UN QUADRO

 

Nella seconda metà del XVI secolo, ormai decisamente al termine dell' "autunno del medioevo", viene realizzato un dipinto, che sintetizza, esaspera ed affida alla moderna dimensione del dubbio sul senso dell'esistenza umana e del mondo, l'idea o meglio le idee che i secoli precedenti avevano elaborato intorno alla morte:

"Il trionfo della morte" di Peter Bruegel

P. Bruegel il Vecchio, Trionfo della morte (1562), olio su tela, Madrid, Museo del Prado

In questo dipinto la tristezza del genio bruegeliano tocca il limite estremo e viene anche esaltata l’enorme capacità di Bruegel nell’organizzare le scene di massa in gran formato, non solo da un punto di vista formale ma anche per quanto riguarda il contenuto. La metà destra e quella sinistra del quadro sono diversamente articolate, per cui una è resa più intensa dell’altra. Le due metà sono però inseparabilmente legate fra loro dal primo piano, nel quale da sinistra a destra sono allineate cinque diverse scene a uguali distanze: l’imperatore, il cardinale, il pellegrino, i guerrieri, la coppia di amanti. Sullo sfondo si vedono gli incendi che hanno distrutto le ultime opere dell’uomo e la bellezza delle cose: non sono rimaste che le forche su un terreno ormai spoglio e l’alta campana, suonata dalla morte. Gli uomini, incalazati da un esercito di scheletri, sono travolti e sospinti verso le legioni dei morti.

I numerosi episodi - della donna sorpresa nella sua nudità dalla morte, dell’amante che canta l’ultima canzone, del ragazzo nudo inseguito dai magrissimi cani, del cavaliere che sguaina la spada... -, oltre a denotare ancora una volta la grande ricercatezza e pignoleria di Brueghel nel disegnare i dettagli, non distolgono dal tema principale della morte. Inoltre sono tutti episodi che sottolineano la crudeltà e l’imparzialità della morte, che non fa alcuna distinzione tra re e contadini. A conferma di ciò nell’angolo in basso a sinistra troviamo l’imperatore (fig. 3), caduto per terra, e la morte che, deridendolo, gli mostra la clessidra per fargli capire che il tempo è venuto, mentre un altro scheletro fruga tra i suoi denari. Proprio di fianco a questa scena un pellegrino viene barbaramente sgozzato dall’ennesimo scheletro e un cardinale viene trascinato via ormai morente.

La morte è impersonata da uno scheletro a cavallo che semina terrore e miete vittime con la sua falce, elemento già presente nelle rappresentazioni precedenti. Bruegel però riprende questo tema arricchendolo con l’introduzione dell’esercito della morte, che toglie ogni via di fuga ai disperati che tentano di salvarsi, chiudendo quasi ermeticamente il passaggio a destra. Quelli che vogliono svignarsela nella direzione opposta vanno incontro alla morte intrappolati in una rete tesa.

Complessivamente il dipinto rappresenta un soggetto tipicamente medievale (si pensi a quello celeberrimo dipinto da Buffalmacco nel Camposanto di Pisa durante la seconda metà del XIV secolo) che Bruegel ha però arricchito fondendo insieme varie tradizioni iconografiche: quella della danza macabra, quella del Cavaliere dell'Apocalisse (lo scheletro armato di falce a cavallo può essergli stato suggerito dall'affresco di palazzo Sclafani, probabilmente visto durante un soggiorno a Palermo) e quella della resurrezione dei defunti, come dimostra uno scheletro in lontananza che sta appena uscendo da una fossa. Gli altri temi sono presi e rielaborati dalle opere di Bosh, come la coppia di amanti (questo il reale significato del duetto musicale) sistemati in basso a destra che richiama il gruppo di suonatori dipinti dall'artista di Hertogenbosch nel Carro di fieno. Non diversamente (e questa è un'altra contaminazione iconografica), la scena degli uomini trascinati giù dal ponte rimanda alla nota tradizione del "ponte delle anime" (il ponte è sottile per i peccatori - che cadono - e largo per i beati) e alla descrizione del supplizio per gli orgogliosi utilizzata da Bosch nel Giudizio finale di Vienna, secondo quanto narra la Visione di Tondalo, un testo del XII secolo che ebbe molta fortuna in area fiammingo-germanica.Dal suo ideale maestro, poi, Bruegel riprende anche il riferimento al gioco, allegoria palese della vanità delle cose, che compare, sostanzialmente con le medesime componenti - quella dei dadi e delle carte - anche nell' Inferno musicale di Madrid. Del resto l'idea della vanità delle cose pervade l'intera tavola e si concentra, soprattutto, sulla figura in primo piano del prelato, paradossalmente sostenuto da uno scheletro; scena vicina a certe xilografie di Hans Holbein il Giovane che nel 1525 realizzò una serie di incisioni sul tema della Danza della morte. Accanto al cardinale, invece, uno scheletro mostra a un sovrano morente una clessidra che segna la fine del suo tempo terreno. Vicino, un altro scheletro affonda le mani in barili ricolmi d'oro sottolineando l'inutilità della ricchezza, proprio come aveva fatto Bosch nella Morte dell'avaro, conservata a Washington.

Sono anche rappresentati gli stati d’animo più disparati dell’uomo nei confronti della fine incombente: dall’elegiaca rassegnazione allo sgomento, dall’inutile ribellione all’incoscienza; esempio di ciò sono i mercenari e i cavalieri, abituati alle battaglie, combattivi e audaci, che si ribellano alla morte in un ultimo disperato tentativo di trovare la salvezza attraverso l’uso delle armi, contrapposti al popolo che fugge terrorizzato.

Numerose scene del dipinto probabilmente vogliono raffigurare i maggiori peccati che affliggono l’umanità; troviamo quindi rappresentata l’ira, espressa attraverso le figure dei mercenari e dei soldati prima descritti, l’avidità, nella forma di recipienti colmi di danaro, l’intemperanza, simboleggiata dalla tavola da gioco ribaltata vicino al tavolo sull’angolo in basso a destra e dal vino, e la lussuria, che si rispecchia nella coppia di amanti intenti a far musica, che quasi non si accorgono del sopraggiungere della loro fine, divenendo inoltre simbolo dell’amore cortese medievale.

Come si vede, i temi sono simili a quelli dell'iconografia tradizionale, ma è il modo di distribuire la materia sulla superficie della tavola che è profondamente innovativo. Bruegel sminuzza il tema in decine di scene sparse sull'area di un immenso, desolato panorama in cui per l'uomo non sembrano esserci certezze di riferimenti e vie di salvezza, ma solo un diffuso, incontrollabile horror vacui.

 

note biografiche:

Peter Bruegel, detto il Vecchio o dei contadini, nacque tra il 1520 e il 1530 a Bruegel, vicino a Breda, nei Paesi Bassi. Fu il capostipite di una famiglia di pittori. Tuttavia egli fu sicuramente il più importante e famoso membro della famiglia, e tutt’oggi è considerato il più grande pittore fiammingo del XVI sec. Tra il 1551 e il 1552 probabilmente viaggiò in Italia, dove completò un gran numero di dipinti, in particolar modo paesaggi. Tornato in patria nel 1553, si insediò ad Anversa, che lasciò dieci anni più tardi per trasferirsi definitivamente a Bruxelles. Da profondo conoscitore della natura umana oltre che paesaggistica, Bruegel trattò soggetti contadini con profondo spirito di osservazione e con una cura quasi maniacale del particolare. Un suo capolavoro La parabola dei ciechi si trova nella Galleria nazionale di Capodimonte, a Napoli. Altre opere famose come la Fiera del villaggio, Nozze di contadini, La kermesse e La nevicata sono a Vienna, altre, sparse nelle principali pinacoteche d'Europa. Uno dei dipinti che sicuramente rappresentano meglio la grande capacità dell’autore nel descrivere ogni più piccolo particolare è Il Trionfo della Morte.

 

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