaria, malgrado fosse stata bene condotta usando le carte di allora.

Dei suoi lavori, ancora manoscritti, si sarebbero valsi, riconoscendone l’utilità, i piloti della spedizione di Francis Drake, il famoso pirata, del 1595. Ciò avrebbe incoraggiato il Wright a pubblicare il libro e la carta nel 1599. Una seconda edizione del libro fu pubblicata nel 1610, insieme alle prime tavole, calcolate ponendo dj = 1’. Ma l’uso di queste tavole e la stessa proiezione di Mercatore, non ebbe in un primo tempo tutto il favore che le si sarebbe dovuto attribuire, probabilmente a causa di una certa inerzia dell’ambiente marinaro ad apprezzare le autentiche innovazioni.
Al Wright è anche dovuta la traduzione inglese dell’opera latina dello scozzese John Napier (1550 - 1617), Mirifici logaritmorum canonis descriptio, con la quale ebbe inizio e quindi rapida diffusione, l ‘ uso dei logaritmi come mezzo di calcolo rapido, che, ulteriormente modificato da Henry Briggs (1556 - 1630), insegnante al Gresham College di Londra, con la introduzione dei logaritmi decimali, tanta importanza acquisì nella pratica dei calcoli nautici e particolarmente, nella compilazione delle tavole delle latitudini crescenti.

La teoria dei logaritmi e il calcolo infinitesimale, creato da Leibnitz (1648 - 1716) e Newton (1642 - 1727) diedero forma matematica rigorosa al concetto di latitudine crescente e fornì le rigorose espressioni con le quali tale grandezza può essere calcolata. Già nel 1645 l’inglese Henry Bond aveva trovato che la latitudine crescente è data dal logaritmo della cotangente della metà della colatitudine, ed allo stesso risultato giungeva nel 1668 James Gregory (1638 - 1687). Nel 1695 Edmund Halley (1656 - 1742) dimostrava, in Philosophical transactions la stessa espressione deducendola dalla rappresentazione della lossodromia secondo una spirale logaritmica sulla proiezione stereografica equatoriale.

Le carte mercatoriane vennero dette carte ridotte (invero molto impropriamente, ché non si capisce perché sia stato usato questo termine. Si potrebbe arguire che ciò sia una ulteriore conferma della scarsa attitudine che l’ambiente marinaro ebbe a valutare i benefici della nuova proiezione).
La diffusione della carta di Mercatore avvenne nel secolo XVII principalmente ad opera di Inglesi, Olandesi e Francesi. Un famoso cartografo mercatoriano fu Guillaume Levasseur di Dieppe, intorno al 1630. In Spagna la diffusione avvenne ad opera di Antonio da Caztaneta.

In Italia il principale centro di diffusione fu a Livorno, sviluppato specialmente per iniziativa di Robert Dudley, duca di Northtumberland, stabilitosi a Firenze nel 1605. Di Robert Dudley fu pubblicato a Firenze nel 1647 un grande trattato di navigazione in tre volumi.
E proprio in un centro di diffusione della cartografia mercatoriana come Livorno si ebbe anche l'ultima espressione della gloriosa cartografia nautica medioevale: l ' Atlante Nautico costruito nel 1688 da Pietro Cavallini, col vecchio sistema della trama delle rose dei venti, una magnifica opera composta di quattro carte dell'Europa occidentale, del Mediterraneo occidentale e centrale, e dell'Egeo, disegnate a colori su pergamena.

L'introduzione della carta di Mercatore costituì una autentica pietra miliare nella storia della cartografia che da allora assunse una connotazione decisamente scientifica, naturalmente associata al perfezionamento scientifico della strumentazione dedicata a questa disciplina. La cartografia divenne attività della quale i governi degli Stati si assunsero direttamente l’onere.



COSTRUZIONE DI UNA CARTA DI MERCATORE
Come è noto, la moderna cartografia prende in considerazione molti tipi di proiezioni (stereografica, ortografica, gnomonica, polare, ecc.). Oggi poi sono adottati modernissimi metodi aereofotogrammetrici, con rilevazioni addirittura satellitari. In questo breve compendio, ci siamo limitati a trattare soltanto della cartografia antica e, per gli aspetti moderni, solo lo sviluppo della cartografia nautica, concluso, come detto, con la realizzazione della proiezione di Mercatore. Pensiamo di portare a termine queste note quindi, dando informazioni su come viene effettivamente realizzata una carta marina, o meglio, come viene realizzato il reticolato dei meridiani e paralleli (canovaccio), con le relative graduazioni per la lettura delle latitudini e delle longitudini.

E' noto che scala di una carta (detta anche rapporto di riduzione della carta) è il rapporto tra una piccola lunghezza della carta, e il valore espresso nella stessa unità, della corrispondente lunghezza reale sulla Terra (vedremo che la carta di Mercatore è una carta a scala variabile). Per comodità, il primo termine viene posto eguale a 1 (se, ad esempio, 1 mm sulla carta rappresenta 100.000 mm sulla Terra, oppure 1 cm rappresenta 100.000 cm, oppure 1 m rappresenta 100.000 metri, si dice che la scala della carta è di 1 : 100.000 (uno a centomila).

Essendo la scala della carta di Mercatore variabile in tutta l'estensione della carta, per prima cosa occorre stabilire la scala equatoriale, o scala delle longitudini. Si fissa la lunghezza del segmento dm che rappresenterà un primo di longitudine, detta modulo della carta. Se tale lunghezza è U millimetri, poichè un primo di equatore sulla Terra è dM = 1.852.000 millimetri, la scala equatoriale s, sarà data da: s = dm/dM = U (mm)/1.852.000 (mm).
Questa scala è ovviamente costante lungo tutto l'equatore ed esprime anche il rapporto (inverso) fra una lunghezza qualunque della superficie terrestre, supposta sferica, e la corrispondente lunghezza della sfera rappresentativa, la sfera con la quale la Terra viene rappresentata nella costruzione della carta (un primo di equatore della sfera rappresentativa è lungo U mm, come un primo di longitudine della carta).
Due meridiani, separati da una differenza di longitudine di n primi, sono rappresentati da due rette verticali, distanti tra loro della quantità n•U (mm).

Ora, per definire la scala della carta in un punto qualsiasi dobbiamo ricordare che la carta di mercatore è tale che una certa lunghezza terrestre che all'equatore della carta viene rappresentata con la quantità dm, alla latitudine j dovrà essere rappresentata con la quantità dm' = dm • sec j, per cui la scala della carta, s' alla latitudine generica j sarà data da:
s' = dm'/dM = dm•sec j/dM = s • sec j
cioè la scala alla latitudine generica j è data dalla scala equatoriale moltiplicata per la secante di j.

Allora, per tracciare sulla carta la retta orizzontale che rappresenta un certo parallelo di latitudine j, bisognerà che tale retta sia tracciata a una distanza dall'equatore data dalla latitudine crescente jc (primi) di quel parallelo, moltiplicata per U (mm). E la distanza, o segmento di meridiano, compreso tra due rette rappresentanti due paralleli di latitudini j e j' sarà data da:
j'c•U - jc•U = Djc•U (mm).
Si ottiene così una graduazione nella quale la distanza tra un tratto di latitudine e il successivo aumenta con l'aumentare della latitudine, tanto più rapidamente quanto più la latitudine è elevata.


A titolo di esempio, diamo brevemente i calcoli per costruire il contorno di una rappresentazione mercatoriana, compresa tra le latitudini j = 55º 40' N e j' = 58º 30' N, e tra le longitudini l = 11º 30' E e l' = 15º 20' E. Si assuma quale modulo della carta il valore U = 5 mm e si indichino i seguenti elementi:
  • Le dimensioni del canovaccio
  • Le distanze dei paralleli di latitudine j'' = 57º N e j''' = 58º N, dal parallelo inferiore
  • Le lunghezze di un primo di meridiano alle latitudini estreme.


Calcoliamo la dimensione del canovaccio in longitudine. Avremo:
Dl = l' - l = 15º 20' - 11º 30' = 3º 50' = 230'.
DIMENSIONE IN LONGITUDINE = 230' • 5 mm = 1150 mm = 1,15 m

Calcoliamo la dimensione in latitudine. Sarà data dal prodotto della differenza tra le latitudini crescenti estreme per il modulo.
j' = 58º 30' N ==> j'c = 4331',4 (da apposite tavole)
j = 55º 40' N ==> jc = 4019',0
Djc = 312',4
DIMENSIONE IN LATITUDINE = Djc' • U (mm) = 312,4 • 5 = 1562,0 mm = 1,562 m

Calcoliamo la distanza del parallelo j'' = 57º N dal parallelo inferiore.
j''c = 4163',1
Djc = 4163,1 - 4019,0 = 144',1
DISTANZA = 144',1 • 5 mm = 720,5 mm = 0,7205 m
Calcoliamo la distanza del parallelo j''' = 58º N dal parallelo inferiore.
j'''c = 4274',5
Djc = 4274,5 - 4019,0 = 255',5
DISTANZA = 255',5 • 5 mm = 1277,5 mm = 1,278 m

Calcoliamo le lunghezze di un primo di meridiano alle latitudini estreme. Dovremo moltiplicare la lunghezza del modulo per la secante di ogni latitudine.
Per la latitudine 55º 40' N:    LUNGHEZZA = 5 mm • 1,77303 = 8,87 mm
Per la latitudine 58º 30' N:    LUNGHEZZA = 5 mm • 1,91388 = 9,57 mm